martedì 15 maggio 2012

Gascoigne, genio e sregolatezza

“Paul Gascoigne è l’unica star di livello mondiale prodotta dall’Inghilterra dal 1966 ad oggi”. Se lo dice Alex Ferguson – che di giocatori di un certo spessore tecnico ne ha allenati un bel po’ – forse c’è da credergli. Ovviamente Gazza rimane uno dei grandi rimpianti dello scozzese, che un tentativo di metterlo sotto contratto lo aveva anche fatto. “Annoverandolo nella mia squadra sono sicuro che sarei riuscito a fare qualcosa di buono per lui”. E anche in proposito non sussistono molti dubbi. Chissà, forse Sir Alex sarebbe riuscito a imbrigliarlo a dovere, o quanto meno a mettere un freno ai suoi eccessi, come fece con un’altra testa calda quale Eric Cantona.

Chi però deve rimpiangere ancor di più il mancato approdo a una squadra di altissimo livello come lo United è proprio lui, quel mattacchione di Gascoigne.

Troppi gli episodi che lo hanno penalizzato, quasi tutti da imputare alla sua condotta non proprio irreprensibile, dentro ma soprattutto fuori dal campo. Eppure che fosse un predestinato si capì fin dagli esordi nel Newcastle United, la sua squadra del cuore, dove formava coppia con il brasiliano Mirandinha e deliziava le gradinate del St James’ Park con colpi di genio assoluti. Personaggio lo è stato fin dalla prima ora e gli aneddoti su di lui si sprecavano già quando vestiva la maglia bianconera. Tanto per capirci, quando i tifosi avversari gli davano del ciccione e gli tiravano le barrette di cioccolato, lui rispondeva mangiandosele!

Nel 1988 un Tottenham quanto mai ambizioso, allenato da Terry Venables e in procinto di strappare Gary Lineker al Barcellona, superò la concorrenza del Manchester United e fece sì che Gazza diventasse il primo inglese a doversi accollare l’ingombrante etichetta di giocatore da oltre due milioni di sterline. Con gli Spurs giunse la definitiva consacrazione in patria, ma a livello internazionale ci pensò Italia 90 a farlo entrare nell’esclusivo club dei fuoriclasse assoluti. Gascoigne quel torneo lo giocò da protagonista. Le sue lacrime durante la semifinale persa contro la Germania commossero il Paese, ma non bisogna scordare che il quarto posto raggiunto a quella Coppa del Mondo è tuttora il miglior risultato dei Tre Leoni a un mondiale, eccezion fatta per il trionfo del 1966. Finalmente nel firmamento delle stelle globali si poteva annoverare un calciatore inglese, che riusciva a coniugare alla perfezione estro e fantasia di stampo latino con grinta e determinazione, le caratteristiche tipiche del calcio britannico.

All’epoca la nostra bistrattata Serie A era ritenuta, a ragione, il campionato più bello e competitivo del Pianeta, la destinazione più ambita di tutti i campioni. Gazza non fece eccezione, meritandosi le attenzioni della Lazio cragnottiana. Peccato che il ragazzo, poche settimane prima di trasferirsi a Roma, nei primi minuti della finale di FA Cup contro il Nottingham pensò bene di commettere un fallo da indagine di Scotland Yard, procurandosi la rottura dei legamenti del ginocchio destro. Singolare il fatto che Gazza si accorse della reale entità del suo infortunio qualche minuto dopo essersi pure schierato in barriera e aver assistito al vantaggio del Forest…

Gli Spurs finirono per vincere quella coppa, portata di fretta e furia in ospedale dal povero Paul per rendere partecipe della festa anche lui. Quel trofeo, l’unico vinto su suolo inglese, portava anche la sua firma. Se nell’atto conclusivo era stato quanto meno sciagurato, in semifinale contro l’Arsenal aveva incantato Wembley, segnando una punizione alla Zico.

I nefasti effetti dell’entrata assassina su Gary Charles valsero a Gascoigne un anno di inattività e alla Lazio un cospicuo sconto sul contratto di acquisto dal Tottenham (da 5,5 milioni di sterline si passò a 3,5).

Con i bianco-celesti, a causa di altri problemi fisici, Gazza giocò poco, ma tutto sommato bene. Nei minuti finali di un derby segnò un goal di testa sotto la Curva Nord che accrebbe in maniera esponenziale la sua posizione di idolo assoluto della tifoseria laziale, che del nativo di Gateshead amava il genio quanto la sregolatezza – tante le sue goliardate nel periodo romano, con rutti davanti alle telecamere e vagonate di scherzi ai compagni di squadra. A metà degli anni Novanta, però, colui che Diego Armando Maradona non tanto tempo prima aveva designato come suo erede naturale si ritrovò con un fisico pieno di acciacchi (un altro infortunio molto serio lo rimediò in allenamento fratturandosi tibia e perone in un contrasto con Alessandro Nesta) e un bisogno urgente di rivitalizzare una carriera in apparente declino accasandosi ai Rangers. Una carriera purtroppo già condizionata in maniera pesante da episodi extra-calcistici (botte alla sua fidanzata e qualche ubriachezza molesta di troppo). A differenza della versione attuale, agonizzante e sull’orlo del fallimento, la compagine di Glasgow all’epoca era una delle corazzate del calcio europeo, che con Gazza si aggiudicò due dei nove campionati consecutivi fra il 1989 e il 1997. Nel mentre si ricordano altre prestazioni da incorniciare in nazionale durante l’Europeo casalingo del 1996 e un’altra delusione nella semifinale persa ancora ai rigori contro la solita Germania. La marcatura nel derby contro la Scozia – sombrero a Colin Hendry e stoccata al volo per trafiggere Andy Goram – è stato forse l’ultimo lampo di classe ad abbagliare la platea internazionale. Durante il primo Old Firm del 1998 rispose con un “gesto settario”, ovvero mimando di suonare il flauto delle marce orangiste protestanti, a una provocazione dei tifosi del Celtic. Apriti cielo. Dopo minacce di morte e reprimende della Scottish Football Association, decise lasciare Glasgow per riavvicinarsi a casa. A Middlesbrough arrivarono le ultime perle di calcio di un giocatore già assalito dai demoni dell’alcool e di chissà cos’altro, che alla notizia dell’esclusione dalla rosa dell’Inghilterra per i mondiali francesi fece a pezzi una camera d’albergo. In seguito le poche presenze raccattate tra Everton, Burnley, i cinesi del Gansu Tianma e Boston United sembrarono solo l’estremo tentativo di posticipare un ritiro ormai inevitabile, coinciso con la stagione 2004-05.

Sparito dal rettangolo da gioco, Gazza continuò a essere una presenza fissa sui tabloid. Colpa dei suoi eccessi, delle incredibili dosi di alcool trangugiate (per mesi si scolò una bottiglia di whisky al giorno) e delle risse, degli incidenti di macchina e delle strisce di cocaina, dei guai con le giustizia e di terapie riabilitative che, a suo dire, lo hanno quasi spedito all’altro mondo. La sua confusione mentale era così estrema che quando il Barnsley sconfisse il Chelsea nella FA Cup del 2008 lui decise di festeggiare alla grande, per “rendere omaggio” alla sua ex squadra. Peccato che con i Tykes non avesse mai giocato e che semplicemente avesse confuso Barnsley (città dello Yorkshire) con Burnley (che si trova in Lancashire e con il cui club aveva avuto una fugace apparizione nel 2002).

Ma di storie anche meno amene ce ne sarebbero da raccontare così tante da riempire un’enciclopedia. Da questo punto di vista non aveva proprio nulla da invidiare al suo mentore Maradona, né al gruppo di giocatori talentuosi ma scavezzacollo che a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta furono bollati dalla stampa con l’appellativo di Mavericks (letteralmente, vitelli senza marchiatura). “Irregolari” che tra le loro fila ospitavano di diritto una celebrità come George Best, del quale in fatto di frequentazioni femminili e predisposizione alcolica si sa un po’ tutto. Non che i vari Stan Bowles, Rodney Marsh, Peter Osgood e Frank Worthington fossero da meno nell’approccio “molto spensierato” al football. In comune questi ultimi avevano tutti un intenso ostracismo da parte dei responsabili tecnici della nazionale inglese. Le loro presenze con la nazionale, infatti, furono scarsissime, un po’ per i loro caratteri alquanto complicati, un po’ perché espressione di un calcio fantasioso e anticonformista che in terra d’Albione non era troppo apprezzato. Lo stesso Bobby Charlton, l’ultimo campionissimo inglese prima di Gascoigne, è rinomato per la concretezza e il suo fiuto del goal, non esattamente per invenzioni degne del suo compagno di squadra dalla chioma fluente e dal tocco vellutato (Best, per l’appunto). Quanto meno Gazza con i Tre Leoni ha messo insieme 57 presenze e 10 reti e se ne fosse stato per i problemi fisici e le mattate varie di caps ne sarebbero arrivati ancora di più. Un chiaro segnale di come pian piano il football d’oltre Manica stia cambiando. Il problema è che al momento gente con la fantasia e i piedi di Gascoigne in Inghilterra non se ne trovano. L’unico che forse può essergli accostato è Wayne Rooney. Il soprannome è simile (Wazza), le marachelle non mancano (anzi), a essere differente è il rendimento in nazionale (troppi i suoi flop durante le grandi competizioni internazionali) e soprattutto un dettaglio non proprio insignificante: ad allenare il ragazzo di Croxteth è Alex Ferguson. Chi meglio di lui potrà dire se Rooney è oppure no il vero successore di Gascoigne?

Scritto per Calcio 2000 del mese scorso.

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