mercoledì 18 luglio 2012

Scottish power

Scritto per Calcio 2000 di un paio di mesi fa.

Domanda oziosa e quanto mai sgradita ai supporter inglesi: i Tre Leoni avrebbero potuto raggiungere risultati migliori con un allenatore nato a nord del Vallo di Adriano in panchina? Se al posto dei vari Kevin Keegan, Glenn Hoddle e Steve McLaren ci fosse stato Alex Ferguson, tanto per fare un nome, si sarebbe rimediata qualche figuraccia in meno? Forse è inutile stare troppo a lambiccarsi il cervello su interrogativi del genere, siamo abbastanza certi che uno scozzese non sarà mai nominato manager della nazionale inglese. Vista la qualità dei tecnici nati dalle parti di Glasgow o Edimburgo da osservatori neutrali verrebbe da dire che è un vero peccato. Tanto per intendersi, nel recente passato due icone assolute come Matt Busby e Bill Shankly hanno dato inizio alla leggenda di due tra i club più famosi al mondo: Manchester United e Liverpool. E poi il primo allenatore britannico a sollevare una Coppa dei Campioni fu lo scozzese Jock Stein, che nel 1967 condusse i Celtic alla vittoria nei confronti dell'Inter di Mazzola e Facchetti. Per non parlare poi del baronetto che ha trasformato l'Old Trafford da oltre 25 anni a questa parte nel suo giardino di casa e a cui è già stata dedicata una delle tribune – per la statua pensiamo ci sia da aspettare ancora qualche anno, almeno finché non si ritirerà. Non sorprende allora che siano addirittura sette i tecnici scozzesi ad allenare un team di Premier. Gli inglesi, invece, possono contare solo quattro rappresentanti. Giusto per ribadire ulteriormente il concetto, non scordiamoci che l'ultimo connazionale di William Shakespeare che da manager ha condotto una squadra alla vittoria nella massima serie è stato Howard Wilkinson nel 1991-92. Allora la Premier non esisteva ancora, c'era la cara vecchia First Division.

Del più famoso dei “magnifici sette”, ovviamente Alex Ferguson, basti dire che forse quando leggerete questo articolo sarà diventato per la tredicesima volta campione d'Inghilterra con il suo Manchester United. Visto che prima o poi l'età della pensione arriverà anche per lui, a qualcuno dovrà pur toccare l'ingrato compito di essere il suo successore. Perché non David Moyes, un altro scozzese dotato di grande personalità e intelligenza tattica. Uno che in dieci anni al Goodison Park è riuscito a fare miracoli con i giocatori non proprio da urlo messigli a disposizione da una dirigenza sempre a corto di quattrini. Nonostante mille difficoltà e qualche stagione storta, vissuta flirtando con la zona retrocessione, Moyes ha ottenuto una finale di Fa Cup (persa di misura contro il Chelsea), una qualificazione ai preliminari di Champions League (poi però non passati e una serie di buoni piazzamenti a ridosso delle Big Four. Quando è servito non si è fatto scrupoli a pensare prima “al non prenderle”, ma nei limiti del possibile la qualità del suo gioco è sempre stata accettabile. Un po' come Sir Alex, anche il buon David ha una buona attitudine a valorizzare i giovani talenti, nonché a tirar fuori il meglio dal materiale umano a sua disposizione. Anche quest'anno i Toffees non si sono smentiti.

Oltre alla bella galoppata in Coppa d'Inghilterra, in Premier hanno figurato con una certa costanza nella parte sinistra della classifica, prendendosi le loro soddisfazioni contro le grandi. A cadere sotto i colpi di Cahill e compagni sono stati il Manchester City, Tottenham e Chelsea. I pochi denari ospiti della casse societarie sono stati investiti al meglio su un attaccante dal buon fiuto del goal come il croato Nikica Jelavac, prelevato per poco più di cinque milioni di euro dall'agonizzante Glasgow Rangers.

Uno dei grandi crucci per Moyes è quello di perdere con una certa costanza contro i cugini ricchi del Liverpool. Il 2011-12 in proposito non ha fatto eccezione. Anzi, con tre sconfitte su altrettanti match ha confermato un trend ben poco esaltante. Tornando alla sua possibile investitura come ipotetico erede di Ferguson, sarebbe però necessario un abile lavoro diplomatico per ricomporre il suo dissidio con Wayne Rooney. Il talento che proprio Moyes aveva lanciato in prima squadra alla tenera età di 17 anni, ha speso parole di fuoco contro il suo ex allenatore nella autobiografia pubblicata qualche anno fa, accusandolo di “averlo spinto a lasciare l'Everton”. Per la verità Rooney, dopo aver perso una causa per diffamazione, si è scusato pubblicamente e lo stesso Moyes di recente ha definito il suo ex pupillo “più maturo e saggio”. Però ci sorge il sospetto che, dopo la sua tempestosa relazione con Ferguson, Rooney non farebbe i salti di gioia a ritrovarsi di nuovo alle dipendenze di Moyes.

Passando al “resto” del gruppo il nome nuovo, l'emergente è senza dubbio Paul Lambert. Da giocatore ha assaporato l'immensa gioia della vittoria in Coppa dei Campioni, quando il suo Borussia Dortmund sconfisse un po' a sorpresa la Juventus nella finale del 1997. In veste di manager ha subito fatto parlare di sé in positivo. Con il piccolo Wycombe Wanderers raggiunse una semifinale di Coppa di Lega nonostante la squadra militasse in quarta serie, ma fu con il Colchester United che si fece notare per un esordio da favola nel derby contro il Norwich. Una schiacciante vittoria per 7-1, e per giunta al Carrow Road, che convinse la dirigenza dei Canaries a puntare forte sul promettente manager scozzese. Dopo un mese Lambert sedeva sulla panchina dei giallo-verdi, con i quali è riuscito nell'impresa della doppia promozione, dalla League One alla Premier. Per la cronaca, in quel fatidico primo anno il Norwich si prese la rivincita sul Colchester strapazzandolo con un sonoro 5-0. Il capolavoro, però, l'ex centrocampista di Borussia e Celtic lo ha compiuto con la salvezza conquistata in largo anticipo quest'anno. Si è affidato a giocatori pressoché tutti di origine britannica e con un'esperienza estremamente limitata ad alto livello – in parecchi prima di quest'anno non avevano mai calcato i campi di Premier – ma grazie al suo marchio di fabbrica, un'attitudine offensiva fatta di belle trame e ritmi vertiginosi, ha smentito tutti i pronostici che davano il Norwich per spacciato.

Nel tipo di tattica adottata e predisposizione a un gioco spettacolare Lambert assomiglia parecchio a Owen Coyle, che però dopo le belle imprese con il Burnley e gli ottimi primi tempi con il Bolton (con la sfortunata semifinale di FA Cup del 2011 a rappresentare la classica ciliegina sulla torta) quest'anno ha vissuto un'annata molto travagliata. Per carità, è stato in buona compagnia. Steve Kean (Blackburn Rovers) e Alex McLeish (Aston Villa) hanno collezionato un'infinità di problemi sia nel rettangolo di gioco che fuori. In comune hanno avuto i risultati mediocri e le contestazioni da parte dei propri supporter (il primo in quanto “raccomandato” dall'agente che ha facilitato l'arrivo in società dei nuovi proprietari, il secondo per aver allenato gli acerrimi rivali del Birmingham City).

In campionato, però, ha deluso anche il Liverpool di King Kenny Dalglish, poi abbondantemente rifattosi nelle coppe. L'ex numero sette dei Reds ha riportato un trofeo ad Anfield Road dopo sei anni di digiuno, ma soprattutto dal suo arrivo nel gennaio del 2011 ha dato nuovo entusiasmo a una tifoseria sull'orlo di una crisi di nervi. Il sessantunenne nativo di Glasgow è stato l'ultimo a vincere un titolo di campione d'Inghilterra con una piccola – era il manager del Blackburn nella stagione d'oro dei Rovers nel 1994-95 – ma nel 2000 si era poi ritirato dopo le pessime parentesi con il Newcastle e il Celtic. Chi lo riteneva un'allenatore dalla mentalità e dal gioco ormai obsoleti è stato in parte smentito dal suo ritorno alla guida del Liverpool – già condotto dalla panchina fra il 1985 e il 1991. La storia di Dalglish da manager dei Reds in un certo qual modo è stata determinata dalle grandi tragedie che hanno segnato il percorso del club negli anni Novanta. Dopo l'Heysel successe a Joe Fagan, mentre nel 1989 visse in prima persona il dramma dell'Hillsborough. Un evento troppo difficile da metabolizzare anche da un fiero scozzese come lui. Quando lasciò il Liverpool per la prima volta, afflitto da problemi di salute, aveva ancora negli occhi il magma mortale di corpi che era diventata la Leppings Lane quel maledetto 15 aprile del 1989. Ora si vocifera che a fine stagione potrebbe passare la mano un'altra volta, visto che la proprietà americana starebbe cercando un nuovo tecnico. E così la Kop si troverebbe di nuovo a dover dire addio a una leggenda come King Kenny. Un simbolo come ce ne sono pochi di questi tempi.

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