martedì 29 aprile 2008

Giochi riaperti?

Pubblicato oggi su Goal.com

Una stagione travagliata, resa difficile da un contestato cambio di allenatore – e che allenatore! – tanti infortuni, qualche tensione di troppo nello spogliatoio e un rendimento a tratti insoddisfacente. Ma il grande orgoglio e la forza del Chelsea e dei suoi campioni alla fine sta venendo fuori con prepotenza. Il carneade israeliano Avram Grant è stato subito bollato come perdente – capitombolo in FA Cup contro il piccolo Barnsley e finale di Carling Cup persa contro gli Spurs – ma a breve c’è il rischio che in tanti dovranno rivedere le loro posizioni, visto che i Blues sono a un passo dalla prima finale di Champions League della loro storia e da un’incredibile rimonta in campionato.

Già, la Premier. Un paio di settimane fa sembrava cosa fatta per il Manchester United, che invece ora si ritrova a pari punti con il club dello Stamford Bridge – secondo però in base ad una schiacciante differenza reti in favore dei Red Devils. Nello scontro diretto disputato in casa il Chelsea surclassa uno United molto rinunciatario, almeno nel primo tempo. Nel match della rinascita definitiva di Michael Ballack – autore di una doppietta e... di un clamoroso litigio con Drogba – è tutta la formazione londinese a sciorinare bel gioco e tanta determinazione. Pur privi di Lampard – assente per la prematura scomparsa della madre – i Blues dominano a centrocampo i loro avversari, che salgono un po’ di rendimento solo dopo il pareggio di Rooney al principio della seconda frazione.

L’aver lasciato Evra e Scholes in tribuna e Ronaldo e Tevez in panchina la dice lunga su quanto Sir Alex pensasse già alla sfida con il Barcellona – e infatti aveva trovato il tempo di criticare la decisione della Premier di mettere in calendario la partita con il Chelsea in mezzo alle due semifinali di Champions. Però a questo punto il timore di buttare alle ortiche quanto di buono prodotto anche in campionato inizia a serpeggiare. Il calendario direbbe United (West Ham in casa e Wigan in trasferta, due squadre non trascendentali e forse appagate), però il calcio, si sa, non è una scienza esatta...

L’Arsenal, nonostante la facile vittoria griffata Adebayor nel Monday Night contro il povero Derby, abbandona ogni residua ambizione di secondo posto.

E’ matematicamente in Champions League il Liverpool, bravo a recuperare un deficit di due reti sul campo del pericolante Birmingham. A proposito dei Brummies, dopo la scoppola subita nel derby con il Villa, il fantasma della retrocessione aleggia al St Andrew’s.

Una delle partite più belle della terzultima giornata è stata quella del Goodison Park. Il pari rimediato in extremis dall’Aston Villa – con il solito Carew, forse troppo sottovalutato in Italia – non fa dormire sonni tranquilli all’Everton, che mantiene però tre punti di vantaggio nella corsa per un posto in Coppa Uefa.

Tornando a parlare di squadre pericolanti, ottima prestazione del Fulham che prima domina il City, poi subisce due gol, quindi nel secondo tempo si affida a Kamara che con una doppietta – il secondo gol in pieno recupero – tiene accesa la fiammella della speranza dei Cottagers, attesi ora dallo scontro diretto in casa con il Birmingham.

L’altra maggiore indiziata per il capitombolo in Championship, il Reading, strappa un prezioso 0-0 a Wigan, in un confronto dominato dalla paura di perdere e da fasi di gioco da dimenticare. I Latics, però, vedono il traguardo della permanenza in Premier.

Chiusura dedicata a Roy Keane e al suo Sunderland, ormai salvo e capace di strappare il derby con il Middlesbrough negli istanti finali. Che sia proprio Keano il successore di Sir Alex?

mercoledì 23 aprile 2008

Due chiacchiere con Massimo Marianella

L'intervista e i boxini sono usciti sul numero di Calcio 2000 di questo mese. Scambiare due parole con Massimo Marianella è stato ovviamente un piacere, in particolare perché ho potuto constatare di persona la profonda vena nostalgica del famoso giornalista di Sky.

Quando Wenger ha acconsentito alla cessione di Henry, e più di recente ha rifiutato il ricco budget per la campagna acquisti messogli a disposizioni dai magnati proprietari, qualcuno gli ha dato del pazzo, tutti, nessuno escluso hanno scritto “The End” sui propositi di successo del club londinese. Oggi che i Gunners dominano Premiership e Champions League, in molti cercano di salire sul carro: ora il modello Arsenal trova ammiratori ovunque, anche tra i dirigenti dei nostri club più prestigiosi. Ma noi non ci accontentiamo dei manifesti programmatici e per andare a fondo e comprendere appieno cosa ci sia dietro ai successi di Wenger e dei suoi ragazzi, ci facciamo aiutare da uno che di Gunners sa tutto, ma proprio tutto. Uno di quelli che sulla vittoria dei “suoi” ragazzi a Milano, avrebbe scommesso ad occhi chiusi…

Massimo Marianella, professione telecronista sportivo, nel tempo libero tifoso dell’Arsenal. Questo potrebbe tranquillamente essere l’attacco del profilo di Wikipedia di una delle voci più conosciute del panorama televisivo sportivo, ma la definizione potrebbe essere altrettanto serenamente ribaltata. Perché, alla fine, si tratta di due passioni, entrambe vissute al limite della maniacalità. Intendiamoci, si tratta di un complimento, che non cela un tocco di sana invidia. La vittoria dell’Arsenal a Milano ha scatenato, nei migliori dei casi, la corsa all’imitazione. Se, invece, si vuol essere un po’ più maligni, si tratta di semplice e bieca strumentalizzazione: ora tutti vogliono emulare il vincente e ormai famoso “Modello Arsenal”, senza probabilmente neanche sapere cosa sia. Cos’è, dunque, questo fantomatico “Modello Arsenal”? Come nasce? Di chi è il merito? Sarebbe replicabile nel nostro paese? Tutte domande alle quali, probabilmente, nessun dirigente di calcio nostrano, neanche quelli che di recente lo hanno preso ad esempio, saprebbe rispondere. Ci pensiamo noi a dare qualche dritta a “Lor Signori”, e lo facciamo con il prezioso aiuto di Massimo Marianella, telecronista di SKY e tifosissimo dei Gunners.

Nasce prima la passione per l’Arsenal o quella per il calcio inglese?
“Difficile dirlo. Forse per i Gunners. Quando da piccolo andai per la prima volta a Londra insieme ai miei genitori rimasi colpito da nugoli di tifosi con le sciarpe bianco-rosse che avevano invaso pacificamente la metropolitana e da allora non ho smesso di tifare per il club di Londra Nord. Ricordo ancora la prima partita dell’Arsenal vista in tv: la finale di Coppa d’Inghilterra del 1978, purtroppo persa per 1-0 con l’Ipswich Town di Bobby Robson”.

La tua prima partita dal vivo?
“Un derby con il Tottenham, vinto per 3-2. Stiamo parlando della stagione 1982-83, ma non potrò mai dimenticare le sensazioni provate durante quei novanta minuti vissuti in piedi nella North Bank, la culla del tifo dell’Arsenal. Novanta minuti fatti di cori, battimani e tantissima passione”.

Parlaci un po’ dei ricordi più belli che l’Arsenal ti ha regalato in questi anni.
“”Forse ancor più dell’ormai mitico match vinto ad Anfield Road il 26 maggio 1989, reso celebre anche dalle pagine di Febbre a 90° di Nick Hornby e che riportò il titolo di campioni d’Inghilterra a Londra Nord dopo un’astinenza durata 18 anni, la partita che rammento con più piacere è la finale di FA Cup del 1979 contro il Manchester United. Quello è uno degli incontri che ha fatto la storia del calcio inglese, non solo dell’Arsenal. A dieci minuti dalla fine i Gunners vincono 2-0, ma Mc Queen e Mc Ilroy trovano i due gol che danno il pareggio allo United. Quando tutti già pregustano i supplementari, visto che manca un minuto al fischio finale, l’Arsenal si riversa sotto la porta di Bailey. Su un cross di Rix dalla fascia sinistra il portiere dei Red Devils sbaglia l’uscita e Sunderland insacca in spaccata a porta vuota. Memorabile!”.

Passiamo alle dolenti note…
“I ricordi più tristi sono legati ad alcune dolorose sconfitte patite in Europa. Il primo è senza dubbio l’insuccesso in finale di Coppa delle Coppe nel 1980 contro il Valencia. Ero convinto che avremmo vinto, venivamo dalla grande affermazione a Torino in semifinale contro la Juventus, invece la partita andò male. Si giocava nel poi tristemente noto Heysel. L’Arsenal non riuscì a imporre il suo gioco, chiudendo i tempi regolamentari ed i supplementari sullo 0-0. Ai rigori la coppa prese la via della Spagna. Due anni fa sempre una squadra iberica, il Barcellona, ha mandato all’aria il sogno della Champions League. Anche in quel caso mi ero illuso che potessimo farcela. Vincevamo 1-0 fino ad un quarto d’ora dalla fine e stavamo resistendo nonostante fossimo in dieci. Poi Eto’o e Belletti ci hanno negato la possibilità di alzare al cielo di Parigi la coppa con le orecchie...”.

Il giocatore preferito di sempre?
“Il mio idolo, e quello di tanti tifosi dell’Arsenal, è Charlie Nicholas, un attaccante genio e sregolatezza prelevato dal Celtic nel 1983. Arrivò a Highbury come una sorta di nuovo messia, tuttavia non tenne fede alle promesse. Negli anni Ottanta i Gunners ebbero tante stagioni negative, però a volte ai tifosi bastava anche una sola giocata spettacolare di Nicholas per poter tornare a casa felici, a prescindere da quale fosse il risultato finale del match. In realtà a posteriori possiamo dire che tanto era l’affetto per lo scozzese, che i fan bianco-rossi hanno dato a Nicholas più di quanto abbiano ricevuto in cambio. Poi sono molto legato a campioni del calibro di Frank Stepleton, il centravanti di mille battaglie tra il 1974 ed il 1981, Alan Sunderland e ovviamente Liam Brady, il faro del centrocampo prima del suo passaggio alla Juventus ad inizio anni Ottanta. Di recente il mio preferito è stato Thierry Henry. Come fai a non amare un campione come lui, uno con la sua tecnica?”.

Torniamo al presente: qual è la tua opinione sulla gestione Wenger, che in 11 anni ha prodotto tanto, a partire dalle tre vittorie in campionato?
“Io forse sono stato l’ultimo degli scettici ad essersi ricreduto su Wenger. Ma ora penso che sia veramente un grandissimo. Come si fa a criticarlo? E’ impossibile. E’ riuscito ad assemblare una squadra vincente e che gioca un calcio splendido puntando sui giovani. Ogni sua cessione – pensiamo a Seaman, Overmars,Vieira, Henry – è stata fatta in maniera oculata, senza lasciare alcuno spazio al romanticismo ma pensando al bene del team. Visto il rendimento fornito altrove da gente come Vieira o Henry, Wenger ci ha azzeccato in pieno. E poi quale allenatore avrebbe rinunciato a un budget di 70 milioni di sterline per rafforzare la squadra come ha fatto lui di recente sostenendo che non ce n’era bisogno, che i giocatori che aveva lo soddisfacevano in pieno? Una cosa che in Italia non potrebbe mai succedere...”.

Pensi che il cosiddetto “modello Arsenal”, di cui in tanti parlano forse a sproposito, sia replicabile in Italia?
“Da noi in pochi hanno deciso di puntare così tanto sui giovani – fanno eccezione l’Udinese ed in parte la Roma – mentre la filosofia dei Gunners è essenzialmente quella: grande cura del vivaio, con innesti continui di nuove leve che esordiscono molto presto in prima squadra”.

L’Arsenal di giocatori inglesi ne schiera pochini, fatta eccezione per Hoyte e Walcott, che sono due riserve, per il resto sono tutti stranieri...
“E’ vero, fa un po’ effetto ai tifosi di lunga data come il sottoscritto. Negli anni ottanta o ancora ad inizio anni novanta al massimo ci poteva essere un giocatore irlandese – Brady – ora ci sono francesi, spagnoli ma anche togolesi o ivoriani. E’ un po’ il segno dei tempi, del calcio globalizzato. Però secondo me rimane l’importanza di puntare sui giovani. Conviene ‘importarli’ da altri Paesi. Gli inglesi costano troppo anche se non sono campioni affermati...”.

Secondo alcuni commentatori Wenger ha un atteggiamento quasi ideologico contro i calciatori inglesi. Sei d’accordo?
“No, credo proprio di no. Forse fra quelli usciti dalle nostre giovanili l’unico che poteva rimanere era Matthew Upson, ora al West Ham. Un difensore di buone qualità, migliore dei vari Cygan e Senderos che però è stato fortemente penalizzato dagli infortuni. Non penso che lasciare andare Bentlery al Blackburn sia stato un errore così grave, al posto suo gioca gente ancora più forte”.

In molti segnalano l’Emirates Stadium tra i segreti del successo di questo Arsenal, ma è anche vero che l’atmosfera al vecchio Highbury era tutt’altra cosa rispetto a quella del nuovo impianto sorto ad Ashburton Grove…
“Sono d’accordo. Per me l’Emirates Stadium è stato uno ‘splendido errore’. Per carità, è uno stadio perfetto, ma tra ascensori, televisori al plasma ad ogni angolo, ristoranti ed altre amenità varie a volte ci si dimentica che poi dagli spalti si può anche assistere ad una partita di calcio. L’ambiente di Highbury era tutt’altra cosa. Sapevi che dalla North Bank sarebbero partiti i cori di incitamento per tutta la partita, la vicinanza con il campo da gioco era incredibile. Il nuovo stadio a livello di tifo è dispersivo, manca ancora della necessaria personalità. E, poi, rispetto alle stagioni buie degli anni ottanta, i supporter bianco-rossi si sono talmente abituati alle vittorie, che le danno quasi per scontate, così il loro sostegno ha perso un pizzico di intensità”.

Facendo due chiacchiere con numerosi supporter dell’Arsenal a Londra ho avuto l’impressione che il trasferimento alla fine sia stato accettato, in nome della maggiore comodità e soprattutto di maggiori introiti.
“Tutto vero, però io rimango nella categoria dei nostalgici. Sotto sotto tutti i fan dell’Arsenal sanno che il fantasma di Highbury continuerà ad aleggiare ancora un bel po’ anche all’Emirates. Gli stadi vecchi sono legati a mille ricordi. I nuovi necessitano di un sub-strato di storia – e anche di qualche vittoria – per poter eguagliare il fascino dei loro predecessori. No, io mi piango ancora Highbury e continuerò a farlo ancora per parecchio tempo”.

L’Arsenal è l’unica delle quattro grandi a non avere una proprietà interamente straniera. Però l’oligarca russo Alisher Usmanov sta facendo di tutto per acquisire la maggioranza delle azioni...
“La possibilità che Usmanov riesca nel suo intento c’è ed è concreta. Gli altri azionisti hanno stabilito un patto che li vincola a non cedere le loro quote, però non so quanto potranno riuscire a resistere all’insistenza del magnate russo, che già detiene il 24% delle azioni. Dobbiamo farcene una ragione, così va il calcio ai tempi della globalizzazione!”.

La recente sconfitta per 4-0 al cospetto del Manchester United, ha portato in tanti a credere una cosa inconcepibile fino a qualche tempo fa, e cioè che a Wenger la mitica FA Cup non interessi per niente. E’ così?
“Wenger ha capito appieno il significato del calcio inglese, ama i suoi valori e la sua tradizione e non ha nessuna intenzione di sminuire la Coppa d’Inghilterra. Però avendo vinto quel trofeo ben 4 volte – l’ultima ai rigori contro il Manchester United nel 2005 – ha definito una serie di priorità ed una di queste è l’Europa. Nella sua personale bacheca e in quella del club manca un trionfo in Champions League, però non credo che l’Arsenal quest’anno sia andato all’Old Trafford per il quinto turno di FA Cup con l’intenzione di perdere la partita. Si è semplicemente trovato di fronte un Manchester United in grandissima vena, che ha disputato una partita meravigliosa. In quei casi bisogna solo accettare la sconfitta ed applaudire l’avversario, nello spirito del calcio inglese”.

Chiudiamo con una battuta al volo sull’impresa di San Siro. Te l’aspettavi? A questo punto l’Arsenal può davvero puntare alla Champions League?
“Sì, adesso posso dirlo, non avevo nessun dubbio che avremmo battuto il Milan, anzi credevo avremmo vinto anche all’andata. Il ritorno purtroppo non l’ho visto perché ero a Madrid per preparare la partita della Roma, anche se sarei potuto partire il giorno stesso della partita e andare a San Siro, ma non c’è nulla che mi faccia derogare alla professionalità. Vincere la Champions ? Qualche probabilità credo ce l’abbia, ma sono convinto che sia francamente molto difficile. Sono rimaste tante squadre forti e non sarà facile”.

Sarà tifoso dell’Arsenal, avrà anche metabolizzato lo stile di vita inglese, ma la tipica superstizione all’italiana resta nel suo DNA…

Perché Gunners?
L’Arsenal nasce nel 1886 nel Sud di Londra, nei pressi dell’arsenale reale, da qui il suo nome, il simbolo e il titolo “Gunners” (tradotto in italiano suonerebbe più o meno come “Cannonieri”, ndr) affibbiato a squadra e tifosi. Prima di quella attuale cambia denominazione tre volte: Dial Square, Royal Arsenal e Woolwich Arsenal (fino al 1914). Nel 1913 arriva il trasferimento a Londra Nord, con il primo match giocato nel nuovo stadio di Highbury. Lo spostamento viene preso malissimo dai futuri acerrimi rivali del Tottenham, che accetteranno ancora con meno favore il dover far posto all’Arsenal nel primo campionato post-prima guerra mondiale nell’allora First Division a seguito di una contestata decisione della lega – “influenzata” dalle pressioni del presidente dei Gunners, Henry Norris. L’età dell’oro arriva negli anni Trenta, grazie all’allenatore Herbert Chapman. Il suo team vince cinque campionati consecutivi e due FA Cup. Chapman fa cambiare il nome della fermata della metro da Gillespie Road ad Arsenal e introduce le mitiche magliette con le maniche bianche (1934). Prima dei successi di George Graham a cavallo tra anni ottanta e novanta e quelli di Wenger negli ultimi anni, l’Arsenal raggiunse il suo primo double nel 1971. L’allenatore era Bertie Mee, l’ex fisioterapista della squadra!

Giovani e giovanissimi
Luke Freeman e Jay Simpson. Potrebbero essere loro i nuovi giovani leoni dell’Arsenal nello spazio di poche stagioni. Tanto si è detto e scritto dei vari nomi emergenti come Walcott, Bendtner e Denilson, ma alle loro spalle c’è già chi scalpita per entrare in prima squadra. Freeman è stato prelevato a gennaio dal Gillingham, compagine di League One (Serie C). Ha soli 16 anni e con il suo ex club ha disputato una manciata di partite, ma le sue doti di attaccante hanno già impressionato Wenger, tanto da convincere il tecnico alsaziano a metterlo sotto contratto. Nella partita con il Barnet dello scorso 10 novembre ha stabilito il record di più giovane esordiente in un incontro di FA Cup – all’epoca era ancora quindicenne. Anche Simpson è un attaccante. Attualmente è in prestito al Millwall (altro club di League One). A dicembre lo abbiamo visto personalmente all’opera nel secondo tempo del derby tra il Leyton Orient e i Lions. E’ velocissimo e ha un dribbling mortifero. Proviene dall’Academy dell’Arsenal. Sfonderà anche lui?

“Nuovo” e vecchio Highbury
Almeno fino al 2019 si chiamerà Emirates Stadium, in ossequio con gli accordi siglati con lo sponsor, che per i naming right sta versando nelle casse dei Gunners un totale di circa 140 milioni di euro. Soldi che hanno fatto comodo, se è vero che per mettere su il nuovo stadio ci sono voluti quasi 600 milioni. Per ripagare il prestito di oltre 350 milioni ottenuto dalla Royal Bank of Scotland l’Arsenal sta trasformando il vecchio Highbury in un complesso edilizio. A dirla tutta i Gunners, facendo leva sull’effetto nostalgia, qualche spicciolo lo ha ricavato mettendo all’asta addirittura i seggiolini e altri elementi di Highbury. Volevi una poltroncina della East Stand? Allora ti toccava sborsare una cinquantina di sterline (anche se quasi subito l’auction, come si dice in inglese, fu interrotta perché si scoprì che quelle stesse poltroncine contenevano materiale tossico). Allora perché non investire una porzione del proprio stipendio per una fetta del manto erboso? Non si è buttato via nulla: quadri, gagliardetti, addirittura l’elmetto degli operai che hanno lavorato al rifacimento della North Bank (a proposito, la placca che commemora la ricostruzione dell’epica tribuna è stata aggiudicata a 300 sterline). Per pezzi più rari e ricercati c’è gente che è arrivata a spendere oltre 500 sterline, ma fortunatamente stiamo parlando di casi limite….

lunedì 21 aprile 2008

Tutto pronto per Chelsea vs Manchester United

Una settimana da brividi, quella che ci sta per regalare il calcio inglese. Non solo le semifinali di Champions League, con tre esponenti della Premier a lottare per un posto nella finale di Mosca, ma anche la sfida decisiva per il titolo tra Chelsea e Manchester United, in programma sabato 26 allo Stamford Bridge.

In realtà i Red Devils potrebbero addirittura permettersi di perderla, la partita con i Blues, qualora vincessero i successivi impegni contro West Ham (in casa) e Wigan in trasferta. In caso di arrivo a pari merito, la differenza reti premierebbe gli uomini di Ferguson (attualmente a +18 sul Chelsea). Sir Alex ha già affermato che intende aggiudicarsi il titolo allo Stamford Bridge, dove in campionato i Blues non perdono ormai dalla notte dei tempi. Eppure se non fosse arrivato un gol in extremis dell’Apache Tevez sul difficile campo di Ewood Park, tutti questi calcoli sarebbero andati a farsi benedire e una vittoria del Chelsea nel big match di sabato avrebbe dato il là a una delle rimonte più clamorose della storia recente del calcio inglese.

Proprio i ragazzi di Grant, però, già nell’anticipo di giovedì scorso al Goodison Park – una circostanza anomala, fortemente avversata dai tifosi dei Toffees – avevano dimostrato la loro voglia di mantenere incerto fino all’ultimo l’esito del campionato. Per fare ciò è bastato un buon primo tempo, coronato dal sesto gol in campionato di quel meraviglioso giocatore che risponde al nome di Michael Essien. Nel secondo tempo l’Everton si è abbattuto contro il muro difensivo eretto da Carvalho e Terry. Gli unici brividi per Cech sono arrivati da qualche calcio piazzato. Ora i Toffees devono riporre nel cassetto il sogno Champions League, ma anche guardarsi alle spalle – il loro vantaggio è di soli tre punti sull’Aston Villa – per evitare brutte sorprese per la qualificazione in Uefa. E domenica c’è lo scontro diretto anche in questo caso…

L’Arsenal conferma i grandi progressi mostrati nella sfortunata prova dell’Old Trafford e supera senza alcun patema d’animo un Reading a dir poco scialbo. Adebayor centra il ventisettesimo gol stagionale, ma sono tutti i Gunners a convincere appieno sul piano del gioco. Purtroppo per i londinesi questo ritorno di fiamma è arrivato troppo tardi, dopo che tutti gli obiettivi stagionali si erano disciolti come neve al sole. Ora anche la rincorsa alla qualificazione automatica in Champions League sembra francamente troppo complicata e per assurdo, vista l’inveterata rivalità, sabato prossimo Wenger e soci dovranno tifare per l’odiato Manchester United.

Compitino facile facile per il Liverpool in quel del Craven Cottage. Troppo debole la resistenza opposta dal Fulham, ormai condannato ad una sicura retrocessione dopo sei stagioni nella massima divisione. Nei Reds in formazione ampiamente rimaneggiata si rivedono Pennant e Crouch, entrambi a segno. Così Benitez, scosso dalle turbolenze societarie, può ormai contare sulla qualificazione ai preliminari di Champions League.

Nella domenica dei derby, una doppietta di Owen permette al Newcastle di liquidare i rivali del Sunderland, mentre al Villa Park i Claret and Blue umiliano il Birmingham con un sonante 5-1 – ottime prove del giovane Young e del navigato Carew. L’Aston Villa, approfittando del crollo del Portsmouth in casa del Manchester City dell’ex Benjani, si issa al sesto posto e tiene così viva la battaglia per un posto in Uefa. Il Birmingham di un amareggiatissimo Mc Leish, invece, ora come ora sarebbe retrocesso, visto che si trova un punto sotto al Reading e al Bolton. I Trotters sono usciti dalla zona caldissima della classifica grazie ad un bel successo al Riverside Stadium di Middlesbrough, dove ad un inizio partita da incubo, con il Boro ad assediare la porta di Al Absi, ha fatto seguito una prestazione convincente e della compagine del Lancashire. A tre giornate dalla fine la Premier deve ancora esprimere parecchi verdetti, non è da escludere che il più importante arrivi già nel prossimo week end. A Manchester, sponda United, se lo augurano.

Pubblicato oggi su Goal.com

venerdì 18 aprile 2008

Il culto lento e moderno del vecchio Subbuteo

Questo è uscito oggi sul Manifesto. Ha a che fare solo marginalmente con il calcio inglese, ma il Subbuteo rimane una delle grandi passioni di tanti appassionati di football d'oltre Manica. Io non faccio eccezione. Ho pure ripreso a giocare dopo una pausa di 12 anni...

Può sembrare paradossale, ma coloro che predicano il culto dell’Old Subbuteo, e nemmeno troppo velatamente dell’Old Football, si sono conosciuti attraverso lo strumento tecnologico moderno per antonomasia: internet. E’ stata la rete, tramite siti web e soprattutto un frequentatissimo forum (quasi 400 iscritti e migliaia di messaggi), ad allacciare una estesa rete di contatti fra subbuteisti di tutta Italia, che spesso si conoscono per nickname piuttosto che per nome di battesimo. L’età media è alta, più vicina ai quaranta che ai trenta. In parecchi hanno ritirato fuori da soffitte e cantine le vecchie squadre ed il campo un po’ impolverato, facendosi travolgere dal richiamo di una passione mai sopita, che per lunghi anni di inattività ha covato sotto un massiccio strato di “diversivi”, fatti di studio, lavoro, famiglia o quant’altro.

Intanto il Subbuteo ne ha passate di tutti i colori. Il marchio è passato da una proprietà inglese, la Waddington, a una grande compagnia americana, la Hasbro, che dopo aver addirittura pensato di cessare la produzione, adesso ha immesso sul mercato un numero di squadre molto ridotto, “personalizzando” le miniature con i tratti somatici dei singoli giocatori. Insomma, niente più Frem (squadra danese, indicata con il numero 224 nel vecchio catalogo Subbuteo) o Fortuna Dusseldorf (team tedesco, numero 127), ma solo Manchester United con i pupazzetti di Rooney e Ronaldo a far presa sulle nuove generazioni cresciute a pane e Sky. Ma intanto il gioco aveva vissuto una sorta di scisma, o evoluzione che dir si voglia. I primi produttori indipendenti avevano modellato delle nuove miniature. Materiali più performanti, come si direbbe in Formula Uno, e ovviamente senza la denominazione Subbuteo. Questi perfetti strumenti di gioco sono quelli preferiti dagli aderenti alla Federazione Italiana Calcio da Tavolo. Già, il calcio da tavolo. E’ il nipotino, il figlio o il figliastro del Subbuteo? Di sicuro ha una struttura molto più “professionale”, con tornei in cui l’agonismo la fa da padrone, e l’ambizione di divenire uno sport, entrando nell’alveo del Coni. Chi lo pratica ad alto livello e ne gestisce l’organizzazione ha alle spalle decenni di partite su un panno verde e ha deciso di sposare senza remore i nuovi materiali e la nuova filosofia di gioco – che a volte si avvicina più al biliardo che al vecchio calcio in miniatura. Come accadeva con il Subbuteo, anche nel calcio da tavolo gli italiani se la cavano benissimo, visto che a livello mondiale ed europeo di frequente hanno fatto man bassa di titoli nelle varie categorie (si va dagli under 12 ai veterani, passando per le donne e la categoria open).
Coloro che praticano il vecchio Subbuteo pongono in secondo piano il fattore agonistico. Preferiscono pensare che sia un bel gioco e basta, dove la prima regola è il fair play e il legame con il calcio dei bei tempi andati è saldo come non mai. Forse banalizziamo ed estremizziamo troppo, ma vedendo questi quarantenni ritornare bambini intorno ad un campo in miniatura, ci viene quasi da pensare che il Subbuteo sia l’antidoto perfetto contro il calcio moderno. Per Trollino, alias Luca Zacchi, presidente di uno dei club romani, l’Old Subbuteo sta a qualsiasi altro gioco o sport come lo slow food sta al Mc Donald’s. “E’ quell’andar lento che ti fa percepire la bellezza del giocare e dello stare insieme, che ti fa sentire il profumo della plastica e del lucido, che ti fa prendere un gol sotto l'incrocio perchè ti distrai a guardare come è ben dipinta la squadra avversaria. Old Subbuteo è mangiare assieme al tavolo, senza cestini, senza fast food, con tutto il tempo per il dolce e il caffè” ci spiega Zacchi.
Fra questi Peter Pan del football c’è chi non ha mai smesso di collezionare squadre HW – quelle con la barretta, non quelle con il tondino, le meno ricercate LW – piuttosto che le tribune in scala o altre preziose memorabilia prodotte decenni fa con il marchio con l’altero profilo del falco subbuteo (l’inventore, Peter Adolph, era ornitologo...). Nella community ci si scambiano consigli su come acquistare un pezzo raro su E-bay – altro must dell’old subbuteista e dove si spendono anche 270 euro per un Admira Wacker anni Settanta, però negli ultimi tempi tocca stare attenti ai “furbacchioni” – ci si raccontano storie di subbuteo e football di 30 anni fa, si organizzano i tornei. A proposito, agli Old subbuteisti il torneo piace se è un po’ cialtrone, ovvero fatto di sana allegria, un lauto pranzo tutti insieme appassionatamente e tanto fair play. Il massimo è “rifare” qualche campionato d’antan. “A Castiglione Olona, vicino Varese, a inizio aprile hanno rigiocato la serie A 1977-78” racconta Lodolaio, al secolo Marco Trotta, dell’Old Subbuteo Club Capitolino. “Per scegliersi una delle sedici squadre che hanno partecipato a quella edizione del campionato, gli iscritti al torneo hanno preso parte ad una vera e propria asta, il cui ricavato (quasi 500 euro) è andato in beneficenza al Comitato Tutela del Bambino in Ospedale”. Per la cronaca lo “scudetto” se lo è aggiudicato il Verona, ultima classificata la Juventus, che nel 1978 si era laureata campione d’Italia…

Proprio a Olona hanno fatto il loro esordio alcuni dei nuovi materiali che riproducono pedissequamente le vecchie squadre anni settanta – altri tentativi di imitazione sono stati già messi in atto, con un discreto successo presso gli amatori.

Uno degli sfizi del subbuteista – ma non di tutti, si badi bene – è dipingersi da solo le squadre, infarcendole dei particolari che le fanno assomigliare in tutto e per tutto a quelle che scendono in campo nella realtà. Intendiamoci, la mania Old è talmente imperante che gli “artisti” realizzano più spesso le compagini del passato che quelle del presente. “Con i miei pennellini ho ridato vita a team storici come i Wanderers (primi vincitori della Coppa d’Inghilterra nel 1872) o il Grande Torino di Mazzola e Gabetto. Il piacere di dipingere le vecchie maglie è che sono pulite, essenziali, non deturpate da sponsor o da altre bizzarrie dei giorni nostri” afferma orgoglioso Memorabilia, uno dei migliori tra i Subbuteo Artist.

Chi vuole acquistare, o anche solo dare un’occhiata a queste meraviglie, oggi e domani può fare un salto a via del Vaccaro 9, a Roma. E’ lì che si svolge la seconda edizione della Subbuteo Fair, promossa dall’associazione Action Now – Play Old Style. L’evento, a cui parteciperanno le vecchie glorie di Roma e Lazio Sormani e Giordano, è arricchito da una mostra di football memorabilia, tra cui i programmi dei derby calcistici londinesi dagli anni cinquanta agli ottanta. E fra tanta nostalgia e la caccia a qualche rarità, ci sarà pure il tempo per fare due tiri con le vecchie, amate miniature.

mercoledì 16 aprile 2008

La rinascita dell'Aldershot

La promozione dell’Aldershot Town nella vecchia Fourth Division – ora si chiama League Two, ma io non gradisco troppo la nuova denominazione – mi riporta alla mente i vecchi annuari Rothmans. Negli anni ottanta quei bei mattoncini infarciti di dati e statistiche si potevano trovare nelle migliori librerie del centro di Roma e, sebbene costassero abbastanza, erano una preda troppo ambita per un malato di calcio inglese come me. Tutto questo sproloquio per dire che all’epoca, nell’ordine rigorosamente alfabetico di quegli splendidi almanacchi, l’Aldershot F.C. era la prima squadra ad essere messa sotto la lente d’ingrandimento. Imparai subito che la compagine dell’Hampshire tutto era tranne che una big del football d’oltre Manica (miglior risultato, un ottavo posto in Third Division). Poi ad inizio anni novanta, per la precisione nel 1992, lo shock: l’Aldershot chiudeva baracca e burattini, per un debito di 150mila sterline doveva dichiarare fallimento e ripartire dai dilettanti. Era il primo club professionistico inglese a scomparire nel corso della stagione agonistica dal 1962, quando la stessa sorte toccò all’Accrington Stanley – altro ricordo di infanzia, nel libro La Tribù del Calcio di Desmond Morris, avuto in regalo alla tenera età di dieci anni, c’è una splendida foto del vecchio stadio degli Stans, ormai fatiscente. Ok, bando alle divagazioni, e rendiamo merito all’Aldershot per aver riconquistato lo status di squadra appartenente alla Football League dopo 16 lunghi anni di attesa. Ieri sera, infatti, è bastato un pareggio in casa dell’Exeter per assicurarsi matematicamente la promozione. Ora potrà finalmente essere stappata la bottiglia di rum avuta in dono dai dirigenti del Clapton, squadra contro cui gli Shots fecero il loro esordio nel 1992 nel limbo delle divisioni dilettantistiche (perdendo 4-2). In bocca al lupo, Aldershot!

martedì 15 aprile 2008

Arsenal fuori dalla corsa al titolo

Solo due mesi fa l’Arsenal era saldamente in vetta alla Premier con cinque punti di vantaggio sul Manchester United. Chelsea e Liverpool guardavano la capolista da lontano, ben a corto di speranze di successo in campionato. Dopo il posticipo di domenica, che metteva davanti le due grandi nemiche degli ultimi anni di calcio inglese, per l’appunto Red Devils e Gunners, il dato di fatto incontrovertibile è uno solo: l’Arsenal è tagliato fuori dalla lotta per il titolo. Nove punti da recuperare in soli quattro match sono troppi, così come allo stato attuale potrebbe essere incolmabile il divario di quattro punti che separa i Gunners dal secondo posto del Chelsea.

Eppure i ragazzi di Wenger, reduci dalla cocente delusione di Anfield Road in Champions League, prima di ammainare bandiera bianca, hanno venduto molto cara la pelle. Fabregas e compagni hanno giocato un ottimo match, creando parecchie chance e passando in vantaggio con un gol di Adebayor ad inizio ripresa – anche se per la verità il togolese pareva aver toccato la palla con il braccio. Lo United è riuscito a fatica a ribaltare l’esito della sfida, approfittando anche di uno sciocco fallo di mano di Gallas che ha permesso a Ronaldo di siglare su rigore il trentottesimo gol del suo fantastico 2007-08. La punizione-capolavoro di Hargreaves fissa il risultato sul 2-1, sebbene un pareggio sarebbe stato forse più giusto.

Nel Monday Night il Chelsea con Drogba a riposo in attesa delle sfide decisive della stagione si fa rimontare nei minuti di recupero da un Wigan molto volenteroso e ormai ad un passo dalla salvezza. L’ex capitano di mille battaglie dello United, quello Steve Bruce ora allenatore dei Latics, potrebbe aver regalato l’ennesima gioia ai tifosi dei Red Devils. Curioso come il gol del pareggio sia stato però siglato da un ex Liverpool, l’intramontabile Heskey, mentre sempre con i Reds aveva giocato il portiere Kirkland, autore di un paio di veri e propri miracoli. Che sia anche un segno del destino in vista del prossimo doppio confronto di Champions League? Allo Stamford Bridge fanno già gli scongiuri.

Continua la serie positiva del Liverpool, che nel secondo tempo regola un Blackburn troppo inferiore ai Reds per poterli impensierire. Meravigliosa la prima segnatura dei padroni di casa, realizzata dal solito immenso Steven Gerrard. A chiudere i giochi ci ha poi pensato Torres, con il ventiduesimo gol in Premier. Il Liverpool approfitta della prova non troppo brillante dei cugini dell’Everton – fermati sull’1-1 al St Andrew’s di Birmingham – portando il proprio vantaggio sui Toffees a cinque punti. I preliminari di Champions League si avvicinano, sempre che il 21 maggio a Mosca non arrivi la sesta perla europea...

Si riapre la lotta per non retrocedere, grazie proprio al mezzo passo falso dei Blues delle Midlands ma soprattutto alla meritata vittoria del Bolton su un West Ham scialbo e senza troppo mordente. I Trotters si trovano ora solo a due punti dal Birmingham e a tre dal Reading, sconfitti in casa dal Fulham.

I Cottagers – a meno quattro da una clamorosa salvezza – centrano la prima vittoria esterna dal settembre 2006. Buone notizie per Hodgson, visto che la sua squadra oltre a sconfiggere una diretta concorrente come il Reading ha anche sciorinato un gioco di discreta qualità (ben tre i pali colpiti nella seconda frazione di gioco dai bianco-neri).

Nel resto della giornata da segnalare l’ennesima buona prova del Newcastle, che pareggia 0-0 sul difficile campo del Fratton Park di Portsmouth e il 6-0 rifilato a domicilio dall’Aston Villa al Derby – che bello il gol di Petrov da quasi 40 metri. I Rams si apprestono a stabilire il record negativo di punti in Premier (ora sono a quota 11, il limite precedente è 15). Per i tifosi del Derby il finale di campionato è amarissimo come tutto il resto della stagione. Per fortuna non si segnalano proteste troppo focose e sopra le righe, come forse a parità di prestazioni scadenti sarebbe successo da qualche altra parte di nostra conoscenza...

Pubblicato oggi su Goal.com

giovedì 10 aprile 2008

Il burbero mago scozzese

Forse non tutti sanno che il tecnico più vincente della storia del football britannico ha rischiato di finire anzitempo la sua carriera sulla panchina del Manchester United. Non esiste una versione ufficiale, ma è ragionevole pensare che se Alex Ferguson non fosse riuscito a condurre la sua squadra al successo nella Coppa d'Inghilterra edizione 1989-90, l'allora dirigenza dei Red Devils lo avrebbe licenziato. Nella sua recente autobiografia Bobby Charlton, grande estimatore di Ferguson e dirigente del club per cui ha disputato oltre 600 partite, nega che si sia mai presa in considerazione l'ipotesi dell'esonero, ma in tanti tra gli addetti ai lavori e i tifosi hanno ben altra opinione. Il tecnico scozzese deve quindi il suo pressoché ineguagliabile palmares a quel primo, ormai lontano, trionfo nella competizione più longeva della storia del calcio: la FA Cup.

Non che il cammino per raggiungere l'atto finale della coppa non fosse stato lastricato di difficoltà ed imprevisti. Anzi, i maligni dicono che già la vittoria al terzo turno per 1-0 sul Nottingham Forest avesse evitato a Sir Alex una prematura dipartita dal Teatro dei Sogni. Per non parlare della semifinale contro il piccolo Oldham, vinta al replay dopo un rocambolesco 3-3 nel primo match. Una voglia di cambiamento nella gestione tecnica ci poteva anche stare, visti i risultati mediocri raccolti nelle sue prime stagioni da Ferguson. Eppure il futuro Re Mida del calcio inglese era approdato all'Old Trafford nel novembre 1986 con delle ottime referenze. In Scozia il suo Aberdeen non solo era riuscito a spezzare l'eterno duopolio Celtic-Rangers, ma aveva dato lezione al Real Madrid nella finale di Coppa delle Coppe 1982-83. A Manchester, invece, non pareva in grado di spezzare il sortilegio che voleva lo United incapace di aggiudicarsi il titolo di campione d'Inghilterra dal 1967. La dirigenza era perplessa, i frequentatori della Stretford End (la «curva» dei mancuniani), non ancora invasa dai seggiolini di plastica e irrigimentata da draconiane regole comportamentali, mugugnavano sempre di più. Mettete pure che in quegli anni i dominatori vestivano le magliette rosso brillante degli odiati vicini del Lancashire, quel Liverpool padrone sul suolo britannico e in Europa. Insomma, Sir Alex se la passava male. Il riscatto dei Red Devils doveva passare per quella finale che si giocava nel vecchio Wembley. L'avversario non era dei più temibili: il Crystal Palace. La compagine londinese però si era qualificata battendo in semifinale per 4-3 nientemeno che il grande Liverpool.

La partita decisiva per l'assegnazione del trofeo viene ricordata come una delle più appassionanti nella storia ultracentenaria della Fa Cup. Passato in svantaggio, lo United seppe rimontare grazie al capitano di mille battaglie Bryan Robson e ad uno dei tanti gol del gallese Mark Hughes. L'allenatore del Palace ed ex vecchia gloria del centrocampo mancuniano, Steve Coppell, giocò il tutto per tutto mandando in campo un giovane Ian Wright. Il futuro centravanti dell'Arsenal non solo riuscì a forzare la gara ai tempi supplementari, ma nell'extratime portò in vantaggio la sua squadra, approfittando alla perfezione degli infortuni che avevano privato la retroguardia bianco-rossa di Martin e Pallister. Il primo titolo nella storia delle Eagles londinesi sfumò a soli otto minuti dal fischio finale. Hughes rimandò tutto al replay del giovedì successivo - allora i rigori erano eventualità aborrita, almeno nelle finali. La seconda partita fu brutta, noiosa. Le due squadre avevano una fifa blu di perdere. Nel secondo tempo, in una delle poche azioni degne di nota, il carneade Lee Martin appena ricevuta palla nell'area di rigore avversaria scagliò un destro che non lasciò scampo al portiere del Palace. Per Ferguson era il primo dei tanti giorni di festa nella sua ultraventennale esperienza al Manchester United. I suoi diavoli rossi non si sarebbero più fermati. Già nella stagione successiva, quella del ritorno in Europa dopo i fatti dell'Heysel, trionfarono in Coppa delle Coppe sconfiggendo 2-1 il Barcellona. Poi la lunga teoria di vittorie - nove in Premier, altre quattro in Fa Cup, due in Coppa di Lega, una in Champions League ed una in Coppa Intercontinentale - che sembra destinata a non finire mai. Per i fan, quelli che di recente sono stati accusati di «eccessivo imborghesimento», diventa the wizard. Il mago.

Ferguson ha fatto addirittura meglio del suo illustre predecessore e connazionale Matt Busby, quello dei Busby Babes e della prima vittoria in Coppa dei Campioni nel 1968. Magistrali nel saper lanciare giovani campioni appena usciti dal vivaio, i due si differenziano per i caratteri apparentemente opposti. Calmo e pacifico Sir Matt, incazzoso e sanguigno Sir Alex. In realtà sono stati entrambi bravi a gestire le teste calde - Best e Law da una parte e Cantona, Ince e Rooney dall'altra - ma non hanno mai visto di buon occhio i contestatori. Busby se ne liberava in maniera «chirurgica», senza troppe discussioni. Ferguson, invece, non ha mai rinunciato a un acceso scambio dialettico - diciamo così - con il giocatore che metteva in discussione la sua linea. E' così che gente del calibro di Van Nistelrooy, Stam, Strachan, Beckham e a fine carriera anche il fido scudiero Roy Keane hanno finito i loro giorni al «Theatre of Dreams». Per la verità tanta intransigenza Sir Alex la dimostra anche nel campo della passione politica. Anni fa dichiarò al Mirror che i danni inferti alla sua terra di Scozia e all'Inghilterra del Nord dal governo dei Tories a cavallo tra anni Ottanta e Novanta erano stati tanti e tali che lui voterà per sempre Labour. Non a caso in più di una circostanza ha presenziato ad incontri ufficiali del partito, da sempre molto popolare al di là del Vallo di Adriano. Poco importa che i laburisti di oggi siano cambiati in maniera profonda rispetto a quando suo padre si guadagnava la giornata facendo il manovale nei cantieri navali di Glasgow. O quando lo stesso giovane Alex lavorava in fabbrica prima di diventare un calciatore professionista. «Io vengo da una famiglia e da una città working class, quelle sono le mie origini», ama ripetere con orgoglio, anche se venti anni di magie all'Old Trafford gli hanno regalato tanta fama ed un conto in banca invidiabile.

Dal Manifesto del 9 aprile 2008 (che onore scrivere un articolo su uno dei più grandi allenatori di tutti i tempi!)

mercoledì 9 aprile 2008

Per l’Arsenal il bicchiere è mezzo pieno

“L’Arsenal si scioglie nel calderone di Anfield”. Così titolava oggi The Times, tanto per spargere sale sulle ferite (come dicono in Inghilterra) dei poveri tifosi dell’Arsenal. Premessa: non sono tifoso del club londinese. Però mi preme lo stesso esaltare l’ottima stagione disputata sin qua dalla compagine guidata da Arsene Wenger – che, come al solito, la sconfitta non l’ha presa tanto bene...
Certo, a fine maggio i Gunners alla voce “trofei vinti nel 2007-08” si ritroveranno uno zero che brucia, a meno di improbabili miracoli in Premier. Però mai come nel caso dei Gunners di quest’anno lo stucchevole dogma delle vittorie prima di tutto può essere tranquillamente messo da parte. L’Arsenal ha lottato, sciorinato bel gioco, fatto crescere giovani campioni o valorizzato buoni giocatori che casomai altrove avrebbero difficoltà a figurare nell’undici titolare. E poi nessuno li dava tra i favoriti della Premier o ad un passo dalle semifinali di Champions – dove, è bene ricordarlo, hanno buttato fuori i campioni uscenti. Senza tanti infortuni e qualche calo di forma di troppo si sarebbe potuto fare di più. Wenger avrebbe dovuto spendere quei famosi 70 milioni di sterline messi a disposizione dalla società? Sì, forse, perché no. Imitare alcuni allenatori nostrani, che chiedono al presidente di aprire i cordoni della borsa pure se un paio di riserve soffrono di raffreddore, non è il massimo della vita, ammettiamolo.
Ora tutti a parlare di dove potrebbe andare Fabregas piuttosto che Flamini o Adebayor. Scommettiamo che il rendimento di coloro che lasceranno l’Emirates non sarà all’altezza di quanto mostrato in maglia Arsenal? A Londra Nord sono bravi a cedere i giocatori quando è il momento giusto, Henry e Vieira docet...

lunedì 7 aprile 2008

Il Chelsea lancia la sfida

Nel fine settimana dedicato alle semifinali di FA Cup pare incredibile che tutte le Big Four siano impegnate in campionato. Ma tant’è, quest’anno la Coppa d’Inghilterra ha dispensato sorprese a iosa e tra le ultime quattro in corsa c’era solo il Portsmouth a difendere l’onore della Premier – i Pompey si sono comunque qualificati a fatica per la finale, dove incontreranno il Cardiff giustiziere dell’incredibile Barnsley (quelli che avevano eliminato Liverpool e Chelsea…).

Contro un avversario che in passato ha saputo creargli più di un grattacapo, il Manchester United sembra avere vita facile. In vantaggio dopo pochi minuti grazie al trentaseiesimo centro stagionale di Cristiano Ronaldo, i Red Devils invece si smarriscono, non riuscendo a chiudere il match. Il Boro, quasi salvo, ha ben poco da perdere, e approfitta delle troppe amnesie difensive dello United – dietro si sente e tanto l’assenza di Vidic – per creare un bel po’ di pericoli a Van der Sar. I primi due gol in Premier del bomber brasiliano ex Heerenveen Afonso Alves fanno pensare alla clamorosa sorpresa, sebbene poi Rooney riesca a strappare un punticino che almeno tiene il Chelsea a meno tre. In vista dei prossimi impegni Ferguson dovrà monitorare con attenzione le condizioni fisiche di Ferdinand, in dubbio per la sfida con la Roma.

I Blues, reduci dall’opaca serata di Champions in Turchia, approfittano del pessimo stato di forma del City di Eriksson, penalizzato dall’assenza di Richards in difesa e da un attacco che definire abulico sembra quasi un complimento. In realtà il vantaggio iniziale di Lampard e compagni, arrivato grazie ad un sanguinoso autogol di Dunne, lasciava presagire un vera goleada da parte del Chelsea. Così non è stato, perché i padroni di casa hanno sfiorato più volte il pareggio – bravo Cuducini in più di un’occasione. Provvidenziale è stato allora il settimo gol in Premier di Kalou, che ha smorzato gli ardori dei Citizens e regalato un sogno al team di Avram Grant (che lo scontro diretto con i rivali se lo giocherà davanti al proprio pubblico il 26 aprile).

Il terzo incontro stagionale tra Arsenal e Liverpool, infarcite di riserve in prospettiva Champions League, finisce come i due precedenti: 1-1. Bella prova del quasi sicuro partente Crouch, impreziosita da un gol, ma Arsenal che non demerita e disputa una prova tra le più brillanti fatte registrare nell’ultimo periodo. Il problema dei Reds è come al solito la marcatura sui calci piazzati, dal momento che il gol del pareggio di Bendtner arriva proprio su un azione del genere. I Gunners invece dopo la sfida decisive di Anfield sono attesi all’Old Trafford, dove sarà obbligatorio vincere per continuare a cullare qualche speranza di successo in campionato. Intanto Reina ed Almunia pare si stiano allenando tanto sui calci di rigore…

La vittoria di misura dell’Everton sul Derby riapre almeno un po’ la lotta per la quarta piazza, anche se il Liverpool rimane favorite ed in vantaggio di tre preziosi punti.

Nelle retrovie i giochi appaiono quasi fatti. Ormai salvo il Newcastle, alla terza vittoria consecutiva e con il tridente Owen-Martins-Viduka finalmente devastante (loro le segnature nel 3-0 casalingo sui Royals), sembrano tranquille sia il Wigan che il Sunderland. I primi superano con un pizzico di fortuna il Birmingham in casa, i secondi al Craven Cottage affossano in maniera quasi definitiva il Fulham. Malissimo anche il Bolton, subissato sotto una messe di gol (quattro) dall’Aston Villa del redivivo Agbonlahor. Per riepilogare, Derby già matematicamente retrocesso, Fulham quasi spacciato, Bolton a meno quattro dal Birmingham e meno sei dal Reading, le uniche squadre che devono stare attente a qualche sgradita sorpresa di fine stagione.

Pubblicato su Goal.com del 7 aprile

domenica 6 aprile 2008

Assalto gallese a Wembley

In una delle edizioni più pazze della Coppa d'Inghilterra, il piccolo Cardiff prova a ripetere l'impresa del 1927. Quando il re consegnò agli stranieri il trofeo più antico del football
Luca Manes


Ci hanno messo ben 81 anni, ma alla fine i Blue Birds di Cardiff a Wembley ci sono finalmente tornati. Certo, lo stadio non è più quello del 1927. L'attuale non conserva un singolo mattone del precedente ed è quanto di più lussuoso si possa pensare per un'arena destinata (anche) ad ospitare big match calcistici. Alle frotte di tifosi gallesi pronte ad invadere l'Olympic Way, che dalla fermata della metro di Wembley Park conduce al sacro tempio, importa ben poco che ad accoglierli domani non ci saranno le due torri più famose del calcio mondiale, quanto piuttosto un arco gigantesco che pare si possa scorgere addirittura dalla luna. A loro importa essere lì, a cantare i loro inni da stadio a casa dei mai troppo amati inglesi.

Fa niente se questa volta sarà «solo» per una semifinale di FA Cup e non per la finalissima, come accadde nel 1927. Per la precisione era un 23 aprile, il giorno dedicato a San Giorgio, il santo patrono dell'Inghilterra. Una ricorrenza che non fu per niente benaugurante, se è vero che la coppa andò per la prima volta - e unica fino ad ora - a un club «straniero», con tanto di premiazione del re (Giorgio V) al valoroso capitano Fred Keenor. La prima finale trasmessa per radio dalla Bbc fu uno shock per l'intera nazione, dal momento che nessuno poteva concepire che gli inventori, i maestri del football si vedessero soffiare da sotto il naso la Coppa nazionale, il torneo calcistico più antico del mondo. A dirla tutta agli albori della FA Cup, negli ultimi anni del diciannovesimo secolo, il rischio che il trofeo valicasse i confini inglesi c'era stato eccome. Il Queen's Park di Glasgow giocò ben due finali consecutive da team favorito, senza però riuscire a prevalere, entrambe le volte beffato dal Blackburn Rovers.

Quello che non riuscì agli scozzesi lo fecero i blu di Cardiff, che giocarono un brutto scherzo all'Arsenal di Herbert Chapman, il profeta del modulo WM, che tanti successi avrebbe poi portato ad Highbury negli anni trenta. Le cronache del tempo raccontano di una partita bloccata, dove a farla da padrone sono le difese e gli attacchi sono spuntati e pasticcioni. Poi all'improvviso, a poco più di un quarto d'ora dalla fine, ecco arrivare il gol decisivo. Su un tiraccio dell'attaccante gallese Hughie Ferguson, il portiere dell'Arsenal combina la classica papera da incubo. Ironia della sorte, Dan Lewis, questo il nome dell'estremo difensore dei Gunners, è «un giovane gallese molto promettente, destinato ad un futuro brillante e che ha già esordito in nazionale contro l'Inghilterra nel match di Torneo Interbritannico» come recitava il programma della partita. Lewis diede la colpa del suo erroraccio alla nuova divisa, troppo scivolosa, ma finì per avere un proseguo di carriera ben al di sotto delle attese. Però da quella partita tutti i portieri dell'Arsenal che hanno disputato una finale hanno indossato una maglietta già usata in precedenza. Il trionfo del Cardiff fu una sorpresa molto relativa, dal momento che le due squadre nell'allora First Division erano arrivate quasi appaiate e che i Blue Birds venivano da anni ruggenti, nei quali avevano già sfiorato un successo in campionato - nel 1924 avevano perso il titolo solo per la peggior differenza reti nei confronti dell'Huddersfield e per un rigore sbagliato durante l'ultima partita - e in Coppa - a Wembley nel 1925 furono superati per 1-0 dallo Sheffield United.

Dopo quegli strepitosi anni venti i gallesi hanno vissuto periodi altalenanti, anche se ormai da lungo tempo si arrabattano nelle divisioni minori del calcio professionistico britannico. Mancano dalla massima serie dal 1962, sebbene dal 1963 al 1966 poterono annoverare tra le proprie fila l'ex simbolo della Juventus John Charles, tornato in patria per chiudere una gloriosa carriera dopo l'esperienza in bianconero. Adesso il Cardiff ci riprova in una delle edizioni più pazze delle storia della competizione, con tre compagini di Championship (l'equivalente della nostra serie B) in semifinale e solo il Portsmouth (oggi pomeriggio in campoa Wembley contro il West Bromwich Albion) a tenere alto l'onore della Premier. Ma il club dello storico impianto del Ninian Park - che andrà in pensione per far posto ad uno stadio del tutto simile ai tanti costruiti negli ultimi anni - prima del suo appuntamento con la storia ha rischiato addirittura di sparire, a causa dei debiti contratti dalla precedente gestione dirigenziale. Pochi giorni fa un tribunale ha stabilito che i 30 milioni di sterline dovuti alla finanziaria svizzera Langston potranno essere diluiti entro il 2016 e non nell'arco di pochi mesi, come pretendeva la stessa Langston. Una bella boccata d'ossigeno per il neo-presidente Peter Risdale, che però a Leeds non ricordano esattamente per le spiccate capacità manageriali - fu lui ad affossare il club dello Yorkshire sotto un debito di oltre 100 milioni di sterline.Ora, senza troppi pensieri extra-sportivi per la mente la squadra guidata dal tecnico inglese Dave Jones, infarcita di alcune vecchie glorie come Jimmy Floyd Hasselbaink (ex Chelsea) e Robbie Fowler (già bandiera del Liverpool) prova a compiere l'impresa contro il piccolo Barnsley, che però nei turni precedenti ha buttato fuori proprio Liverpool e Chelsea.

Qualora dovesse non solo raggiungere la finale, ma anche vincerla, tuttavia il Cardiff rischierebbe di non poter disputare la Coppa Uefa del prossimo anno. La federazione inglese ha già posto il suo veto, giustificando la decisione con il fatto che il club è formalmente iscritto alla federazione gallese e gioca in Inghilterra in qualità di ospite. Il massimo organismo calcistico europeo si è detto possibilista su una sorta di deroga. In passato i Blues Birds hanno già giocato in Europa, ma in qualità di vincitori della Coppa del Galles, competizione di livello tecnico molto basso. Tra il 1967 ed il 1972 il Cardiff ha preso parte a ben cinque edizioni consecutive della Coppa delle Coppe, raggiungendo la semifinale - poi persa con l'Amburgo - nel 1968. Ma negli anni novanta fu proprio l'Uefa ad opporsi alla possibilità che club gallesi come il Cardiff, o anche i loro acerrimi rivali dello Swansea e il Wrexham, potessero qualificarsi per le coppe europee disputando nella stessa stagione la FA Cup nazionale e quella inglese. Chissà se monsieur Platini dovrà inserire nella sua nutrita agenda anche la pratica Cardiff.

Dal Manifesto del 05/04

giovedì 3 aprile 2008

Fa Cup, statistiche e buone letture

Le semifinali di Coppa d’Inghilterra si avvicinano. Ormai il conto alla rovescia per il primo match – WBA-Portsmouth, forse la finale anticipata – segna meno due, e allora val la pena spulciarsi un po’ di dati statistici che stanno contribuendo a rendere questa edizione della Coppa d’Inghilterra una delle più memorabili degli ultimi decenni. Sicuramente il 17 maggio, giorno della finale, non si fronteggeranno team di Manchester, Liverpool o Londra. L’ultima volta che una tale evenienza si verificò era il 1973, allorché il Sunderland superò a sorpresa il Leeds. Per trovare una semifinale senza squadre delle tre città calcisticamente più forti d’Inghilterra bisogna tornare indietro addirittura di quasi 50 anni (1960, Blackburn Rovers, Sheffield Wednesday, Wolverhampton Wanderers e Aston Villa, poi vinsero i Wolves). In realtà anche l’anno precedente si assistette a una situazione del genere, con Luton Town, Norwich City, Aston Villa e Nottingham Forest ai nastri di partenza delle semifinali. Nella squadra del Forest che sconfisse gli Hatters di Luton per 2-1 in finale, aggiudicandosi la seconda coppa nella storia del club, giocava anche lo scozzese Stewart Imlach. La sua storia di calciatore ai tempi del salary cap – quando il divario salariale tra tifoso sugli spalti e giocatore in campo era spesso risibile – è narrata con enorme maestria del figliolo Gary, affermato giornalista della BBC, nel libro “My Father And Other Working Class Football Heroes”. Una lettura fondamentale, per capire come era e come è cambiato (tanto) il calcio inglese. Purtroppo dubito che se ne trovi una traduzione in italiano.