sabato 24 maggio 2008

La terza volta dell'armata rossa nel ricordo dei Babes

Dedicata ai Busby Babes. La terza vittoria in Coppa dei Campioni nella storia del Manchester United non poteva non essere dedicata a quella splendida e sfortunata squadra fatta di giovani campioni a cui solo un destino crudele impedì di arrivare sul tetto d'Europa. Una larga parte di quei giocatori perì proprio 50 anni fa a Monaco di Baviera a causa di un maledetto incidente aereo. Dopo il rocambolesco trionfo di Mosca sul Chelsea (7-6 ai calci di rigore), Alex Ferguson ha subito ricordato coloro che hanno dato inizio al mito dei Red Devils, sottolineando come quest'anno i suoi ragazzi avessero una motivazione in più per vincere: dovevano onorare la memoria dei Babes. I cinque ultimi sopravvissuti di quel fantastico gruppo mercoledì sedevano in tribuna d'onore al Luzhniki.

Uno di loro, Bobby Charlton, alto dirigente del club, ha guidato Ronaldo e compagni a ricevere le medaglie e la coppa dalle mani di Michel Platini. Il volto trasfigurato dalla cascata d'emozioni vissute nell'interminabile serata moscovita, Sir Bobby avrà sicuramente fatto i complimenti al mago gallese, Ryan Giggs, che entrando in campo a partita già iniziata gli ha sottratto il record assoluto di presenze in maglia United (ora fissato a quota 759). Giggs c'era già nel 1999, quando Ferguson mise per la prima volta le mani sulla coppa dalle grandi orecchie. Anche quella non fu una partita banale, anzi, rimane una delle finali che occupano di diritto un posto privilegiato nel grande libro della storia del calcio. Sotto per tutta la gara, i diavoli rossi nei minuti di recupero seppero con la forza della disperazione prima pareggiare e poi addirittura vincere un incontro dominato da un Bayern Monaco ormai certo della vittoria. I tedeschi colpirono due pali, circostanza occorsa anche al Chelsea nel match di mercoledì.

Charlton, invece, era presente nel 1968. A dieci anni dallo schianto di Monaco, Matt Busby coronava il suo sogno: a Wembley lo United si aggiudicava la coppa imponendosi per 4-1 con il Benfica ai supplementari. Insieme al campione con il riporto più famoso del calcio mondiale c'erano gente del calibro di Kidd, Law, Stiles e soprattutto Best. Migliori loro o i Red Devils di Tevez, Rooney, Ferdinand e Ronaldo? Chissà, è sempre difficile fare questi paragoni. Per Ferguson quello del 2007-08 è il team più forte che ha mai allenato. Tra i grandi meriti dell'inossidabile scozzese c'è quello di aver portato all'Old Trafford un portoghese di Madeira. Già, Cristiano Ronaldo. Spocchioso, irritante, teatrale - il suo pianto solitario dopo lo sbaglio di Anelka non sembrava genuino al 100% - e perché no, anche arrogante. Ma ora come ora il migliore al mondo. Uno capace di segnare 42 reti stagionali - 8 in Champions League - senza essere un attaccante puro. L'uomo dallo scatto bruciante e dai dribbling modello playstation, su cui la stampa di mezzo mondo ha già scatenato una ridda di illazioni. Se ne va o resta? Nelle immediate 24 ore post Mosca il nostro ha già affermato tutto e l'incotrario di tutto. Intanto il Real Madrid rimane alla finestra.

Ma i rossi di Manchester non sono solo l'estro del loro numero sette. Per la doppietta campionato-Champions è servita la solidità difensiva della coppia Ferdinand-Vidic, la cattiveria agonistica di Tevez, l'intramontabile classe di Scholes, i tackle di Hargreaves e Carrick, la versatilità di Rooney, la freddezza di Van der Sar, cacciato con l'etichetta del brocco dalla Juve e ora di nuovo campione d'Europa dopo i fasti dell'Ajax. Ma forse troppi dimenticano l'unico mancuniano della squadra: Wes Brown. In passato tartassato da troppi infortuni, quest'anno ha saputo occupare con continuità il ruolo lasciato vacante dal capitano Gary Neville, come terzino destro. L'ha fatto alla grande anche in finale, crossando per il gol di Ronaldo.

Chiusura d'obbligo con l'onore delle armi per gli sconfitti. Secondo in campionato dopo una bella rimonta, il Chelsea si è visto sfuggire la sua prima Champions League per «colpa» del suo simbolo, del suo capitano: John Terry. Senza l'incredibile scivolata sul dischetto del rigore, tutti si sarebbero ricordati della finale persa per l'errore di Ronaldo. Ora tutti si ricorderanno del pianto inconsolabile del duro londinese. Il calcio è propri cambiato, ve lo immaginate negli anni settanta un capitano di un team inglese che scoppia a piangere in campo?

Dal Manifesto, 23 maggio 2008

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