domenica 14 aprile 2013

Ecco le quattro chiacchiere con John King

Scritto nel 2008 ma pubblicato in Italia dalla Boogaloo Publishing solo verso la fine del 2012, Skinheads è l'ultimo libro realizzato da John King, autore tra gli altri dell'opera di culto La tribù del calcio, scritta nel 1996 e basata alle “imprese” di un gruppo di tifosi del Chelsea. Ovvero la squadra che King sostiene fin da bambino. La sua produzione è incentrata su storie dalla forte caratterizzazione socio-politica, come il romanza “Smaltimento Rifiuti”, che lui stesso ha definito un “libro a difesa del sistema sanitario nazionale”, da anni ormai sotto attacco. Sei anni fa ha fondato la casa editrice London Books con lo scrittore Martin Knight, recuperando molte storie a sfondo sociale e della working class che risalgono agli anni 30 e sono stati messi ai margini o dimenticati per decenni.

In Italia abbiamo un'immagine molto stereotipata degli skinhead. Nel tuo libro riesci a spazzarla via. Ci potresti fare un breve sunto della storia di questa sottocultura?

Gli skinhead originali emersero alla fine degli anni 60. Erano grandi amanti di ska, rocksteady e bluebeat, tutta musica arrivata in Gran Bretagna dalla Giamaica. Molti singoli dello skinhead reggae hanno riscosso un enorme successo popolare. Prima c'erano i mod, gli skinhead in qualche modo hanno rappresentato l'estensione della generazione precedente. Il loro abbigliamento era incentrato su stivali Doctor Martens, jeans Levis, pantaloni Sta Prest, camicie Ben Sherman, magliette Fred Perry e giacche Harrington. La seconda ondata si è materializzata alla fine degli anni 70. Alcuni seguivano gruppi punk come gli Sham 69 e poi gruppi Oi! quali i Last Resort, altri erano più interessati alle nuove band ska inglesi dell'etichetta 2-Tone. Il suono di questi ultimi gruppi era una fusione dei veloci ritmi punk e ska. Queste passioni non di rado si sono intersecate e il look ha spesso rappresentato variazioni sul tema rispetto a quello originale. Nel caso degli Oi!, il look aggressivo era una reazione alla classe media che con le sue influenze hippie aveva annacquato il punk.

Soprattutto da noi, gli skinhead sono spesso associati a posizioni politiche di estrema destra.

Ci sono skinhead di sinistra e di destra, un po' come accade in ogni settore della società. Nel mio romanzo mi sono tenuto lontano dalla politica, concentrandomi invece sui personaggi e sul loro essere gente comune. Questo rispecchia la mia esperienza. Ho dato molto risalto alla musica, così lo skinhead originale Terry ama autori del calibro di Laurel Aitken e Prince Buster, mentre Ray è influenzato dalle Oi! band degli anni 80. Se dovessi definire uno skinhead, direi che è abbastanza patriottico, ama certi stili di musica, segue una squadra di calcio, socializza nei pub e proviene dalla working class. Gli skinhead hanno la reputazione di essere violenti, ma questo è vero per molte sottoculture giovanili, del presente e del passato. Nel caso degli skinhead, la violenza probabilmente è collegata alla nascita del teppismo nel calcio negli anni 60, che a sua volta va di pari passo con le prime partite di football trasmesse in TV e allo sviluppo dei media sensazionalistici.

In "Skinheads" racconti la storia di una famiglia. L'impressione che si ricava è che non ci sia una profonda spaccatura tra le generazioni come si potrebbe essere portati a credere. È vero?

Non ho mai pensato che ci sia una frattura tra le generazioni, non certo tra le persone che conosco. Credo che sia vero il contrario, che i veri insegnamenti si tramandino all'interno delle famiglie, perché non sono influenzati da elementi esterni e “propagandistici”. Da giovani è naturale ribellarsi contro i propri genitori, magari facendo qualcosa che loro non approvano, ma passa in fretta per la maggior parte delle persone. Ovviamente ci sono casi estremi, ma in generale come possiamo rifiutare le precedenti generazioni della nostra famiglia? Sarebbe come rifiutare una parte di noi stessi. Posso sedermi in un pub, con le persone di 19 e 20 anni e alla fine le loro lotte sono più o meno le stesse che ho fatto io, i loro sogni molto simili ai miei. Loro sono io quando ero giovane, forse io sono loro quando saranno più grandi.

È corretto affermare che le sottoculture sono molto più un fenomeno delle generazioni passate e che prima erano molto più radicate di quanto siano al giorno d'oggi?

Questo è vero, il mondo degli affari ha rubato un sacco della nostra cultura, rimpacchettandola, marchiandola e rivendendola alla gente in forma diluita. Come diceva Joe Strummer, 'hanno trasformato la ribellione in denaro'. Tutte le sottoculture avevano una matrice popolare, ma molte di quelle più familiari ora sono rivendute ai più giovani. Ma ci sono altre sottoculture che forse non sono così palesemente visibili, anche se credo che ci sia una nuova generazione che sta rivivendo gli stili di abbigliamento e la musica dei filoni punk, ska, folk e rock. Nella globalizzazione tutto si scopre con facilità. C'è meno localismo. Tanto mistero è stato distrutto. È anche vero che sono in tanti ad avere inventiva, il che finisce per mettere all'angolo le multinazionali. I giovani che conosco sono molto creativi e dinamici, non si lasciano ingannare facilmente.

"Skinheads" è un libro scritto prima dell'inizio della crisi che stiamo ancora attraversando. Quali effetti sta avendo sulla società britannica? Pensi che la gente stia reagendo bene o in maniera troppo passiva?

Ovviamente la crisi ha colpito forte in termini di aumento della disoccupazione e dei debiti delle persone, ma i nostri “controllori” la stanno usando come strumento per smantellare lo stato sociale. Un processo in atto in tutta Europa, soprattutto nell'Eurozona, dove le istituzioni godono di maggior potere, al punto di condizionare in maniera pesante le decisioni dei singoli governi. È spaventoso.

In Gran Bretagna, il premier Cameron sta continuando il lavoro di Blair e della Thatcher. Credo che dovremmo investire nel settore pubblico, non apportare tagli, quindi per me le misure di austerità hanno una forte impronta ideologica. La crisi è una cortina di fumo per procedere con le privatizzazioni, come richiesto dalle direttive comunitarie. Allo stesso tempo, penso che il popolo britannico sia ben contento che il Paese non faccia parte dell'Eurozona, così che non ci troviamo nella posizione di Irlanda, Grecia, Italia e Spagna.

La gente si sente impotente e in tanti pensano, me compreso, che dobbiamo uscire dall'Unione europea nel più breve tempo possibile. Lo stesso vale per qualsiasi altro paese che vuole mantenere la sua sovranità. Vedo l'UE come un super-Stato totalitario in fieri, mentre l'Eurozona sta distruggendo le culture e la vita delle persone.

Qual è il tuo parere sui disordini del 2011 in Inghilterra?

Io vivo in una delle zone più colpite dai disordini, così li ho potuti seguire molto bene di persona, tanto che all'una del mattino del primo giorno il mio appartamento era pieno del fumo degli edifici in fiamme. Devo dire che non sono molto “in sintonia” con i ragazzi che hanno devastato i quartieri dove vivono le loro stesse comunità. Non credo che ci fosse un elemento politico dietro i disordini. Alla base di quanto accaduto c'è stata la morte di un giovane ucciso dalla polizia, ma gli eventi che sono seguiti in altre aree sono stati casi di disordini fini a se stessi, con forti infiltrazioni di elementi criminali che hanno approfittato della confusione che si è creata. La polizia non ha fatto molto per mettere subito un argine ai riots. Hanno preferito usare le telecamere a circuito chiuso per catturare gli individui coinvolti. Però alla fine cinque persone hanno perso la vita perché tante altre volevano mettere le mani su alcuni prodotti di marca...

In generale, pensi che la società britannica sia più violenta rispetto al passato, visti anche i tanti accoltellamenti di giovanissimi a Londra e in altre parti del Paese?

In realtà credo che l'Inghilterra sia molto più tranquilla oggi. Sì, ci sono stati vari accoltellamenti a Londra, ma sono relativamente poco numerosi e in gran parte collegati a questioni di droga. Questo non rende tali episodi meno tragici, ma non è un esempio rappresentativo di tutto il paese.

Anche in passato ci sono stati degli accoltellamenti, ma da noi chi usa i coltelli è sempre stato guardato con disprezzo dagli esponenti della working class. Prima c'erano numerose risse per strada e nei pub e si usavano quasi sempre le mani. In generale direi che gli anni 70 e 80 c'era molta più violenza di oggi. Forse il modo in cui vengono diffuse immagini violente su Internet e in televisione dà un'impressione sbagliata. La mia sensazione è che l'Inghilterra sia un posto abbastanza sicuro e tollerante in cui vivere.

Forse il tuo libro più famoso, almeno in Italia, è "The Football Factory". In Inghilterra c'è un crescente numero di tifosi schierato contro il corporate football. Pensi che riusciranno a fermare l'iper-commercializzazione del calcio?

Sarà molto dura, ma almeno tanti supporter hanno preso posizione in maniera molto netta. Ritengo che il calcio sia stato rubato alla gente. I nostri governanti ci spremono su ogni elemento della nostra cultura. Schiacciano tutta la vitalità, soffocano la nostra libera espressione per poi rivenderci un prodotto a loro immagine e somiglianza. Non a caso molte persone sono contro il calcio moderno. Migliaia di fan anni fa hanno rinunciato a seguire la Premiership. Purtroppo i loro posti sono stati occupati dai “nuovi tifosi”, cacciatori di gloria e appassionati part-time. Al Chelsea stiamo lottando per salvare Stamford Bridge, visto che Roman Abramovich vuole vendere il terreno per un sacco di soldi e trasferire il club altrove. Quanto successo ai nostri club calcistici più importanti è veramente tragico.

A proposito del Chelsea, lo segui ancora? In tanti dicono che l'atmosfera a Stamford Bridge è molto diversa rispetto al passato. Troppi soldi e vittorie uccidono la passione?

Rispetto alla squadra che ho seguito di persona allo stadio negli anni 70 e 80, ma in parte anche nei 90, il Chelsea è cambiato in modo radicale. Ci sono ancora “veri” tifosi che vanno allo Stamford Bridge e c'è uno zoccolo duro che segue la squadra ovunque, ma la maggior parte della mia generazione ha rinunciato, mentre i giovanissimi non possono permettersi di pagare l'esorbitante costo dei biglietti. Io vado allo stadio ogni tanto, ma a essere onesti mi annoio sempre di più.

Qual è il tuo parere in merito alla sottocultura casuals?

Casuals significa cose diverse per persone diverse, ma immagino tu intenda la terrace culture del calcio inglese? È un modo di vivere, direi addirittura una ragione di vita quando si è giovani. Nel corso degli anni parte di questa sottocultura è stata distorta, ma a me da ragazzo piaceva tanto andare a vedere le partite del Chelsea dalla Shed (la “curva” dei Blues, ndr), o attraversare l'Inghilterra e l'Europa al seguito della mia squadra del cuore. Ci sono vari livelli, ma nel complesso l'amore per il calcio garantisce un forte interesse alle persone. Certo, si sono verificati episodi negativi, tuttavia essere casuals riguardava più condividere alcune esperienze con i tuoi amici che dedicarsi alla violenza. Voleva dire socializzare, viaggiare, ascoltare un certo tipo di musica, vestire con un determinato stile, condividere le storie dei vari “personaggi” delle gradinate, delle terraces. C'è stato un momento in cui le cose sono andate fuori controllo, ma il calcio è sempre stato un elemento cardine delle comunità, un elemento che unisce anche gruppi di persone con età e background sociali differenti. Andando indietro nel tempo, la presenza sulle gradinate, dove si stava in piedi, mai seduti, ha garantito alla gente una preziosa valvola di sfogo, godendosi quello che il mio giocatore preferito, Alan Hudson, definisce il 'the working man's ballet'.

La verità sulla tragedia di Hillsborough, quando 96 tifosi del Liverpool morirono allo stadio dello Sheffield Wednesday, è finalmente emersa. Che opinione ti sei fatto su questo terribile evento?

Tutti sapevano la verità, ma nulla è stato fatto. Ricordo che un paio di anni prima, quando il Chelsea giocò a Sheffield, in quella maledetta gradinata dell'Hillsborough c'ero anche io e ci furono dei problemi. C'era qualcosa che non andava nella struttura in sé, ma la mia convinzione è sempre stata che sono state le barriere di protezione a uccidere i supporter del Liverpool. La polizia avrebbe dovuto controllare meglio la situazione, mentre sembra che l'abbia gestita malissimo, cercando solo di coprire i propri errori. Sono sicuro che ora ci saranno varie azioni giudiziarie, ma se quelle recinzioni non fossero esistite i tifosi si sarebbero salvati. Ma proprio quelle recinzioni sono state volute dai politici e credo che anche loro dovrebbero essere chiamati a rispondere di quanto accaduto. I tifosi del Liverpool che si sono battuti per avere giustizia sono persone incredibili, un esempio per tutti.

I governi Thatcher e Blair hanno promulgato delle leggi draconiane per reprimere il teppismo negli stadi. Pensi che per bloccare il fenomeno si siano violati i diritti civili dei tifosi?

Sì, sicuramente, ma troppo spesso i diritti civili degli appassionati di calcio sono stati ignorati. Anche prima del giro di vite, la polizia erano sempre pronta a usare la mano pesante e ad arrestare chiunque, facendo più o meno come voleva. Detto questo, è anche vero che negli anni 70 le forze dell'ordine hanno avuto a che fare con vasti gruppi di tifosi che ogni sabato causavano degli enormi disagi in giro per il Paese. Oggi tutto ciò è inimmaginabile.

Hai dichiarato che George Orwell ha esercitato una grande influenza sulla tua attività di scrittore. Pensi che i libri di Orwell siano ancora attuali?

Sì, così come lo sono opere quali Brave New World di Aldous Huxley e Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, che sono libri che metto allo stesso livello di 1984, La fattoria degli animali e dei saggi e degli articoli di Orwell. Proprio Orwell ha scritto delle persone al potere in un modo quanto mai attuale, visto che la maggior parte dei politici ha un'istruzione universitaria ma non ha mai avuto un vero lavoro. Il Partito Laburista è stato costituito per rappresentare gli uomini e le donne comuni, tuttavia adesso ha perso il contatto con la realtà. Orwell era un socialista, ma è riuscito a volgere lo sguardo oltre la linea del partito, ha visto come il linguaggio e la storia potevano essere distorti, mentre Huxley scriveva di genetica e del consumo di droghe come controllo sociale e Bradbury si concentrava sulla distruzione della letteratura e del libero pensiero. Tutte cose che stanno accadendo al giorno d'oggi.

Ai tempi di Orwell, i dittatori dicevano quello che pensavano e impiegavano la forza bruta, ragion per cui erano facilmente identificabili e li si poteva combattere. Ora i nostri nemici sono in gran parte invisibili e più subdoli. È vero, sono guidati dalla stessa avidità e fame di potere, ma agiscono più sottotraccia, dicono una cosa e fanno l'esatto opposto, comunicano solo per fare pubbliche relazione e nient'altro. Le persone che stanno modellando le nostre società sono non identificabili. La gente comune adesso può contare sulla disponibilità di un numero crescente di beni di consumo, ma alla fine sono massicciamente in debito. Il livello di indebitamento è così alto che in tanti gireranno una percentuale significativa dei loro salari alle banche per i decenni a venire. Sarebbe interessante vedere come Orwell, Huxley e Bradbury riscriverebbero quei romanzi adesso. I mezzi tecnologici probabilmente cambierebbero, ma credo che i messaggi rimarrebbero gli stessi.

Ora hai una tua casa editrice. Ci puoi raccontare qualcosa al riguardo?

Ho messo su London Books (www.london-books.co.uk) con lo scrittore Martin Knight sei anni fa. La nostra collana principale è quella dei London Classics, che comprende storie a sfondo sociale e della working class. Sono quasi tutti romanzi che risalgono agli anni 30 e sono stati messi ai margini o dimenticati per decenni. I nostri autori sono James Curtis, John Sommerfield, Gerald Kersh, Robert Westerby, Alan Sillitoe e Simon Blumenfeld. Si tratta di opere di narrativa molto forti, scritte in maniera vibrante, senza censurare nulla. Sono istantanee di Londra che è impossibile trovare altrove. Sono troppo “dinamiche” per i canoni ufficiali. Ogni libro presenta un'introduzione da parte di un autore moderno.

Un giorno mi piacerebbe realizzare una nuova collana di opere di fiction, facendo salire alla ribalta dei nuovi scrittori, ma per fare questo servono tempo e denaro. Per adesso ho curato due nuovi romanzi, Malayan Swing di Pete Haynes e Barry Desmond Is A Wanker di Martin Knight. Abbiamo anche pubblicato due libri non di fiction, The Special Ones: Chelsea By The Fans e Gypsy Joe. Si tratta di un lavoro molto divertente, e facendolo abbiamo incontrato tante persone che la pensano come noi e credono in questo tipo di letteratura.

Intervista pubblicata sul Manifesto del 13/04.

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