giovedì 28 febbraio 2008

Intertoto che passione!

L’Everton è solo l’ultima della squadre inglesi che ha fatto domanda formale per poter giocare la Coppa Intertoto all’inizio della prossima stagione. Si va ad aggiungere ad Aston Villa, Blackburn Rovers e Manchester City – in rigoroso ordine alfabetico – che già avevano manifestato la loro intenzione di entrare in Europa per la porta di servizio, qualora ce ne fosse bisogno. In realtà se la Premier dovesse finire oggi i Toffees disputerebbero addirittura i preliminari di Champions League, per la disperazione dei cugini dei Reds, costretti ad inseguire in classifica. Il punto però è un altro: in Inghilterra alla Coppa Uefa sembrano tenerci ancora un bel po’. Chi la gioca la affronta con serietà – tre squadre agli ottavi è un bel risultato – e chi si batte per garantirsi la qualificazione si cautela con tutti i mezzi necessari pur di avervi accesso. Ma questo non andatelo a raccontare ai presidenti della squadre italiane...

mercoledì 27 febbraio 2008

La Premier non va oltre confine?

Niente Arsenal-Aston Villa a Singapore o Manchester City-Tottenham a Tokyo. Dopo la cancellazione di un meeting tra i vertici della Premier League e quelli della FIFA, l’ipotesi di una giornata aggiuntiva di campionato da disputarsi al di fuori dei confini inglesi sembra definitivamente tramontata. Il chief executive della Premier, Richard Scudamore, ha finito il suo “giro” di porte in faccia. La sua proposta è stata bocciata dai tifosi (che lui però non teneva in grande considerazione), poi dalla Football Association (che di potere ne conserva pochino rispetto al passato), quindi addirittura da un grande club come il Manchester United, che evidentemente preferisce le trasferte estive in giro per l’Asia a una partita secca lontano dall’Old Trafford, per finire con l’UEFA e la FIFA (che di potere ne hanno un bel po’). Chissà se Scudamore, dopo questo oggettivo fallimento, valuterà se dare le dimissioni o quantomeno rivedere la sua posizione. Altrove un pensiero del genere non sfiorerebbe nemmeno l’anticamera del cervello di certi personaggi. Ma forse questa è una riflessione fin troppo scontata da fare…

martedì 26 febbraio 2008

Petrodollari sulla Merseyside?

Il duo a stelle e strisce Tom Hicks e George Gillett Jr, da un annetto padroni del Liverpool, sarebbe già pronto a mettere in vendita il club di Anfield Road. Almeno così si può leggere oggi sulle colonne del Times. I compratori? La Dubai International Capital (DIC), la società degli Emirati Arabi Uniti che già in passato aveva provato ad acquistare la maggioranza delle azioni della gloriosa compagine del Lancashire e che da alcune settimane, sempre secondo i bene informati, avrebbe avuto un poderoso ritorno di fiamma. Il tutto per la gioia della metà rossa di Liverpool, già stufa della coppia di milionari americani e del loro ostracismo nei confronti di Rafa Benitez. Sempre secondo il Times sarebbe Hicks, quello dei due con il conto in banca più cospicuo, a non essere troppo convinto di voler vendere, mentre Gillett avrebbe tutta l’intenzione di passare la mano. Sicuri che con la DIC saranno solo rose e fiori?

Il fine settimana da incubo dell'Arsenal

La ventisettesima giornata della Premier 2007-08 sarà ricordata non tanto per la bella prestazione del Manchester United, che ha ridotto lo svantaggio dalla vetta da cinque a tre lunghezze, o per la bella tripletta di Torres, quanto piuttosto per l'orrendo infortunio capitato al povero Eduardo Da Silva dopo soli tre minuti della sfida tra Birmingham e Arsenal. Un incidente talmente brutto che a caldo ha portato Wenger a chiedere la squalifica a vita di Martin Taylor, autore del terribile fallo. Il tecnico francese ha ritrattato, ma ascoltando le parole di uno specialista, secondo cui senza la pronta reazione dei soccorritori l'attaccante croato-brasiliano avrebbe rischiato di perdere il piede, ci si rende conto appieno della portata dell'accaduto - che molti media inglesi hanno in qualche modo "oscurato", non diffondendo di proposito le sconvolgenti immagini e foto che hanno tristemente fatto il giro del mondo.
Tornando a parlare di calcio giocato, nella partita del St Andrew's era quasi scontato che dopo un tale episodio l'Arsenal sarebbe rimasto per circa metà partita sotto shock. Nonostante l'uomo in più i Gunners sono apparsi molto confusi, tanto da farsi trafiggere da una bella punizione di Mc Fadden, che poi nei minuti finali della prima frazione ha sprecato anche la palla per il raddoppio. Il secondo tempo è iniziato però con l'assalto a Forte Apache - la porta di Maik Taylor - e con i cinque minuti magici di Theo Walcott. Convocato ai mondiali di Germania 2006 a soli 17 anni, la giovane stella ex Southampton ha trovato finalmente il primo gol in Premier, poi bissato con una bella marcatura che ha regalato il vantaggio all'Arsenal. Gara finita, con i Blues a rincorrere vanamente, fortemente penalizzati dall'inferiorità numerica? Così sembrava, però quando Adebayor non ha passato al suo nemico giurato Bendtner una palla facile facile preferendo l'azione personale, qualche dubbio nella mente di Wenger deve essere serpeggiato. E infatti in pieno recupero Clichy ha fatto un'altra frittata, regalando all'ottimo Mc Fadden il rigore del 2-2. Arsenal ingenuo e sfortunato, insomma, che pareggia il secondo match stagionale con i Blues di Birmingham. Qualche speranza in più per il Milan in vista del ritorno degli ottavi di finale a San Siro.
Il Manchester United si porta a meno tre dai Gunners maramaldeggiando sui resti del Newcastle, che dopo i sei gol rimediati all'Old Trafford il mese scorso ne becca altri cinque a domicilio. Red Devils con Ronaldo (capocannoniere a quota 21 gol) e Rooney in stato di grazia, autori di una doppietta a testa, Magpies che iniziano a rischiare una clamorosa retrocessione. Ai bianconeri ormai si addice in maniera inquietante anche lo sponsor, la banca Northern Rock giunta ad un passo dal fallimento e di recente nazionalizzata dal governo britannico… I ragazzi di Ferguson, dopo il faticoso pareggio in Champions League in casa del Lione, si rilanciano in campionato, forti di una batteria di avanti che in giro per il pianeta ha ben pochi eguali.
Curiosamente Chelsea e Tottenham, protagonisti di una bella finale di Carling Cup poi vinta dagli Spurs del Re Mida Juande Ramos, si sarebbero dovute scontrare in campionato al White Hart Lane, in una partita rinviata per evidenti motivi. Torna a sperare in un posto in Champions League il Liverpool. I giustizieri dell'Inter sorridono grazie ad una tripletta del Nino. Brutte notizie per Roberto Mancini, quindi. Senza Materazzi, Cordoba e Samuel sara dura bloccare un Torres di nuovo in buone condizioni di forma. Il quarto posto è anche l'obiettivo dell'Aston Villa, vittoriosa a Reading. Al Madejski va a segno la giovane stellina ex Watford Ashley Young, uno degli osservati speciali di Fabio Capello. Ancora male i Royals, più che mai in pericolo retrocessione e all'ottavo rovescio consecutivo.
Nel Monday Night l'Everton passa con autorità sul campo del Manchester City e si conferma la quarta forza del campionato. Eriksson dice addio ai sogni di Champions League. In zona Uefa delusione per Portsmouth, Blackburn e West Ham che, sebbene si siano imposte rispettivamente su Sunderland, Bolton e Fulham, devono fare i conti con il successo del Tottenham in Coppa di Lega, che comporta la qualificazione automatica in Europa degli Spurs.
Ma chi se la passa peggio delle tre sconfitte, tutte nelle zone meno nobili della Premier, sono i Cottagers, sempre più indiziati per il tonfo in Championship. Magra consolazione che il derby di sabato l'abbiano giocato bene, subendo un gol irregolare negli ultimi minuti. La classifica piange lacrime amarissime...

Da Goal.com 26/02/08

lunedì 25 febbraio 2008

Alle Big Four "solo" due trofei su tre...

Non me ne vogliano i tifosi del Chelsea, però è un bene che la Coppa di Lega – o Carling Cup che dir si voglia – sia andata al Tottenham. No, non sono tifoso degli Spurs, di cui però apprezzo molto il gioco offensivo e l’abilità di alcuni giocatori, Berbatov in primis. Il successo del team guidato da Juande Ramos (che bravo!) è importante perché intacca almeno in maniera parziale il dominio delle cosiddette Big Four (Manchester United, Arsenal, Chelsea e Liverpool), che da tre stagioni avevano fatto man bassa dei tre principali trofei del calcio inglese. E’ vero, la Coppa di Lega non vale la Premier o la FA Cup e quelle competizioni è molto probabile vadano ad una delle magnifiche quattro, però almeno fa ben sperare per un pizzico di ricambio al vertice. E pensare che una volta il Tottenham faceva parte delle Big Five (le Big Four meno il Chelsea più Everton e per l’appunto gli Spurs). Tuttavia nei decenni di regno delle Cinque Grandi le sorprese non mancavano, soprattutto nelle coppe nazionali.

Mirandola, febbre a 90° per i Gunners

Questa sera a Londra il Milan nella tana dell'Arsenal In provincia di Modena un piccolo club biancorosso

Italiani che tifano per l'Arsenal se ne possono trovare senza troppe difficoltà. Basta farsi un giro su internet e visitare il forum a loro dedicato (http://euroarsenal.mondoweb.net/), realizzato dal romano Massimiliano Troiani. Oppure, se vi capita di andare a vedere una partita all'Emirates Stadium a Londra, sarà molto facile che possiate incontrare Elio Segurini, un cesenate che di match casalinghi di Adebayor e compagni se ne vede di persona almeno una decina l'anno e che è dal 1984 che bazzica quelle stradine del Nord di Londra rese famose da Febbre a 90° di Nick Hornby. Ma forse la persona più rappresentativa fra tutti i supporter di fede bianco-rossa che vivono nel nostro paese è Stefano Maini, fondatore e presidente dell'Arsenal Club Italia. Farsi una chiacchierata con lui equivale a ripercorrere a ritroso una quarantina d'anni di storia della compagine di Avenell Road, se non dell'intero movimento del calcio inglese. Uno che la passione per l'Arsenal l'ha trasmessa al padre e al figlio.
In quanti sarete questa sera all'Emirates per la sfida con il Milan?
In sette, ma al ritorno a San Siro saremo in venti. Io non ci sarò per problemi familiari, però farà parte del contingente mio figlio, che dovrà scegliere tra Arsenal e Milan, visto che è anche tifoso dei rossoneri. Spero faccia la scelta giusta, io ci terrei a vendicare la sconfitta subita nella Super Coppa Europea 1994-95 proprio per mano del Milan. Dopo aver battuto negli anni squadroni come Juventus, Roma ed Inter ora tocca a loro. E poi sarei particolarmente contento che la filosofia dell'Arsenal, che punta tanto sui giovani, avesse la meglio su quella dei milanisti, che invece si basano quasi esclusivamente su giocatori di esperienza ma abbastanza avanti con gli anni.
Parliamo del vostro club. Quando e come nasce?
Nella stagione 1999-2000. Ebbi la felice intuizione di mettere un annuncio sul Guerin Sportivo per cercare tifosi dei Gunners come me. Mi risposero subito una quindicina di appassionati. Poi man mano ci siamo ingranditi, fino ad arrivare agli attuali 130 membri, sparsi per tutto lo stivale. Alcuni sono veramente incredibili, come Renato Barili, di Como. Lui è un data base vivente, sull'Arsenal sa tutto. Formazioni, risultati, potete chiedergli qualsiasi cosa e lui vi risponderà.
In cosa consistono le vostre attività?
L'appuntamento principale è il pranzo annuale, che di solito si tiene a fine maggio qui da me, a Mirandola, in provincia di Modena. L'anno scorso eravamo più di 30, tutti rigorosamente con la maglia dell'Arsenal. Poi grazie ad internet sono in contatto diretto praticamente tutti i giorni con buona parte degli iscritti. Otre alla tessera e al distintivo che ogni nuovo adepto riceve in cambio della modica quota associativa di 10 euro, produciamo t-shirt, cappellini e sciarpe del club. I nostri gadget sono molto popolari, ce li richiedono anche i collezionisti inglesi.
Avete una sede?
Una sede vera e propria non c'è. Però casa mia attira l'attenzione di molti membri del club. E' una specie di museo. Ho tutti i programmi delle partite dell'Arsenal dal 1968-69, una quarantina di magliette e una collezione di oltre quattromila spillette.
Siete un club ufficialmente riconosciuto dall'Arsenal?
Certo. Siamo gli unici in Italia ad avere un rapporto diretto con la società su a Londra. In questo modo possiamo ottenere i biglietti per le partite. Anche grazie ai numerosi vantaggi che offrono le compagnie aeree low cost, ad ogni match che si tiene all'Emirates c'è almeno uno dei nostri. Alla gara d'esordio nel nuovo impianto, nell'agosto del 2006, eravamo addirittura una decina. E considera che quei tagliandi sono costosi e difficili da reperire, la lista d'attesa degli abbonati supera le 20mila persone.
Come sono i rapporti con i tifosi inglesi?
Ottimi, abbiamo fatto amicizia, ci inviatno anche nei loro club privati nei pressi dello stadio. Lì dove se non sei un vero gooner non entri.
Come nasce la tua passione per l'Arsenal?
Nel 1966, all'epoca dei mondiali in Inghilterra, mi innamorai del football dei maestri. Poi nel 1970-71 iniziai a seguire i Gunners. Quella stagione vincemmo sia la coppa che il campionato, per la prima volta nella nostra storia. Era il team dell'allenatore Bertie Mee, ex fisioterapista, e di campioni come Charlie George, Franck Mc Lintock e George Armstrong, una squadra forte e spettacolare. A volte penso che sarei dovuto nascere oltre Manica, vuoi per la mia anglofilia, vuoi per la mia fede calcistica.
In 40 anni di storia sia l'Arsenal che il calcio inglese sono cambiati tanto. Che ne pensi?
Devo dire che la svolta che si è avuta negli anni ottanta nella gestione del tifo e nella ristrutturazione degli impianti era necessaria, non si poteva andare avanti in quel modo, con la violenza degli hooligans e strutture decrepite e pericolose. Se penso alla mia squadra è scontato che mi manchi il vecchio Highbury, però penso che il trasferimento ad uno stadio più grande e moderno fosse indispensabile. Sarebbe stato bello se invece di demolire Higbury e al suo posto tirare su un complesso residenziale l'avessero lasciato in piedi come una sorta di museo. Ma le esigenze finanziarie del club erano altre.
Non è la prima volta che l'Arsenal incrocia una squadra italiana in Europa...
Ricordo con piacere la mitica vittoria dei Gunners nella Coppa delle Coppe 1979-80 a Torino sulla Juventus. Dopo l'1-1 dell'andata la squadra allora guidata da Trapattoni puntò a non prenderle. E invece a un minuto dalla fine fu punita da un gol di Paul Vaessen, che poi si è perso e nel 2001 è morto per overdose di eroina. Io ero a casa di un mio zio a vedere quella partita. Alla mia esultanza al nostro gol lui con stupore mi disse: «Guarda che non ha mica segnato la Juve».
Il tuo giocatore preferito?
George Armstrong. Un'ala che sapeva crossare in modo incredibile. Ma soprattutto un grande uomo squadra e una persona eccezionale, uno dei simboli del double del 1971. Con l'Arsenal ha giocato ben 500 partite. Purtroppo se n'è andato qualche anno fa, ma i veri supporter dei Gunners non se lo dimenticheranno mai.
Di recente anche Nick Hornby ha detto che questo Arsenal senza neanche un inglese in campo non gli piace più come una volta...
Pesa anche a me, ma è una scelta dell'allenatore, Arsene Wenger. E' lui che comanda ed è lui che ha sempre puntato sui giovani. Non mi sta granché simpatico ma l'anno scorso, durante il ritiro estivo in Austria, l'ho pure salvato da un bel volo in bicicletta.

Da Il Manifesto, 20 febbraio 208

sabato 23 febbraio 2008

Il tragico mito mancuniano

Nel giorno dell'esordio di Fabio Capello a Wembley, l'Inghilterra commemora l'incidente aereo che 50 anni fa si portò via i Busby Babes e avviò la leggenda del Manchester United

Undici spazi vuoti. Al posto dei nomi dei giocatori sul programma della partita più triste della storia del calcio inglese c'erano undici spazi desolatamente vuoti. La sfida di quinto turno di Coppa d'Inghilterra tra Manchester United e Sheffield Wednesday, tenutasi davanti a 60mila persone con gli occhi gonfi di lacrime e poi vinta dai padroni di casa, imbottiti di riserve e giocatori presi in prestito qua e là, era infatti la prima che i Red Devils disputavano dopo la tragedia di Monaco di Baviera. Un maledetto incidente aereo che si portò via buona parte dei Busby Babes, una delle nidiate di campioni più feconde di sempre, allevata con maestria dal precursore e conterraneo di Alex Ferguson, quel Matt Busby che in 25 anni di servizio all'Old Trafford gettò le saldissime fondamenta su cui si regge tuttora il mito dei biancorossi della metropoli del Lancashire. Un gruppo fatto di giovani provenienti dal vivaio che aveva già lasciato il segno negli annali del football, vincendo alla grande due campionati, e che chissà quanti altri successi avrebbe mietuto negli anni a venire. Invece il 6 febbraio 1958, alle 16.04 locali, il velivolo che doveva riportare a casa quel team formidabile e la sua corte di giornalisti si schiantò sulla pista dell'aeroporto di Monaco, al terzo tentativo di decollo. Le avverse condizioni climatiche - c'era una bufera di neve in atto - giocarono un ruolo fondamentale, così come era successo nove anni prima per un altro immane dramma sportivo e non solo, la scomparsa del Grande Torino sulla collina di Superga. Nel caso del Manchester United non tutti perirono tra le lamiere contorte del volo BE 609 della British European Airways di ritorno da Belgrado, dove i Diavoli Rossi pareggiando 3-3 con la Stella Rossa si erano assicurati il passaggio alle semifinali della Coppa dei Campioni. Tra i sopravvissuti ci fu Bobby Charlton, forse il miglior giocatore inglese di sempre, che nella sua recente autobiografia ha ricordato come da 50 anni faccia una fatica incredibile a convivere con il peso di quella sciagura. Il campione del mondo del 1966 parla addirittura di rimorso, lo stesso sentimento provato da Busby, tormentato dalla perdita dei suoi bimbi prodigio. Il leggendario allenatore scozzese ce la fece per miracolo. Un paio di volte ricevette l'estrema unzione, vista la gravità delle sue ferite. Ma le cicatrici della mente non guarirono mai neppure per lui.La lista dei caduti, purtroppo, fu molto lunga. Tra le 23 vittime si contarono otto giornalisti, compreso l'ex portiere del Manchester City e della nazionale inglese Franck Swift, tre mebri dello staff dello United e otto babes. Persero la vita Roger Byrne, il capitano e per tanti il possibile successore di Busby, la sua riserva, Goeff Bent, portato a Belgrado per precauzione visto che Byrne era leggermente infortunato, i nazionali inglesi David Pegg e Tommy Taylor - quest'ultimo secondo alcuni «tecnicamente» non era un vero e proprio membro dei Babes, poiché fu acquistato dal Barnsley e non cresciuto nelle giovanili, ma a Busby, come a tutti gli allenatori del mondo, faceva comodo un attaccante molto prolifico come lui. E ancora l'irlandese trapiantato nel Lancashire Liam «Billy» Whelan, Mark Jones, roccioso centrocampista e abile allevatore di pappagallini e il talentuoso Eddie Colman, appena ventunenne ma già idolo indiscusso dei tifosi. Colman proveniva dal quartiere proletario di Salford, poi usato come modello per la decennale soap britannica Coronation Street.Dopo 15 giorni di sofferenze indicibili si spense anche Duncan Edwards, un ragazzone delle Midlands che aveva le stimmate del predestinato. Uno che per doti tecniche, velocità e sagacia tattica era già un fenomeno a 15 anni, come affermò anni dopo Busby. Chi lo ha visto giocare non ha dubbi, avrebbe offuscato la stella di Bobby Moore, il capitano dei bianchi d'Inghilterra che nell'edizione casalinga del mondiale '66 ricevette la Coppa Rimet dalle mani della regina. Tra chi lo ha ammirato c'è anche Terry Venables, un predecessore di Fabio Capello sulla panchina inglese. El Tel, come lo chiamano oltre Manica, ebbe la fortuna di essere presente all'ultima partita dei Busby Babes sul suolo inglese, un incredibile 5-4 rifilato all'Arsenal nel vecchio Highbury, che sembra quasi il testamento calcistico di quel team di bambini terribili. Edwards morì a soli 21 anni. All'epoca era il giocatore più giovane ad aver mai vestito la maglia con i tre leoni sul petto - collezionò in tutto 18 presenze. Dopo la scomparsa del figlio, suo padre Gladstone lasciò il posto in una fonderia per diventare il giardiniere del cimitero della cittadina di Dudley, dove riposavano le spoglie di Duncan. Così da potergli stare sempre vicino. Il dramma del Manchester United fu uno degli eventi che in quegli anni colpirono di più il popolo inglese, che pian piano si stava tirando fuori dalle fatiche e dagli stenti del secondo dopoguerra. Il giorno della tragedia la Bbc interruppe la programmazione per dare la notizia e tutte le prime pagine dei giornali aprirono con i fatti di Monaco. Sul Manchester Evening News accanto ai pezzi sull'incidente c'era la rubrica siglata da Byrne, in cui il capitano si augurava di incontrare il Real Madrid in semifinale, così da potersi prendere la rivincita per l'eliminazione subita la stagione precedente. Un sogno svanito tra i cumuli di neve del sud della Germania.Quel team già così ampiamente decimato perse per sempre, ma solo sul campo, anche Johnny Berry e Jackie Blanchflower, fratello della leggenda del Tottenham degli anni sessanta Danny. Le menomazioni fisiche sostenute impedirono ai due di continuare a giocare. Il club non si dannò certo l'anima per aiutarli - come d'altronde non sostenne economicamente i parenti delle vittime. Anzi, una volta presa la decisione di appendere le scarpe al chiodo gli intimò di lasciare le abitazioni messe a disposizione. Visti i tempi, nulla di troppo eclatante. Allora il potere contrattuale dei calciatori era molto basso, mentre a causa di draconiani limiti salariali i loro guadagni erano in media - se si escludono i premi - addirittura di poco inferiori a quelli di un operaio qualificato. Insomma, le società facevano il bello e cattivo tempo, come si accorsero sulla loro pelle Berry e Blanchflower.Busby fu quindi chiamato a ricostruire la squadra quasi da capo, a cercare altri giovani talenti. Compito che ancora una volta il placido scozzese seppe assolvere con grande abilità. Nel 1963 arrivò la vittoria in Coppa d'Inghilterra, seguita da due trionfi in campionato nel 1965 e nel 1967. Ma il successo più bello fu quello in Coppa dei Campioni, nella finale di Wembley del 29 maggio 1968, dieci anni dopo la terribile giornata di Monaco. A regalare quel trofeo tanto agognato al tecnico ormai ad un passo dal ritiro ci pensò un nuovo gruppo di campioni, guidato da un Charlton ormai stempiato ma sempre fortissimo, da Denis Law e da un giovane fenomeno con la zazzera e un dribbling celestiale. Il Belfast Boy George Best. Uno che non avrebbe di certo sfigurato al fianco dei Busby Babes.

Da Il Manifesto, 6 febbraio 2008