mercoledì 30 giugno 2010

Reportage da Liverpool

Scritto per il numero 5 di Fever Pitch. Casomai invoglia qualcuna ad abbonarsi...

“Hey Jude, don’t make it bad, take a sad song and make it better”. La serata in uno dei templi più celebri del mondo del pallone si chiude con le note immortali di una delle canzoni dei Beatles. Non poteva essere altrimenti, ci viene da pensare mentre il nostro sguardo compie l’ennesima panoramica delle tribune dell’Anfield Road, che mille e mille volte abbiamo ammirato in televisione. Sono quasi le 22 di una fredda serata di ottobre. Gli spalti sono ormai vuoti, fatta eccezione per qualche giornalista che si è attardato in tribuna stampa e gruppetti di tifosi del Lione, che evidentemente si vogliono godere, assaporare fino in fondo un’impresa che entrerà negli annali della storia del loro club. La squadra francese, infatti, ha appena sconfitto il Liverpool nella sua tana. Una batosta durissima, che manda all’aria i sogni di gloria dei Reds in Champions League, forse il nadir di una stagione nata male, malissimo. Questa volta all’Anfield Road non si è consumata l’ennesima magia europea. Le Coppe dei Campioni, come piace dire a noi un po’ old style, rimarranno cinque, e scusate se è poco. Quei cinque sigilli li incontrate ovunque, nei paraggi della casa del Liverpool, insieme al fiero profilo di uno scozzese tutto d’un pezzo e alle tristi memorie di una delle tragedie più sconvolgenti della storia del calcio. Ogni bancarella, ogni caffè, ogni pub rammenta che sì, Milan o Real Madrid saranno pure state campioni d’Europa qualche volta di più, ma volete mettere il gusto di compiere l’impresa qui, sulle rive della Mersey? Nel 1959 quando le Merengues alzavano al cielo la loro quarta Coppa dei Campioni, il Liverpool giocava, per giunta malissimo, in Second Division. Poi arrivò Bill Shankly e le cose cambiarono, e tanto. È lui l’icona assoluta dei Reds, uno che per i suoi miracoli calcistici tutti i tifosi del Liverpool, non conta se hanno novanta oppure nove anni, adorano, a cui vogliono bene come una persona di famiglia.

Mentre a Mathew Street, al mitico the Cavern, quattro ragazzi facevano impazzire frotte di giovani suonando per giornate intere, tra nubi di fumo e una temperatura da sauna finlandese, Shankly creava il mito, la leggenda, alimentandola con le sue battute. Un pezzo di storia del calcio inglese, anche quelle frasi salaci e sempre divertenti. Un personaggio che viveva di football, tanto che una volta ai giornalisti che gli chiedevano se fosse vero che aveva portato la moglie a vedere una partita del Rochdale (squadra del Lancashire che militava nelle divisioni minori) come regalo di anniversario, il grande Bill rispose: “No, era per il suo compleanno. E poi non mi sarei mai sposato durante la stagione calcistica. Ad ogni modo era la squadra riserve del Rochdale…”.

Una statua e uno dei due cancelli dell’impianto, questi ultimi ora traslati anche nello stemma dei Reds, sono l’omaggio che il club ha voluto rendere al grande condottiero, il cui busto si trova anche all’entrata del centro sportivo di Melwood, da lui “resuscitato” a inizio degli anni sessanta e che noi abbiamo avuto la fortuna di visitare in un’altra occasione – tastando con mano come nella tifoseria dei Reds il partito degli scettici su Rafa Benitez si stia ingrossando sempre di più.

Oltre ai Paisley Gate, giustamente dedicati all’allenatore che seppe raccogliere al meglio quanto seminato da Shankly, portando il Liverpool sul tetto d’Europa e mantenendolo su quello d’Inghilterra, fuori Anfield c’è un altro luogo che non si può non notare: il memoriale per le vittime di Hillsborough. Novantasei nomi su una stele di marmo, una fiammella perenne, fiori e sciarpe di chi non dimentica perché quel giorno di 21 anni fa a Sheffield perse un parente oppure semplicemente non vuole accettare che quelle morti che hanno cambiato per sempre il volto del Beautiful Game finiscano nel dimenticatoio. Scorrendo quella lista infinita si rimane basiti leggendo le età di chi non c’è più perché soffocato dalle barriere di protezione della Leppings Lane: tanti i teenagers, tantissimi i poco più che ventenni. Una strage che si sarebbe potuta evitare, se solo la gestione delle forze dell’ordine fosse stata più adeguata e l’impianto meno vetusto. Una strage per cui nessuno ha pagato, come ci spiegano (e chissà quante volte l’avranno fatto in vita loro) i promotori della Hillsborough Justice Campaign, che ha la loro sede a pochi metri dallo stadio. Nei due pub storici a pochi metri dalla Kop – the Albert e the Park – ci sono intere pareti dedicate all’omaggio alle vittime. “Justice for the 96” hanno cantato e cantano spesso nella roccaforte del tifo del Liverpool. Ma chissà se le campagne e le proteste inscenate in questi anni porteranno mai ad alcun risultato.

A proposito della Kop, quanto stiamo per dire può sembrare scontato, anzi di certo lo è, ma ascoltare dal vivo quella struggente dichiarazione d’amore che è You’ll Never Walk Alone mette i brividi, fa venire la pelle d’oca. In realtà è seguire un match all’interno dell’ormai “piccolo” Anfield un’esperienza che un vero appassionato di football deve fare almeno una volta nella vita. Sarà la nottata europea, ma l’intensità dei cori, dei canti dei supporter biancorossi ricorda più le partite del passato che quelle di tanti club di Premier League, dove gli stadi danno l’impressione di essere più teatri di lusso che vere e proprie arene sportive. Nella Kop tutti, ma proprio tutti i presenti seguono i 90 minuti rigorosamente in piedi, come ai bei tempi delle terraces. “Abbiamo provato a farli sedere, ma un conto è convincere 10-15 persone, un conto farlo capire a qualche migliaio”, ci spiega uno steward. Una volta in piedi sulle gradinate della vecchia Kop erano oltre 25mila, ora sono in 12mila. La nuova End prevista nell’impianto voluto dal duo di proprietari Yankee Gillett & Hicks ne avrebbe dovuti contenere 18mila. Ma, almeno per un altro po’ di anni, le cose rimarranno invariate, dal momento che non ci sono i soldi per costruire il nuovo Anfield. Espandere quello vecchio non è semplicissimo, incastonato com’è tra file di casette a schiera. Quasi tutte fatiscenti, cadenti, ma in parte abitate, almeno a giudicare da alcune luci accese che scorgiamo. Come anche altre zone della periferia di Liverpool, l’area attorno l’impianto dei Reds sta lì a testimoniare la crisi che ha piagato la città nei lunghi anni di dissesto economica. Ora il contrasto tra il centro, con i suoi shopping center nuovi di zecca, i Docks finalmente riqualificati e i monumenti restaurati, e la cerchia urbana è stridente. Prima lo era sicuramente di meno.

“Nel 2008 siamo stati la capitale europea della cultura, sono arrivati un bel po’ di fondi, il che non ha certo guastato!”, ci racconta con il suo cantilenante accento scouser Mark, un tassista tifoso dell’Everton che ci accompagna all’aeroporto – che chiaramente da queste parti è dedicato a John Lennon. “Guardali, hanno perso e se ne scappano tutti a casa, nessuno che va al pub”, si lamenta, sottolineando come le serate nere del Liverpool coincidano con un calo dei suoi introiti. “Poi parecchi di loro non sono nemmeno di qui, vengono da fuori, altre parti dell’Inghilterra ma pure Irlanda o Scandinavia. D’altronde quelli veramente di Liverpool tifano per l’Everton, mica per i Reds” rivendica, orgoglioso di essere un sostenitore del cosiddetto People’s Club. Un argomento da approfondire e che merita senza dubbio un altro giro nella Merseyside, dall’altra parte di Stanley Park.

domenica 27 giugno 2010

Inghilterra, avventura finita

Scritto per Goal.com

Schiaffo pesantissimo per Capello, la Germania dei giovani domina grazie alle giocate di Ozil.

Klose: Menzione d’obbligo per il bomber di origini polacche. Non è certamente stato il migliore della Germania, ma ha aperto le marcature con un gol da vero centravanti di sfondamento, come si diceva una volta. E poi ha raggiunto Pelè nella speciale classifica dei migliori marcatori della storia del Mondiale. Gerd Muller e Ronaldo distano rispettivamente due e tre marcature. Se i tedeschi continuano di questo passo sognare un clamoroso aggancio è più che lecito. Voto 6,5

Terry: Pesanti le sue responsabilità sui primi due gol. Ma è tutta la sua partita a lasciar a desiderare, visto che è costantemente in ambasce contro la freschezza e la velocità dei ragazzi tedeschi. Il 2010 non è certo il suo anno, almeno se parliamo di nazionale. Voto 5

Schweinsteiger: Arrivare a 78 presenze in nazionale a soli 26 anni la dice lunga sulla bravura e l’affidabilità del centrocampista del Bayern Monaco. È uno dei leader della squadra teutonica, che ha tremato quando la sua presenza in campo era data in forte dubbio. Poi tutto si è risolto al meglio, purtroppo per gli inglesi. Voto 7,5

Lampard: tira in porta appena gli si apre qualche spazio. La buona sorte gli volta le spalle un paio di volte, la prima in maniera molto eclatante, visto che finalmente aveva trovato il gol che gli manca in nazionale. Soliti problemi in fase di impostazione, ma questa volta è il migliore dei Tre Leoni. Voto 6

Neuer: Il suo primo intervento, sul tocco ravvicinato di Lampard, è da storia del calcio. Poi sbaglia di brutto sia sul gol di Upson che sul quasi gol sempre del centrocampista del Chelsea. Si rifà nel secondo tempo con una serie di buoni interventi e una bella parata su un tiro a botta sicura di Gerrard. Voto 5,5

Capello: Per uno come lui che vive di risultati (e di vittorie), uscire agli ottavi di finale di un Mondiale dove aveva come obiettivo minimo la semifinale è più di un fallimento, anche perché vincendo il girone la sfida con la Germania non sarebbe arrivata così presto. La pesante sconfitta contro un paria come Loew sparge ulteriore sale sulle ferite di Don Fabio, che ora non è detto che rimanga fino all’Europeo del 2012. Voto 4,5

Ozil: è uno dei nomi nuovi della nouvelle vague tedesca. Sebbene abbia solo ventidue anni, ha il piglio del veterano. Sbaglia un solo pallone, dopo pochi secondi, poi è praticamente perfetto. Dubitiamo che Michael Ballack possa ancora giocare partite in nazionale, con il ragazzo di origine turche davanti a lui. Voto 8

I tifosi inglesi: commoventi, meritavano sicuramente di più. Almeno loro, che da 44 anni ingoiano bocconi amarissimi ma non smettono di sostenere la squadra con un affetto incredibile. Voto 8

Blatter: Caro presidente, un pizzico di tecnologia no? L’instant replay ormai c’è ovunque, almeno per i casi simili a quelli del gol-non gol di Bloemfontein. Ma il deus ex machina della FIFA non ne vuole sapere… Voto 3

venerdì 25 giugno 2010

Inghilterra vs Germania, quanti ricordi!

“Il calcio è uno sport fatto di 22 giocatori che corrono dietro a un pallone e di un arbitro che ogni tanto fa qualche errore. E alla fine vince sempre la Germania”. Per capire quanto per gli inglesi sia importante, e temuto, un incontro con gli storici rivali tedeschi (e non parliamo solo di football), basta rileggersi le parole di Gary Linecker. Lui ha vissuto uno degli episodi meno fulgidi della diatriba sportiva tra le due nazionali: la semifinale di Italia 90. Non bastò una sua rete per portare i Tre Leoni in finale. Chris Waddle e Psycho Pearce sparacchiarono dal dischetto e ai posteri fu consegnata l’immagine triste di un Gazza Gascoigne in lacrime, quasi un presagio di quella che sarebbe stata una vita fatta di tanti episodi balordi. La maledizione dei rigori, per gli inglesi, iniziò in quella calda serata torinese. Il secondo dei tanti flop dal dischetto che da due decenni accompagnano la nazionale ora allenata da Fabio Capello fu se possibile ancora più doloroso. Avversaria ovviamente la Germania, questa volta la competizione erano i campionati europei che l’Inghilterra ospitò nel 1996. Alan Shearer e compagni dominarono in lungo e in largo una partita iniziata in discesa, proprio grazie a un gol dell’idolo dei tifosi del Newcastle. Ma i tedeschi non mollano mai, è risaputo, e quella volta toccò a Gareth Southgate far sprofondare nella disperazione i 100mila di Wembley e una nazione intera.

A proposito del vecchio Wembley, quello con le due Torri, la pista e i seggiolini stretti stretti da far venire i crampi, indovinate chi giocò l’ultima partita contro i Tre Leoni prima che il tempio fosse abbattuto. Elementare, Watson, la Germania. Che, sotto una pioggia battente, vinse con un tiraccio del randellatore di centrocampo Dietmar Hamann. La partita era valida per il girone di qualificazione al Mondiale nippo-coreano. Per smentire l’adagio lineckeriano, nel match di ritorno Sven Goran Eriksson guarì gli inglesi dalla loro allergia ai tecnici stranieri, almeno quelli chiamati a guidare l’undici della Regina. Grazie anche a una tripletta di un giovane e all’epoca sano come un pesce Michael Owen, l’Inghilterra umiliò 5-1 una Germania incredula, esterrefatta.

Tornando a parlare di gare valide per una fase finale di una Coppa del Mondo, prima della famosa semifinale sul suolo italico le tre sfide che opposero gli allora tedeschi dell’Ovest agli inglesi fecero registrare un bilancio in perfetta parità. Una vittoria per parte e un pareggio, quest’ultimo uno scialbo 0-0 che buttò fuori un’Inghilterra imbattuta dal Mundial spagnolo.

Sulle ultime due partite di questa veloce e per forza di cose parziale carrellata si è detto e scritto tutto e il contrario di tutto. Il 30 luglio del 1966 il compianto Bobby Moore alzò al cielo la Coppa Jules Rimet soprattutto per merito dei suoi due compagni di squadra del West Ham Martin Peters e Geoff Hurst, autori di tutti e quattro i gol della finale. E di uno sconosciuto guardalinee sovietico, Tofik Bakhramov. Colui che confermò all’arbitro elvetico Gottfried Dienst che la bordata di Hurst al 101imo minuto dei tempi supplementari dopo aver centrato la traversa aveva varcato la linea della porta difesa da Hans Tilkowski.

Pare che Bakhramov concesse una delle marcature più controverse della storia del calcio soprattutto per “antipatia” nei confronti dei tedeschi. Quelle della Seconda Guerra Mondiale, a quei tempi, erano ferite ancora aperte per molti. Non a caso narra la vulgata che sul letto di morte il guardalinee di sangue azero, all’ennesima domanda su quella indimenticabile decisione rispose con una sola parola: “Stalingrado”. Al di là di quel celebre misfatto, la nazionale allenata da Alf Ramsey era zeppa di campioni e meritò il titolo. Oltre ai tre Irons, c’erano Bobby e Jackie Charlton, Alan Ball, Gordon Banks e Nobby Stiles. Tra le riserve era presente pure il talentuoso portiere del Chelsea, un ragazzo di origini svizzere che di nome faceva Peter Bonetti, poi finito a fare il postino nella remota isola scozzese di Mull. Non prima di essere divenuto il capro espiatorio per la cocente eliminazione ai quarti di finale di Messico 70. Banks, che contro il Brasile aveva appena compiuto una delle parate più belle di tutti i tempi su un colpo di testa del grande Pelé, rimase in albergo a vedersela con la maledizione di Montezuma, e Bonetti disputò così l’unica gara della sua vita in un mondiale. L’Inghilterra appariva destinata a ripetere i fasti di quattro anni prima, grazie a un rassicurante doppio vantaggio a 20 minuti dal termine. Franz Beckenbauer, Uwe Seeler e Gerd Muller ribaltarono la contesa, come quella del 1966 decisa ai supplementari. In realtà Bonetti ebbe chiare responsabilità su uno solo dei tre gol, ma tant’è, quella partita viene ricordata per le sue papere e per la grinta tutta teutonica nel cercare la vittoria a tutti costi. Prossima fermata Bloemfontein, il romanzo continua.

martedì 22 giugno 2010

Roy Hodgson successore di Rafa Benitez?

Sembra che il Liverpool stia accelerando i tempi, così da mettere sotto contratto Mister Roy prima della sfida tra Inghilterra e Slovenia. Se i Tre Leoni dovessero uscire dal Mondiale, infatti, si parla già di possibili dimissioni di Fabio Capello. Indovinate chi potrebbe arrivare al suo posto...

sabato 19 giugno 2010

Inghilterra da dimenticare

Qualche annotazione su Inghilterra vs Algeria scritta per Goal.com. In generale che dire, se non che l'Inghilterra al momento è impresentabile...

Rooney: AAA cercasi il fenomeno ammirato a inizio 2010. La condizione fisica appare molto approssimativa, non hai mai un guizzo e sbaglia una quantità industriale di palloni. È pur vero che la squadra non lo aiuta e dal centrocampo arrivano ben pochi palloni di qualità, tuttavia continuando di questo passo anche il Mondiale sudafricano rischia di tramutarsi in un incubo, come capitato quattro anni fa in Germania. Voto 4,5

Bougherra: Guida la difesa con un piglio e una determinazione encomiabili. Le sue diagonali sono elegantissime, da manuale. E’ uno abituato a vivere l’Old Firm (dalla sponda dei Rangers), quindi non sente l’emozione e la responsabilità di dover arginare le (pur timide) avanzate inglesi.
Voto 7

Lennon: Sulla fascia destra non si vede praticamente mai. Le rare volte che prende palla tende ad accentrarsi e a vanificare l’azione. Le sgroppate impetuose e i cross dal fondo a cui ci ha abituati con la maglia del Tottenham sono solo un lontano ricordo, tanto che non si capisce per quale motivo Capello aspetti fino al sessantesimo per sostituirlo. Voto 4

Matmour: Da solo tiene sotto scacco l’intera difesa inglese. La sua è una partita di grande sacrificio, di botte prese e di tanti palloni difesi con il coltello tra i denti così da far salire la squadra e dar respiro a una reparto arretrato per la verità mai seriamente in difficoltà. Voto 6,5

Lampard: L’occasione più grande della partita capita sui suoi piedi, ma per il resto è il solito Frankie in versione nazionale, ovvero il fratello povero di quello che nel 2009-10 con il Chelsea ha segnato ben 28 reti. A tratti è irritante, sembra quasi che il pallone gli scotti tra i piedi. Gerrard (voto 5) non fa molto meglio, ma almeno ci mette un pizzico di volontà in più. Voto 4,5

M’Bohli: Riesce a fare meglio di Chaouchi, protagonista della clamorosa papera che ha regalato i tre punti alla Slovenia. Eppure è spesso insicuro e a inizio partita un paio di volte rischia di far segnare gli avversari. L’Inghilterra è talmente spenta che però non riesce mai a costruire qualche tiro da lontano un minimo decente in modo da mettere sotto pressione l’estremo difensore algerino. Si guadagna la sufficienza con il bel salvataggio su Lampard.
Voto 6

giovedì 17 giugno 2010

Calendari

Subito Liverpool vs Arsenal e Manchester United vs Newcastle in Premier, ma anche uno storico Leeds vs Derby in Championship. Le prime giornate dei massimi campionati inglesi si prospettano a dir poco interessanti. Per eventuale pianificazione di trasferte tocca però attendere l’elenco di posticipi e anticipi, come al solito.

martedì 15 giugno 2010

Altro che Mondiale...

Avevo deciso di scrivere un bel po’ sulle prestazioni della nazionale inglese. Ma tra varicella e vuvuzelas finora ho dovuto battere in ritirata. Speriamo le cose migliorino presto, anche se viste le condizioni (e i bubboni) di mio figlio minore e mie farei meglio a inventarmi un bel pezzo su un film dell’horror!

giovedì 10 giugno 2010

martedì 8 giugno 2010

67%

È la percentuale sulle entrate che i club della Premier destinano in media ai salari dei calciatori. A dircelo una ricerca degli esperti della società di consulenza Deloitte. Secondo le loro analisi ormai la Bundesliga garantisce maggiori profitti della massima divisione inglese. Quel 67% è un dato quanto mai esplicativo…

venerdì 4 giugno 2010

Una Championship con i fiocchi

La Championship si conferma il quarto campionato più seguito in Europa, almeno stando alle presenze negli stadi – che, a differenza di realtà più vicino a noi, sono moderni, funzionali e alquanto capienti. I 9,9 milioni di fan, per una media di oltre 17mila unità a partita, superano di quasi un milione il totale della Serie A. Il risultato è il migliore fatto registrare dal 1959-60 a oggi, con un incremento del 4,4 per cento rispetto alla stagione passata. Certo, l'anno prossimo non ci sarà più il Newcastle, che riempie il St James' Park e attira pubblico in trasferta, però tra le 24 ai nastri di partenza comparirà il Leeds United. E scusate se è poco.

mercoledì 2 giugno 2010

In attesa di Inghilterra vs USA

Quando le agenzie stampa trasmisero il risultato di “Inghilterra-Usa 0-1”, i caporedattori di molti giornali inglesi pensarono si trattasse di un errore di battitura. Si era nel 1950, i mezzi di comunicazione erano limitati e la partita valevole per il girone di qualificazione dei mondiali si era appena giocata a Belo Horizonte, nel lontano Brasile. Le prime edizioni dei quotidiani londinesi riportarono come score 10-1 o 11-1 per i Tre Leoni, come la logica del football di quei tempi suggeriva, dedicando più spazio a un’altra tragedia nazionale, la prima sconfitta della selezione di cricket contro la rappresentativa delle Indie Occidentali. E invece era tutto vero. Alla loro prima partecipazione ai Mondiali, che nelle tre precedenti occasioni avevano altezzosamente snobbato, i Maestri del calcio si erano fatti battere da un’accozzaglia di dilettanti statunitensi, che nella vita di tutti i giorni facevano i lavapiatti piuttosto che gli insegnanti. A essere più precisi, alcuni di loro vestivano la maglia degli Usa ma, in alcuni casi, erano originari di altri Paesi ed erano stati inseriti nella rosa per il mondiale brasiliano solo grazie a una naturalizzazione dell’ultimo minuto. Come Joe Gaetjens, l’attaccante haitiano che segnò il gol della vittoria, divenendo per gli inglesi l’equivalente di quello che Pak Do Ik è per gli italiani: un incubo in carne e ossa. O ancora come Bill Jeffrey e Ed McIlvenny, rispettivamente allenatore e mediano di quella nazionale, entrambi scozzesi. McIlvenny venne addirittura promosso capitano solo per quell’incontro, proprio a ragione delle sue origini britanniche – o meglio dire per la sua avversione atavica nei confronti degli inglesi. Mai troppo popolare, all’epoca negli Stati Uniti era quasi esclusivamente uno sport per stranieri, conseguentemente praticato da migranti. Non a caso i protagonisti di quella impresa rimasero nel dimenticatoio per 50 anni, fin quando su Inghilterra-Usa fu scritto un libro e girato un film, “The Game of Their Lives”, costato 20 milioni di dollari nel 2005 ma poi rivelatosi un fragoroso flop (tanto che al botteghino guadagnò solo 400mila dollari).

Nella pellicola Gaetjens era raffigurato come un seguace dei riti voodoo – niente di più falso –, mentre ai giocatori inglesi fu data una caratterizzazione quanto mai fallace. Altro che esponenti dell’alta borghesia con la puzza sotto al naso, i vari Stanley Matthews, Will Mannion, Tom Finney e Stan Mortensen erano i tipici calciatori dell’epoca: origini proletarie e pochi grilli per la testa. Matthews era la star di quella squadra e, grazie ai suoi dribbling ubriacanti e alla tecnica sopraffina, era ritenuto uno dei migliori al mondo. Per sua fortuna non giocò quell’incredibile match, essendo reduce da un infortunio. Tutte le altre stelle inglesi, però, subirono quella cocente umiliazione. Le divinità del calcio, è vero, ci misero tanto del loro. Il portiere a stelle e strisce Frank Borghi parò tutto il parabile e anche di più. Quando non ci arrivava lui, ci pensarono i pali e le traverse a salvare le sorti dei dilettanti statunitensi. In una delle rarissime azioni offensive di tutta la partita, sul finire del primo tempo, un tiraccio da fuori aerea “rimbalzò” sulla testa di Gaetjens superando l’estremo difensore dei Tre Leoni. Tanto bastò per realizzare la beffa del secolo.