venerdì 31 luglio 2009

Il calcio inglese piange una delle sue leggende

Con lui se ne è andato un pezzo di storia di calcio inglese. Sir Bobby Robson era il gentleman per antonomasia del football d’Oltre Manica. Buon giocatore, ottimo allenatore, eccelso uomo di sport, dopo lunghi anni passati a combattere con la solita determinazione, si è purtroppo dovuto arrendere a un perfido male. Classe 1933, 20 presenze con la maglia dei Tre Leoni e qualche centinaia con West Bromwich Albion e Fulham, Robson ha dato il meglio di sé come tecnico. Fu lui a plasmare l’Ipswich Town dei vari Arnold Muhren e John Wark che a cavallo degli anni Settanta e Ottanta seppe vincere una FA Cup, una Coppa UEFA e impensierire il gotha del calcio inglese nell’allora First Division. Quasi naturale il passaggio sulla panchina della nazionale. Con Lineker, Gascoigne e Platt centrò la semifinale nel mondiale del 1990, miglior risultato dei bianchi nella storia della Coppa del mondo, eccezion fatta per la vittoria casalinga del 1966. Sir Bobby riuscì a coniugare praticità e bel gioco anche in giro per l’Europa, tra Olanda, Portogallo e Spagna. Al Porto il suo traduttore personale era un certo Josè Morinho, al Barcellona si ritrovò alle sue dipendenze il fenomeno Ronaldo, mentre nella seconda parentesi al PSV lanciò un tale Ruud Van Nistelrooy. Nel 1999 il ritorno in patria, per la precisione al Newcastle, ovvero il club per cui aveva sempre tifato sin da quando poco più che bambino si sobbarcava ore di autobus con il babbo minatore per ammirare i suoi eroi di bianconero vestiti. Dopo aver salvato i Magpies da una possibile retrocessione, Robson li guidò per due volte in Champions League. Tra i tantissimi errori della gestione dirigenziale della famiglia Shepherd, il più marchiano e insulso fu forse proprio il licenziamento del tecnico nell’agosto del 2004. Lui ha continuato a frequentare il St James’ Park, vivendo l’amarezza del tonfo in Championship dello scorso maggio. Io me lo ricordo durante la presentazione delle squadre della finale di FA Cup del 2008. Dalla tribuna stampa del nuovo Wembley scorsi il suo incidere claudicante, il suo fisico minato dalla malattia e mi prese un gran magone. Ma poi pensai che Robson, impegnato a stringere le mani dei giocatori finalisti alla stregua di un membro della famiglia reale, si stava godendo l’ennesima soddisfazione della sua vita di uomo di calcio. Ci mancherai, Sir Bobby.

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