giovedì 17 luglio 2008

Un tuffo nel passato (molto recente)

In attesa dell'inizio della nuova stagione - oddio, in realta' tra preliminari di coppa e Intertoto ci siamo già - riparliamo dell'ultima annata. Tutto questo pippotto per dire che il reportage a seguire, uscito su Calcio 2000 di luglio, riguarda la finale di FA Cup 2007-08...

La lunga giornata della finale numero 127 della FA Cup inizia con un’immagine che dire scontata sembra quasi riduttivo, sopratutto se raffrontata al cliché del calcio inglese tutto ordine e perfezione del nuovo millennio. Ma tant’è, a metà mattinata di un grigio sabato londinese per le strade della capitale inglese ci imbattiamo in vari gruppetti di famiglia. Di tifosi di Portsmouth e Cardiff City, ovviamente. In una Oxford Street ancora non del tutto invasa dai forzati dello shopping c’è il papà con sciarpa e maglietta dei Pompey che porta per mano il figlioletto ancora in età da scuola elementare ma con tanto di cresta blu a risaltare su una chioma pel di carota. A Trafalgar Square udiamo la cantilenante parlata di qualche attempata signora gallese sotto braccio al marito anche lui di blu vestito (i due club hanno gli stessi colori sociali), seguiti da figli e nipoti con bianche pecorelle gonfiabili sotto braccio e dragone rosso dipinto sul volto, in una sana esplosione di orgoglio nazionalista. Insomma, le avanguardie delle due truppe di supporter si godono qualche ora di sano turismo, nella tranquillità di una Londra che sembra far fatica a risvegliarsi dai bagordi del venerdì sera.

Per trovare il grosso dei due contingenti basta spostarsi dalle parti di Baker Street, dove al civico 221 – che in realtà non esiste – Conan Doyle ha immaginato la dimora di Sherlock Holmes. Niente affatto interessati al museo messo su per celebrare il meticoloso investigatore e lo stile di vita dell’epoca vittoriana, frotte di fan invadono i tanti pub della zona, pronti a saltare su una metro che li conduca a Wembley Park. A posteriori potrà sembrare un segno del destino, il vagone del convoglio diretto al tempio del calcio d’oltre Manica verso le 12.30 è tutto occupato dai supporter del Portsmouth. Nessuno sembra teso, vuoi perché pensano di vincere contro avversari meno quotati e arrivati a metà classifica in Chmpionship, vuoi perché si vogliono godere una giornata di festa, il loro momento di gloria. Ridono e scherzano, poi dopo la fermata di Neasden vediamo i loro occhi illuminarsi di gioia come quelli di un bimbetto davanti ai regali sotto l’albero di Natale: hanno appena scorto l’imponente sagoma dell’arco che sovrasta Wembley, il nuovo simbolo che ha sostituito le due torri più famose del calcio mondiale. Subito partono i cori per salutare la terra promessa e ringraziare la loro squadra che li ha portati fin là. Scendiamo dal tube e percorriamo anche noi emozionati l’Olympic Way, l’ampio viale che conduce all’impianto.

Il flusso di supporter si snoda lentamente, tra una pausa per acquistare la sciarpa o la spilletta commemorativa e il programma del match (invero molto esoso) e le immancabili foto ricordo. Per stuzzicare la voglia di un “souvenir speciale”, la Football Association ha posto ai lati della Olympic Way una serie di pannelli di legno con la riproduzione a grandezza naturale di un giocatore di una delle due squadre che alza la coppa. Al posto della testa un foro, dove possono fare capolino i capoccioni dei tifosi di Portsmouth o Cardiff per uno scatto degli amici. Mentre un fan gallese si appresta a farsi immortalare tutto sorridente, ci capita di sentire un caustico commento di un anziano appassionato dei Pompey: “Amico, più vicino di così alla coppa oggi non ci arrivate”. Alla fine avrà ragione lui.

Giunte sotto la statua di Bobby Moore, l’eroe dei mondiali del 1966 che accoglie gli ospiti di Wembley con una posa fiera e orgogliosa, da vero capitano indomabile, le due blue army prendono strade opposte, dirette verso i settori a loro assegnati. Il tutto sotto l’occhio vigile dei tanti bobby impiegati per l’occasione. Il passato turbolento delle due tifoserie, la 6,57 Crew del Portsmouth e la Soul Crew del Cardiff erano fin troppo attive negli anni bui dell’hooliganismo, sembra solo un brutto ricordo. L’eccitazione è a mille, ma sfocia in una calorosa dimostrazione d’affetto per i propri colori e nulla più.

Il pre-partita all’interno del maestoso impianto di Wembley – si vede che è stato realizzato dagli stessi architetti dell’Emirates dell’Arsenal, è del tutto simile, con qualcosa come 30mila posti in più... – è un misto di tradizioni e concessioni alla modernità, con la musica d’antan della banda dei granatieri e l’”inno” della FA Cup Abide with me inframezzati da musica pop sparata a tutto volume e lo speaker a sgolarsi di brutto per fomentare un pubblico già caldo di suo. Ma è la parte finale della lunga cerimonia di avvicinamento al match a riservare le emozioni più forti, con l’entrata in campo della coppa e delle squadre, accolte per la stretta di mano di rito da un Sir Bobby Robson fiaccato dalla malattia contro cui lotta da anni ma non per questo meno combattivo del solito. Lui al vecchio Wembley era di casa. Lì da allenatore vinse una Coppa nel 1978 con il suo “mitico” Ispwich Town e guidò dalla panchina la nazionale dei Tre Leoni dal 1982 al 1990.Agli inni, sia il gallese Lands of my Fathers che l’inglese God Save the Queen, arriva l’unico momento spiacevole della giornata, con qualche fischio di troppo a rimarcare una rivalità tra due popoli che non si sono mai amati troppo. Il resto è ormai storia. La partita dura solo fino al 38° del primo tempo, quando cuore pazzo Kanu segna il gol che regala la coppa al Portsmouth dopo 69 anni (nel 1939 umiliarono il Wolverhampton per 4-1). Dopo la marcatura il Cardiff, che pure nel primo tempo gioca meglio dei rivali, non ce la fa a impensierire più di tanto la coriacea – e difensivista – compagine della costa meridionale dell’Inghilterra. Lo spessore tecnico-tattico dei vari Muntari, Kranjcar, Campbell e Diarra ha la meglio sui Blue Birds, un misto di giovani promesse – in primis il diciassettene Ramsey, per molti addetti ai lavori il nuovo Gerrard – e vecchie glorie sul viale del tramonto – su tutti Hasselbaink, che ci prova senza che il fisico lo assecondi più troppo. Meglio ricordarsi il Cardiff per gli splendidi cori dei suoi tifosi – quello sulle note di Hey Jude dei Beatles cantato a squarciagola è da pelle d’oca. Il sogno dell’accoppiata Sei Nazioni di rugby (il vero sport nazionale gallese) più Coppa d’Inghilterra svanisce sul più bello. L’impresa del 1927 non si ripete. Allora il Cardiff, quotata formazione di Prima Divisione, sconfisse l’Arsenal divenendo l’unico team non inglese a vincere la FA Cup – il tutto in un 23 aprile, il giorno dedicato a San Giorgio, il santo patrono della patria di Shakespeare e Churchill. Finisce con lo sventolio di bandierine – ora vanno di moda, nelle finali anni settanta e ottanta era invece un florilegio di striscioni – e il boato della metà stadio occupata dai seguaci dei Pompey alla chiusura delle ostilità. I mega-schermi di Wembley riprendono le immagini della premiazione – a proposito, per arrivare al palco reale i gradini da salire ora sono 107, non più 39 come nel vecchio impianto – e delle lacrime di John Portsmouth Football Club Westwood. Ovvero del fanatico con treccine bianco-blu, tatuaggi dei Pompey su tutto il corpo e campanella d’ordinanza che in tanti avranno visto durante qualche telecronaca delle partite del Portsmouth – beh, è quanto meno pittoresco, e poi volete mettere l’”aggiunta” al nome, peraltro regolarmente registrata all’anagrafe... Forse però non tutti sanno che nella vita il nostro fa il libraio!

Oltre al trofeo, ai vincitori va un assegno di un milione di sterline, che si va a sommare ai premi riscossi in precedenza, per un totale di poco meno di tre milioni. Poco, se raffrontato alle fortune che si guadagnano ben figurando in Premier o in Champions League. Sarà anche per questo che la Coppa ha perso un po’ del fascino e della passione di una volta, che nei primi turni troppe squadre mandano in campo formazioni ricche di riserve e che gli stadi non sono pieni. Intendiamoci, nulla di paragonabile allo squallore di un ottavo di Coppa Italia, anche perché in Inghilterra la FA Cup si gioca nel fine settimana e non in un infrasettimanale e poi la formula del sorteggio libero e dell’incontro secco con eventuale replay mantengono un equilibrio e un’incertezza che da noi ci sognamo. E’ pur vero che, fatta salva l’edizione 2007-08, negli ultimi anni i grandi club hanno fatto man bassa, a dimostrazione di un certo qual interesse. Che poi per alimentare la famosa “cup magic” ci vogliano finali tra realtà come i Pompey e i Blue Birds ciò è indubbio.

Dopo una buona mezz’ora di festeggiamenti, anche gli ultimi drappelli di fan del Portsmouth lasciano Wembley. Chissà, forse staranno già pensando al loro esordio assoluto in Europa, al primo turno della Coppa Uefa 2008-09. Di sicuro a loro importa ben poco che il club per cui tifano abbia schierato in finale solo quattro giocatori inglesi e che anche la proprietà sia straniera – il presidente è il russo-israeliano Alexandre Gaydamak, figlio di quell’Arcadi qualche anno fa coinvolto in una brutta storia di traffico d’armi in Angola. E’ un altro segno dei tempi, del calcio inglese globalizzato e multi-milionario, di Wembley con l’arco gigante e della FA Cup che non conta più come una volta. Ma che è pur sempre il torneo calcistico più antico della storia.

BOX DERBY BRITISH IN PANCA
Nell’era delle squadre infarcite di giocatori e tecnici stranieri, la finale di Coppa ha visto fronteggiarsi due allenatori inglesi: Harry Redknapp (Portsmouth) e Dave Jones (Cardiff). urioso come entrambi abbiano in comune una brutta esperienza con la giustizia di Sua Maestà, fortunatamente risoltasi senza conseguenze negative. Redknapp, figlio del proletario East End londinese ed ex giocatore e allenatore del West Ham, lo scorso novembre è stato arrestato in quanto ritenuto responsabile di aver corrotto gli agenti di alcuni calciatori. L’incubo nelle patrie galere è durato poco più di 24 ore, poi le accuse non sono state formalizzate, lasciando a Redknapp l’amaro in bocca e la seria intenzione di adire le vie legali. Discreto giocatore di Everton (team della sua città d’origine) e Coventry City, Jones prima di intraprendere la carriera di tecnico lavorò per un periodo come assistente sociale. In quell’epoca subì un procedimento penale per pedofilia. Anche nel suo caso si accertò la totale estraneità ai fatti. Ma quell’accusa infamante lo ha segnato profondamente. La storica finale raggiunta con il Cardiff lo ha senza dubbio ripagato di quei momenti difficili. Peccato la coppa l’abbia potuta alzare solo Redknapp, idolo della tifoseria Pompey, che gli ha perdonato anche un breve intermezzo alla guida degli odiati rivali del Southampton. Forse perché con lui in panchina i Saints sono retrocessi in Championship...

BOX LA COPPA MATTA
L’hanno definita la FA Cup delle grandi sorprese. Non a caso il Portsmouth è stato il primo team non di Londra, Manchester o Liverpool a vincere la coppa dal 1973 (allora toccò al Sunderland sorprendere un Leeds strafavorito). Era dal 1995 che le Big Four (Manchester United, Arsenal, Chelsea e Liverpool) non si lasciavano sfuggire il trofeo – in quell’anno si impose l’Everton. Invece la coppa 2007-08 se la ricorderanno tutti per il Liverpool che prima rischia contro i dilettanti dell’Havant & Waterlooville e poi soccombe all’ultimo minuto ad Anfield con i carneadi del Barnsley. La compagine dello Yorkshire ha poi stupito ancora una volta tutti sbattendo fuori niente meno che il Chelsea. E che dire dell’incredibile match tra Manchester United e Portmouth, perso dai Red Devils dopo un assedio d’altri tempi della porta dei Pompey? Insomma, ad aprile non si è stupito nessuno se a giocarsi le semifinale c’era solo una compagine della massima serie (non accadeva dal 1908). Il Cardiff non ha però imitato il West Ham, ultimo club di Second Division a vincere la FA Cup (correva il 1980).

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