giovedì 10 marzo 2011

Spurs-Milan, un commento

Fantastica serata al White Hart Lane, che ho cercato di sintetizzare in un articolo che uscirà domani sul Manifesto e che metto a seguire. Peccato che la mia macchina fotografica sia giunta al capolinea e che io sia particolarmente scarso a usarla. Ieri il mio posto in tribuna stampa era a pochi passi dalle panchine e dal tunnel d'ingresso dei giocatori - e quindi dal campo. Ripeto, uno bravo avrebbe fatto un bel reportage fotografico, io preferisco non postare nulla...

Meglio riportare quanto scritto la sera in albergo, con ancora nelle orecchie il bellissimo "When the Spurs go marching in" cantato dai tifosi del Tottenham.

Nelle coppe europee continua il de profundis del calcio italiano, ormai sempre più in crisi. Dopo Napoli e Roma, anche il Milan saluta la compagnia, non senza rimpianti per qualche occasione sprecata di troppo. In casa del Tottenham, vincitore per 1-0 all'andata, ai rossoneri non sono bastati un gran primo tempo e tanta determinazione. L'andamento del doppio confronto ha in questo modo ricalcato quello della semifinale di Coppa Uefa 1971-72, l'unico precedente tra le due compagini, con una vittoria e un pari per gli Speroni. Ma almeno all'epoca il Milan un paio di gol li fece (2-1 e 1-1 I risultati finali). Quest'anno, compreso il match del Meazza, i ragazzi di Allegri non sono mai riusciti a superare l'estremo difensore dei londinesi, il brasiliano Aurelho Gomes. Uno che spesso si sveglia con la luna storta e ne combina di tutti i colori, ma che contro il Milan ha fatto meglio delle stelle Rafa van der Vart e Gareth Bale, per la verità un po' acciaccate. Va detto che al White Hart Lane, dove si è vissuto un revival del tifo inglese dei bei tempi andati – cori incessanti per 90 minuti, roba che troppo spesso le gare di Premier si sognano – i rossoneri sono arrivati con un centrocampo monco, causa le pesanti assenze di Andrea Pirlo, Massimo Ambrosini e Rino Gattuso (squalificato per il pepato “scambio d'opinioni” con Joe Jordan a San Siro). E poi c'è stata la sorpresa, che a ben vedere tale non è: la serataccia di Zlatan Ibrahimovic e di Robinho. Lo svedese non è nuovo a prestazioni balbettanti in Europa, per informazioni chiedere ai tifosi interisti e a Josè Mourinho. Il brasiliano, la “ciliegina” sulla torta della faraonica campagna acquisti berlusconiana della scorsa estate, da queste parti lo conoscono bene per il suo flop totale ai tempi del Manchester City. Non che in precedenza al Real Madrid avesse ben impressionato l'esigente pubblico del Bernabeu, ma in Inghilterra è riuscito a dare il peggio di sé, palesando sempre una certa idiosincrasia per i big match, tanto che alla sua cessione Roberto Mancini, l'allenatore del City, ha tirato un bel sospiro di sollievo.

Il Milan fallisce così per il quarto anno consecutivo l'obiettivo dei quarti di finale, dove approdano invece gli Spurs – che possono vantarsi di aver fatto meglio dei già eliminati e odiatissimi cugini dell'Arsenal. Harry Redknapp per una volta ha sopravanzato Arsen Wenger, ridando lustro alla categoria dei manager inglesi (l'ultimo ad aver allenato un club di Premier iscritto alla Champions League era stato il compianto Bobby Robson con il Newcastle nel lontano 2002-03). Gettatosi alle spalle storie un po' oscure di presunte mazzette versate ad agenti di alcuni giocatori, il buon Harry adesso studia da futuro commissario tecnico della nazionale inglese. Fabio Capello – a proposito di milanisti – lascerà nel 2012. Lui è pronto, ma intanto prova a portare il Tottenham a Wembley, come cantano e si augurano i tifosi. Ovvero alla finale della Champions League, che, salvo un miracolo dell'Inter, non vedrà protagonista nessuna squadra italiana.

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