venerdì 9 ottobre 2009

Il Burnley, una favola a lieto fine?

Al fischio finale della partita contro il Manchester United dello scorso 19 agosto, parecchi fan più attempati del Burnley avranno ripensato a quando, una ventina d’anni fa, la loro squadra si era ritrovata sull’orlo del precipizio del Non League Football, costretta a vincere la gara interna con il Leyton Orient e sperare che il Lincoln City non facesse bottino pieno. La sofferenza patita per quel 2-1 strappato con le unghie e con i denti contro il team londinese – e la concomitante sconfitta degli Imps – è stata ripagata dalla gioia immensa per la prima gara della massima divisione inglese giocata al Turf Moor in 33 anni. E che gara! Uno a zero ai campioni di Inghilterra e vice campioni di Europa del Manchester United. Robbie Blake che segna un gol al volo da cineteca e Brian “The Beast” Jensen che para un rigore al nazionale inglese Michael Carrick. Un’emozione così poteva essere paragonata solo a un ricordo per la verità molto recente: un altro 1-0, questa volta inflitto la scorsa primavera allo Sheffield United nella finale di play off di Championship, disputata nella sempre imponente cornice di Wembley. Un po’ a sorpresa, i Claret volavano nella massima divisione inglese, da dove mancavano dal 1976. Un evento storico, che coinvolgeva tutta la città. A dirla tutta Burnley non è esattamente il posto che vorreste visitare durante un giro turistico del Lancashire. Giunta al suo massimo splendore grazie ai tanti cotonifici spuntati come funghi all’epoca della rivoluzione industriale, ormai da decenni vive un lento quanto inesorabile declino. Come si dice in questi casi, in maniera enfatica e forse fin troppo eccessiva, un barlume di speranza arriva quindi dalle imprese sportive del team del Turf Moor.

Una compagine con un blasone importante, il Burnley. Membro fondatore della Football League e tra i primi club ad “importare” giocatori professionisti dalla vicina Scozia, all’inizio del secolo scorso riuscì a farsi un nome nel Beautiful Game grazie al leggendario manager John Haworth. Nei suoi 15 anni di regno arrivarono due trofei prestigiosi come la FA Cup (1914) e la coppa di campioni d’Inghilterra (1921, dopo una cavalcata trionfale fatta di 30 partite senza sconfitte che fecero seguito ai tre rovesci consecutivi di inizio stagione). Intanto nel 1910 si era abbandonato il verde degli esordi per lo splendido claret & blue allora tanto di moda, soprattutto per la popolarità e i successi dell’Aston Villa – tanto che pure Crystal Palace e West Ham decisero di copiare le divise dei Villans. Dopo un periodo di vacche magre, coinciso con la Grande Depressione e la conseguente condizione di indigenza di buona parte degli abitanti della città, negli anni Sessanta i Clarets rifiorirono. Nel 1960 si affermarono in campionato grazie a una mitica vittoria all’ultima giornata sul campo del Manchester City, nel 1962 si piazzarono secondi e persero la finale di Coppa. Proprio in quel periodo l’abolizione del tetto salariale per i giocatori, che fino ad allora aveva tutelato maggiormente i club meno ricchi come il Burnley, segnò un ulteriore capovolgimento delle fortune dei Clarets, acuito dalla scelta poi rivelatasi poco lungimirante di investire i proventi delle vendite di alcuni calciatori nella ristrutturazione dello stadio.

Per un revival in grande stile sia sul piano dei risultati che su quello del gioco bisognava attendere l’arrivo sulla panchina di un irlandese preparato e grintoso come Owen Coyle. Uno che adesso per i tifosi è semplicemente God, dio…Uno che ha messo insieme un team con uno zoccolo duro di calciatori britannici – tra cui spiccano gli scozzesi Steven Fletcher e Steven Thompson e gli inglesi Wade Elliott, Chris Eagles e David Nugent – che praticano un gioco veloce e spettacolare. Nonostante lo scetticismo degli addetti ai lavori, la squadra va alla grande. Dopo otto giornate è nona in classifica. Se valessero solo le partite casalinghe, si contenderebbe il titolo con le big, mentre invece in trasferta sono dolori – quattro sconfitte su quattro, avendo però già fatto visita a Liverpool, Tottenham e Chelsea.

Uno dei simboli della squadra è il terzino destro Graham Alexander. Il barbuto scozzese ha esordito in Premier alla “veneranda” età di 37 anni, dopo essere stato per quasi un decennio (1999-2007) una delle bandiere degli odiati vicini del Presto North End. La sua esperienza e l’infallibilità dal dischetto hanno subito conquistato il Turf Moor.

Ma a proposito di derby, la domenica dopo la pausa per le nazionali il Burnley farà visita al Blackburn nel “vero” derby del Lancashire. Un’ottima occasione per iniziare a vincere anche lontano da casa, no?

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