venerdì 30 ottobre 2009

La Champions League ancora di salvezza per il Liverpool (e le sue casse societarie)

È ancora troppo presto per dire se la vittoria in Premier contro il Manchester United sia l’inizio della riscossa dei Reds, oppure solo un raro momento felice di una stagione opaca. È ovvio che i margini di miglioramento ci sono, non fosse altro perché a breve dovrebbero poter dare il loro apporto con continuità giocatori del calibro di Steven Gerrard e Alberto Aquilani, la cui prolungata assenza dai campi di gioco ha indotto i media britannici a dubitare dell’effettiva bontà dell’acquisto da parte di Rafa Benitez. Ma ancora tante sono le nubi che si addensano all’orizzonte.

Come ha spiegato il tecnico spagnolo nella conferenza stampa che ha fatto seguito al match contro il Lione, in Champions League serve un miracolo analogo a quello del 2007-08, quando il Liverpool strappò la qualificazione agli ottavi vincendo le ultime tre partite del girone. Già un pareggio alla Gerland potrebbe significare la fine dei sogni europei e un brutto colpo per le casse societarie. La scorsa stagione il passaggio alla fase a eliminazione diretta fruttò al club una cifra intorno ai nove milioni di euro, destinata a salire successivamente con l’approdo ai quarti di finale. Quest’anno l’importo potrebbe essere più cospicuo. Il calcolo è particolarmente complicato da fare, come spiegava di recente sul Guardian da David Conn, esperto di finanza e football, dal momento che si basa sul numero di squadre di un Paese che si qualificano, però l’aumento dei diritti televisivi dovrebbe incidere in positivo sul bilancio delle 16 squadre che usciranno dai gironi di Champions League.

Insomma, un bel tarlo per il duo americano Hicks & Gillett, proprietari sempre sull’orlo di una crisi di nervi e, pare, con la valigia pronta. Di recente si sono sprecate le voci di una possibile cessione delle quote da parte di George Gillett, che dovrebbe essere sostituito dal solito arabo di turno, il principe saudita Faisal bin Fahad bin Abdulla. Ma per il momento non c’è nulla di concreto.

Dopo una luna di miele durata pochissimo, i tifosi dei Reds hanno a dir poco osteggiato i proprietari americani, ritenuti nella definizione più carina “poco addentro allo spirito Scouser”. Nel match di Champions League contro il Lione, la Kop ha esposto uno striscione che senza troppi mezzi termini apostrofava la coppia Tom & George come “bugiardi”. Il riferimento è non solo al continuo “vendo-non vendo”, ma anche alla grossa questione del debito societario e al contrastato rapporto con Rafa Benitez, un idolo assoluto della Kop.

I kopites hanno inscenato pure una marcia di protesta nelle ore che hanno preceduto il big match con lo United. Si sono contate non meno di 5mila presenze. La manifestazione è stata del tutto pacifica e si è conclusa davanti al pub The Albert, a due passi dalla Kop.

Già, la storica end culla del tifo dei Reds. Fino a qualche mese fa si parlava della nuova Kop, quella da quasi 20mila posti che sarebbe sorta nel nuovo impianto più grande e più moderno da costruirsi non lontano da quello attuale. Un gioiello da quasi 500 milioni di euro che per ora rimane in naftalina. La proprietà attuale non ha i soldi per costruirlo. Anzi, la scorsa estate a stento è riuscita a rinegoziare con la Royal Bank of Scotland un debito superiore ai 300 milioni, in buona parte dovuto ai costi di acquisto del club stesso. Ovvero la stessa procedura adottata dalla famiglia Glazer a Manchester: mi compro la società, che però poi paga i debiti che io ho contratto per l’operazione…

Gli addetti ai lavori d’oltre Manica non escludono che proprio lo stadio sia il nodo gordiano di tutta la storia. Si dice che quando lo sceicco Al Mansour abbia chiesto ai suoi consulenti quale club gli convenisse rilevare in Premier, gli fosse stato consigliato il Mancheser City perché non c’era bisogno di costruire un nuovo impianto, c’era già. I tanti soldi a disposizione si potevano investire subito sui giocatori per tentare un immediato successo. Al Liverpool l’Anfield Road, con i suoi 44mila posti, sta stretto.

Il Manchester United può contare su un’arena con una capienza maggiore di quasi 40mila unità, l’Arsenal e il Chelsea non hanno impianti enormemente più grandi (sebbene i Gunners abbiano fatto un bel passo in avanti con il nuovo Emirates), ma si possono permettere di vendere i biglietti a cifre che a Liverpool, città proletaria per definizione, non prendono nemmeno in considerazione. Non a caso nell’ultimo anno gli introiti dei Red Devils sono stati superiori di 100 milioni a quelli dei Reds e anche le due londinesi hanno incassato molto di più. Con Manchester City, Tottenham e Aston Villa che spingono per entrare nell’elite del calcio inglese e l’incubo di un possibile flop sportivo (e finanziario) in Champions League, al Liverpool non rimane che affidarsi alla passione e all’attaccamento ai colori dei tifosi. Loro saranno sempre lì, chiunque sia il nuovo padrone e qualunque siano le se sue intenzioni.

Scritto per Goal.com

mercoledì 28 ottobre 2009

Due chiacchiere con Cudicini

La mia recente trasferta londinese ha prodotto anche una lunga intervista con Carlo Cudicini. La versione integrale andrà sul prossimo numero di Calcio 2000, intanto su Goal.com è uscita una sorta di anteprima.

Carlo Cudicini è il classico italiano che – una volta abbandonata la Patria natia – non ha alcun rimorso, anzi… La sua vita professionale - e non – scorre alla grande, ora che – poi – ha trovato la fiducia di un mister che non ne mette in dubbio le capacità e gli affida spesso e volentieri la maglia da titolare, ancor di più. La nuova esperienza al Tottenham dopo tanti anni di Chelsea – come detto – è più che positiva, come lui stesso ci racconta in Esclusiva: “Mi sono ritagliato il mio spazio e di questo sono molto felice. E’ vero che tra campionato e coppa mi alterno con Gomes, ma in una competizione o nell’altra ho sempre la possibilità di giocare. In più, ho la stima dell’allenatore e questo è molto importante per me”. La squadra, poi, è partita col piede giusto e – nonostante l’inattesa sconfitta contro lo Stock City nell’ultima di campionato – ha grandi ambizioni: “Stiamo facendo bene e i risultati ottenuti fin qui ci fanno guardare al futuro con ottimismo. Puntiamo a traguardi importanti, anche se lottare contro squadre come il Liverpool o l’Arsenal non è semplice, perché più abituate di noi giocare a certi livelli. Ovviamente noi abbiamo tutta l’intenzione di giocarcela, ma loro hanno decisamente più esperienza e questo potrebbe pesare alla lunga”. Carlo si gode da spettatore interessato anche la lotta per la Premier, che vede il nostro Ancelotti protagonista: “I miei ex compagni del Chelsea quest’anno hanno tutte le carte in regola per interrompere il predominio del Manchester. Ancelotti sta facendo un ottimo lavoro”. Di grandi tecnici – lui che ha avuto sia Ranieri che Mourinho – Cudicini se ne intende: “Carlo (Ancelotti, ndr) non lo conosco, a Ranieri, invece, devo tantissimo, è stato lui a promuovermi titolare e a farmi giocare con continuità. I successi di Mou sono frutto anche del suo splendido lavoro. José è semplicemente un vincente, uno dei migliori in circolazione”. Dicevamo del futuro del portierone italiano, che a breve dovrà essere deciso: “Sono in scadenza di contratto. Sarei contento di restare al Tottenham, ma se non fosse possibile, valuterei anche altre opzioni; anche in Italia – ovviamente – ma non è una priorità. Son pronto a prendere in considerazione anche altre destinazioni”.

lunedì 26 ottobre 2009

Fulham Red Sox

Il Fulham ha di recente siglato un accordo commerciale con il Fenwey Sports Group, la holding che detiene la proprietà della famosa franchigia delle Major League di baseball dei Boston Red Sox. La compagnia curerà l'immagine dei Cottagers negli Usa e non è da escludere che la compagine londinese possa addirittura giocare un'amichevole al mitico Fenwey Park, casa dei Red Sox dal 1912.

Il Chelsea ringrazia i Reds

La panchina di Rafa Benitez in bilico, la qualificazione in Champions League anche, gli infortuni a raffica, Alberto Aquilani ribattezzato dai media inglesi “l’uomo del mistero”, i troppi passi falsi in campionato e le turbolenze societarie. Per cancellare settimane di frustrazioni e cattivi pensieri, al Liverpool serviva una vittoria nella partita più importante dell’anno, quella con il Manchester United. E vittoria è stata, con pieno merito, al di là delle recriminazioni arbitrali che a turno Ferguson o Benitez spiattellano stucchevolmente ai media. Fondamentale il recupero di Fernando Torres e Glen Johnson, ma soprattutto la grinta e la determinazione di tutta la squadra pur sempre orfana del capitano Steven Gerrard.
Alquanto deludente il Manchester United, troppo passivo in lunghe fasi del match e con la solita “palla al piede” di Dimitar Berbatov – se ci possiamo permettere, noi avremmo inserito Michael Owen al posto del bulgaro già a inizio secondo tempo. I Red Devils hanno perso la terza partita consecutiva con il Liverpool e anche la testa della classifica – ora appannaggio del Chelsea – in un’alternanza che fa comunque bene al campionato, troppo spesso nel recente passato contraddistinto da scarso equilibrio.

I Blues fanno a pezzi un Blackburn reduce dalla bella prova nel derby con il Burnley – però in quella partita aveva giocato, e alla grande, l’attaccante argentino Franco Di Santo, in prestito dal Chelsea e quindi impossibilitato a scendere in campo allo Stamford Bridge. Carlo Ancelotti schiera ancora Ricardo Carvalho, additato dalla critica come il maggiore responsabile delle recenti magre difensive. Nella cavalcata trionfale dei Blues si rivede Joe Cole, autore di una buona prestazione dopo i lunghi mesi fuori per infortunio, e va segnalata la doppietta messa a segno da Frank Lampard, che sale così a quota 135 in carriera con il club del West End londinese.
Che dire del Blackburn, sicuramente penalizzato dalla tragica autorete di Gael Givet, ma in perenne balia degli avversari? Con quella di sabato siamo a nove sconfitte consecutive in trasferta, compresa anche la fine dello scorso campionato. Troppe per non doversi guardare alle spalle e per nutrire ambizioni di alcun genere.

Sotto gli occhi di Fabio Capello e Giovanni Trapattoni, entrambi presenti in tribuna al White Hart Lane, si consuma la grande sorpresa della giornata. Lo Stoke supera a domicilio l’ambizioso Tottenham di questi tempi. I Potters recano sempre il marchio d’infamia di un gioco grezzo, ben poco spettacolare, ma intanto rimangono lontani dalla zona retrocessione che tanti commentatori d’Oltre Manica pensano sia la loro destinazione naturale.

Non approfittano in maniera adeguata del black out degli Spurs né i cugini dell’Arsenal né il Manchester City. Le loro partite hanno uno sviluppo molto simile: avanti 2-0, entrambi i team si rilassano troppo e si fanno rimontare rispettivamente da West Ham e Fulham. Negli Irons determinante su entrambi i gol Alessandro Diamanti, partito però solo dalla panchina. Gli euro-rivali della Roma sembrano finalmente aver ritrovato la via della rete. Dopo sole sei marcature nelle prime sette partite di Premier, nelle ultime due ne sono arrivate ben quattro e c’è un Damien Duff tornato finalmente ai suoi massimi livelli.

Il novantanovesimo derby delle Midlands tra Wolverhampton e Aston Villa si chiude su un pareggio sostanzialmente giusto. Partita bruttina, in particolare nel secondo tempo, che però regala le due reti nel finale. Nei Villans non brillano i nazionali James Milner e Ashley Young, mentre Gabriel Agbonlahor si salva solo grazie al bel gol dell’1-0.

Sabato prossimo turno tutto sommato abbastanza agevole per le prime della classe, in cui però spicca il derby del Nord di Londra tra Arsenal e Tottenham.

giovedì 22 ottobre 2009

Una leggenda dei Reds

Per puro caso a Liverpool ho assistito alla presentazione del bellissimo libro fotografico "When Football Was Football, Liverpool: A Nostalgic Look at a Century of the Club". Oltre agli autori, era presente Ian Callaghan, una delle bandiere del Liverpool di tutti i tempi e campione del mondo con l'Inghilterra nel 1966 - giocò però solo nel match del girone di qualificazione contro la Francia. Nativo di Liverpool, detiene il record di presenze in campo con i Reds, ben 640. Se non erro lui, centrocampista di grande temperamento, era uno dei preferiti di Bill Shankly, con il quale ha vinto una parte dei tanti trofei accumulati in 18 anni di carriera in maglia rossa.

mercoledì 21 ottobre 2009

This is Anfield

Il mio mini-tour in Inghilterra si è concluso questa mattina con il volo delle 6.30 che mi ha riportato a Roma da quel di Liverpool. Ieri sono finalmente riuscito a vedermi una partita dal vivo ad Anfield Road. Un must per tutti i tifosi di calcio inglese. Bella l’atmosfera dentro e fuori allo stadio, che esternamente non è memorabile ma all’interno fa la sua figura. Pleonastico, ridondante, superfluo, trovate voi l’aggettivo, ma non posso non dire che il famoso inno “You’ll Never Walk Alone” in presa diretta è da brividi. Commovente il memoriale per le vittime dell’Hillsborough. Mi ha stretto il cuore leggere tutti quei nomi con accanto l’indicazione dell’età – come forse saprete erano quasi tutti giovanissimi…Bello il gesto di alcuni tifosi del Lione, che hanno lasciato dei fiori e un paio di sciarpe, ringraziati con calore da alcuni supporter dei Reds – tra questi anche il padre di una delle vittime. Per accennare rapidamente della partita, basta forse evidenziare i tanti assenti tra le file del Liverpool e alcune decisioni a dir poco “particolari” di Rafa Benitez. L’inviato della Gazzetta Luca Calamai e io ci siamo spesso chiesti durante il match come mai il giovane francese David Ngog non solo fosse stato schierato titolare, ma anche perché avesse giocato tutta la partita- negli ultimi minuti era letteralmente stremato…Benitez in conferenza stampa era nero come la pece. In effetti ha parecchi motivi per essere preoccupato.
P.S. quasi dimenticavo, ho potuto constatare di persona che nella Kop tutti, ma vi assicuro tutti, guardano i 90 minuti della partita in piedi. Uno steward mi ha confessato che hanno provato a fargli cambiare idea, ma inutilmente.

Una serata al Cottage

Premessa: una gita al Craven Cottage vale sempre la pena, sia che il Fulham giochi contro una delle peggiori squadre della Premier, sia che disputi un importante match in Europa. Il fascino del vecchio stadio a due passi dall'incantevole Bishop Park rimane immutato negli anni. Per godercelo appieno abbiamo deciso di guardare la partita tra i padroni di casa e l’Hull dalla Riverside Stand, ovvero la tribuna eretta a pochi metri dalla riva del Tamigi. Per arrivare al nostro posto dobbiamo però entrare dalla Putney End, dove trovano posto i tifosi delle squadre ospiti e dove incastonato nell’angolo con la John Haynes Stand c’è quella meraviglia assoluta che è il cottage che dà il nome all'impianto. Ci passiamo accanto e rimaniamo quasi scioccati quando scorgiamo al suo interno una modernissima tv al plasma, che ci appare come una sorta di fastidiosa intrusione nell’edificio di inizio secolo scorso. Ovvero quando il famoso architetto scozzese Archibald Leitch realizzò anche la Stevenage Stand – ora rinominata John Haynes in onore dal figlio più amato della storia del Fulham – che da fuori presenta ancora la caratteristica facciata composta da mattoncini rossi, menre al suo interno ha i seggiolini di legno e la “loggetta” con l’emblema del club.

Prima di prendere posto, facciamo un frugale spuntino con vista sul fiume. Un’altra delle particolarità del Craven Cottage è questa sua prossimità con l’enorme corso d’acqua che taglia in due Londra. Un elemento distintivo e fonte di un certo fascino, certo, ma allo stesso tempo un limite per il club, impossibilitato a espandere la capienza dello stadio proprio per la sua posizione così inusuale. A dirla tutta il presidentissimo Mohamed Al Fayed aveva pure pensato di costruire una nuova arena, ma fortunatamente dopo qualche anno di tentativi infruttuosi ha ormai cambiato idea. Meglio così. A proposito del milionario egiziano, per i fan che vogliono mangiare un boccone oltre ai soliti hot dog e hamburger, ci sono anche alcune delicattessen di Harrods. I grandi magazzini di Knightsbridge, è cosa nota, sono suoi.

Passiamo alla partita. La tifoseria del Fulham è tra le meno focose di Londra, ma per la gara con l'Hull appare in buona forma. Sarà perché stimolata dai rumorosissimi e numerosi, nonostante il lungo viaggio e il giorno lavorativo, tifosi avversari, sarà perché vogliosa di dare un benvenuto “come si deve” a Jimmy Bullard. Il centrocampista una volta era l'idolo del Craven Cottage, poi ha preferito “tradire” per trasferirsi nello Yorkshire e ottenere così un sostanzioso ritocco salariale – anche se va detto che dalla sua cessione il Fulham ci ha guadagnato cinque milioni di sterline. Nei giorni precedenti al match quel gran signore di Roy Hodgson aveva chiesto ai suoi supporter di non fischiare Bullard, ma quale sia l'umore della maggioranza dei presenti allo stadio si capisce quando al ventesimo del primo tempo il nostro inizia il riscaldamento a bordo campo (reduce da un gravissimo infortunio, viene fatto partire dalla panchina). I boo si sprecano. È questa l’unica nota di cronaca della prima mezzora di gioco, che offre veramente poco in termini di spunti di interesse. I Cottagers ci provano, ma in attacco l'ex modenese Diomansy Kamara non ne azzecca una. L'Hull pensa a difendere, lasciando solo il povero Jan Vennegor of Hesselink, che però ormai è solo l’ombra del centravanti di peso dei tempi del PSV. Con l’americano Clint Dempsey (la controfigura del romanista Jeremy Menez) poco ispirato, ci pensa Damien Duff a dare una scossa alla partita. Suo il tiro che Boaz Myhill non trattiene e il tanto contestato Bobby Zamora scaraventa in rete di testa a fine primo tempo.

Sulle ali dell'entusiasmo il Fulham domina anche la seconda frazione di gioco. Su azione di Zamora insacca addirittura Kamara! Per una squadra spuntata come quella bianconera è un evento, sottolineato con la solita ironia britannica anche dai giornali del martedì mattina. L'ingresso in campo di Bullard non fa che infuocare ulteriormente i tifosi del Fulham. L'Hull continua a deludere. I giocatori dei Tigers si liberano della palla nemmeno fosse una bomba ad orologeria, tanta è la loro scarsa abilità nel gestirla... La gara si chiude tra gli olé del pubblico di casa. La settimana di festeggiamenti per il 130simo compleanno dei Cottagers si apre come meglio non poteva, in attesa di sfidare la Roma (forse senza l’infortunato Danny Murphy). Noi, infreddoliti dalla serata più da inizio gennaio che da metà ottobre e dall’umidità che sale dal vicino Tamigi, ci incamminiamo verso la fermata della metro di Putney Bridge, non prima di aver lanciato un'ultima rapida occhiata al Cottage. La televisione è ancora accesa e manda le azioni salienti della partita. Un inequivocabile segno dei tempi.

Scritto per Goal.com

domenica 18 ottobre 2009

Finalmente una Premier più equilibrata?

Scritto oggi, sebbene manchi ancora il Monday Night di domani, che spero di vedermi dal vivo al mio adorato Craven Cottage.

La nona giornata della Premier 2009-10 sarà per sempre ricordata per il “gol del palloncino” con cui il Sunderland ha cancellato molte delle residue speranze del Liverpool di rivincere la massima divisione inglese dopo una ventina d’anni di digiuno. Certo, i Reds hanno la loro dose industriale di colpe, ma la sfortuna di dover far a meno contemporaneamente di Fernando Torres e Steven Gerrard e soprattutto di subire un gol come quello di Darren Bent – che per l’ex arbitro Jeff Winter doveva essere annullato – la dicono lunga su che tipo di stagione sta vivendo la squadra allenata da Rafa Benitez. I Black Cats invece sognano l’Europa. E con un Bent così, ora capocannoniere con otto reti insieme a Torres, le loro ambizioni sono del tutto legittime.

L’ormai ex capolista Chelsea è incappata nella seconda sconfitta consecutiva in trasferta, questa volta al Villa Park. Gli errori dei portieri Peter Cech e Brad Friedel si sono elisi a vicenda, per cui a risultare determinante è stato il gol di Richard Dunne. Uno che sembra il fratello bravo di quello che giocava al Manchester City, visto che non solo non fa errori in difesa, ma si è messo pure a segnare (finora due marcature in cinque partite in maglia claret & blue). Ad Ancelotti non è piaciuta la difesa, mentre la società lavora per portare al Bridge un campione come Frank Ribery. Sempre che il divieto di attività sul mercato venga sospeso.

Il 2-1 con cui il Manchester United ha battuto il Bolton non certifica al meglio la superiorità espressa dai Red Devils, soprattutto nel primo tempo. Questa volta Sir Alex Ferguson non ha avuto modo di criticare la scarsa forma dell’arbitro, come accaduto nel precedente match con il Sunderland, perché ha dovuto prendere nota di come i vari Ferdinand, Valencia e Berbatov abbiano offerto delle prestazioni ben superiori a quelle fornite negli ultimi tempi. E poi con il ritorno di Edwin Van Der Sar in porta c’è da scommettere che il reparto arretrato abbia acquisito molto in termini di serenità…

Non è ancora dato sapere se Sol Campbell tornerà ad essere un giocatore dell’Arsenal, club con il quale al momento si sta allenando. È invece un dato di fatto del tutto acquisito la classe dei giovani Gunners, capaci di mettere ko il Birmingham City del neo proprietario Carson Yeung (decimo milionario straniero ad approdare in Premier) senza troppi patemi d’animo. Non benissimo Vito Mannone, colpevole sul gol di Lee Bowyer.

Al DW Stadium era in programma il terzo derby del Lancashire della giornata – oltre a quello dell’Old Trafford, c’è stato anche uno scoppiettante Blackburn vs Burnley, con i Rovers sugli scudi per il primo scontro diretto nella massima divisione in 43 anni. Il Manchester City soffre tanto contro un ottimo Wigan. Se on fosse per un miracolo di Shay Given nei secondi finali, i Light Blues se ne sarebbero tornati a Eastlands con una sconfitta shock.

Al Fratton Park andava in scena la gara dei mille ex, da una parte e dall’altra. Alla fine, come da pronostico, hanno avuto la meglio quelli che ora militano nelle file del Tottenham. In gol il doppio ex Jermain Defoe che regala a Harry Redknapp – ex non proprio accolto con il tappeto rosso dai supporter dei Pompey – la conferma della terza posizione in Premier.

Solita capatina in zona retrocessione, dove il West Ham continua la sua serie negativa. Negli ultimi due mesi gli Irons hanno collezionato solo due miseri punticini. Come nel recente passato, pure a Stoke la squadra avrebbe meritato di più, ma al fischio finale si è ritrovata con in mano un pugno di mosche. Il penultimo posto in classifica va abbandonato il prima possibile. Ma, almeno a giudicare dalle quote degli allibratori – solo un misero 1,83 – non è detto che il compito possa spettare ancora a Gianfranco Zola, la cui panchina è a dir poco a rischio.

mercoledì 14 ottobre 2009

Lo strano destino del Livingston

C’è aria di crisi, nel calcio scozzese. La nazionale delude a più non posso, le squadre di club le buscano da compagini di tutta Europa, in patria le cose non vanno molto meglio, a cominciare dalla crisi economica che affligge tanti club, soprattutto quelli minori. L’anno scorso era stato il turno del Gretna a dire addio alla compagnia, questa estate la stessa sorte è quasi toccata al Livingston. La compagine dell’Almondvale Stadium ha vissuto le settimane più travagliate della sua breve esistenza, prima entrando in amministrazione controllata, poi subendo la terribile esperienza della procedura di liquidazione – durata però un solo giorno. Colpa di un debito non pagato di 330mila sterline nei confronti del West Lothian Council che si trascinava ormai da mesi. Sull’orlo dell’estinzione, il Livi si è salvato grazie a un gruppo di imprenditori guidato da Gordon McDougall, in passato già presidente del Cowdenbeath. Quella di McDougall è sempre stata la scelta più gradita dai tifosi, in particolare da quelli riuniti nel trust Livi For Life, arcistufi di dover avere a che fare con un personaggio quanto meno “discutibile” come l’ex proprietario Angelo Massone.

L’insolvenza del club ha però comportato una retrocessione d’ufficio dalla seconda alla quarta serie del calcio scozzese. La nuova dirigenza non ha digerito il provvedimento della Football League e, oltre a ricorrere in appello, non ha fatto scendere in campo la squadra nel match d’esordio contro l’East Stirlingshire. Oltre il danno la beffa, diremmo dalle nostre parti: ora il team giallo-nero rischia pure una penalizzazione in classifica.

Chissà come staranno ridendo sotto i baffi i – per la verità pochissimi – fan del Meadowbank Thistle, ovvero la squadra di Edimburgo che nel 1995 venne di fatto fagocitata dal Livingston. Un caso che richiama alla memoria quanto sarebbe accaduto nove anni dopo con la migrazione del Wimbledon in quel di Milton Keynes e la susseguente nascita del Franchise FC, pardon, dell’MK Dons. Il Meadowbank altri non era che la terza squadra di Edimburgo, un vaso di coccio tra i due vasi di ferro dell’Hibernian e degli Hearts. Scarso seguito, poca tradizione e storia, il club era reduce da un primo cambiamento di nome e stadio già avvenuto nel 1974, quando per le stringenti regole di quei tempi in merito alle sponsorizzazioni il Ferranti Thistle mutò la denominazione in Meadowbank Thistle in onore dell’omonimo stadio d’atletica, scelto come sede delle partite del club. Per la verità la compagine, che allora vestiva i colori nero-arancio, nel 1987-88 arrivò pure a soli quattro punti dalla promozione in Scottish Premier League, ma poi le sue prestazioni sui gloriosi ma un po’ vetusti campi di gioco delle divisioni minori andarono gradualmente ma inesorabilmente peggiorando.

L’allora presidente Bill Hunter decise quindi di spostare baracca e burattini nella new town di Livingston (quante analogie con il caso Milton Keynes-Wimbledon…), una decina di miglia a ovest di Edimburgo, in cerca di nuova linfa e nuovi clienti/tifosi. Hunter dovette fronteggiare le ire dei supporter del Meadowbank, tanto da vedersi costretto a “evitare” la partite casalinghe dei Livi Lions nel moderno impianto dell’Almondavale Stadium, di proprietà delle autorità locali. Il progetto del discusso presidente si rivelò tuttavia vincente, almeno nei primi anni. Oltre alla crescita esponenziale del numero di sostenitori, arrivarono presto le promozioni, fino all’eclatante accesso alla Premier nel 2001, seguito da un clamoroso terzo posto raggiunto nella stagione successiva. Il duo di allenatori Jim Leishman e David Hay aveva portato i Livi Lions fino in Europa, dove però due rocamboleschi match con gli austriaci dello Sturm Graz frantumarono le speranze di qualificazione al secondo turno di Coppa Uefa. Il 2-0 in finale sull’Hibernian che valse la vittoria nella Coppa di Lega del 2004 è stato però una sorta di canto del cigno dei giallo-neri. La parabola discendente di pubblico e di risultati è coincisa con una certa turbolenza sia a livello societario che tecnico, con continui cambi di allenatori. Tre anni fa il Livingston è sprofondato in Division One. Intanto i fan del Meadowbank hanno scelto il club non-league dell’Edinburgh City come loro nuova squadra. Chissà, forse fra un po’ assisteremo a un nuovo derby nei paraggi della splendida capitale scozzese…

Scritto per il terzo numero di Fever Pitch

Tempi duri per il Portsmouth

Negli ultimi mesi seguire le vicissitudini societarie del Portsmouth è stata impresa molto ardua, non c’è che dire. A luglio al Fratton Park si è assistito al passaggio di mano tra Alexandre Gaydamak e l’uomo d’affari degli Emirati Arabi Sulaiman Al Fahim – il primo figliolo del controverso Arcadi, che i bene informati ritengono abbia fatto la sua fortuna trafficando armi illegalmente in Angola, il secondo da subito ritenuto “vicino”, anche troppo, alla proprietà del Manchester City. Nel frattempo, per rimpinguare le esangui casse del club, si è deciso di vendere i pezzi pregiati dei gioielli di famiglia. Via Peter Crouch, via Glen Johnson, seguiti in un secondo momento da Sylvain Distin e Niko Kranjcar. Sulla panchina dei Pompey, al di là delle voci di un possibile arrivo di Roberto Mancini, è rimasto Paul Hart. Uno che inizialmente doveva traghettare la squadra dopo il licenziamento di Tony Adams e che non ha un pedigree calcistico tale da offrire garanzie di successo.

La rosa, ridotta all’osso, è stata rinforzata all’ultimo minuto con una sequela di prestiti e di giocatori prelevati a parametro zero, roba da far invidia alla prima Lazio lotitiana (quella dei dodici acquisti nell’ultima giornata del mercato estivo del 2004). Risultato? Sul campo il Portsmouth ha rimediato una terribile sequela di sconfitte, ben sette una dietro l’altra. Solo il Manchester United versione 1930-31 aveva avuto un principio di stagione più disastroso. Per la verità in alcune partite, in particolare con Birmingham ed Everton, James e compagni sono stati pure un pizzico sfortunati, giocando un calcio tutto sommato passabile. Come se non bastasse, a fine settembre sono iniziate a circolare voci sulle possibili dimissioni dell’amministratore delegato Peter Storrie – legate alle immense difficoltà societarie – e su un mancato pagamento degli stipendi a buona parte dei giocatori (cosa che dalle nostre parti fa meno effetto, ma in Inghilterra è una eventualità abbastanza rara, diremmo quasi unica a livello di Premier). Nonostante le promesse di iniezioni di liquidità da parte di Al Fahim, a un certo unto la prospettiva dell’amministrazione controllata e dei conseguenti automatici dieci punti di penalizzazione in classifica sembrava quasi una certezza. Poi è arrivato l’ennesimo colpo di teatro. Dopo una quarantina di giorni dalla precedente cessione, ecco che il Portsmouth ha di nuovo cambiato padrone. Al Fahim ha venduto il 90 per cento delle sue quota a una società con sede nel paradiso fiscale delle Isole Vergini Britanniche che fa capo al milionario arabo Ali al-Faraj. Quest’ultimo pare intenzionato a spendere per rafforzare la squadra e non dovrebbe aver problemi a rispettare gli impegni presi con i dipendenti (leggi il pagamento degli stipendi). Però dalle parti del Fratton Park mai dire mai…

Intanto la squadra ha cominciato una complicatissima risalita. Nell’ultimo turno di Premier ha vinto – e convinto – sul campo dei Wolves, una delle dirette concorrenti nella lotta per non retrocedere. Trovare l’amalgama tra tutti i nuovi arrivati non è certo cosa facile e necessita di tempo. Per dare una mano a Hart è stato messo sotto contratto l’ex tecnico del Chelsea Avram Grant, da qualche giorno ufficialmente Director of Football (stesso ruolo ricoperto da Sven Goran Eriksson al Notts County). Nel frattempo si spera che David James continui a mantenere la costanza mostrata la scorsa stagione e che i vari O’Hara, Dindane, Boateng e Yebda possano confermare i progressi espressi di recente. Sabato al Fratton Park arriva il Tottenham, con tutta una vagonata di ex che hanno dato lustro al Portsmouth negli ultimi anni. A cominciare da Harry Redknapp, tecnico al quale è stato perdonato pure il rapido passaggio sulla panchina dei detestati rivali del Southampton e che nel 2007 ha regalato alla città sulla costa meridionale dell’Inghilterra la FA Cup, primo titolo in 58 anni. In quel team militava Niko Kranjcar, grande promessa un po’ in ombra l’anno passato. Peter Crouch e Jermain Defoe completano la schiera di ex Pompey che sicuramente, visto le ambizioni di un posto un Champions League degli Spurs, non concederanno nulla alla loro vecchia squadra. Ma viste le montagne russe societarie degli ultimi tempi, è già importante che si torni a parlare solo di calcio.

Pubblicato su Goal.com

lunedì 12 ottobre 2009

Notts County in difficoltà

Prima se ne è andato Sol Campbell, ora hanno licenziato il tecnico Ian McParland, mentre non è chiaro se Sven Goran Eriksson rimarrà i cinque anni previsti dal contratto oppure lascerà a breve. Mettiamoci pure che permangono dubbi sulla proprietà del club, un nebuloso gruppo dell'Est Europa denominato Munto Service, e avremo il quadro della situazione - non proprio idilliaca - al Meadow Lane.
P.S. in realtà la cosa peggiore, almeno dal mio punto di vista, è il nuovo crest del club, che va a sostituire quello con le due gazze...

domenica 11 ottobre 2009

Portieri (mediocri)

Ho letto giudizi molto severi sulle prestazione, invero molto breve, di Robert Green. Per carità, l’uscita che ha provocato il rigore e la susseguente espulsione nel match con l’Ucraina non è stata certo la migliore della storia, ma da lì a crocifiggerlo mi sembra un po’ eccessivo. Ora al posto dello squalificato Green è stato convocato Ben Foster, portiere francamente di scarso affidamento e basso spessore tecnico – vedere il terzo gol subito nel derby di Manchester per credere (il primo è più un eccesso di confidenza, sebbene non sia errore da poco). In definitiva la storia è sempre la stessa: di Banks e Shilton all’orizzonte non si vede nemmeno l’ombra…

venerdì 9 ottobre 2009

Il Burnley, una favola a lieto fine?

Al fischio finale della partita contro il Manchester United dello scorso 19 agosto, parecchi fan più attempati del Burnley avranno ripensato a quando, una ventina d’anni fa, la loro squadra si era ritrovata sull’orlo del precipizio del Non League Football, costretta a vincere la gara interna con il Leyton Orient e sperare che il Lincoln City non facesse bottino pieno. La sofferenza patita per quel 2-1 strappato con le unghie e con i denti contro il team londinese – e la concomitante sconfitta degli Imps – è stata ripagata dalla gioia immensa per la prima gara della massima divisione inglese giocata al Turf Moor in 33 anni. E che gara! Uno a zero ai campioni di Inghilterra e vice campioni di Europa del Manchester United. Robbie Blake che segna un gol al volo da cineteca e Brian “The Beast” Jensen che para un rigore al nazionale inglese Michael Carrick. Un’emozione così poteva essere paragonata solo a un ricordo per la verità molto recente: un altro 1-0, questa volta inflitto la scorsa primavera allo Sheffield United nella finale di play off di Championship, disputata nella sempre imponente cornice di Wembley. Un po’ a sorpresa, i Claret volavano nella massima divisione inglese, da dove mancavano dal 1976. Un evento storico, che coinvolgeva tutta la città. A dirla tutta Burnley non è esattamente il posto che vorreste visitare durante un giro turistico del Lancashire. Giunta al suo massimo splendore grazie ai tanti cotonifici spuntati come funghi all’epoca della rivoluzione industriale, ormai da decenni vive un lento quanto inesorabile declino. Come si dice in questi casi, in maniera enfatica e forse fin troppo eccessiva, un barlume di speranza arriva quindi dalle imprese sportive del team del Turf Moor.

Una compagine con un blasone importante, il Burnley. Membro fondatore della Football League e tra i primi club ad “importare” giocatori professionisti dalla vicina Scozia, all’inizio del secolo scorso riuscì a farsi un nome nel Beautiful Game grazie al leggendario manager John Haworth. Nei suoi 15 anni di regno arrivarono due trofei prestigiosi come la FA Cup (1914) e la coppa di campioni d’Inghilterra (1921, dopo una cavalcata trionfale fatta di 30 partite senza sconfitte che fecero seguito ai tre rovesci consecutivi di inizio stagione). Intanto nel 1910 si era abbandonato il verde degli esordi per lo splendido claret & blue allora tanto di moda, soprattutto per la popolarità e i successi dell’Aston Villa – tanto che pure Crystal Palace e West Ham decisero di copiare le divise dei Villans. Dopo un periodo di vacche magre, coinciso con la Grande Depressione e la conseguente condizione di indigenza di buona parte degli abitanti della città, negli anni Sessanta i Clarets rifiorirono. Nel 1960 si affermarono in campionato grazie a una mitica vittoria all’ultima giornata sul campo del Manchester City, nel 1962 si piazzarono secondi e persero la finale di Coppa. Proprio in quel periodo l’abolizione del tetto salariale per i giocatori, che fino ad allora aveva tutelato maggiormente i club meno ricchi come il Burnley, segnò un ulteriore capovolgimento delle fortune dei Clarets, acuito dalla scelta poi rivelatasi poco lungimirante di investire i proventi delle vendite di alcuni calciatori nella ristrutturazione dello stadio.

Per un revival in grande stile sia sul piano dei risultati che su quello del gioco bisognava attendere l’arrivo sulla panchina di un irlandese preparato e grintoso come Owen Coyle. Uno che adesso per i tifosi è semplicemente God, dio…Uno che ha messo insieme un team con uno zoccolo duro di calciatori britannici – tra cui spiccano gli scozzesi Steven Fletcher e Steven Thompson e gli inglesi Wade Elliott, Chris Eagles e David Nugent – che praticano un gioco veloce e spettacolare. Nonostante lo scetticismo degli addetti ai lavori, la squadra va alla grande. Dopo otto giornate è nona in classifica. Se valessero solo le partite casalinghe, si contenderebbe il titolo con le big, mentre invece in trasferta sono dolori – quattro sconfitte su quattro, avendo però già fatto visita a Liverpool, Tottenham e Chelsea.

Uno dei simboli della squadra è il terzino destro Graham Alexander. Il barbuto scozzese ha esordito in Premier alla “veneranda” età di 37 anni, dopo essere stato per quasi un decennio (1999-2007) una delle bandiere degli odiati vicini del Presto North End. La sua esperienza e l’infallibilità dal dischetto hanno subito conquistato il Turf Moor.

Ma a proposito di derby, la domenica dopo la pausa per le nazionali il Burnley farà visita al Blackburn nel “vero” derby del Lancashire. Un’ottima occasione per iniziare a vincere anche lontano da casa, no?

martedì 6 ottobre 2009

Sempre sul Liverpool

George Gillett, uno dei due padroni del vapore ad Anfield Road, ha detto in maniera nemmeno troppo velata che Rafa Benitez è l'unico colpevole per le prove insoddisfacenti dei Reds. Ammetto di essere uno di quelli che ritiene lo spagnolo un tecnico sopravvalutato, però dopo tutto il teatrino che hanno messo in piedi da diversi mesi a questa parte i due proprietari del Liverpool - vendo, non vendo e amenità varie - forse Mr Gillett ha perso una buona occasione per starsene zitto.

Per il Liverpool la Premier è sempre un miraggio

Nella passata stagione di Premier il Liverpool aveva rimediato solo due sconfitte su un totale di 38 partite. Quest’anno siamo già a tre su otto gare, per non parlare poi della prova molto deludente offerta dai Reds a Firenze nel loro secondo impegno di Champions League. Insomma tempi duri per Rafa Benitez, come si è potuto vedere dal match di domenica dello Stamford Bridge. Il Chelsea ha ampiamente meritato la vittoria, sfruttando al meglio le geniali intuizioni di Didier Drogba. Per l’ivoriano niente gol, ma due assist da leggenda. Nel complesso i Blues, nonostante un Frankie Lampard ancora non al massimo, hanno dimostrato di essere più squadra dei rivali, con cui in campionato nel 2008-09 avevano perso entrambe le sfide. Ciò che salta all’occhio della versione attuale del Liverpool è proprio questa incapacità di ben figurare contro squadre di livello medio-alto. Se con le piccole arrivano goleade e non qualche pareggio di troppo come in passato, con le grandi per ora si rimediano solo sconfitte (al White Hart Lane come in casa con l’Aston Villa). Fossimo nei panni di Benitez, noi faremmo giocare un po’ di più Babel e Benayoun, ma non è detto che basti…

Nel frattempo Carlo Ancelotti e i suoi si godono il momentaneo primato, arrivato anche grazie al mezzo passo falso interno del Manchester United. Troppo facile dire che senza il mago Ryan Giggs il team allenato da Sir Alex Ferguson fa fatica ad esprimersi al meglio, diciamo che la prova non eccelsa di quasi tutta la squadra – compreso Dimitar Berbatov, autore però di un gol da cineteca – non ha certo aiutato. Male Ben Foster, non chiamato in nazionale da Fabio Capello (ma la scusa ufficiale parla di infortunio…). Sfortunatissimo il Sunderland, a cui non basta il settimo gol in Premier di Darren Bent per regalare a Steve Bruce la prima vittoria nel suo conto personale con il mentore Ferguson.

Non si arresta invece la marcia dell’Arsenal, che con il Blackburn prima soffre (con mezza papera di Vito Mannone) e poi dilaga. Meraviglioso Cesc Fabregas (un gol e tre assist), sul quale le voci di un possibile ritorno a Barcellona sono ormai diventate stucchevoli, una certezza sia in difesa che in attacco (è al quarto gol in Premier in sette partite!) il belga Thomas Vermaelen. Theo Walcott ha bagnato il ritorno in campo con un bel gol.

I Gunners seguono a un punto, ma con una partita in meno, i cugini del Tottenham, attualmente terzo. Gli Spurs non vincono in casa del Bolton dal 1996 e sabato hanno rischiato di perdere l’ennesimo confronto diretto con una delle loro bestie nere. Regalare quasi un tempo ai Trotters non sarà certo piaciuto a Harry Redknapp – irritato pure dall’essere invischiato in qualche bega con il fisco – che però si sarà consolato con l’ottima reazione dei suoi dopo il gol dell’1-2.

Il Monday Night tra Aston Villa e Manchester City regala spettacolo ed emozioni. Al gol dell’ex Richard Dunne, risponde Craig Bellamy con il suo quarto centro stagionale. Al di là dell’infortunio, si preannunciano tempi non facili per Robinho.

In coda finalmente vince anche il Portsmouth, che così evita di “migliorare” il record di peggior inizio stagione che appartiene al Manchester United versione 1930-31. Peccato che le voci di una possibile iniziazione di liquidità si siano rivelate in parte infondate e che i giocatori dei Pompey non abbiano ricevuto l’ultimo stipendio… Si ritrova in brutte acque pure il West Ham, penultimo con soli cinque punti. Nel derby contro il Fulham non basta una marcata supremazia territoriale e il vantaggio di giocare 11 contro 10 per oltre un tempo. Se non fosse per un gol nei secondi finali del prodotto dell’Academy Junior Stanislas, gli Irons sarebbero incappati nel quarto rovescio consecutivo.

Per finire una chicca: il salvataggio (involontario) dell’anno. A Burnley anche per il Birmingham vale la dura legge del Turf Moor. Poi se ci si mette Lee Bowyer (che milita nel City) a salvare sulla linea un tiro a botta sicuro del compagno Scott Dann, allora non c’è proprio niente da fare!

Scritto per Goal.com

sabato 3 ottobre 2009

Omaggio a Giggs, il mago del calcio

C’è un telecronista di Sky Italia che chiede a gran voce di clonarlo. Ci sono editorialisti del Guardian che lo definiscono “il nuovo Ronaldo”. C’è un’ associazione calciatori, ovviamente quella inglese, che lo ha premiato come miglior giocatore della stagione 2008-09 e chissà, potrebbe fare altrettanto il prossimo maggio. Lui, Ryan Joseph Giggs da quasi 20 anni incanta le platee inglesi e non solo con una naturalezza e uno stile da Olimpo del calcio. Accarezza la palla come forse unicamente un certo Zinedine Zidane ha saputo fare negli ultimi due decenni. Il suo prezioso sinistro, che fece innamorare un presidente spendaccione ma amante del bel gioco come Massimo Moratti, sforna assist al bacio che rendono il football ancora una meravigliosa disciplina. Ogni tanto segna pure qualche gol, quasi mai banali, anzi, spesso geniali – e perdonateci la rima. Chi, forse perché troppo giovincello, non ha visto la magica serpentina al White Hart Lane nel 1993 o lo slalom con annesso tiro fantastico nella celebre semifinale di FA Cup del 1999 con l’Arsenal si faccia subito in giretto su You Tube. Impossibile rimanere delusi.

Visto che abbiamo citato il sublime Zizou, viene spontaneo non paragonare le rispettive carriere in nazionale dei due campioni. Giocare con la Francia o con il Galles fa una bella differenza, sia a livello di trofei accumulati, sia in termini di ribalta mediatica. I dragoni non giocano un mondiale dal 1958, quando al centro dell’attacco c’era quel gigante buono di John Charles. Giggs, oltre a collezionare 64 presenze con 12 gol, ha ingoiato solo bocconi amari, tanto che già nel 2007 ha lasciato i gradi di capitano e la maglia numero 11.

In un’epoca in cui a volte le nazionali vengono viste con fastidio, mai come per il buon Ryan si conferma invece la vecchia regola del calcio che vuole la definitiva consacrazione di un campione avvenire compiendo gesta da leggenda con la selezione del proprio Paese.

A dirla tutta Giggs avrebbe potuto prendere possesso della fascia sinistra di un altro team prestigioso: l’Inghilterra, con cui aveva esordito nelle selezioni giovanili come Ryan Wilson, dal cognome del babbo rugbista (e scavezzacollo). Nel proseguo della sua carriera e divenuto Ryan Giggs per rispetto alla madre, ha scelto di cantare Land of my Fathers e non God Save the Queen. Questo anche perché, nonostante le dicerie e qualche imprecisione, di nonni o nonne inglesi non ne aveva …

Al di là della questione nazionale, il nostro non è una star hollywoodiana alla Cristiano Ronaldo o un personaggio controverso tipo Zlatan Ibrahimovic. Giggs è uno che non fa polemiche, in campo si comporta bene (espulso solo una volta) e non ama la pubblicità, sia essa positiva o negativa.

Però è una sorta di record vivente. Insieme a David James è l’unico ad aver sempre giocato – e segnato – in Premier dalla sua nascita e, soprattutto, ha scalzato Sir Bobby Charlton dal primo posto dei giocatori con più presenze con la maglia del Manchester United. Ora è a quota 814. Ironia della sorte, lui che fino a 14 anni aveva militato nel City, con i Red Devils ha vinto undici campionati (anche in questo caso è l’unico), quattro FA Cup, tre Coppe di Lega, due Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe e due Intercontinentali.
Il conto, che corrisponde quasi alla perfezione a quello di Sir Alex Ferguson – cui va aggiunta una FA Cup – è ancora aperto. Sulla soglia dei 36 anni, che compirà a fine novembre, in questa stagione il mago gallese ha spesso cancellato tutti i problemi di costruzione di gioco dello United, incrementando il numero di assist serviti per partita. Tra il derby e la trasferta a Stoke ne ha scodellati cinque, che si vanno ad aggiungere agli oltre 300 inanellati negli anni passati. Con il Wolsburg oltre al passaggio decisivo per il gol di Michael Carrick ha pensato bene pure di segnare su punizione, divenendo l’unico della storia ad aver fatto centro in 14 edizioni della competizione. Speriamo che Ferguson continui a centellinare alla perfezione le sue forze, ogni tanto inventandoselo centrale di centrocampo oppure spedendolo nella mischia nei minuti finali come risolutore di rompicapi troppo difficili per i suoi compagni. I suoi muscoli, un tempo fin troppo delicati, per adesso sembrano reggere alla grande. Gli amanti del bel calcio ringraziano commossi.

Pubblicato su Goal.com

venerdì 2 ottobre 2009

Dal WSC Weekly Howl

"Our wedding day on August 26, 2001 and we're in the foyer of a swanky London hotel, queuing up, slightly dazed and bewildered, behind the family checking in at reception. Said group were dominated by two small children, chasing each other around the foyer at high-speed while screaming excitedly in Spanish. Their mother leaned casually on the reception counter, accepting the impossibility of containing her offspring where there was space to run around. The father had his back to us; he was dressed in a sharp but unflashy suit, conducting the business at hand and occasionally barking impatiently at the high-velocity kids haring around his feet, but always without turning around.Only when his affairs were complete did he turn and I recognised soon-to-be-ex-Middlesbrough striker Hamilton Ricard beneath the wraparound shades. In retrospect the greatest surprise was not the incongruousness of the encounter (I didn't expect to run into a misfiring Boro striker on my wedding night), but the fact that his kids displayed a turn of pace that had been largely absent from his contributions at the Riverside. They must have inherited that from their mother."

Purtroppo non ho il tempo di tradurla, ma a chi sa l'inglese sono certo che strapperà più di un sorriso...

C'è del marcio a Portsmouth

Nel post precedente parlavo di una possibile soluzione per i problemi di liquidità del Portsmouth e del ritiro delle dimissioni di Peter Storrie. Ebbene, ieri lo stesso Storrie ha dovuto ammettere che in cassa non è rimasto nulla, per cui non saranno nemmeno pagati gli stipendi dei giocatori. Siamo al grottesco, un club che incassa un’ottantina di milioni dalla cessione dei suoi pezzi pregiati e viene rilevato da una nuova proprietà si ritrova in queste condizioni. Onestamente penso ci sia qualcosa che non torni per niente… Poveri Pompey, dalla gloria di una vittoria in FA Cup (nel maggio 2007) a un destino che definire incerto è un sottile eufemismo.