lunedì 10 dicembre 2012

Intervista a David Conn

Questa è la versione integrale del pezzo uscito oggi su Pubblico. Per far spazio a un altro mio pezzo sul derby di Manchester sul giornale hanno tagliato qualcosina. Per fortuna non troppo...

David Conn è uno dei più apprezzati giornalisti e scrittori sportivi britannici, vincitore di numerosi premi di categoria. I suoi articoli sul Guardian e i suoi libri svelano le magagne che si annidano dietro la facciata glamour del calcio moderno, concentrandosi con enorme sensibilità sugli impatti sociali che i cambiamenti nel mondo del football hanno provocato negli ultimi decenni. Dopo il grande successo di pubblico e di critica raccolto con “The Football Business” (1998) e “The Beautiful Game?” (2005) , con il suo ultimo libro, “Richer than God”, si sofferma in particolare sulla storia recente del Manchester City, sulla sua ascesa da cugino povero dello United a club ricco e vincente. Nato a Manchester 47 anni fa, Conn ha iniziato a frequentare le gradinate del vecchio stadio del City, il Maine Road, quando era bambino, in un'epoca in cui il football non aveva ancora venduto la sua anima, come ci ricorda spesso nelle sue opere.

Ma perché lo sceicco Mansour Al Nahyan ha acquistato il Manchester City?
Sebbene fosse reduce da stagioni deludenti, il City è pur sempre un grande club, membro della Premier League ormai da qualche anno e con un grande seguito di tifosi. Mettici pure che aveva appena avuto in “dono” dall’amministrazione comunale uno stadio nuovo di zecca, il City of Manchester Stadium realizzato per i giochi del Commonwealth del 2002, e capirai perché hanno scelto di investire i loro soldi su una realtà di questo tipo. Più in generale quella dello sceicco Mansour è stata una gigantesca operazione di marketing, che gli ha assicurato più visibilità di decine di contratti petroliferi da sogno e che ha inoltre l'obiettivo di fornire un'immagine positiva di Abu Dhabi a tutto il mondo occidentale.

Non a caso il livello di professionalità dell’attuale società è molto alto, o sbaglio?
No, è esattamente così. Sanno gestire con maestria ogni situazione. Hanno rispetto della storia del club e dei suoi tifosi, elementi che ritengono degli asset da valorizzare. Quando il City ha vinto il titolo hanno invitato ai festeggiamenti tante vecchie glorie del passato e mantengono un dialogo proficuo e continuo con i supporter. Poi stanno puntando forte sulle giovanili e hanno destinato quasi 300 milioni di euro per la realizzazione del nuovo, avveniristico centro allenamenti.

Però finora in Champions League le cose sono andate male. Due eliminazioni consecutive al primo turno bruciano, non è che Roberto Mancini rischia?
Tutte le illazioni apparse sui giornali in merito a un suo possibile licenziamento non hanno senso. Qui non parliamo di gente come Roman Abramovich, che caccia gli allenatori a suo capriccio. In questo caso siamo di fronte a persone che programmano a lungo termine. Certo, ora si aspettano che Mancini rivinca la Premier e, dopo le brutte figure in Champions League, monitoreranno il suo lavoro con ancora maggiore attenzione. Ma non credo proprio lo cacceranno nel corso della stagione, anche se il City dovesse andare male. Poi è pur vero che la stampa non lo ama più, ma i tifosi lo adorano. Per me rimane un allenatore di spessore, molto concreto – non a caso appena arrivato a Manchester ha subito messo mano alla difesa – che però, vedi la lunga diatriba con Tevez, a volte trova difficoltà nella gestione dei giocatori.

E invece di Mario Balotelli che idea ti sei fatto?
Un grande talento ancora parzialmente inespresso, che al City ha avuto qualche momento negativo di troppo, in campo e fuori, come quando si è fatto espellere in maniera molto sciocca in un match di fondamentale importanza con l'Arsenal, oppure ha lanciato delle freccette contro un ragazzo delle giovanili. Tuttavia ho sempre pensato che della sua complessità si è compreso ben poco nel mondo del football, ossessionato com'è dalle prestazioni all'interno del rettangolo di gioco. Non dimentichiamoci che sulla sua personalità ha inciso molto un'infanzia problematica.

Nel 2014-15 sarà operativo il cosiddetto “fair play finanziario”. Che impatti avrà su squadre “spendaccione” come Manchester City e Chelsea?
Non credo che i vari Al Mansour e Abramovich si faranno trovare impreparati, anzi, ci stanno già lavorando. Quest’anno il Chelsea ha fatto registrare profitti per quasi due milioni di euro, non era mai successo nelle stagioni precedenti. I nuovi contratti televisivi ancora più ricchi e l’aumento del costo dei biglietti comporteranno un incremento delle entrate. È indubbio che sarà più difficile spendere e spandere come fatto di recente, ma tanto il City ha già costruito una buona base, investendo quasi un miliardo di euro sul mercato giocatori, ricchissimi contratti compresi.

Tu hai sempre tifato City, eppure nel libro “Richer than God” racconti come da tempo sia avvenuto un forte distacco tra te e il club che andavi a sostenere al vecchio Maine Road da bambino.
La differenza tra gli anni Settanta e adesso è che, anche grazie al mio lavoro, sono mio malgrado perfettamente a conoscenza di che cosa è diventato il mondo del calcio, di quanto gli interessi economici abbiano preso il sopravvento a scapito della passione. Prima per noi il Manchester City era un club e basta. Sapevamo, e bene, solo i nomi dei giocatori, gente come Colin Bell e Franny Lee. Loro erano in campo quando andai allo stadio per la prima volta nella mia vita, insieme a mio padre. Era una fredda sera del novembre del 1975, il City umiliò lo United nella semifinale di Coppa di Lega. Finì 4-0 davanti a 40mila tifosi in delirio, che ancora non si immaginavano che nell'arco di pochi anni sarebbe iniziato un declino durato circa 30 anni. Io e i miei amici quasi non sapevamo chi erano i proprietari, anche perché non sedevano nel board of directors per fare soldi. Già negli anni ottanta, quando i primi club sono stati quotati in borsa, è iniziato a cambiare tutto. Ora sono delle compagnie private e basta. Nel libro parlo di come nel 1994 proprio uno degli eroi della mia gioventù, quel Franny Lee di cui avevo il poster in camera e che fu protagonista della vittoria in campionato nel 1968 insieme a Bell e Mike Summerbee, divenne presidente solo per guadagnare soldi. Nonostante volesse far credere che l'aveva fatto per l'amore per il club. Riuscendo a capire che cosa c’era dietro a tutta una serie di azioni e comportamenti, ho iniziato a vivere il mio rapporto con la squadra in maniera differente. Anche quando nel 1999 il City vinse ai rigori lo spareggio per tornare in seconda serie contro il Gillingham ai rigori, dopo aver segnato due goal nei minuti di recupero dei tempi regolamentari, non sono riuscito a gioire come avrei fatto un decennio prima. Diciamo che il mio distacco ha radici profonde, che coincidono con l'affermazione del “calcio moderno”.

A proposito di proprietà molto discutibili, prima dello sceicco Mansour c'era l’ex premier thailandese Thaksin Shinawatra, non proprio uno stinco di santo.
Sì, però i tifosi, ma soprattutto la Premier League, lo hanno accolto a braccia aperte. Eppure stiamo parlando di una persona che quando era al potere si è reso responsabile di serie violazioni dei diritti umani, autorizzando omicidi extra-giudiziali di centinaia di persone, e di gravissimi atti di corruzione.

Anche ad Abu Dhabi gli sceicchi hanno i loro problemi.
Sì, hanno costruito parte della loro fortuna sfruttando per pochi soldi i migranti impiegati nel settore estrattivo e delle costruzioni. Paghe da fame, pessime condizioni di lavoro e diritti ridotti al lumicino hanno rappresentato la prassi per decenni, ora ci sono stati dei miglioramenti, ma ancora abbastanza timidi.

A Manchester, sponda United, i fan hanno inscenato proteste contro il possibile arrivo di Rupert Murdoch. Poi, una volta che la società è stata rilevata dalla famiglia americana dei Glazer, causa dell’immenso debito attuale dei Red Devils, alcuni hanno deciso di creare un club tutto loro, l’FC United. Perché i sostenitori del City non hanno fatto altrettanto? Tutto sommato quello che una volta era definito il “people’s club” ora è diventato una sorta di multinazionale.
In parte i tifosi del City non si sono creati scrupoli perché la squadra, a differenza dello United, non vinceva nulla da troppi anni. Anzi, avendo subito umilianti retrocessioni anche in terza serie, non vedevano l’ora che arrivasse qualcuno in grado di riportarli ai fasti del passato, chiunque fosse. Poi nel caso dell’FC United c’è da dire che l’iniziativa è partita soprattutto da alcuni singoli con un approccio molto “politico”, i quali alla fine hanno fatto la differenza.

Il modello del trust di tifosi sta facendo molti proseliti.
In Inghilterra ci sono e ci sono stati club professionistici minori il cui pacchetto di maggioranza faceva capo ai trust, enti no profit gestiti dai supporter. A breve il Portsmouth, compagine di grande tradizione precipitata in terza serie per la gestione dissennata di varie proprietà, potrebbe essere rilevata dal trust locale, mentre in Premier il 20 per cento delle azioni dello Swansea sono in mano ai tifosi. Sì, il trust è senza dubbio una delle medicine per curare i mali del calcio moderno.

Al di là di tutto, Manchester si ritrova con due delle squadre più forti al mondo e giocatori strapagati. La cosa non stride con la situazione tutt'altro che rosea della città?
Assolutamente sì. Pensa che l’area dove gioca il City, nella parte est della città, è una delle più povere d’Inghilterra. Lì la disoccupazione raggiunge punte del 40 per cento, eppure a pochi metri da migliaia di famiglie indigenti giocano calciatori come Carlos Tevez, che guadagna una decina di milioni di euro l’anno. Manchester è stata la culla della rivoluzione industriale, la città dove sono nati i sindacati e si sono sviluppati importanti movimenti sociali, ma a partire dalla salita al potere di Margaret Thatcher nel 1979 non si è fatto nulla per invertire l'inesorabile declino delle industrie locali. Sono mancate le alternative, o meglio non li si è cercate. Le autorità cittadine hanno accettato il nuovo modello, fatto di tagli e privatizzazioni, qualcosa è stato fatto per il centro, ma le periferie, in particolare quelle della parte orientale, sono state abbandonate. Mentre si spendevano oltre cento milioni di euro di soldi pubblici per realizzare lo stadio diventato la nuova casa del City, i campi di calcio e gli impianti sportivi venivano lasciati in condizioni disastrose. A Manchester chi vuole praticare sport a livello di base ogni anno incontra sempre più difficoltà.

In Italia quando accadono episodi di violenza legati al mondo del calcio, come l'ultimo che ha visto protagonisti ultrà romani contro tifosi del Tottenham, in tanti invocano il cosiddetto “modello inglese”. Ma è proprio così esemplare?
No, al di là del fatto che non potrai mai estirpare del tutto la violenza dal football, da noi si è esagerato con normative molto draconiane o per esempio con l'impiego della telecamere a circuito chiuso per controllare i tifosi. Sebbene a fare a botte allo stadio fosse una minoranza, pur cospicua negli anni Ottanta, hanno pagato tutti. Un altro elemento spesso sottovalutato di quello che chiamate “modello inglese” è stato l'aumento vertiginoso dei biglietti, che pure dopo il disastro dell'Hillsborough nel 1989 era stato indicato come un errore da non commettere dalla commissione indipendente istituita ad hoc, che poi produsse un documento di fondamentale importanza come il Taylor Report. Negli anni Settanta e Ottanta, anche quando c'erano periodi di crisi, tutti i giovani tra i 18 e i 25 anni si potevano permettere di andare allo stadio perché era a buon mercato. Ora l'eta media degli spettatori si è alzata moltissimo e intere fasce d'età sono penalizzate. Certo, così si sarà anche tenuto lontano qualche hooligan – ma non tutti – però si è colpita duramente la working class, da sempre grande appassionata del football. Ovvero uno sport che prima era sinonimo di coesione sociale. Ora non più.

Non a caso negli impianti d'oltre Manica non c'è più l'atmosfera, il tifo di una volta. Forse una soluzione sarebbe quella di rimettere le gradinate (terraces) senza posti numerati e con i tifosi in piedi.
Più passa il tempo e più mi convinco che questa sia una soluzione ideale. Sempre il Taylor Report stabilì che le gradinate dovessero scomparire dalle prime due divisioni professionistiche inglesi. Però se si introducessero delle terraces moderne, ovvero più sicure e funzionali, come quelle che esistono in Germania, si potrebbero aumentare le presenze allo stadio, diminuire il costo dei biglietti e il calore dei supporter tornerebbe ai livelli di un tempo. In Bundesliga funziona esattamente così, quindi perché non imitarli?

1 commento:

  1. Bellissimo articolo, anche io seppur giovane ho nostalgia di un calcio vero che non c'è più e che probabilmente grazie a questi fenomeni idolatrati comincia a sparire anche dai campetti di periferia dove ancora si può trovare un po' di calcio genuino. Per chi, come ne, frequenta e vive lo stadio ogni domenica è facile accorgersi che non si gioisce più come anni fa, ora soprattutto in Italia giochiamo i campionati nei tribunali e non c'è più certezza se un risultato è vero o no. Vogliono riformare anche la competizione più bella del mondo' l'FA cup ho detto tutto!

    RispondiElimina