lunedì 7 luglio 2008

E io mi faccio il club!

In anteprima un mio articolo che apparirà nei prossimi giorni sul sito dell'associazione Action Now!

In principio fu l’AFC Wimbledon. Poi arrivò l’FC United of Manchester, adesso esiste anche l’AFC Liverpool. Se non fosse una cosa seria – ok, parliamo di football, che però è pur sempre una disciplina praticata e seguita da centinaia di milioni di persone in giro per l’orbe terracqueo – si potrebbe affermare banalizzando che oltre Manica va di moda la squadra fai-da-te. Ovvero la compagine generata, alimentata e accudita dai fan di qualche grande (Manchester United e Liverpool) o di team capaci lo stesso di fare la storia pur senza avere tutti i quarti di nobiltà. Per questi ultimi si veda alle voci Crazy Gang, John Fashanu, Vinny Jones e finale di FA Cup 1988, vinta dal Wimbledon (è di loro che stiamo discettando, ovviamente) niente meno che a spese dei grandi Reds, dominatori di quel decennio.

Al di là della passione tipicamente britannica per il do-it-yourself (il nostrano fai-da-te), c’è tutta una serie di motivazioni che hanno condotto storici supporter del Wimbledon piuttosto che del Liverpool a metter su un club ex novo. Tagliando un po’ con l’accetta, il minimo comun denominatore è il calcio moderno – anche se a noi piace più l’espressione corporate football – e tutte le storture che si trascina dietro nel suo cammino troppo spesso infarcito solo di vagonate di quattrini, ma privo del rispetto che si deve ai valori cardine del gioco del calcio.

Uno di quei valori è il rispetto della comunità alla quale il club calcistico appartiene. Se a quella comunità del Sud di Londra, vicino al più famoso club di tennis del pianeta, prima levi lo stadio – ok, il vetusto Plough Lane era inadeguato – poi ti fai ospitare da dei vicini i cui supporter ti vedono come il fumo negli occhi (il Crystal Palace), quindi parli di muovere baracca e burattini in Irlanda e per finire trascini la franchigia – pardon, il club – 80 miglia più a nord, beh, sarebbe da matti credere che la stessa comunità accolga la cosa con un fragoroso applauso. Anzi, per dirla tutta dalle parti di Londra Sud si sono proprio alterati, e anche tanto!

Fin troppo tardivo è apparso allora l’atto di contrizione delle autorità federali, che dopo aver dato l’avallo allo sportamento del Wimbledon a Milton Keynes e il cambiamento di nome in MK Dons, aveva promesso che una simile evenienza non si sarebbe più verificata. Per intenderci, niente più mosse stile Nba o Nfl, dove i presidenti possono spostare la squadra altrove, qualora la piazza sia più interessata (e “munifica”) nei confronti del basket piuttosto che del football americano.

Ça va sans dir che alla fine i tifosi di lunga data del Wimbledon, coloro che vivendo a Londra sud affollavano le gradinate del vetusto Plough Lane, poi abbandonato nel 1991, il trasferimento del loro club non l’hanno proprio mandato giù. Per questo si sono decisi a fondare un club tutto loro, rinominato, ovviamente, AFC Wimbledon. Meglio partire dai bassifondi delle leghe dilettantistiche, che doversi piegare all’umiliazione di sostenere una squadra sradicata dal suo luogo d’origine e per giunta con un nome diverso, hanno pensato.

Il motore di tutta l’iniziativa è stato un trust, per la precisione il Dons Trust. L’AFC Wimbledon fin dai suoi primissimi giorni di vita ha riscosso un notevole successo. Per la sua prima partita di sempre, l’amichevole contro il Sutton United il 10 luglio 2003, erano presenti ben 4.500 supporter (la media casalinga di spettatori si è poi stabilizzata sulle 3.000 unità). Sono subito arrivate due promozioni consecutive, alle quali ha fatto seguito un periodo di assestamento per provare ad entrare, o dovremmo dire rientrare, nell’elite del professionismo. Adesso i nuovi Dons, dopo l’ennesima promozione strappata nella stagione 2007-08, giocano in sesta serie (Conference South), “solo” tre gradini sotto la League One, divisione in cui da agosto si cimenteranno i cuginastri del Milton Keynes. Dobbiamo aggiungere che il sogno dei supporter dell’AFC è un bel derby da disputare il più presto possible? No, lo avevate già capito da soli…

Ma lasciamo il Sud dell’Inghilterra per spostarci un po’ più a Nord, nella città culla delle suffragette, dei sindacati e … di tanti grandi campioni del football e di ottimi musicisti. A Manchester, sponda Old Trafford, non ci si è battuti contro un trasloco o un cambio di nome. Ci si è scontrati con una ricca famiglia americana che in tanti non volevano alla guida del club. “Blazer out”. I muri nei pressi dello storico impianto dei Red Devils sono ancora oggi pieni di questo invito non proprio amichevole rivolto alla famiglia Blazer che nell'estate del 2005 ha rilevato la quasi totalità delle azioni del Manchester togliendolo dalla borsa. Un'operazione da 830 milioni di sterline anche se tramite arguzie contabili una larga fetta del totale investito è stata accollata allo stesso Manchester United. Per bloccare il tycoon Malcolm Glazer i tifosi le hanno provate tutte, a volte anche superando i limiti imposti dalla legge e dal buon senso. Proprio loro, che già nel 1998 si erano opposti all'acquisto del club da parte di Rupert Murdoch, questa volta si sono dovuti arrendere. Quando fermarono la scalata del fondatore di Sky dalla loro parte avevano le regole di diritto, tanto che la Commissione di Controllo sulla concorrenza stabilì che il magnate australiano non poteva ottenere il controllo di un club di Premier. La motivazione era palese: si sarebbe creato un forte conflitto di interessi con il Murdoch proprietario del network Sky che sarebbe poi finito per negoziare con il Murdoch presidente del Manchester United la vendita dei dritti televisivi della Premier. Vi ricorda qualcosa?
Nella battaglia contro Glazer le chiassose proteste di piazza fecero il paio con il tentativo dei 32mila membri della Shareholders United di entrare in possesso delle azioni sufficienti per bloccare la scalata. Fu tutto inutile. Così una quarantina di ex frequentatori dell'Old Trafford decise di fare un passo indietro e fondare l'FC United of Manchester. A quegli hardcore fans passare dal “teatro dei sogni” al modesto Giggs Lane di Bury, cittadina ormai fagocitata dalla periferia di Manchester e base delle imprese sportive dell'FC United, è sembrata una logica conseguenza del disfacimento del rapporto di osmosi tra la squadra di calcio e la comunità locale. Così hanno messo su un club tutto loro, che dei Red Devils originali ha i colori, il simbolo (quello in auge negli anni settanta) e il nome. Come scritto nel suo manifesto, il nuovo United è “un club gestito in maniera democratica dai suoi membri e accessibile da parte di tutti gli abitanti della comunità di Manchester”. La società ha uno statuto simile ad un ente no profit, il suo board viene eletto dai 2.500 membri attuali, tende ad incentivare la partecipazione ed il coinvolgimento dei giovani e per far questo predica una politica di prezzi accessibili a tutti. L'avventura degli altri diavoli rossi tra i dilettanti è andata sin qui fin troppo bene. Hanno vinto alla grande i loro primi due campionati, guadagnandosi altrettante meritate promozioni. Nel 2006-2007 nella North West Counties League hanno portato a casa nientemeno che 112 punti, segnando una messe di gol: 157. Due nuovi record di categoria, molto difficili da battere in futuro. La media spettatori è più alta di quella del Bury, che gioca pur sempre nella quarta serie dei professionisti. Grazie alle round rules, meno draconiane nelle divisioni dilettantistiche, l’atmosfera alle partite ricorda più l’Old Trafford anni Settanta o Ottanta piuttosto che quello versione 2007-08. L’accesso al settimo gradino della piramide calcistica inglese è arrivato tramite la vittoria nei play offs della 1st Division North della Unibond League, e le aspettative per la stagione che sta per cominciare sono molto alte. Il ciclone FC United è talmente forte che a qualche realtà del calcio minore deve pur aver fatto storcere il naso. Gli autori dello “scisma” vanno però avanti per la loro strada, fatto anche di buone relazioni con gli sponsor – che hanno prontamente fiutato l’affare – un merchandising di successo e addirittura una TV via internet. Loro negano di voler scimmiottare il “vero” United e di avere particolari fini di lucro legati alle singole attività. Sarà, però leggere sul loro sito dell’esistenza della FCUM TV fa un po’ effetto – sebbene a dirla tutta la TV non è a pagamento.
Rimaniamo nel Lancashire, dove l’avvento del duo di milionari Hicks-Gillet ha prima solleticato l’appetito di trofei dei tifosi del Liverpool, poi scatenato un mare di proteste che non accennano a placarsi. Mentre il progetto di azionariato popolare promosso da alcuni appassionati per riappropriarsi del club sta muovendo timidamente i suoi primi passi, ci sono tifosi che hanno deciso di creare un club tutto loro, sulla scorta dell'esempio tracciato da l'AFC Wimbledon e l'FC United of Manchester. La nuova realtà si chiamerà AFC Liverpool e partirà dai gradini inferiori della piramide calcistica inglese, ovvero dalla divisione dilettantistica denominata Vodkat North West Counties League, Division Two, la stessa dove nel 2005 esordì la compagine anti-Glazer dell'FC United. Il deus ex machina di tutta quest'operazione, Alun Parry, ha dichiarato che la reale motivazione della nascita del nuovo club è la difficoltà di continuare a seguire il Liverpool in Premier, dato l'elevato costo dei biglietti (non tra i più cari della massima serie inglese, per la verità). Insomma, la colpa è proprio del sistema in generale, non è solo del litigioso duo Gillet & Hicks, che nel frattempo continua a farsi la guerra e a destabilizzare un ambiente frustrato dalle incertezze societarie e dall'ennesima stagione di fallimenti in campionato.

Insomma, al di là delle eterogenee motivazioni che portano a compiere un passo così drastico come quello di fondare il “proprio club”, nel panorama calcistico inglese ci sono sempre più realtà, trust in primis, che si battono per cambiare le cose. Il cammino è lungo e molto impervio, per cui non ci resta che augurare un bel in bocca al lupo a tutti e aspettare che quanto prima non spuntino fuori, che so, anche il Chelsea AFC piuttosto che l’Arsenal Gunners FC. Ad maiora!

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