domenica 6 novembre 2011

Omaggio ad Alex Ferguson, la leggenda vivente dello United

Versione riveduta e corretta di un pezzo scritto qualche tempo fa.

Forse non tutti sanno che il tecnico più vincente della storia del football britannico ha rischiato di finire anzitempo la sua carriera sulla panchina del Manchester United. Non esiste una versione ufficiale, ma è ragionevole pensare che se Alex Ferguson non fosse riuscito a condurre la sua squadra al successo nella Coppa d'Inghilterra edizione 1989-90, l'allora dirigenza dei Red Devils lo avrebbe licenziato. Nella sua recente autobiografia Bobby Charlton, grande estimatore di Ferguson e dirigente del club per cui ha disputato oltre 600 partite, nega che si sia mai presa in considerazione l'ipotesi dell'esonero, ma in tanti tra gli addetti ai lavori e i tifosi hanno ben altra opinione. Il tecnico scozzese deve quindi il suo pressoché ineguagliabile palmares a quel primo, ormai lontano, trionfo nella competizione più longeva della storia del calcio: la FA Cup.

Non che il cammino per raggiungere l'atto finale della coppa non fosse stato lastricato di difficoltà ed imprevisti. Anzi, i maligni dicono che già la vittoria al terzo turno per 1-0 sul Nottingham Forest avesse evitato a Sir Alex una prematura dipartita dal Teatro dei Sogni. Per non parlare della semifinale contro il piccolo Oldham, vinta al replay dopo un rocambolesco 3-3 nel primo match. Una voglia di cambiamento nella gestione tecnica ci poteva anche stare, visti i risultati mediocri raccolti nelle sue prime stagioni da Ferguson. Eppure il futuro Re Mida del calcio inglese era approdato all'Old Trafford nel novembre 1986 con delle ottime referenze. In Scozia il suo Aberdeen non solo era riuscito a spezzare l'eterno duopolio Celtic-Rangers, ma aveva dato lezione al Real Madrid nella finale di Coppa delle Coppe 1982-83. A Manchester, invece, non pareva in grado di spezzare il sortilegio che voleva lo United incapace di aggiudicarsi il titolo di campione d'Inghilterra dal 1967. La dirigenza era perplessa, i frequentatori della Stretford End (la «curva» dei mancuniani), non ancora invasa dai seggiolini di plastica e irrigimentata da draconiane regole comportamentali, mugugnavano sempre di più. Mettete pure che in quegli anni i dominatori vestivano le magliette rosso brillante degli odiati vicini del Lancashire, quel Liverpool padrone sul suolo britannico e in Europa. Insomma, Sir Alex se la passava male. Il riscatto dei Red Devils doveva passare per quella finale che si giocava nel vecchio Wembley. L'avversario non era dei più temibili: il Crystal Palace. La compagine londinese però si era qualificata battendo in semifinale per 4-3 nientemeno che il grande Liverpool.

La partita decisiva per l'assegnazione del trofeo viene ricordata come una delle più appassionanti nella storia ultracentenaria della Fa Cup. Passato in svantaggio, lo United seppe rimontare grazie al capitano di mille battaglie Bryan Robson e ad uno dei tanti gol del gallese Mark Hughes. L'allenatore del Palace ed ex vecchia gloria del centrocampo mancuniano, Steve Coppell, giocò il tutto per tutto mandando in campo un giovane Ian Wright. Il futuro centravanti dell'Arsenal non solo riuscì a forzare la gara ai tempi supplementari, ma nell'extratime portò in vantaggio la sua squadra, approfittando alla perfezione degli infortuni che avevano privato la retroguardia bianco-rossa di Martin e Pallister. Il primo titolo nella storia delle Eagles londinesi sfumò a soli otto minuti dal fischio finale. Hughes rimandò tutto al replay del giovedì successivo - allora i rigori erano eventualità aborrita, almeno nelle finali. La seconda partita fu brutta, noiosa. Le due squadre avevano una fifa blu di perdere. Nel secondo tempo, in una delle poche azioni degne di nota, il carneade Lee Martin appena ricevuta palla nell'area di rigore avversaria scagliò un destro che non lasciò scampo al portiere del Palace. Per Ferguson era il primo dei tanti giorni di festa nella sua ultraventennale esperienza al Manchester United. I suoi diavoli rossi non si sarebbero più fermati. Già nella stagione successiva, quella del ritorno in Europa dopo i fatti dell'Heysel, trionfarono in Coppa delle Coppe sconfiggendo 2-1 il Barcellona. Poi la lunga teoria di vittorie - dodici in Premier, altre quattro in Fa Cup, quattro in Coppa di Lega, due in Champions League e in Coppa Intercontinentale - che sembra destinata a non finire mai. Per i fan diventa the wizard. Il mago.

Ferguson ha fatto addirittura meglio del suo illustre predecessore e connazionale Matt Busby, quello dei Busby Babes e della prima vittoria in Coppa dei Campioni nel 1968. Magistrali nel saper lanciare giovani campioni appena usciti dal vivaio, i due si differenziano per i caratteri apparentemente opposti. Calmo e pacifico Sir Matt, incazzoso e sanguigno Sir Alex. In realtà sono stati entrambi bravi a gestire le teste calde - Best e Law da una parte e Cantona, Ince e Rooney dall'altra - ma non hanno mai visto di buon occhio i contestatori. Busby se ne liberava in maniera «chirurgica», senza troppe discussioni. Ferguson, invece, non ha mai rinunciato a un acceso scambio dialettico - diciamo così - con il giocatore che metteva in discussione la sua linea. E' così che gente del calibro di Van Nistelrooy, Stam, Strachan, Beckham e a fine carriera anche il fido scudiero Roy Keane hanno finito i loro giorni al «Theatre of Dreams». Per la verità tanta intransigenza Sir Alex la dimostra anche nel campo della passione politica. Anni fa dichiarò al Mirror che i danni inferti alla sua terra di Scozia e all'Inghilterra del Nord dal governo dei Tories a cavallo tra anni Ottanta e Novanta erano stati tanti e tali che lui voterà per sempre Labour. Non a caso in più di una circostanza ha presenziato ad incontri ufficiali del partito, da sempre molto popolare al di là del Vallo di Adriano. Poco importa che i laburisti di oggi siano cambiati in maniera profonda rispetto a quando suo padre si guadagnava la giornata facendo il manovale nei cantieri navali di Glasgow. O quando lo stesso giovane Alex lavorava in fabbrica prima di diventare un calciatore professionista. «Io vengo da una famiglia e da una città working class, quelle sono le mie origini», ama ripetere con orgoglio, anche se venticinque anni di magie all'Old Trafford gli hanno regalato tanta fama ed un conto in banca invidiabile.

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