domenica 26 settembre 2010

L'analisi della sesta giornata di Premier

Articolo scritto per Goal.com

La sesta giornata della Premier sembra aver voluto smentire tutti quelli che a inizio stagione avevano bollato il campionato inglese come privo di equilibrio e ricco solo di goleade subite dalle piccole a spese delle grandi. E invece nel fine settimana appena trascorso le sorprese si sono sprecate. La stessa presunta “dittatura” del Chelsea è andata a farsi benedire per merito di un Manchester City finalmente degno delle sontuose campagne acquisti condotte per allestirlo.

COS'E' SUCCESSO – A Eastlands i Light Blues hanno sconfitto per la terza volta consecutiva in campionato i londinesi. Il conto “inglese” tra Roberto Mancini e Carlo Ancelotti va sul 2-0 per lo jesino, che può così rivendicare la bontà della sua ostinazione nello schierare una sola punta in attacco. Del passo falso del Chelsea non approfittano né il Manchester United, bloccato sul pareggio al Reebok Stadium da un ottimo Bolton, né tanto meno l'Arsenal, sconfitto a domicilio dal West Bromwich Albion. Da dimenticare, come spesso accade, la prestazione di Manuel Almunia. Sempre male il Liverpool, che non va oltre il 2-2 interno con il Sunderland. Prima vittoria per il West Ham, che si impone dopo un digiuno di quattro anni nel derby con il Tottenham. A proposito di derby, l'Aston Villa passa al Molineux di Wolverhampton, dove non perde dal 1978.

IL TOP – Carlos Tevez è entrato in forma, dopo qualche passaggio a vuoto di troppo nello scorcio iniziale di stagione. Lo testimoniano la rete a Wigan e soprattutto la bellissima realizzazione nella gara con il Chelsea. Se gira lui – e se trova la strada del gol con continuità – il Manchester City può diventare una legittima aspirante al titolo, come ha riconosciuto anche Ancelotti.

IL FLOP – Una sola vittoria in sei partite, una clamorosa eliminazione in Carling Cup contro una compagine di quarta serie come il Northampton. Senza voler affondare il dito nella piaga, narrando del caso societario, per fare il punto del pessimo periodo che si sta vivendo dalle parti di Anfield Road basta raccontare delle scarse prestazioni sul campo di Gerrard e compagni. Per Roy Hodgson il cammino si fa sempre più in salita. Vista l'attuale posizione in piena zona retrocessione, se già i Reds riuscissero ad acciuffare un posto in Europa League sarebbe un grande risultato...

LA SORPRESA – L'avevamo già menzionato la scorsa settimana, ma dopo il trionfo all'Emirates non possiamo esimerci dal rinominare il West Bromwich Albion. Guidato dall'ex dal dente avvelenato Jerome Thomas (scartato da Arsene Wenger sei anni fa), il team di Roberto Di Matteo si è preso il lusso di sprecare anche un rigore a fine primo tempo. L'inizio della seconda frazione di gioco, però, ha mandato letteralmente in solluchero i tifosi dei Baggies.

TOH CHI SI RIVEDE – Ai tempi del Fulham, Zat Knight era considerato una grande promessa del calcio inglese. Nel 2005 ha collezionato anche due presenze in nazionale, prima di fallire miseramente all'Aston Villa. Al Bolton sta ritrovando la forma di una volta. Domenica ha segnato un meraviglioso gol di tacco e annullato Dimitar Berbatov, reduce dalla fantastica tripletta al Liverpool. Una prestazione veramente da incorniciare. Che una parte del merito sia da ascrivere al bravissimo tecnico Owen Coyle?

LA CHICCA – Harry Redknapp ha vissuto gran parte della sua carriera calcistica sia da giocatore che da allenatore al West Ham. Da quando ha lasciato il Boleyn Ground, contro la sua ex squadra non aveva mai perso, collezionando otto vittorie e due pareggi. Sabato a sporcare il suo record ci ha pensato Frederic Piquionne, che nell'aprile scorso gli aveva già regalato una cocente delusione segnando il primo gol della semifinale shock tra il suo Portsmouth e gli Spurs.

venerdì 24 settembre 2010

I dolori del giovane Rooney

Buon sangue non mente, o forse sì. Le enormi aspettative su John Rooney rischiano di essere mal riposte, dal momento che il diciannovenne fratello di Wayne si sta perdendo negli oscuri meandri delle divisioni minori – anzi, non lo vogliono nemmeno lì. Certo, questo è il classico caso in cui il cognome non aiuta, anzi, forse è solo un fardello troppo gravoso. Però il nostro ci sta mettendo parecchio del suo per non brillare come in tanti credevano avrebbe fatto. E sì, perché alla tenera età di 12 anni gli addetti ai lavori già prefiguravano un futuro radioso per il ragazzino, appena entrato a far parte dell’Academy dell’Everton (la squadra del cuore di tutta la famiglia). Il Sun ipotizzava di vederlo presto a fianco del più illustre parente, addirittura in nazionale. “È meglio di Wayne a 17 anni”, scrisse il popolare tabloid britannico. Mal gliene incolse. Dopo una discreta trafila nelle giovanili dei Toffees, nel 2008 John provò a saggiare le sue qualità nelle divisioni minori della Football League. Per la precisione il piccolo Rooney fu messo sotto contratto dal Macclesfield Town, club dalla scarse ambizioni ma allenato da un tecnico molto bravo a valorizzare i giovani talenti che rispondeva al nome di Keith Alexander (poi morto prematuramente a inizio 2010).

Le doti tecniche di John – il cui raggio d’azione è leggermente più arretrato rispetto a quello del fratello – spiccarono subito, così come, purtroppo per lui, fu evidente la sua totale mancanza di continuità in un campionato duro e faticoso come la League Two. All’inizio della stagione 2009-10 due gol meravigliosi contro Carlisle e Cheltenham attirarono di nuovo l’attenzione dei media inglesi, che non vedevano l’ora di lanciare un “nuovo” personaggio. Si vociferò anche di un’offerta di 500mila euro intavolata dal Southampton per il suo cartellino, per la verità sempre smentita dalla dirigenza del Macclesfield. Ma al di là di qualche picco di gioco, il rendimento del piccolo Rooney continuò a essere molto incostante. Le sue “comparsate” in panchina divennero una costante e il club decise di non rinnovargli il contratto al termine della stagione 2009-10. Nonostante le lodi ricevute dopo i provini con il Derby County e il Preston North End (entrambe compagini di Championship), John si è ritrovato con un pugno di mosche tra le mani. Le belle parole spese per lui da Nigel Clough, tecnico dei Rams, non hanno trovato alcun seguito a livello contrattuale. Nell’estate appena passata, dopo una fugace presenza in amichevole con l’Huddersfield Town, Rooney si gioca la carta dell’esperienza all’estero, per la precisione negli Stati Uniti. Ma i due periodi di allenamenti con Seattle Sounders e Portland Trailblazers non gli valgono una chiamata nel Superdfraft della MLS (la lega professionistica americana).

Spiragli per rimettere in sesto una carriera evidentemente in pericolo non sembrano essercene tanti, e non è da escludere che a breve John debba rassegnarsi a tirare due calci al pallone solo in ambito amatoriale. Altro che maglia con i Tre Leoni sul petto…

giovedì 23 settembre 2010

Quante emozioni in Carling Cup

Se quella del Brentford è stata un’impresa, allora che dire di quanto fatto dal Northampton ieri sera ad Anfield? Tra l’altro i Cobblers, prima di imporsi ai rigori, sono andati vicini a una eclatante vittoria ai supplementari. Il quarto turno (gli ottavi di finale) della Coppa di Lega, quindi, vedrà la presenza non solo di una squadra di League One, ma anche di una di League Two. E intanto quattro big – Chelsea, Liverpool, Manchester City e Tottenham – sono già fuori. Che sia l’anno delle sorprese fino in fondo?

mercoledì 22 settembre 2010

Grande Brentford!

Non oso immaginare l'atmosfera che ci può essere stata ieri sera al Griffin Park, dove le Bees hanno eliminato ai rigori l'Everton in una gara valida per il terzo turno della Coppa di Lega. Il Brentford è l'unica squadra di League One ad approdare alla fase successiva, in una serata che ha visto il Burnley prendersi una parziale rivincita sull'odiato transfuga Owen Coyle. I Clarets, infatti, hanno vinto contro il Bolton allenato da colui che a inizio 2010 ha clamorosamente abbandonato il Turf Moor, cessando così di essere "Dio" per i supporter locali.

martedì 21 settembre 2010

Un po' di storia, come è nato il campionato inglese

In principio fu la FA Cup, nel lontanissimo 1871-72. Poi, negli ultimi anni dell’epoca vittoriana, arrivò il primo campionato della neonata Football League. Era il 1888 e a contendersi il titolo di campioni d’Inghilterra si presentarono 12 squadre. Il professionismo era stato appena introdotto (nel 1885) e su proposta di un dirigente dell’Aston Villa, lo scozzese William McGregor, si provò a dare un po’ d’ordine a un calendario fatto ancora di tantissime amichevoli. Non è un caso che la brillante idea fosse venuta proprio a un esponente dei Villans, squadra in grande ascesa e reduce da una storica vittoria in Coppa d'Inghilterra. Un campionato comportava la possibilità di incontrare in maniera finalmente sistematizzata le compagini più importanti dell'epoca e di conseguenza attirare più persone allo stadio. Il tutto per la felicità dei cassieri dei club.

Le regole dei due gironi di andata e ritorno con l’alternanza dei match in casa e trasferta, poi così imitate ovunque nell’orbe terracqueo, furono fissate durante la riunione costitutiva tenutasi il 17 aprile 1888 al Royal Hotel di Manchester. Un albergo che non esiste più, così come l’Accrington F.C., l’unica delle fantastiche 12 a non essere sopravvissuta fino ai nostri giorni – le successive due versioni dell’Accrington Stanley non sono una filiazione di quella società. Tanti degli altri club hanno fatto la storia del calcio inglese: Aston Villa, Blackburn Rovers, Everton, Wolverhampton Wanderers. Curioso notare l’assenza di squadre londinesi, a testimonianza di come allora il Beautiful Game si fosse sviluppato di più in altre parti dell’Inghilterra, soprattutto nelle Midlands e nel Lancashire. Non c’erano nemmeno le altre grandi dell’era del corporate football, ma c’era il Preston North End. Gli Invincibili, come ricorda una delle tribune del loro impianto, il Deepdale. Non persero nessuna delle 22 gare disputate e quella stagione misero in bacheca anche la FA Cup, oltre, ovviamente, alla coppa di campioni nazionali. Per trovare un’altra compagine in grado di vincere il campionato senza nessuna macchia sul proprio cammino ci sono voluti 115 anni. Parliamo dell’Arsenal di Wenger e Henry. Altri tempi, altro football. Quel mitico Preston seppe fare il bis l'anno successivo, ma poi non riuscì più a ripetersi.

Nel frattempo era nata anche la Football Alliance, su spinta del Nottingham Forest, grande esclusa dalla Football League. Nel 1892, i Garibaldi Reds, come erano soprannominati per il colore delle maglie, confluirono nella Football League insieme ad altre compagini della Alliance. La First Division – ufficialmente denominata così da quell'anno – si allargava a 16 squadre, mentre compariva per la prima volta la Second Division. Chissà se lo sceicco Al Mansour e Roberto Mancini sanno che al suo esordio il secondo livello della lega inglese poteva contare tra le sue fila l'Ardwick. Ovvero i progenitori del Manchester City (che in realtà fino al 1887 si chiamavano Garton e giocavano in maglia nera e pantaloncini bianchi). Tornando alla Prima Divisione, non deve stupire se dopo il breve dominio del Preston a fare man bassa di titoli fu l'Aston Villa – e chi altri! Alla fine del secolo, il team di Birmingham aveva già messo in bacheca tre FA Cup e ben cinque campionati, con tanto di double nel 1897. Gli aristocratici del calcio inglese, come venivano indicati allora, ebbero un tale impatto sull'intero movimento dal punto di vista tecnico e non solo che numerose squadre adottarono negli anni le loro eleganti divise Claret & Blues (vedi, a Londra, il West Ham e il Crystal Palace). Dopo McGregor, fu ancora uno scozzese a risultare determinante nelle sorti del club. Dopo aver giocato e capitanato l'Aston Villa, George Ramsey ne fu anche il manager dal 1884 al 1926. Roba da far invidia ad Alex Ferguson.

Pubblicato ieri dal sito www.calcio3000.com

lunedì 20 settembre 2010

Che spettacolo all’Old Trafford! Intanto il Chelsea asfalta anche il Blackpool

Continua il percorso netto del Chelsea, favorito da un calendario piuttosto agevole. Alle spalle dei Blues si fa sotto il Manchester United, mentre rallenta l'Arsenal, bloccato nei minuti finali della sfida dello Stadium of Light. In coda primo punto del West Ham, che però non riesce ad approfittare di un gol di vantaggio sul campo dello Stoke. Non appare aver fine il momento no dell'Everton.

Cos’è successo – Il big match della giornata era senza dubbio Manchester United-Liverpool, che in settimana Alex Ferguson non aveva esitato a definire la partita per antonomasia del campionato inglese. A livello di gioco i 18 titoli di campioni a testa sono stati legittimati dai Red Devils, dominanti per ampi tratti della partita, ma anche ingenui a farsi recuperare il doppio vantaggio costruito nei primi 60 minuti di gioco. Fortuna per Rooney e compagni che Berbatov è tornato quello dei suoi giorni londinesi. Con il Blackpool solita passeggiata del Chelsea, che chiude la pratica già nel primo tempo. Da segnalare la doppietta di Florent Malouda, capocannoniere della Premier con sei realizzazioni complessive. Arsene Wenger se la prende con l'arbitro per aver concesso un lungo recupero nel match con il Sunderland, ma forse farebbe bene a rampognare i suoi per le occasioni fallite – in primis il rigore sbagliato da Rosicky – e per la mezza distrazione sul gol di Darren Bent. Passo in avanti del Manchester City, corsaro sul campo del Wigan. In gol anche Yaya Tourè, uno dei migliori dei Light Blues in questo primo scorcio di campagna 2010-11.

Il Top – Per farsi perdonare due annate non brillantissime e conquistare in maniera definitiva l'affetto dei tifosi, Dimitar Berbatov non poteva trovare di meglio che segnare una tripletta al Liverpool (la prima di un giocatore dello United contro gli storici rivali dal lontano 1946). E che tripletta! Due magnifici colpi di testa e una rovesciata da manuale del calcio. In attesa del miglior Rooney, le sei reti del bulgaro sono un ottimo viatico per il resto della stagione.

Il Flop – L'Everton aveva illuso un po' tutti con il rocambolesco pareggio con il Manchester United, tuttavia il rovescio interno contro il Newcastle ha confermato le enormi difficoltà che il team del Goodison Park sta incontrando durante questo deficitario inizio di stagione (solo due punti in cinque partite, peggio ha fatto solo il West Ham). Si attende con trepidazione il ritorno di Louis Saha, visto che in attacco la squadra balbetta tantissimo. Certo, se poi Marouane Fellaini si divora occasioni come quella dei secondi finali del match di sabato, diventa tutto più complicato.

La Sorpresa – Non ce ne voglia Roberto Di Matteo, ma vedere il suo West Bromwich Albion decimo dopo cinque giornate appare alquanto inusuale, considerando i precedenti delle ultime, deludenti stagioni dei Baggies in Premier. Tutto cuore e determinazione il successo nel derby contro il quotato Birmingham, prima riacciuffato e poi superato con un gol del promettente attaccante nigeriano Peter Odemwingie.

Toh chi si rivede – Roman Pavlyuchenko viene ormai usato da Harry Redknapp per risolvere le partite che gli Spurs si complicano in maniera indicibile. Era già successo nel preliminare di Champions League a Berna (decisivo il suo gol del 2-3), è accaduto nel fine settimana nell'importantissimo match casalingo con i Wolves. Senza la sua fondamentale marcatura del 2-1, il Tottenham si sarebbe ritrovato già troppo distante delle posizioni che contano.

La Chicca – Avram Grant non era presente al Britannia Stadium di Stoke perché impegnato a osservare la festività ebraica dello Yom Kippur. Ma se gli Irons continueranno di questo passo, il tecnico israeliano potrebbe ritrovarsi ad avere fin troppi sabati liberi…

Scritto per Goal.com

venerdì 17 settembre 2010

La seconda parte del reportage sulle squadre di Liverpool scritto per Fever Pitch

I tifosi dell’Everton sono fin troppo silenziosi. Lungi dal non esprimere interesse nei confronti del match, che si mette subito bene grazie a un mortifero uno-due di Tim Cahill e Landon Donovan, ma di cantare non sembra abbiano troppa voglia. Quasi si stessero conservando la voce per un appuntamento più importante, più sentito, come può essere un derby con la metà rossa della Merseyside. In effetti una decina di giorni dopo la gara interna con il Sunderland alla quale abbiamo assistito, vinta facilmente per 2-0, i Toffeemen si ritroveranno di fronte i rivali cittadini. Quelli che li battono (quasi) sempre e che anche nel secondo derby della stagione avranno la meglio per 1-0, ottava affermazione negli ultimi undici scontri diretti in campionato. Quelli che sono arrivati dopo – l’Everton è stato fondato nel 1878, il Liverpool nel 1892 – e che hanno vinto di più. Tanto di più. Ma che per gli evertoniani doc saranno sempre la seconda squadra della città, sostenuta da migranti e gente che a Liverpool casomai non ci ha mai messo piede. Loro, i Toffeemen, sono il People’s Club, la squadra dei “nativi” (leggi alla voce Wayne Rooney ma anche Steve McManaman e Jamie Carragher), come ci rammentano le sciarpe messe in bella mostra dalle bancarelle che fanno da corona al Goodison Park. Un impianto storico, distante solo dieci minuti a piedi dall’Anfield Road. Come avrete letto spesso, basta attraversare lo Stanley Park e dalla roccaforte rossa si passa a quella tutta blu. I paraggi dello stadio sono meno tetri di quelli dell’arena del Liverpool, anche perché una delle strade dà direttamente sul parco. Dopo aver reso il dovuto omaggio alla statua di Dixie Dean, prolifico centravanti icona che tra il 1925 e il 1937 fece esultare i supporter dell’Everton per ben 383 volte (un record assoluto per il beautiful game), la prima cosa che cerco con gli occhi è la chiesa di St Luke’s. Ovviamente è lì, all’angolo tra il Main Stand e la Gwladys End.

Costruita oltre un secolo fa (nel 1901) ha messo il bastone fra le ruote anche al grande Archibald Leitch, il celeberrimo architetto di stadi che nel 1907 fu chiamato per ingrandire e rendere più funzionale il Goodison Park. Un compito che lo accompagnerà per i successivi 30 anni. Non bastavano le file ordinate di casette a schiera con cui venire a patti, ci si doveva mettere pure un luogo di culto, avrà pensato Leitch. D’altronde ai tempi non si costruiva in lande desolate ai bordi della città, bensì in quartieri popolosi e dove lo spazio era scarso, limitato. Al di là delle battute, è evidente che la conformazione urbana del quartiere ha condizionato lo sviluppo di Goodison Park, che più di tanto non può essere ampliato, prova ne sia che solo una tribuna, la Park Stand, è stata abbattuta e poi riedificata (ma era l’unica delle quattro a non essere opera del genio di Leitch). Le altre, per l’immenso piacere dei cultori delle arene del passato, sono state ammodernate e rese più funzionali alla bell’e meglio, ma conservano ancora la struttura del passato. Prendete per esempio la Bullens Stand, dove troviamo posto per il match contro il Sunderland. I seggiolini dove appoggiamo le nostre terga sono quelli in legno (pure parecchio consumato) che hanno ospitato generazioni e generazioni di supporter. Certo, la visuale è leggermente disturbata dalle colonne che sorreggono il piano superiore. Quello con il marchio distintivo di Leitch: la balconata adornata con una serie di decorazioni in acciaio a linee incrociate che richiamano i colori del club. Una “chicca” che non smettiamo di ammirare, come non riusciamo a distogliere lo sguardo dai tre piani della mastodontica Main Stand. Se si vuole respirare qualche alito d’aria del passato, bisogna assolutamente fare una capatina da queste parti.

E poi quella sulla Goodison è una sede storica, “attiva” già in epoca vittoriana. Per la precisione dal 1892, da quando per una disputa economica il club si spostò di qualche centinaia di metri dalla “sistemazione precedente”. Ovvero dall’Anfield Road, la prima casa dell’Everton, “lasciata” ai neonati cugini del Liverpool. In realtà in quell’anno i Reds si chiamavano Everton F.C. and Athletic Grounds e la loro fondazione si deve proprio al padrone dei terreni dove sorgeva l’impianto impiegato dai Blues, tale John Houlding. Un po’ come accadrà con il Chelsea una dozzina di anni dopo, per non dismettere uno stadio si mise insieme una squadra. La quasi omonimia – bella forza, erano entrambe originarie dello stesso quartiere! – e l’iniziale similitudine cromatica – il rosso “cittadino” fu scelto solo nel 1896 – crearono non pochi imbarazzi alla Football League, che infatti intimò ai nuovi arrivati di cambiare nome. Il resto è storia.

Quella dell’Everton è punteggiata da tanti momenti di gloria, da sole quattro stagioni passate nel limbo della Second Division, ma anche da un bel po’ di bocconi amari. I bocconi trangugiati a causa del già accennato dominio dei cugini. A livello domestico i Toffees si sono difesi benino, affermandosi in campionato già nel 1890-91, godendo di stagioni d’oro a cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra mondiale, rialzando la testa dopo qualche momento buio negli Anni Sessanta, per poi avere uno spettacolare revival a metà degli Ottanta. La meravigliosa quadra guidata da Howard Kendall nel 1985 si aggiudicò una fantastica doppietta campionato-Coppa delle Coppe, sfiorando di poco anche la FA Cup. Ma a causa dei tragici fatti dell’Heysel non poté competere nell’edizione successiva della Coppa dei Campioni.

Un rimpianto enorme, una ferita mai completamente guarita per tutto l’ambiente, che infatti si dice da allora porti ancora maggiore rancore ai rivali cittadini – che invece devono la loro fama mondiale proprio alle numerose coppe europee messe in bacheca. I vari Neville Southall, Kevin Ratcliffe, Trevor Steven e Grame Sharp riusciranno a bissare il titolo inglese nel 1987, ma il dovuto ricambio non ci fu, anche a causa della crisi che colpì in quel periodo il calcio d’oltre Manica e dei mancati introiti derivanti dalle competizioni continentali. Attualmente l’Everton è tra quelle grandi che raccolgono solo le briciole (poche) che cascano dal piatto delle Big Four. Per aumentare i guadagni si era pensato di affidarsi a uno stadio più grande, alle porte della città. L’impianto di Kirkby, è notizia di qualche mese fa, però non si farà. I suoi impatti sarebbero stati troppo gravosi sulla comunità locale, motivo per cui il governo lo ha rispedito al mittente. Tutte le polemiche che avevano fatto seguito alla decisione della dirigenza, sostenuta da una parte minoritaria della tifoseria, si sono sciolte come neve al sole. Meglio così, la prossima volta che capiteremo dalle parti di Goodison Road prima di una partita lo Spellow Pub sarà ancora pieno di tifosi storici che sostenevano il People’s Club già dai tempi di Ray Wilson, l’unico campione del mondo della storia dell’Everton. Parliamo, ovviamente, del 1966, e di quando al Goodison Park si giocarono ben cinque partite dei mondiali, compresa la semifinale Germania-Urss. Un motivo d’orgoglio per la città di Liverpool e un segno distintivo di cui non si può fregiare l’Anfield Road, rifattosi poi nell’Europeo del 1996. Volete mettere con il fascino dei mitici Sixties?

martedì 14 settembre 2010

Il Punto sulla Premier – Solo l’Arsenal tiene il passo del Chelsea

Il ritorno della Premier dopo la pausa per gli impegni della nazionale, finalmente vincente, ha confermato lo strapotere del Chelsea e le difficoltà delle altre big, Arsenal escluso. Agevolati da un calendario sicuramente facile, al momento i Blues appaiono una macchina perfetta, prolifica in attacco e molto ermetica in difesa. E poi gli immancabili scandali sessuali che ormai investono in maniera ciclica il calcio inglese questa volta non hanno investito i londinesi, bensì il Manchester United, tanto che Alex Ferguson ha preferito evitare al fedifrago Wayne Rooney le forche caudine del Goodison Park.

Cos’è successo – Il derby del Boleyn Ground dura solo un quarto d’ora, poi prima Michael Essien e poi la solita papera di Robert Green spianano la strada a un Chelsea bello e concreto. Vince anche a dispetto delle assenze l’Arsenal. Il neo acquisto Laurent Koscielny trova il suo primo gol in maglia biancorossa ma regala il pareggio al Bolton, “massacrato” poi nel secondo tempo. Maluccio le due compagini di Manchester. Lo United butta alle ortiche un doppio vantaggio nei secondi finali della gara contro un Everton indomito, il City arranca in casa contro un Blackburn agevolato dalla topica di Joe Hart e Kolo Touré. Certo, se le castagne dal fuoco a Roberto Mancini le deve levare Patrick Vieira, c’è poco da essere ottimisti dalle parti di Eastlands. Un’altra squadra che fa tanta fatica è il Liverpool, che a Birmingham è stata più vicina alla sconfitta che alla vittoria. Le polemiche innestate dall’ex Reds Jamie Redknapp sul presunto scarso impegno del Nino Torres non aiutano certo un ambiente già depresso dall’attuale situazione societaria.

Il Top – Se adesso si mette a segnare anche le doppiette, per di più di testa, finisce che non ce n’è più veramente per nessuno. Essien sembra aver finalmente riposto nel dimenticatoio tutti i guai e i malanni della scorsa annata ed è tornato a guidare il centrocampo dei Blues con la consueta classe e grinta.

Il Flop – Dopo il 6-0 inflitto all’Aston Villa, la Toon Army si era illusa che questa potesse essere la stagione della definitiva resurrezione del Newcastle anche in Premier. Il doppio schiaffo interno rimediato dall’altra neo-promossa Blackpool sembra ridimensionare, e anche di molto, le ambizioni dei Magpies, che forse invece dell’Europa farebbero bene a guardarsi con molta attenzione alle spalle.

La Sorpresa – Moussa Dembelé. Già in rete in Coppa di Lega, il ventitreenne attaccante belga ha rotto il ghiaccio anche in Premier. La sua doppietta contro il Wolverhampton ha fruttato i tre punti al Fulham, ora sesto in classifica. Buon per i Cottagers che il suo ambientamento in Inghilterra – Dembelé è arrivato in estate dall’AZ Alkmaar – procede benissimo, visto che proprio nel match con i Wolves il neonazionale Bobby Zamora si è rotto una gamba dopo un brutto contrasto con Karl Henry e resterà fuori per circa quattro mesi.

Toh chi si rivede – Mikel Arteta, un po’ come Essien, ha passato mesi da incubo a causa di un brutto infortunio. Dopo qualche apparizione alla fine dello scorso campionato, è stato l’oggetto del desiderio di molti club importanti durante il mercato estivo e a un passo dal vestire i colori della nazionale inglese – che però per questioni burocratiche rimarrà solo un sogno. Il gol del pareggio nel big match contro il Manchester United può rappresentare un punto di svolta per l’Everton, che fin qui ha giocato bene ma raccolto pochissimo.

La Chicca – La parata di Pepe Reina sul colpo di testa di Cameron Jerome a metà primo tempo di Birmingham-Liverpool. Un intervento prodigioso, a mano aperta, su un’incornata perfetta dell’attaccante dei Brummies. Grazie anche ad almeno altri tre interventi decisivi, l’estremo difensore dei Reds ha in parte cancellato i recenti brutti ricordi delle papere contro l’Arsenal e in nazionale contro l’Argentina.

Scritto per Goal.com

lunedì 13 settembre 2010

Stati pieni, ma non esauriti

Venerdì scorso ho notato che sul sito del West Ham c’erano ancora disponibili dei biglietti per il derby con il Chelsea del giorno dopo. Certo, non tantissimi, ma c’erano. Gli Irons staranno pur passando un momento a dir poco negativo, ma le motivazioni di questa storia del mancato tutto esaurito va ricercata altrove. Prezzi molto alti (dai 40 euro in su) e crisi che in Inghilterra si fa sentire, eccome. A Newcastle la prima di campionato c’erano 43mila spettatori a salutare il ritorno dei Magpies in Premier. Anche lì niente sold out (il St James’ Park ne tiene 52mila). Tuttavia fare paragoni con altri Paesi, e altre situazioni, mi sembrerebbe comunque ingeneroso…

giovedì 9 settembre 2010

I mille problemi dell'Aston Villa

“Noi siamo il vostro incubo”. Così recitava un immenso striscione dei tifosi del Rapid Vienna accorsi al Villa Park per il preliminare di Europa League dello scorso fine agosto. Frase quanto mai azzeccata, se è vero che per il secondo anno consecutivo il team di Birmingham non è riuscito a spuntare l’accesso ai gironi di qualificazione della seconda competizione europea proprio a causa della fiera opposizione dei viennesi. Uscire dall’Europa due anni consecutivi contro una squadra austriaca – un calcio tra i più malridotti del Vecchio Continente – non è esattamente il massimo, anzi. Ma se quanto occorso l’anno passato poteva sembrare un brutto incidente di percorso, il rovescio interno e l’inattesa eliminazione di qualche giorno fa è la fotografia di un ambiente sull’orlo di una crisi di nervi.

Paradossalmente i Villans sono messi in maniera discreta in campionato – occupano la quarta piazza – però anche su quel fronte sono reduci da una batosta inenarrabile, lo 0-6 al St James’ Park di Newcastle. Le partenze di James Milner e Martin O’Neill, legate a doppia mandata tra di loro, sono alla base di questo balbettante inizio di stagione. Al loro posto sono arrivati uno dei reietti di Roberto Mancini – Stephen Ireland – e il manager “a tempo” Kevin MacDonald, appena sostituito da Gerard Houllier. Il tecnico francese torna a sedere in panchina dopo tre anni di assenza. In Inghilterra Houllier ha già allenato il Liverpool, con alterne fortune. Tutti ricordano il suo anno magico, il 2001, quando i Reds portarono ad Anfield ben cinque trofei, ma anche il suo gioco non sempre brillante e ben poco redditizio in campionato, visto che in Premier il suo Liverpool non ha quasi mai combattuto per il titolo. Ma sempre nel 2001, per la precisione a ottobre, ebbe un malore durante la partita contro il Leeds che lo costrinse a una complessa operazione alla aorta e a un lungo periodo di riposo. A 63 anni Houllier ha forse l’ultima occasione di guidare una squadra di buon livello, ma si dovrà accontentare di una rosa che può al massimo ambire a un posto nella solita Europa League. Il presidente Randy Lerner, il milionario americano che ha messo fine agli oltre 30 anni di regno del mai troppo amato Doug Ellis, l’ha dichiarato senza mezzi termini, il Villa si può solo autofinanziare, per cui i tanto attesi – da O’Neill e dalla maggior parte dei tifosi – acquisti per il famigerato salto di qualità rimarranno per molto tempo una chimera.

È quindi un miracolo che siano rimasti a Birmingham – ma chissà per quanto ancora – le giovani stelle Ashley Young e Gabriel Agbonlahor. Con tutto il rispetto per Ireland, l’assenza di un giocatore molto tecnico e in grado di coprire vari ruoli come Milner si sta facendo già sentire tantissimo. I cross per gli arieti John Carew e Emile Heskey, c’è da scommetterci, diminuiranno in maniera esponenziale. A proposito dell’ex pupillo di Fabio Capello, in Inghilterra quotano a 11/10 la possibilità che segni non più di tre reti nell’intera campagna 2010-11. Un dato eloquente…E che sia bollito lo testimoniano le scarse presenze collezionate lo scorso anno. Più che a recuperare Heskey, la nuova gestione dovrà provare a far crescere le promesse Ciaran Clark e Marc Albrighton, rimaste scottate dai recenti risultati shock. Se già Houllier riuscisse a ridare fiducia alle nuove leve e mantenere il rendimento difensivo dei vari Richard Dunne e James Collins alto come lo scorso anno (quarta miglior difesa del campionato) ci sarebbe già da stare allegri. La “piazza” però è sul piede di guerra, tanto che circola voce che buona parte dei supporter non abbia preso bene l’arrivo del nuovo manager. Il direttore generale Charles Krulak difende la scelta del club e chiede alla tifoseria di dare all’ex allenatore del Lione “il rispetto che merita”. L’unica valvola di sfogo di una stagione che si preannuncia molto dura potrebbero essere le coppe nazionali, competizioni in cui il Villa ha brillato nel 2009-10. Un’ancora di salvezza che, visti i precedenti quando stava nella Merseyside, Houllier sta sicuramente già prendendo in considerazione.

Scritto per Calcio3000.com

martedì 7 settembre 2010

Riecco il Wimbledon

Non saranno forti e pazzerelli come la Crazy Gang che a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta fece tanto parlare di sé – sia nel bene che nel male – ma il “nuovo” Wimbledon appare sempre più determinato a scalare l’impervia piramide del calcio inglese. Capolista in quinta serie, continuando di questo passo potrebbe tornare a essere una delle 92 squadre professionistiche che compongono i quattro livelli del Beautiful Game. Certo, tra le sue file non c’è più gente del calibro di Dennis Wise, reduce da non brillanti prestazioni in qualità di manager e dirigente, la “personcina” John Fashanu, che ha abbandonato da tempo il mondo del calcio, Vinny Jones (quello della “strizzatina” a Gazza Gascoigne) ora attore a tempo pieno e pure con un discreto successo, mentre il portierone Dave Beasant è una delle punte di diamante della Glenn Hoddle Academy.

Nel frattempo i tifosi di quel mitico Wimbledon, capace di vincere la FA Cup nel 1988 battendo in finale niente meno che il grande Liverpool di Ian Rush, se la sono dovuta vedere con il peggio di quello che in Inghilterra chiamano corporate football, che purtroppo ha finito per stravolgere alcuni dei valori fondanti del vero football.

Uno di questi è il rispetto della comunità alla quale il club calcistico appartiene. Se a quella comunità del Sud di Londra, vicino al più famoso club di tennis del pianeta, prima levi lo stadio – ok, il vetusto Plough Lane era inadeguato – poi ti fai ospitare da dei vicini i cui supporter ti vedono come il fumo negli occhi (il Crystal Palace), quindi parli di muovere baracca e burattini in Irlanda e per finire trascini la franchigia – pardon, il club – 80 miglia più a nord, beh, sarebbe da matti credere che la stessa comunità accolga la cosa con un fragoroso applauso. Anzi, per dirla tutta dalle parti di Londra Sud si sono proprio alterati, e anche tanto!

Fin troppo tardivo è apparso allora l’atto di contrizione delle autorità federali, che dopo aver dato l’avallo allo spostamento del Wimbledon a Milton Keynes e il cambiamento di nome in MK Dons, aveva promesso che una simile evenienza non si sarebbe più verificata. Per intenderci, niente più mosse stile Nba o Nfl, dove i presidenti possono spostare la squadra altrove, qualora la piazza sia più interessata (e “munifica”) nei confronti del basket piuttosto che del football americano.

Ça va sans dir che alla fine proprio i tifosi di lunga data del Wimbledon, coloro che vivendo a Londra sud affollavano le gradinate del vetusto Plough Lane, poi abbandonato nel 1991, il trasferimento del loro club non l’hanno proprio mandato giù. Per questo si sono decisi a fondare un club tutto loro, rinominato, ovviamente, AFC Wimbledon. Meglio partire dai bassifondi delle leghe dilettantistiche, che doversi piegare all’umiliazione di sostenere una squadra sradicata dal suo luogo d’origine e per giunta con un nome diverso, hanno pensato.

Il motore di tutta l’iniziativa è stato un trust, per la precisione il Dons Trust. L’AFC Wimbledon fin dai suoi primissimi giorni di vita ha riscosso un notevole successo. Per la sua prima partita di sempre, l’amichevole contro il Sutton United il 10 luglio 2003, erano presenti ben 4.500 supporter (la media casalinga di spettatori si è poi stabilizzata sulle 3.000 unità). Sono subito arrivate due promozioni consecutive, alle quali ha fatto seguito un periodo di assestamento, un'altra promozione e poi la prima stagione di ambientamento nei semi-professionisti della Nationwide Conference, campionato che ora guidano in solitario dopo le prime sette giornate.

Intanto gli “usurpatori” del MK Dons si sono fatti uno stadio ultra-moderno addirittura candidato tra i papabili per Inghilterra 2018, hanno sfiorato una clamorosa promozione in Championship sotto la direzione dell’allora manager Roberto Di Matteo, e hanno restituito le coppe del vecchio Wimbledon alla dirigenza del nuovo. Il titolo sportivo, beh, quello no, è rimasto nella new town di Milton Keynes (la città è stata fondata solo nel 1967). Il desiderio di tanti tifosi, non solo dell’AFC Wimbledon, è vedere presto una sorta di derby tra i Dons “finti” e quelli “veri”. Un sogno che a breve potrebbe avverarsi.

Scritto per www.calcio3000.it

lunedì 6 settembre 2010

Quote

Il luogo comune vuole che in Inghilterra si scommetta un po' su tutto. Come sappiamo, nella realtà affermare una cosa del genere non è proprio un'eresia. Prendiamo per esempio la materia calcistica. Se i manager più gettonati per il licenziamento sono Chris Hughton e Roberto Mancini, il club con la quota più bassa (quattro a uno) per un'eventuale multa ai suoi giocatori a causa di un cinguettio su Twitter è il Tottenham. La possibilità che qualche esponente di Wolves, Blackpool, WBA, Bolton o Blackburn ricevesse le attenzioni dei tabloid per qualche storiella piccante era invece data trentatrè a uno. Il Chelsea era tre a uno e il Manchester United sei a uno. Qualcuno ha scommesso sui Red Devils?

venerdì 3 settembre 2010

Un rapido commento al mercato della Premier

Doveva essere il mercato di Fernando Torres, di Zlatan Ibrahimovic e Cesc Fabregas, alla fine è stato quello di Mario Balotelli e Rafael Van der Vaart. Ma il dato di fatto incontrovertibile è che, Manchester City a parte, non si è assistito alla girandola di operazione a cui soprattutto le grandi ci avevano abituati negli anni passati. Colpa dei tanti debiti che gravano sulle superpotenze della Premier, delle nuove regole nazionali e internazionali già in vigore o di prossima applicazione (le norme stabilite dall’Uefa entreranno in vigore nel 2012) e, chissà, di un ritrovato senso della misura che certo non guasta, specialmente in tempi di crisi come quelli che stiamo attraversando.

Certo, i Light Blues di Eastlands fanno discorso a sé. Un po’ come Roman Abramovich, lo sceicco Al Mansour ha comprato il City per una questione di visibilità e, forse, per la passione che nutre per il calcio, non per fare una speculazione e assicurarsi liquidità come i Glazer o il duo Gillett & Hicks. Spendere quasi 200 milioni di euro per uno che ha un patrimonio familiare come il suo (parliamo di trilioni di dollari) è un gioco da ragazzi, e con il fair play finanziario che incombe è meglio comprare tutto il possibile finché si può (tanto che c’era più di un’idea di portare Ibrahimovic nel Lancashire). I vari Balotelli, Milner, Touré, Silva, Boateng e Kolarov sono una bella iniezione di forze fresche in una rosa che però continua a essere troppo affollata. Le partenze non sono state molte (Bellamy e Robinho, che comunque erano già ai margini della prima squadra) e gli scontenti ancora parecchi (Given e Adebayor in primis). Le prime difficoltà in campionato potrebbero contribuire a rendere lo spogliatoio una polveriera. I Citizens devono subito risollevarsi dallo scivolone di Sunderland, altrimenti sono dolori.

Manchester United e Chelsea hanno comprato poco, con la differenza che i Blues non sono riusciti a mettere la mani su Silva, Neymar e Torres. Un flop inatteso, per chi aveva fatto la bocca a condurre in porto con facilità tutte le operazioni di mercato. Il nazionale brasiliano Ramires rinforza e dona fantasia a un centrocampo dove l’addio di Ballack non ha lasciato grandi rimpianti. Forse la difesa, persi Belletti e Carvalho, andava puntellata, ma tant’è, Carlo Ancelotti appare soddisfatto con l’esistente – e non sapremmo come dargli torto. All’Old Trafford Ferguson si ritrova una certa abbondanza in attacco con i nuovi arrivi Hernandez e Bebé. Curiosa la storia del portoghese, pare che il tecnico scozzese non l’abbia praticamente mai visto giocare, ma si sia fidato ciecamente dei consigli del suo amicone ed ex vice Carlo Queiroz. Costato poco più di 8 milioni di euro, la stella dei mondiali dei senza tetto si poteva comprare lo scorso gennaio a poco più di 100mila euro. Stranezze del mercato!

Arsene Wenger ha rimpolpato la colonia francese dell’Arsenal (toh, che novità!) prelevando un centravanti puro (Chamakh, per la precisione un franco-marocchino) che da anni mancava all’attacco dei Gunners e sostituendo i partenti Silvestre e Gallas con Squillaci e Koscielny. Il grande colpo in realtà è stata la permanenza (chissà ancora per quanto, però) di Cesc Fabregas. Everton e Aston Villa sono state bloccate dalle rispettive ristrettezze economiche, che continuano a minare il loro definitivo salto di qualità. Una situazione non più sostenibile, almeno dal punto di vista del transfuga Martin O’Neill.

Interessanti invece i numerosi movimenti del Liverpool. Roy Hodgson sta provando a dare un’impronta più british alla squadra, reduce dalla fastidiosa querelle Mascherano. Oltre a Cole e Konchesky, sono nati nel Regno Unito anche Shelvey e Wilson, due prospetti di sicuro interesse, specialmente il primo che ha ben impressionato al Charlton. Peccato che mister Roy non abbia voluto dare una seconda chance ad Aquilani, molto rimpianto dai tifosi dei Reds.

Uno dei migliori acquisti del mercato inglese lo ha centrato il Tottenham. Van der Vaart è un ottimo giocatore, costato relativamente poco (9,5 milioni di euro). E poi gli ultimi olandesi svenduti dal Real (Snejder e Robben) sappiamo tutti come si sono comportati altrove.

Il resto del lotto si è barcamenato tra prestiti e parametri zero (le soluzioni predilette dal neo-promosso Blackpool) con l’unica eccezione del Sunderland. I Black Cats hanno stabilito il loro record di tutti i tempi per assicurarsi i servigi del ghanese Asamoah Gyan, una delle rivelazioni degli ultimi Mondiali. Potrebbe essere lui uno dei veri colpi di un mercato poco scoppiettante. Occhio anche al belga ex AZ Alkmaar Dembelé, un centravanti tutto tecnica e corsa per i londinesi del Fulham.

Scritto per Goal.com