giovedì 1 aprile 2010

Un piano per salvare il cacio inglese

Udite udite, anche l’inquilino del 10 di Downing Street si è accorto che di questo passo il beautiful game rischia grosso, grossissimo. Tra debiti alle stelle, stipendi gonfiati, speculatori stranieri e non, agenti senza scrupoli e costo dei biglietti in continua ascesa, è finalmente arrivato il momento di intervenire con decisione nel mondo del calcio, o almeno così sembra. A due mesi dalle elezioni, che vince consecutivamente dal 1997, il Partito Laburista del premier Gordon Brown ha infatti inserito nel suo programma una serie di provvedimenti che potrebbero favorire una vera e propria rivoluzione copernicana nel football d’oltre Manica. Si va da una quota minima del 25 per cento delle azioni di un club da destinare ai tifosi “come riconoscimento del legame con la comunità locale”, alla priorità d’acquisto concessa agli stessi supporter nel caso la loro compagine venisse messa in vendita o dovesse finire in amministrazione controllata, all’individuazione di una scadenza precisa per una riforma strutturale della Football Association, in modo che le autorità calcistiche abbiano gli strumenti adatti per eliminare qualsiasi forma di “diritto acquisito” dai vertici societari dei team professionistici (a grandi linee, la possibilità di arricchirsi anche a discapito degli interessi del club). E ancora, più chiarezza sugli assetti delle proprietà (al momento ci sono realtà importanti come il Leeds United di cui non si conosce l’identità dei veri padroni), più investimenti sullo sviluppo del settore giovanile e più controlli sul processo di cessione di una società calcistica.

Le proteste contro i Glazer a Manchester e la coppia Gillett & Hicks a Liverpool, oltre alla disastrosa situazione finanziaria del Portsmouth, costata ai Pompey ben nove punti di penalizzazione in classifica in qualità di prima squadra della storia della Premier a essere entrata in amministrazione controllata, sono state la goccia che ha fatto traboccare il vaso, spingendo il successore di Tony Blair ad agire. Il piano di Brown è piaciuto al presidente dell’UEFA Michel Platini, un po’ meno alle alte sfere della Premier League, che anzi guardano con enorme fastidio a un intervento dell’esecutivo britannico nei loro affari. Non sarebbero da escludere eventuali cause legali da parte di presidenti depauperati “per legge” di una fetta consistente delle proprie azioni. Ma l’idea di seguire lo schema proposto dai Red Knights e dal Manchester United Supporters Trust (MUST) per il dopo-Glazer, ovvero il 74,9 per cento del club ai ricchi imprenditori-cavalieri rossi e il restante 25 ai tifosi del MUST, è vista come una mossa essenziale, la pietra angolare di tutto il piano governativo. La golden share permetterebbe ai fan di avere una grossa voce in capitolo e nel caso bloccare scalate societarie “sospette”.

Insomma, sulla carta i laburisti favorirebbero una sorta di democratizzazione del sistema calcio. Peccato che negli ultimi 13 anni non abbiano fatto granché per prevenire la tutt’altro che rosea situazione attuale, e soprattutto che il prossimo 6 maggio abbiano ben poche chance di vincere le elezioni.

Certo, come fa notare l’esperto di football & business David Conn sulle colonne del Guardian, il primo governo laburista creò una Task Force ad hoc per curare i mali dell’universo pallonaro. Negli anni la commissione ha svolto un lavoro di buona qualità, promuovendo l’istituzione della Football Foundation e soprattutto del Supporters Direct, l’ente che offre tutte le consulenze necessarie ai tifosi che vogliono formare un trust.

Gli altri suggerimenti della Task Force, principalmente sulla gestione delle società e della loro compravendita, purtroppo sono stati elogiati ma per lo più mai seguiti.

L’improvvisa inversione di rotta di Brown e soci rischia allora di essere fin troppo tardiva. Intanto il disagio degli appassionati di calcio cresce sempre di più. Visti i recenti avvenimenti, come dargli torto…

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