Ben 66 reti nelle ultime due giornate di campionato prima della fine dell'anno. Mentre in Italia la Serie A riposa, in Inghilterra vanno in scena match appassionanti e pieni di colpi di scena.
Il Manchester United aumenta a sette punti il suo vantaggio sui cugini del City. Bene Chelsea e Tottenham. Al Loftus Road il Liverpool riscatta la mediocre prestazione di Stoke. Goleada dell'Arsenal al Newcastle, a soli tre punti dalla zona retrocessione.
COS'E' SUCCESSO – Premessa: in tutto il 2012 in Premier sono state realizzate 1.100 reti, un record da quando le squadre sono passate da 22 a 20 nel 1995. Non deve stupire allora che nelle ultime due giornate dell'anno che sta morendo sia andata in scena la sagra del goal, in parte anche a causa del poco riposo di cui hanno potuto beneficiare i team, che evidentemente incide soprattutto sulle difese. La capolista Manchester United infila un utilissimo quanto faticato doppio successo casalingo e stacca il City, alle prese con qualche amnesia difensiva di troppo (problema a cui dovrebbe dedicare le sue attenzioni Roberto Mancini, invece perennemente occupato in stucchevoli diatribe con gli arbitri). Si fanno valere anche le big londinesi (Chelsea, Arsenal e Tottenham) sempre vittoriose – sebbene il Boxing Day i Gunners non abbiano potuto scendere in campo nel derby con il West Ham causa sciopero del tube. Altalenante il Liverpool (poca roba a Stoke, maramaldo contro il QPR), mentre in coda proprio i Super Hoops appaiono destinati a una inevitabile retrocessione. Per gli altri due posti non se la passa certo bene il Reading, rincuorato però dai tre punti rimediati contro il West Ham, ma al momento le due compagini più in crisi sono senza dubbio l'Aston Villa e il Newcastle (unica squadra nella storia della Premier ha segnare due volte consecutivamente tre goal fuori casa e a non raccogliere nemmeno un punto).
IL TOP – “Chi ha bisogno di Batman, noi abbiamo Robin!”, recitano delle magliette che fanno bella mostra di sé sulle bancarelle nei dintorni dell'Old Trafford in onore dell'attuale capocannoniere della Premier (14 reti). E che Van Persie sia l'arma in più del Manchester United versione 2012-13 non ci vuole un esperto assoluto di football per capirlo. Se i Red Devils dovessero chiudere la stagione con il 20esimo titolo di campioni d'Inghilterra, una bella fetta di merito andrebbe riconosciuta al fuoriclasse olandese.
IL FLOP – Lo abbiamo già “menzionato” nel nostro ultimo articolo, ma l'Aston Villa non può non ritrovarsi ancora dietro la lavagna dopo due importanti match casalinghi persi nettamente e incassando sette reti. Insieme agli otto subiti allo Stamford Bridge fanno 15 goal al passivo in tre match. L'ombra minacciosa della Championship incombe...
LA SORPRESA – Senza dubbio il risultato più eclatante della maratona natalizia è costituito dal successo del Sunderland sul Manchester City, che fa il paio con quello della stagione passata. Allora ci pensò il carneade coreano Ji Dong-Won a mandare in paradiso i Black Cats, questa volta l'ex Adam Johnson, con un generoso aiuto da parte di Joe Hart.
TOH CHI SI RIVEDE – La bella rete realizzata da Aaron Lennon allo Stadium of Light è stata la ciliegina sulla torta di una prestazione scintillante, ennesimo segnale di crescita di un giocatore troppo spesso incostante negli ultimi mesi. E poi quando lui segna il Tottenham vince quasi sempre (20 affermazioni e due pareggi).
LA CHICCA – Negli ultimi 18 mesi Gareth Bale si è beccato ben cinque cartellini gialli per simulazione. Nessun altro è riuscito in cotanta impresa (al massimo ne ha rimediati due). A dirla tutta, però, almeno l'ultima sanzione è apparsa un po' eccessiva.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Visto che gira voce che Roman Abramovich e soprattutto Rafa Benitez se ne vogliano sbarazzare, uno da acquistare subito nel mercato invernale potrebbe essere Frankie Lampard. Certo, non è più giovanissimo (va per i 35), ma in fatto di leadership a centrocampo non è secondo a nessuno. E poi segna tanto. Con la doppietta all'Everton (rivelatasi ovviamente decisiva), ha raggiunto quota 192 goal con i Blues. Terzo di sempre nella storia dei marcatori del club londinese, senza essere nemmeno un attaccante di ruolo...
lunedì 31 dicembre 2012
venerdì 28 dicembre 2012
Il museo del football di Manchester
Uscito oggi su Pubblico.
Invece di bruciarla, tagliuzzarla o scioglierla nell'acido, gli inglesi l'hanno messa in bella mostra nel loro splendido museo del calcio, appena inaugurato nel cuore di Manchester. È la maglia dell'Argentina di un inusuale blu elettrico indossata da Diego Armando Maradona il 22 giugno 1986 allo stadio Azteca in occasione del match valido per i quarti di finale del mondiale messicano. Una partita dalle tinte forti, con il ricordo, le ferite ancora aperte della guerra per le isole Falkland/Malvinas a fare da sfondo al confronto tra due delle scuole calcistiche più importanti del Pianeta. Quel giorno è ricordato per il goal più bello della storia della Coppa del Mondo. E per la “mano di Dio”.
Quella camiseta con il dieci impresso sulle spalle capitò per caso nelle mani di Steve Hodge, proprio il centrocampista dei Tre Leoni protagonista dello sciagurato retropassaggio colpevole di aver favorito il “colpo proibito” che beffò il povero Peter Shilton e fece impazzire di rabbia decine di milioni di appassionati inglesi. Hodge, una buona carriera soprattutto al Nottingham Forest del vulcanico Brian Clough, ha addirittura scritto un libro dal titolo “L'uomo con la maglia di Maradona”, in cui spiega che la ottenne perché fu l'ultimo a uscire dal campo dopo aver concesso un'intervista con la ITV e, incontrato il fuoriclasse argentino nel tunnel degli spogliatoi, gli chiese di fare il fatidico “baratto”. “Non ho mai portato rancore nei suoi confronti e considero un onore aver fatto scambio di maglia con lui. Chissà se ha ancora la mia” ha dichiarato Hodge qualche tempo fa al quotidiano inglese The Independent, cui ha anche riferito di aver ricevuto offerte “molto congrue” per una delle memorabilia sportive più bramate di sempre, preferendo invece donarla al museo già nella sua versione “ridotta” di Preston, prima del trasloco definitivo nella sede attuale.
Di pezzi rari nell'avveniristico palazzo tutto vetri e acciaio nel cuore di Manchester ce ne sono in abbondanza, per lo più tutti messi a disposizione su base temporanea o permanente da grandi collezionisti. C'è la maglia indossata da un Pelé ancora ragazzino ma già fenomenale al suo esordio ai Mondiali di Svezia 1958 contro l'URSS, una divisa appartenuta all'immenso Alfredo Di Stefano e l'elegante trofeo originale che spettava ai vincitori della Coppa delle Coppe, sacrificata dall'UEFA sull'altare del calcio moderno nel 1999, allorché gli ultimi a sollevarlo furono i campioni della Lazio cragnottiana.
Ma oltre a queste chicche assolute, il museo ha l'obiettivo di ripercorrere un secolo e mezzo di storia del football britannico, con una sezione dedicata al panorama internazionale.
Si parte allora proprio dalle origini, da un libricino dove si possono leggere, scritte a mano dal segretario della neonata Football Association Ebenezer Cobb Morley, le regole del gioco. Quel prezioso documento risale al 1863, quando il football era uno sport per ricchi, per i rampolli della upper class che frequentavano le esclusive public school. Istituti che, a dispetto del nome, rimangono ancor oggi privati e molto costosi, e che in piena epoca vittoriana tendevano tutte ad avere una propria “interpretazione” del gioco. Il calcio si diffuse in tutta l'isola, si disputò la prima sfida tra i “vecchi nemici” di Inghilterra e Scozia – e una maglia di lana di un bianco ormai sbiadito con i tre leoni sul petto ce lo ricorda in una delle teche delle sale iniziali. Verso la fine del Diciannovesimo secolo la working class delle Midlands e del Nord del Paese “scippò” il football all'alta borghesia e alla nobiltà. Nacque il professionismo. Nel 1888 si giocò il primo campionato dell'allora First Division, nel frattempo si erano già tenute una quindicina di edizioni della FA Cup. I cimeli del Preston North End, prima grande squadra della storia, fanno il paio con il pallone color cioccolata della finale di coppa del 1903, vinta dal piccolo Bury nientemeno che per 6-0 sul Derby. Nel puntuale racconto dei curatori del museo non ci sono solo i “ferri del mestiere”, palloni, scarpini e maglie, dal momento che vengono inseriti anche i parafernalia dei tifosi. Le rumorose raganelle di legno, il classico flat cap anni Trenta lasciano spazio alle prime sciarpe fatte in casa, ma pure agli strumenti di offesa degli hooligan, tirapugni e coltelli Stanley inclusi.
La narrazione non fa sconti, le violenze e i disastri negli stadi di fine anni Ottanta (Bradford e Hillsborough) non sono certo risparmiati, così come una velata critica, visto l'approccio comunque molto retrò, al “calcio moderno”. Ma non potevano mancare i momenti di gloria del football dei Maestri, i tanti vissuti dai club, i pochi dalla nazionale. Gli appassionati possono ammirare la copia della Coppa Rimet consegnata dalle regina nelle mani di Bobby Moore un pomeriggio del luglio 1966. Quella originale era stata rubata e poi ritrovata per caso da un cagnetto di nome Pickles dietro un cespuglio nel sud di Londra, per poi essere trafugata definitivamente in Brasile nel 1983. E a proposito del compianto capitano dell'Inghilterra e del West Ham negli anni Sessanta, la sua foto mentre si scambia la maglia con Pelé a Messico 1970 è una delle immagini più iconiche del football mondiale. Ebbene quel prezioso indumento indossato dal biondo Bobby è arrivato fino a Manchester direttamente dal Brasile, dove per decenni ha soggiornato in un bar di Rio de Janeiro. È un po' maltrattato e macchiato di nicotina, ma conserva tutto il suo fascino.
Invece di bruciarla, tagliuzzarla o scioglierla nell'acido, gli inglesi l'hanno messa in bella mostra nel loro splendido museo del calcio, appena inaugurato nel cuore di Manchester. È la maglia dell'Argentina di un inusuale blu elettrico indossata da Diego Armando Maradona il 22 giugno 1986 allo stadio Azteca in occasione del match valido per i quarti di finale del mondiale messicano. Una partita dalle tinte forti, con il ricordo, le ferite ancora aperte della guerra per le isole Falkland/Malvinas a fare da sfondo al confronto tra due delle scuole calcistiche più importanti del Pianeta. Quel giorno è ricordato per il goal più bello della storia della Coppa del Mondo. E per la “mano di Dio”.
Quella camiseta con il dieci impresso sulle spalle capitò per caso nelle mani di Steve Hodge, proprio il centrocampista dei Tre Leoni protagonista dello sciagurato retropassaggio colpevole di aver favorito il “colpo proibito” che beffò il povero Peter Shilton e fece impazzire di rabbia decine di milioni di appassionati inglesi. Hodge, una buona carriera soprattutto al Nottingham Forest del vulcanico Brian Clough, ha addirittura scritto un libro dal titolo “L'uomo con la maglia di Maradona”, in cui spiega che la ottenne perché fu l'ultimo a uscire dal campo dopo aver concesso un'intervista con la ITV e, incontrato il fuoriclasse argentino nel tunnel degli spogliatoi, gli chiese di fare il fatidico “baratto”. “Non ho mai portato rancore nei suoi confronti e considero un onore aver fatto scambio di maglia con lui. Chissà se ha ancora la mia” ha dichiarato Hodge qualche tempo fa al quotidiano inglese The Independent, cui ha anche riferito di aver ricevuto offerte “molto congrue” per una delle memorabilia sportive più bramate di sempre, preferendo invece donarla al museo già nella sua versione “ridotta” di Preston, prima del trasloco definitivo nella sede attuale.
Di pezzi rari nell'avveniristico palazzo tutto vetri e acciaio nel cuore di Manchester ce ne sono in abbondanza, per lo più tutti messi a disposizione su base temporanea o permanente da grandi collezionisti. C'è la maglia indossata da un Pelé ancora ragazzino ma già fenomenale al suo esordio ai Mondiali di Svezia 1958 contro l'URSS, una divisa appartenuta all'immenso Alfredo Di Stefano e l'elegante trofeo originale che spettava ai vincitori della Coppa delle Coppe, sacrificata dall'UEFA sull'altare del calcio moderno nel 1999, allorché gli ultimi a sollevarlo furono i campioni della Lazio cragnottiana.
Ma oltre a queste chicche assolute, il museo ha l'obiettivo di ripercorrere un secolo e mezzo di storia del football britannico, con una sezione dedicata al panorama internazionale.
Si parte allora proprio dalle origini, da un libricino dove si possono leggere, scritte a mano dal segretario della neonata Football Association Ebenezer Cobb Morley, le regole del gioco. Quel prezioso documento risale al 1863, quando il football era uno sport per ricchi, per i rampolli della upper class che frequentavano le esclusive public school. Istituti che, a dispetto del nome, rimangono ancor oggi privati e molto costosi, e che in piena epoca vittoriana tendevano tutte ad avere una propria “interpretazione” del gioco. Il calcio si diffuse in tutta l'isola, si disputò la prima sfida tra i “vecchi nemici” di Inghilterra e Scozia – e una maglia di lana di un bianco ormai sbiadito con i tre leoni sul petto ce lo ricorda in una delle teche delle sale iniziali. Verso la fine del Diciannovesimo secolo la working class delle Midlands e del Nord del Paese “scippò” il football all'alta borghesia e alla nobiltà. Nacque il professionismo. Nel 1888 si giocò il primo campionato dell'allora First Division, nel frattempo si erano già tenute una quindicina di edizioni della FA Cup. I cimeli del Preston North End, prima grande squadra della storia, fanno il paio con il pallone color cioccolata della finale di coppa del 1903, vinta dal piccolo Bury nientemeno che per 6-0 sul Derby. Nel puntuale racconto dei curatori del museo non ci sono solo i “ferri del mestiere”, palloni, scarpini e maglie, dal momento che vengono inseriti anche i parafernalia dei tifosi. Le rumorose raganelle di legno, il classico flat cap anni Trenta lasciano spazio alle prime sciarpe fatte in casa, ma pure agli strumenti di offesa degli hooligan, tirapugni e coltelli Stanley inclusi.
La narrazione non fa sconti, le violenze e i disastri negli stadi di fine anni Ottanta (Bradford e Hillsborough) non sono certo risparmiati, così come una velata critica, visto l'approccio comunque molto retrò, al “calcio moderno”. Ma non potevano mancare i momenti di gloria del football dei Maestri, i tanti vissuti dai club, i pochi dalla nazionale. Gli appassionati possono ammirare la copia della Coppa Rimet consegnata dalle regina nelle mani di Bobby Moore un pomeriggio del luglio 1966. Quella originale era stata rubata e poi ritrovata per caso da un cagnetto di nome Pickles dietro un cespuglio nel sud di Londra, per poi essere trafugata definitivamente in Brasile nel 1983. E a proposito del compianto capitano dell'Inghilterra e del West Ham negli anni Sessanta, la sua foto mentre si scambia la maglia con Pelé a Messico 1970 è una delle immagini più iconiche del football mondiale. Ebbene quel prezioso indumento indossato dal biondo Bobby è arrivato fino a Manchester direttamente dal Brasile, dove per decenni ha soggiornato in un bar di Rio de Janeiro. È un po' maltrattato e macchiato di nicotina, ma conserva tutto il suo fascino.
lunedì 24 dicembre 2012
Il punto sulla Premier – In quattro per un posto in Champions
Grande ammucchiata per l'ultimo posto valido per la qualificazione nella principale competizione europea. Anche il Liverpool prova a riagganciare il treno Champions.
Il primo pareggio stagionale del Manchester United ridà speranze al City, vittorioso a fatica sul Reading. Ora i Light Blues sono a meno quattro dai rivali. Nelle retrovie grande passo in avanti di Newcastle e Sunderland.
COS'E' SUCCESSO – Nel turno prenatalizio il Manchester City guadagna due punti sullo United nonostante si faccia mettere sotto scacco dal Reading (sempre più ultimo in classifica) per oltre 90 minuti. Ci vuole un contestatissimo goal di Gareth Barry a ridare fiducia ai campioni d'Inghilterra, che beneficiano così dei tanti errori sotto porta dei cugini dello United al Liberty Stadium di Swansea. Dopo il 5-1 al Leeds in Coppa di Lega, altra goleada del Chelsea: 8-0 all'Aston Villa (già massacrato 7-1 nel 2010). A due punti dai Blues c'e' un quartetto composto da Arsenal (affermazione di misura a Wigan), Tottenham (brutto pareggio interno con lo Stoke), West Bromwich Albion (tornato alla vittoria dopo quattro turni e capace di interrompere a 11 la serie positiva del Norwich) ed Everton (2-1 al West Ham in trasferta). In coda erano in programma due scontri diretti da far tremare le vene dei polsi. Il Sunderland fa il colpaccio Al St Mary's di Southampton (ottavo goal di Steven Fletcher sui 19 totali dei Black Cats), mentre il Newcastle supera di misura il QPR. Per Harry Redknapp si fa sempre più dura.
IL TOP – Lode alla personalità dell'Everton, creato a immagine e somiglianza del suo allenatore David Moyes, I Toffeemen al Boleyn Ground hanno rimontato e poi scavalcato un osso duro come il West Ham e ora tornano a sentire profumo di Europa.
IL FLOP – Scelta scontata, quando una squadra, in questo caso l'Aston Villa, incassa otto goal. Poveri Villans, ormai precipitati nella mediocrità più assoluta.
LA SORPRESA – Per strappare il pareggio al Manchester United è sì servito un pizzico di fortuna, ma lo Swansea è riuscito lo stesso a bloccare in maniera alquanto inaspettata, visto anche lo svantaggio iniziale, la capolista.
TOH CHI SI RIVEDE – Finalmente ha segnato! Stewart Downing non realizzava un goal dalla primavera del 2011, ovvero prima dell'approdo al Liverpool. Con i Reds ha dovuto tirare in porta ben 83 volte prima di iscriversi a referto. Se non è un record, poco ci manca.
LA CHICCA – Al White Hart Lane lo Stoke ha centrato – si fa per dire – il quinto 0-0 stagionale. Nei cinque più importanti campionati europei nessuna squadra ha collezionato così tanti risultati in bianco in questa prima metà del 2012-13.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Da quando è arrivato in prestito al West Bromwich, il diciannovenne attaccante belga Romelu Lukaku sta mostrando perché il Chelsea decise di investire una quindicina di milioni di euro su di lui nell'estate del 2011 per strapparlo all'Anderlecht. Dopo le opache prestazioni della scorsa stagione, con la marcatura di sabato al Norwich il ragazzo di origini congolesi è salito a quota sei reti realizzate in Premier.
Il primo pareggio stagionale del Manchester United ridà speranze al City, vittorioso a fatica sul Reading. Ora i Light Blues sono a meno quattro dai rivali. Nelle retrovie grande passo in avanti di Newcastle e Sunderland.
COS'E' SUCCESSO – Nel turno prenatalizio il Manchester City guadagna due punti sullo United nonostante si faccia mettere sotto scacco dal Reading (sempre più ultimo in classifica) per oltre 90 minuti. Ci vuole un contestatissimo goal di Gareth Barry a ridare fiducia ai campioni d'Inghilterra, che beneficiano così dei tanti errori sotto porta dei cugini dello United al Liberty Stadium di Swansea. Dopo il 5-1 al Leeds in Coppa di Lega, altra goleada del Chelsea: 8-0 all'Aston Villa (già massacrato 7-1 nel 2010). A due punti dai Blues c'e' un quartetto composto da Arsenal (affermazione di misura a Wigan), Tottenham (brutto pareggio interno con lo Stoke), West Bromwich Albion (tornato alla vittoria dopo quattro turni e capace di interrompere a 11 la serie positiva del Norwich) ed Everton (2-1 al West Ham in trasferta). In coda erano in programma due scontri diretti da far tremare le vene dei polsi. Il Sunderland fa il colpaccio Al St Mary's di Southampton (ottavo goal di Steven Fletcher sui 19 totali dei Black Cats), mentre il Newcastle supera di misura il QPR. Per Harry Redknapp si fa sempre più dura.
IL TOP – Lode alla personalità dell'Everton, creato a immagine e somiglianza del suo allenatore David Moyes, I Toffeemen al Boleyn Ground hanno rimontato e poi scavalcato un osso duro come il West Ham e ora tornano a sentire profumo di Europa.
IL FLOP – Scelta scontata, quando una squadra, in questo caso l'Aston Villa, incassa otto goal. Poveri Villans, ormai precipitati nella mediocrità più assoluta.
LA SORPRESA – Per strappare il pareggio al Manchester United è sì servito un pizzico di fortuna, ma lo Swansea è riuscito lo stesso a bloccare in maniera alquanto inaspettata, visto anche lo svantaggio iniziale, la capolista.
TOH CHI SI RIVEDE – Finalmente ha segnato! Stewart Downing non realizzava un goal dalla primavera del 2011, ovvero prima dell'approdo al Liverpool. Con i Reds ha dovuto tirare in porta ben 83 volte prima di iscriversi a referto. Se non è un record, poco ci manca.
LA CHICCA – Al White Hart Lane lo Stoke ha centrato – si fa per dire – il quinto 0-0 stagionale. Nei cinque più importanti campionati europei nessuna squadra ha collezionato così tanti risultati in bianco in questa prima metà del 2012-13.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Da quando è arrivato in prestito al West Bromwich, il diciannovenne attaccante belga Romelu Lukaku sta mostrando perché il Chelsea decise di investire una quindicina di milioni di euro su di lui nell'estate del 2011 per strapparlo all'Anderlecht. Dopo le opache prestazioni della scorsa stagione, con la marcatura di sabato al Norwich il ragazzo di origini congolesi è salito a quota sei reti realizzate in Premier.
Etichette:
Arsenal,
Articoli,
Aston Villa,
Chelsea,
Everton,
Leeds United,
Liverpool,
Manchester City,
Manchester United,
West Bromwich Albion,
West Ham United
domenica 23 dicembre 2012
Hillsborough, la verità riapre indagini e ferite
Uscito oggi su Pubblico.
Le hanno collocate accanto al cancello di accesso all'Anfield Road che reca la celeberrima scritta “You'll never walk alone”. Sono le due lastre di marmo che rendono omaggio ai 96 tifosi del Liverpool che il 15 aprile 1989 persero la vita in una delle più spaventose e assurde tragedie della storia dello sport. Accanto ai nomi c'è scritta l'età: 14, 15, 17, 18, 19, 21. Numeri che ti colpiscono con la violenza di un pugno allo stomaco. A rimanere schiacciati sulle gradinate della Leppings Lane dell'Hillsborough, l'impianto dello Sheffield Wednesday, furono quasi tutti giovanissimi, accorsi nella città dello Yorkshire per sostenere i Reds di Dalglish e Rush nel match di semifinale di FA Cup contro il Nottingham Forest. Per 23 anni quei ragazzi non hanno ricevuto giustizia, mentre la loro memoria veniva infangata dalle autorità, pronte a scrollarsi di dosso in ogni modo i loro peccati.
Dopo due decenni di battaglie legali e di incessanti campagne promosse dai familiari delle vittime, la verità sta finalmente venendo a galla. A settembre il rivoluzionario rapporto della commissione indipendente sull'Hillsborough presieduta dal vescovo di Liverpool, James Jones, ha costretto il primo ministro britannico David Cameron a chiedere scusa alle famiglie dei tifosi del Liverpool scomparsi quel maledetto pomeriggio.
Giovedì scorso l'Alta Corte di Giustizia di Londra ha spazzato via i risultati dell'indagine che nel 1991 aveva stabilito che quelle morti erano avvenute per cause accidentali. I giudici hanno di fatto avallato quanto scritto nel rapporto indipendente, chiedendo subito l'apertura di una nuova inchiesta e lodando l'impegno dei parenti delle vittime. Il governo si è impegnato a sostenere le spese legali del nuovo processo che dovrebbe cominciare la prossima estate.
Speriamo che questa volta gli inquirenti certifichino quanto un Paese intero oramai sa: l'incidente fu causato da una cattiva gestione dell'ordine pubblico e dei soccorsi all'interno dell'impianto da parte della polizia, degli altri servizi di sicurezza e delle autorità locali, che poi si adoperarono per addossare la colpa di quanto accaduto ai tifosi. Non vanno inoltre tralasciate le malefatte dei dirigenti dello Sheffield Wednesday, il cui stadio aveva il certificato di idoneità scaduto da dieci anni.
Per raccontare del dramma dell'Hillsborough bisogna riavvolgere il nastro del tempo fino al periodo più cupo della storia del calcio inglese. La violenza dei tifosi, che ebbe il suo culmine con i fatti dell’Heysel nel maggio del 1985, e l’inadeguatezza degli stadi e dell’intero sistema di gestione del football d’oltre Manica finirono per punteggiare di lutti un'epoca, quella dell'Inghilterra tutta tagli e privatizzazione dei governi guidati da Margaret Thatcher, di per sé già ricca di tensioni sociali.
Il beautiful game trovò il suo nadir proprio quel fatidico 15 aprile del 1989. Fin dal mattino l’autostrada M62 era un’unica lunga fila di macchine, il traffico era congestionato a causa di una serie di lavori in corso, per cui l’arrivo a Sheffield per moltissimi tifosi avvenne più tardi del previsto. In tanti allora si accalcarono a ridosso delle entrate dell’Hillsborough Stadium, mentre il servizio d’ordine latitava. Come se non bastasse, per accedere alla Leppings Lane, la gradinata destinata ai supporter dei Reds, c’erano solo sette tornelli.
In via del tutto ipotetica quel settore di Hillsborough avrebbe potuto contenere fino a 10mila tifosi, sebbene la suddivisione in sette spicchi recintati, voluta anni prima dalla polizia per controllare meglio i flussi della folla, avesse ridotto la capienza, contribuendo a creare delle specie di lugubri e gigantesche gabbie. Tuttavia questo elemento, allorché furono venduti i biglietti, non fu preso in considerazione. La gradinata iniziò a ingrossarsi come un fiume in piena, ma colpevolmente nessuno pensò a convogliare i tifosi lì dove c’era maggiore spazio e disponibilità di posti. Man mano che passavano i minuti in tanti finirono per essere schiacciati contro la rete di protezione. La trappola mortale era scattata. Nonostante la situazione già fuori controllo, le forze dell’ordine non trovarono niente di meglio da fare che chiudere una porticina che dava un minimo di accesso al campo, aperta in qualche modo da alcuni tifosi.
I poliziotti erano accecati dalla paura degli hooligan e inizialmente spinsero indietro i gruppetti di fan del Liverpool che erano riusciti a salvarsi entrando sul terreno di gioco, a partita iniziata da una manciata di minuti. Solo in un secondo momento un agente si rese conto dell’immane tragedia che si stava consumando davanti ai suoi occhi e facilitò l’ingresso in campo di decine di disperati, il cui intento era tutt’altro che bellicoso. Cercavano solo di salvarsi la vita. Qualcuno fu tirato su a braccia verso il secondo piano della Leppings Lane, evitando il peggio. Molti non ce la fecero, morendo soffocati in un magma infernale di corpi.
L’indagine indipendente ha accertato che se si fosse intervenuti in maniera più tempestiva forse potevano essere salvate 41 vite.
Per celare la realtà dei fatti, quel giorno fu eseguita una sistematica alterazione dei verbali redatti dal personale addetto alle ambulanze e dagli agenti in servizio (si parla di ben 160 documenti falsificati). Furono cambiate ore, testimonianze, sparirono nastri delle telecamere dello stadio, insomma si fece di tutto per coprire quanto accaduto, tanto che pochi minuti dopo il dramma i vertici della polizia del South Yorkshire e il deputato conservatore Irvine Patnick erano già impegnati a far trapelare alle agenzie di stampa locali la notizia che erano stati i tifosi del Liverpool a provocare il disastro, vuoi perché ubriachi e violenti, vuoi perché in tanti erano entrati nel settore nonostante non disponessero dei biglietti. Nulla di più lontano dalla realtà, ma la news fu lo stesso subito ripresa dal tabloid The Sun con l'ormai tristemente celebre titolo di prima pagina “The Truth”. Una verità falsa, che finalmente sta per essere sostituita da quella vera.
Le hanno collocate accanto al cancello di accesso all'Anfield Road che reca la celeberrima scritta “You'll never walk alone”. Sono le due lastre di marmo che rendono omaggio ai 96 tifosi del Liverpool che il 15 aprile 1989 persero la vita in una delle più spaventose e assurde tragedie della storia dello sport. Accanto ai nomi c'è scritta l'età: 14, 15, 17, 18, 19, 21. Numeri che ti colpiscono con la violenza di un pugno allo stomaco. A rimanere schiacciati sulle gradinate della Leppings Lane dell'Hillsborough, l'impianto dello Sheffield Wednesday, furono quasi tutti giovanissimi, accorsi nella città dello Yorkshire per sostenere i Reds di Dalglish e Rush nel match di semifinale di FA Cup contro il Nottingham Forest. Per 23 anni quei ragazzi non hanno ricevuto giustizia, mentre la loro memoria veniva infangata dalle autorità, pronte a scrollarsi di dosso in ogni modo i loro peccati.
Dopo due decenni di battaglie legali e di incessanti campagne promosse dai familiari delle vittime, la verità sta finalmente venendo a galla. A settembre il rivoluzionario rapporto della commissione indipendente sull'Hillsborough presieduta dal vescovo di Liverpool, James Jones, ha costretto il primo ministro britannico David Cameron a chiedere scusa alle famiglie dei tifosi del Liverpool scomparsi quel maledetto pomeriggio.
Giovedì scorso l'Alta Corte di Giustizia di Londra ha spazzato via i risultati dell'indagine che nel 1991 aveva stabilito che quelle morti erano avvenute per cause accidentali. I giudici hanno di fatto avallato quanto scritto nel rapporto indipendente, chiedendo subito l'apertura di una nuova inchiesta e lodando l'impegno dei parenti delle vittime. Il governo si è impegnato a sostenere le spese legali del nuovo processo che dovrebbe cominciare la prossima estate.
Speriamo che questa volta gli inquirenti certifichino quanto un Paese intero oramai sa: l'incidente fu causato da una cattiva gestione dell'ordine pubblico e dei soccorsi all'interno dell'impianto da parte della polizia, degli altri servizi di sicurezza e delle autorità locali, che poi si adoperarono per addossare la colpa di quanto accaduto ai tifosi. Non vanno inoltre tralasciate le malefatte dei dirigenti dello Sheffield Wednesday, il cui stadio aveva il certificato di idoneità scaduto da dieci anni.
Per raccontare del dramma dell'Hillsborough bisogna riavvolgere il nastro del tempo fino al periodo più cupo della storia del calcio inglese. La violenza dei tifosi, che ebbe il suo culmine con i fatti dell’Heysel nel maggio del 1985, e l’inadeguatezza degli stadi e dell’intero sistema di gestione del football d’oltre Manica finirono per punteggiare di lutti un'epoca, quella dell'Inghilterra tutta tagli e privatizzazione dei governi guidati da Margaret Thatcher, di per sé già ricca di tensioni sociali.
Il beautiful game trovò il suo nadir proprio quel fatidico 15 aprile del 1989. Fin dal mattino l’autostrada M62 era un’unica lunga fila di macchine, il traffico era congestionato a causa di una serie di lavori in corso, per cui l’arrivo a Sheffield per moltissimi tifosi avvenne più tardi del previsto. In tanti allora si accalcarono a ridosso delle entrate dell’Hillsborough Stadium, mentre il servizio d’ordine latitava. Come se non bastasse, per accedere alla Leppings Lane, la gradinata destinata ai supporter dei Reds, c’erano solo sette tornelli.
In via del tutto ipotetica quel settore di Hillsborough avrebbe potuto contenere fino a 10mila tifosi, sebbene la suddivisione in sette spicchi recintati, voluta anni prima dalla polizia per controllare meglio i flussi della folla, avesse ridotto la capienza, contribuendo a creare delle specie di lugubri e gigantesche gabbie. Tuttavia questo elemento, allorché furono venduti i biglietti, non fu preso in considerazione. La gradinata iniziò a ingrossarsi come un fiume in piena, ma colpevolmente nessuno pensò a convogliare i tifosi lì dove c’era maggiore spazio e disponibilità di posti. Man mano che passavano i minuti in tanti finirono per essere schiacciati contro la rete di protezione. La trappola mortale era scattata. Nonostante la situazione già fuori controllo, le forze dell’ordine non trovarono niente di meglio da fare che chiudere una porticina che dava un minimo di accesso al campo, aperta in qualche modo da alcuni tifosi.
I poliziotti erano accecati dalla paura degli hooligan e inizialmente spinsero indietro i gruppetti di fan del Liverpool che erano riusciti a salvarsi entrando sul terreno di gioco, a partita iniziata da una manciata di minuti. Solo in un secondo momento un agente si rese conto dell’immane tragedia che si stava consumando davanti ai suoi occhi e facilitò l’ingresso in campo di decine di disperati, il cui intento era tutt’altro che bellicoso. Cercavano solo di salvarsi la vita. Qualcuno fu tirato su a braccia verso il secondo piano della Leppings Lane, evitando il peggio. Molti non ce la fecero, morendo soffocati in un magma infernale di corpi.
L’indagine indipendente ha accertato che se si fosse intervenuti in maniera più tempestiva forse potevano essere salvate 41 vite.
Per celare la realtà dei fatti, quel giorno fu eseguita una sistematica alterazione dei verbali redatti dal personale addetto alle ambulanze e dagli agenti in servizio (si parla di ben 160 documenti falsificati). Furono cambiate ore, testimonianze, sparirono nastri delle telecamere dello stadio, insomma si fece di tutto per coprire quanto accaduto, tanto che pochi minuti dopo il dramma i vertici della polizia del South Yorkshire e il deputato conservatore Irvine Patnick erano già impegnati a far trapelare alle agenzie di stampa locali la notizia che erano stati i tifosi del Liverpool a provocare il disastro, vuoi perché ubriachi e violenti, vuoi perché in tanti erano entrati nel settore nonostante non disponessero dei biglietti. Nulla di più lontano dalla realtà, ma la news fu lo stesso subito ripresa dal tabloid The Sun con l'ormai tristemente celebre titolo di prima pagina “The Truth”. Una verità falsa, che finalmente sta per essere sostituita da quella vera.
lunedì 17 dicembre 2012
Pausa natalizia
Causa parecchi arretrati di lavoro e alcuni giorni di totale stacco dal calcio inglese ("merito" di una breve vacanza con la mia famiglia in quel di Monaco di Baviera), riprenderò ad aggiornare il blog dopo il 26. Tanti auguri a tutti!
martedì 11 dicembre 2012
Il punto sulla Premier – Manchester torna rossa
Lo United si aggiudica il derby in maniera rocambolesca e consolida il primato. La cura Benitez inizia a dare i suoi frutti e Torres trascina il Chelsea a Sunderland.
Altro match dall’andamento pazzesco quello tra Everton e Tottenham, con vittoria in extremis dei Toffeemen. Si risollevano Arsenal e Liverpool, anche grazie a qualche episodio fortunato. Nel Monday Night vince il Fulham.
COS'E' SUCCESSO - Un derby spettacolare, vibrante e infarcito di colpi di scena. Uno spot perfetto per la Premier League e per il movimento calcistico inglese. Il primo atto stagionale della stracittadina di Manchester ha regalato una caterva di emozioni e una vittoria dal valore inestimabile per lo United, che così consolida il suo primato in classifica sui rivali (ora distanti sei punti e sconfitti in casa in campionato dopo 37 match consecutivi). Decisivi Wayne Rooney e Robin Van Persie (al 59esimo goal in 71 partite disputate dal gennaio 2011 a oggi). Roberto Mancini può recriminare sulle mancate chance, ma forse si deve chiedere se non sarebbe stato meglio mettere subito nell'undici titolare Carlos Tevez al posto di uno spaesato Mario Balotelli. Dopo il flop europeo, è probabile che la riconferma del Mancio passi dal titolo in Premier, al momento tutt'altro che scontato. Giornata positiva per le altre grandi, con il Chelsea che ha vita facile sul campo del Sunderland (dove i Blues avevano vinto le ultime nove volte) anche grazie al redivivo Fernando Torres. Bene l'Arsenal contro il West Bromwich Albion (alla terza sconfitta consecutiva) e il Liverpool in rimonta sul campo del West Ham (con due marcature degli ex Glen Johnson e Joe Cole). Incredibile l'andamento della sfida del Goodison Park. Il Tottenham esce sconfitto 2-1 dopo essere stato in vantaggio fino ai minuti di recupero. Ora è bagarre per il quarto posto, con l'Everton che si rilancia in grande stile. In coda il Southampton vince lo scontro diretto con il Reading, mentre QPR e Aston Villa pareggiano contro Wigan e Stoke.
IL TOP – Si fa presto per dare in parabola discendente un campionissimo come Wayne Rooney. Alcuni media inglesi stavano già celebrando il de profundis, vuoi per l'arrivo di Robin Van Persie, vuoi per qualche prestazione non eccelsa dell'ex ragazzo prodigio dell'Everton. La doppietta al City, che lo issa a pari merito a quota dieci goal con Franny Lee e Joe Hayes (entrambi Light Blues) nella classifica dei marcatori di tutti i tempi della stracittadina di Manchester e una marcatura sopra il mitico Bobby Charlton sono la conferma che prima di poter dare per finito uno del calibro di Wayne Rooney deve passare ancora qualche annetto.
IL FLOP – Secondo noi si è tuffato alla grande e l'arbitro di turno, ahi lui, ha abboccato. Il gesto di Santi Cazorla contro il West Bromwich (che ha fruttato il rigore del vantaggio all'Arsenal) è senza dubbio da stigmatizzare, tanto quanto le intemperanze dei tifosi del Manchester City a fine derby. Ora si riapriranno due tavoli di discussione, uno sulle simulazioni di giocatori stranieri o autoctoni, e uno sulla violenza. Servono pene esemplari, in entrambi i casi.
LA SORPRESA – Una imbattibilità che dura da nove match, tra i quali spicca anche una vittoria contro il Manchester United capolista. Il Norwich è un team in grandissimo spolvero, ma in pochi pensavano potesse sconfiggere a domicilio un'altra compagine reduce da un ottimo momento di forma come lo Swansea. Una cosa è certa: Chris Hughton non sta facendo rimpiangere Paul Lambert.
TOH CHI SI RIVEDE – Dopo un anno di prestito al Lille – dove non sentono così tanto la sua mancanza – Joe Cole sta faticando a trovare spazio nel Liverpool targato Brendan Rodgers. Il goal contro i suoi amati Hammers potrebbe aiutarlo a risalire la china e garantirgli una buona dose di fiducia.
LA CHICCA – Il Tottenham tiene male nella parte finale dei match. Gli Spurs, infatti, hanno concesso 10 goal negli ultimi 15 minuti dei match giocati finora in Premier. Ben il 40 per cento delle marcature subite.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Di Jason Puncheon ricordiamo una fantastica tripletta in un Millwall-Crystal Palace di qualche anno fa. Un biglietto da visita ideale per apprezzare le sue notevoli qualità. Peccato che al ragazzo abbia sempre difettato la continuità, una caratteristica fondamentale per un centrocampista. Ora al Southampton, dopo una serie infinita di prestiti, sembra aver finalmente imboccato la “retta via”.
Altro match dall’andamento pazzesco quello tra Everton e Tottenham, con vittoria in extremis dei Toffeemen. Si risollevano Arsenal e Liverpool, anche grazie a qualche episodio fortunato. Nel Monday Night vince il Fulham.
COS'E' SUCCESSO - Un derby spettacolare, vibrante e infarcito di colpi di scena. Uno spot perfetto per la Premier League e per il movimento calcistico inglese. Il primo atto stagionale della stracittadina di Manchester ha regalato una caterva di emozioni e una vittoria dal valore inestimabile per lo United, che così consolida il suo primato in classifica sui rivali (ora distanti sei punti e sconfitti in casa in campionato dopo 37 match consecutivi). Decisivi Wayne Rooney e Robin Van Persie (al 59esimo goal in 71 partite disputate dal gennaio 2011 a oggi). Roberto Mancini può recriminare sulle mancate chance, ma forse si deve chiedere se non sarebbe stato meglio mettere subito nell'undici titolare Carlos Tevez al posto di uno spaesato Mario Balotelli. Dopo il flop europeo, è probabile che la riconferma del Mancio passi dal titolo in Premier, al momento tutt'altro che scontato. Giornata positiva per le altre grandi, con il Chelsea che ha vita facile sul campo del Sunderland (dove i Blues avevano vinto le ultime nove volte) anche grazie al redivivo Fernando Torres. Bene l'Arsenal contro il West Bromwich Albion (alla terza sconfitta consecutiva) e il Liverpool in rimonta sul campo del West Ham (con due marcature degli ex Glen Johnson e Joe Cole). Incredibile l'andamento della sfida del Goodison Park. Il Tottenham esce sconfitto 2-1 dopo essere stato in vantaggio fino ai minuti di recupero. Ora è bagarre per il quarto posto, con l'Everton che si rilancia in grande stile. In coda il Southampton vince lo scontro diretto con il Reading, mentre QPR e Aston Villa pareggiano contro Wigan e Stoke.
IL TOP – Si fa presto per dare in parabola discendente un campionissimo come Wayne Rooney. Alcuni media inglesi stavano già celebrando il de profundis, vuoi per l'arrivo di Robin Van Persie, vuoi per qualche prestazione non eccelsa dell'ex ragazzo prodigio dell'Everton. La doppietta al City, che lo issa a pari merito a quota dieci goal con Franny Lee e Joe Hayes (entrambi Light Blues) nella classifica dei marcatori di tutti i tempi della stracittadina di Manchester e una marcatura sopra il mitico Bobby Charlton sono la conferma che prima di poter dare per finito uno del calibro di Wayne Rooney deve passare ancora qualche annetto.
IL FLOP – Secondo noi si è tuffato alla grande e l'arbitro di turno, ahi lui, ha abboccato. Il gesto di Santi Cazorla contro il West Bromwich (che ha fruttato il rigore del vantaggio all'Arsenal) è senza dubbio da stigmatizzare, tanto quanto le intemperanze dei tifosi del Manchester City a fine derby. Ora si riapriranno due tavoli di discussione, uno sulle simulazioni di giocatori stranieri o autoctoni, e uno sulla violenza. Servono pene esemplari, in entrambi i casi.
LA SORPRESA – Una imbattibilità che dura da nove match, tra i quali spicca anche una vittoria contro il Manchester United capolista. Il Norwich è un team in grandissimo spolvero, ma in pochi pensavano potesse sconfiggere a domicilio un'altra compagine reduce da un ottimo momento di forma come lo Swansea. Una cosa è certa: Chris Hughton non sta facendo rimpiangere Paul Lambert.
TOH CHI SI RIVEDE – Dopo un anno di prestito al Lille – dove non sentono così tanto la sua mancanza – Joe Cole sta faticando a trovare spazio nel Liverpool targato Brendan Rodgers. Il goal contro i suoi amati Hammers potrebbe aiutarlo a risalire la china e garantirgli una buona dose di fiducia.
LA CHICCA – Il Tottenham tiene male nella parte finale dei match. Gli Spurs, infatti, hanno concesso 10 goal negli ultimi 15 minuti dei match giocati finora in Premier. Ben il 40 per cento delle marcature subite.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Di Jason Puncheon ricordiamo una fantastica tripletta in un Millwall-Crystal Palace di qualche anno fa. Un biglietto da visita ideale per apprezzare le sue notevoli qualità. Peccato che al ragazzo abbia sempre difettato la continuità, una caratteristica fondamentale per un centrocampista. Ora al Southampton, dopo una serie infinita di prestiti, sembra aver finalmente imboccato la “retta via”.
Etichette:
Arsenal,
Articoli,
Chelsea,
Liverpool,
Manchester City,
Manchester United,
Newcastle,
Sunderland,
Tottenham,
West Bromwich Albion,
West Ham United
lunedì 10 dicembre 2012
Intervista a David Conn
Questa è la versione integrale del pezzo uscito oggi su Pubblico. Per far spazio a un altro mio pezzo sul derby di Manchester sul giornale hanno tagliato qualcosina. Per fortuna non troppo...
David Conn è uno dei più apprezzati giornalisti e scrittori sportivi britannici, vincitore di numerosi premi di categoria. I suoi articoli sul Guardian e i suoi libri svelano le magagne che si annidano dietro la facciata glamour del calcio moderno, concentrandosi con enorme sensibilità sugli impatti sociali che i cambiamenti nel mondo del football hanno provocato negli ultimi decenni. Dopo il grande successo di pubblico e di critica raccolto con “The Football Business” (1998) e “The Beautiful Game?” (2005) , con il suo ultimo libro, “Richer than God”, si sofferma in particolare sulla storia recente del Manchester City, sulla sua ascesa da cugino povero dello United a club ricco e vincente. Nato a Manchester 47 anni fa, Conn ha iniziato a frequentare le gradinate del vecchio stadio del City, il Maine Road, quando era bambino, in un'epoca in cui il football non aveva ancora venduto la sua anima, come ci ricorda spesso nelle sue opere.
Ma perché lo sceicco Mansour Al Nahyan ha acquistato il Manchester City?
Sebbene fosse reduce da stagioni deludenti, il City è pur sempre un grande club, membro della Premier League ormai da qualche anno e con un grande seguito di tifosi. Mettici pure che aveva appena avuto in “dono” dall’amministrazione comunale uno stadio nuovo di zecca, il City of Manchester Stadium realizzato per i giochi del Commonwealth del 2002, e capirai perché hanno scelto di investire i loro soldi su una realtà di questo tipo. Più in generale quella dello sceicco Mansour è stata una gigantesca operazione di marketing, che gli ha assicurato più visibilità di decine di contratti petroliferi da sogno e che ha inoltre l'obiettivo di fornire un'immagine positiva di Abu Dhabi a tutto il mondo occidentale.
Non a caso il livello di professionalità dell’attuale società è molto alto, o sbaglio?
No, è esattamente così. Sanno gestire con maestria ogni situazione. Hanno rispetto della storia del club e dei suoi tifosi, elementi che ritengono degli asset da valorizzare. Quando il City ha vinto il titolo hanno invitato ai festeggiamenti tante vecchie glorie del passato e mantengono un dialogo proficuo e continuo con i supporter. Poi stanno puntando forte sulle giovanili e hanno destinato quasi 300 milioni di euro per la realizzazione del nuovo, avveniristico centro allenamenti.
Però finora in Champions League le cose sono andate male. Due eliminazioni consecutive al primo turno bruciano, non è che Roberto Mancini rischia?
Tutte le illazioni apparse sui giornali in merito a un suo possibile licenziamento non hanno senso. Qui non parliamo di gente come Roman Abramovich, che caccia gli allenatori a suo capriccio. In questo caso siamo di fronte a persone che programmano a lungo termine. Certo, ora si aspettano che Mancini rivinca la Premier e, dopo le brutte figure in Champions League, monitoreranno il suo lavoro con ancora maggiore attenzione. Ma non credo proprio lo cacceranno nel corso della stagione, anche se il City dovesse andare male. Poi è pur vero che la stampa non lo ama più, ma i tifosi lo adorano. Per me rimane un allenatore di spessore, molto concreto – non a caso appena arrivato a Manchester ha subito messo mano alla difesa – che però, vedi la lunga diatriba con Tevez, a volte trova difficoltà nella gestione dei giocatori.
E invece di Mario Balotelli che idea ti sei fatto?
Un grande talento ancora parzialmente inespresso, che al City ha avuto qualche momento negativo di troppo, in campo e fuori, come quando si è fatto espellere in maniera molto sciocca in un match di fondamentale importanza con l'Arsenal, oppure ha lanciato delle freccette contro un ragazzo delle giovanili. Tuttavia ho sempre pensato che della sua complessità si è compreso ben poco nel mondo del football, ossessionato com'è dalle prestazioni all'interno del rettangolo di gioco. Non dimentichiamoci che sulla sua personalità ha inciso molto un'infanzia problematica.
Nel 2014-15 sarà operativo il cosiddetto “fair play finanziario”. Che impatti avrà su squadre “spendaccione” come Manchester City e Chelsea?
Non credo che i vari Al Mansour e Abramovich si faranno trovare impreparati, anzi, ci stanno già lavorando. Quest’anno il Chelsea ha fatto registrare profitti per quasi due milioni di euro, non era mai successo nelle stagioni precedenti. I nuovi contratti televisivi ancora più ricchi e l’aumento del costo dei biglietti comporteranno un incremento delle entrate. È indubbio che sarà più difficile spendere e spandere come fatto di recente, ma tanto il City ha già costruito una buona base, investendo quasi un miliardo di euro sul mercato giocatori, ricchissimi contratti compresi.
Tu hai sempre tifato City, eppure nel libro “Richer than God” racconti come da tempo sia avvenuto un forte distacco tra te e il club che andavi a sostenere al vecchio Maine Road da bambino.
La differenza tra gli anni Settanta e adesso è che, anche grazie al mio lavoro, sono mio malgrado perfettamente a conoscenza di che cosa è diventato il mondo del calcio, di quanto gli interessi economici abbiano preso il sopravvento a scapito della passione. Prima per noi il Manchester City era un club e basta. Sapevamo, e bene, solo i nomi dei giocatori, gente come Colin Bell e Franny Lee. Loro erano in campo quando andai allo stadio per la prima volta nella mia vita, insieme a mio padre. Era una fredda sera del novembre del 1975, il City umiliò lo United nella semifinale di Coppa di Lega. Finì 4-0 davanti a 40mila tifosi in delirio, che ancora non si immaginavano che nell'arco di pochi anni sarebbe iniziato un declino durato circa 30 anni. Io e i miei amici quasi non sapevamo chi erano i proprietari, anche perché non sedevano nel board of directors per fare soldi. Già negli anni ottanta, quando i primi club sono stati quotati in borsa, è iniziato a cambiare tutto. Ora sono delle compagnie private e basta. Nel libro parlo di come nel 1994 proprio uno degli eroi della mia gioventù, quel Franny Lee di cui avevo il poster in camera e che fu protagonista della vittoria in campionato nel 1968 insieme a Bell e Mike Summerbee, divenne presidente solo per guadagnare soldi. Nonostante volesse far credere che l'aveva fatto per l'amore per il club. Riuscendo a capire che cosa c’era dietro a tutta una serie di azioni e comportamenti, ho iniziato a vivere il mio rapporto con la squadra in maniera differente. Anche quando nel 1999 il City vinse ai rigori lo spareggio per tornare in seconda serie contro il Gillingham ai rigori, dopo aver segnato due goal nei minuti di recupero dei tempi regolamentari, non sono riuscito a gioire come avrei fatto un decennio prima. Diciamo che il mio distacco ha radici profonde, che coincidono con l'affermazione del “calcio moderno”.
A proposito di proprietà molto discutibili, prima dello sceicco Mansour c'era l’ex premier thailandese Thaksin Shinawatra, non proprio uno stinco di santo.
Sì, però i tifosi, ma soprattutto la Premier League, lo hanno accolto a braccia aperte. Eppure stiamo parlando di una persona che quando era al potere si è reso responsabile di serie violazioni dei diritti umani, autorizzando omicidi extra-giudiziali di centinaia di persone, e di gravissimi atti di corruzione.
Anche ad Abu Dhabi gli sceicchi hanno i loro problemi.
Sì, hanno costruito parte della loro fortuna sfruttando per pochi soldi i migranti impiegati nel settore estrattivo e delle costruzioni. Paghe da fame, pessime condizioni di lavoro e diritti ridotti al lumicino hanno rappresentato la prassi per decenni, ora ci sono stati dei miglioramenti, ma ancora abbastanza timidi.
A Manchester, sponda United, i fan hanno inscenato proteste contro il possibile arrivo di Rupert Murdoch. Poi, una volta che la società è stata rilevata dalla famiglia americana dei Glazer, causa dell’immenso debito attuale dei Red Devils, alcuni hanno deciso di creare un club tutto loro, l’FC United. Perché i sostenitori del City non hanno fatto altrettanto? Tutto sommato quello che una volta era definito il “people’s club” ora è diventato una sorta di multinazionale.
In parte i tifosi del City non si sono creati scrupoli perché la squadra, a differenza dello United, non vinceva nulla da troppi anni. Anzi, avendo subito umilianti retrocessioni anche in terza serie, non vedevano l’ora che arrivasse qualcuno in grado di riportarli ai fasti del passato, chiunque fosse. Poi nel caso dell’FC United c’è da dire che l’iniziativa è partita soprattutto da alcuni singoli con un approccio molto “politico”, i quali alla fine hanno fatto la differenza.
Il modello del trust di tifosi sta facendo molti proseliti.
In Inghilterra ci sono e ci sono stati club professionistici minori il cui pacchetto di maggioranza faceva capo ai trust, enti no profit gestiti dai supporter. A breve il Portsmouth, compagine di grande tradizione precipitata in terza serie per la gestione dissennata di varie proprietà, potrebbe essere rilevata dal trust locale, mentre in Premier il 20 per cento delle azioni dello Swansea sono in mano ai tifosi. Sì, il trust è senza dubbio una delle medicine per curare i mali del calcio moderno.
Al di là di tutto, Manchester si ritrova con due delle squadre più forti al mondo e giocatori strapagati. La cosa non stride con la situazione tutt'altro che rosea della città?
Assolutamente sì. Pensa che l’area dove gioca il City, nella parte est della città, è una delle più povere d’Inghilterra. Lì la disoccupazione raggiunge punte del 40 per cento, eppure a pochi metri da migliaia di famiglie indigenti giocano calciatori come Carlos Tevez, che guadagna una decina di milioni di euro l’anno. Manchester è stata la culla della rivoluzione industriale, la città dove sono nati i sindacati e si sono sviluppati importanti movimenti sociali, ma a partire dalla salita al potere di Margaret Thatcher nel 1979 non si è fatto nulla per invertire l'inesorabile declino delle industrie locali. Sono mancate le alternative, o meglio non li si è cercate. Le autorità cittadine hanno accettato il nuovo modello, fatto di tagli e privatizzazioni, qualcosa è stato fatto per il centro, ma le periferie, in particolare quelle della parte orientale, sono state abbandonate. Mentre si spendevano oltre cento milioni di euro di soldi pubblici per realizzare lo stadio diventato la nuova casa del City, i campi di calcio e gli impianti sportivi venivano lasciati in condizioni disastrose. A Manchester chi vuole praticare sport a livello di base ogni anno incontra sempre più difficoltà.
In Italia quando accadono episodi di violenza legati al mondo del calcio, come l'ultimo che ha visto protagonisti ultrà romani contro tifosi del Tottenham, in tanti invocano il cosiddetto “modello inglese”. Ma è proprio così esemplare?
No, al di là del fatto che non potrai mai estirpare del tutto la violenza dal football, da noi si è esagerato con normative molto draconiane o per esempio con l'impiego della telecamere a circuito chiuso per controllare i tifosi. Sebbene a fare a botte allo stadio fosse una minoranza, pur cospicua negli anni Ottanta, hanno pagato tutti. Un altro elemento spesso sottovalutato di quello che chiamate “modello inglese” è stato l'aumento vertiginoso dei biglietti, che pure dopo il disastro dell'Hillsborough nel 1989 era stato indicato come un errore da non commettere dalla commissione indipendente istituita ad hoc, che poi produsse un documento di fondamentale importanza come il Taylor Report. Negli anni Settanta e Ottanta, anche quando c'erano periodi di crisi, tutti i giovani tra i 18 e i 25 anni si potevano permettere di andare allo stadio perché era a buon mercato. Ora l'eta media degli spettatori si è alzata moltissimo e intere fasce d'età sono penalizzate. Certo, così si sarà anche tenuto lontano qualche hooligan – ma non tutti – però si è colpita duramente la working class, da sempre grande appassionata del football. Ovvero uno sport che prima era sinonimo di coesione sociale. Ora non più.
Non a caso negli impianti d'oltre Manica non c'è più l'atmosfera, il tifo di una volta. Forse una soluzione sarebbe quella di rimettere le gradinate (terraces) senza posti numerati e con i tifosi in piedi.
Più passa il tempo e più mi convinco che questa sia una soluzione ideale. Sempre il Taylor Report stabilì che le gradinate dovessero scomparire dalle prime due divisioni professionistiche inglesi. Però se si introducessero delle terraces moderne, ovvero più sicure e funzionali, come quelle che esistono in Germania, si potrebbero aumentare le presenze allo stadio, diminuire il costo dei biglietti e il calore dei supporter tornerebbe ai livelli di un tempo. In Bundesliga funziona esattamente così, quindi perché non imitarli?
David Conn è uno dei più apprezzati giornalisti e scrittori sportivi britannici, vincitore di numerosi premi di categoria. I suoi articoli sul Guardian e i suoi libri svelano le magagne che si annidano dietro la facciata glamour del calcio moderno, concentrandosi con enorme sensibilità sugli impatti sociali che i cambiamenti nel mondo del football hanno provocato negli ultimi decenni. Dopo il grande successo di pubblico e di critica raccolto con “The Football Business” (1998) e “The Beautiful Game?” (2005) , con il suo ultimo libro, “Richer than God”, si sofferma in particolare sulla storia recente del Manchester City, sulla sua ascesa da cugino povero dello United a club ricco e vincente. Nato a Manchester 47 anni fa, Conn ha iniziato a frequentare le gradinate del vecchio stadio del City, il Maine Road, quando era bambino, in un'epoca in cui il football non aveva ancora venduto la sua anima, come ci ricorda spesso nelle sue opere.
Ma perché lo sceicco Mansour Al Nahyan ha acquistato il Manchester City?
Sebbene fosse reduce da stagioni deludenti, il City è pur sempre un grande club, membro della Premier League ormai da qualche anno e con un grande seguito di tifosi. Mettici pure che aveva appena avuto in “dono” dall’amministrazione comunale uno stadio nuovo di zecca, il City of Manchester Stadium realizzato per i giochi del Commonwealth del 2002, e capirai perché hanno scelto di investire i loro soldi su una realtà di questo tipo. Più in generale quella dello sceicco Mansour è stata una gigantesca operazione di marketing, che gli ha assicurato più visibilità di decine di contratti petroliferi da sogno e che ha inoltre l'obiettivo di fornire un'immagine positiva di Abu Dhabi a tutto il mondo occidentale.
Non a caso il livello di professionalità dell’attuale società è molto alto, o sbaglio?
No, è esattamente così. Sanno gestire con maestria ogni situazione. Hanno rispetto della storia del club e dei suoi tifosi, elementi che ritengono degli asset da valorizzare. Quando il City ha vinto il titolo hanno invitato ai festeggiamenti tante vecchie glorie del passato e mantengono un dialogo proficuo e continuo con i supporter. Poi stanno puntando forte sulle giovanili e hanno destinato quasi 300 milioni di euro per la realizzazione del nuovo, avveniristico centro allenamenti.
Però finora in Champions League le cose sono andate male. Due eliminazioni consecutive al primo turno bruciano, non è che Roberto Mancini rischia?
Tutte le illazioni apparse sui giornali in merito a un suo possibile licenziamento non hanno senso. Qui non parliamo di gente come Roman Abramovich, che caccia gli allenatori a suo capriccio. In questo caso siamo di fronte a persone che programmano a lungo termine. Certo, ora si aspettano che Mancini rivinca la Premier e, dopo le brutte figure in Champions League, monitoreranno il suo lavoro con ancora maggiore attenzione. Ma non credo proprio lo cacceranno nel corso della stagione, anche se il City dovesse andare male. Poi è pur vero che la stampa non lo ama più, ma i tifosi lo adorano. Per me rimane un allenatore di spessore, molto concreto – non a caso appena arrivato a Manchester ha subito messo mano alla difesa – che però, vedi la lunga diatriba con Tevez, a volte trova difficoltà nella gestione dei giocatori.
E invece di Mario Balotelli che idea ti sei fatto?
Un grande talento ancora parzialmente inespresso, che al City ha avuto qualche momento negativo di troppo, in campo e fuori, come quando si è fatto espellere in maniera molto sciocca in un match di fondamentale importanza con l'Arsenal, oppure ha lanciato delle freccette contro un ragazzo delle giovanili. Tuttavia ho sempre pensato che della sua complessità si è compreso ben poco nel mondo del football, ossessionato com'è dalle prestazioni all'interno del rettangolo di gioco. Non dimentichiamoci che sulla sua personalità ha inciso molto un'infanzia problematica.
Nel 2014-15 sarà operativo il cosiddetto “fair play finanziario”. Che impatti avrà su squadre “spendaccione” come Manchester City e Chelsea?
Non credo che i vari Al Mansour e Abramovich si faranno trovare impreparati, anzi, ci stanno già lavorando. Quest’anno il Chelsea ha fatto registrare profitti per quasi due milioni di euro, non era mai successo nelle stagioni precedenti. I nuovi contratti televisivi ancora più ricchi e l’aumento del costo dei biglietti comporteranno un incremento delle entrate. È indubbio che sarà più difficile spendere e spandere come fatto di recente, ma tanto il City ha già costruito una buona base, investendo quasi un miliardo di euro sul mercato giocatori, ricchissimi contratti compresi.
Tu hai sempre tifato City, eppure nel libro “Richer than God” racconti come da tempo sia avvenuto un forte distacco tra te e il club che andavi a sostenere al vecchio Maine Road da bambino.
La differenza tra gli anni Settanta e adesso è che, anche grazie al mio lavoro, sono mio malgrado perfettamente a conoscenza di che cosa è diventato il mondo del calcio, di quanto gli interessi economici abbiano preso il sopravvento a scapito della passione. Prima per noi il Manchester City era un club e basta. Sapevamo, e bene, solo i nomi dei giocatori, gente come Colin Bell e Franny Lee. Loro erano in campo quando andai allo stadio per la prima volta nella mia vita, insieme a mio padre. Era una fredda sera del novembre del 1975, il City umiliò lo United nella semifinale di Coppa di Lega. Finì 4-0 davanti a 40mila tifosi in delirio, che ancora non si immaginavano che nell'arco di pochi anni sarebbe iniziato un declino durato circa 30 anni. Io e i miei amici quasi non sapevamo chi erano i proprietari, anche perché non sedevano nel board of directors per fare soldi. Già negli anni ottanta, quando i primi club sono stati quotati in borsa, è iniziato a cambiare tutto. Ora sono delle compagnie private e basta. Nel libro parlo di come nel 1994 proprio uno degli eroi della mia gioventù, quel Franny Lee di cui avevo il poster in camera e che fu protagonista della vittoria in campionato nel 1968 insieme a Bell e Mike Summerbee, divenne presidente solo per guadagnare soldi. Nonostante volesse far credere che l'aveva fatto per l'amore per il club. Riuscendo a capire che cosa c’era dietro a tutta una serie di azioni e comportamenti, ho iniziato a vivere il mio rapporto con la squadra in maniera differente. Anche quando nel 1999 il City vinse ai rigori lo spareggio per tornare in seconda serie contro il Gillingham ai rigori, dopo aver segnato due goal nei minuti di recupero dei tempi regolamentari, non sono riuscito a gioire come avrei fatto un decennio prima. Diciamo che il mio distacco ha radici profonde, che coincidono con l'affermazione del “calcio moderno”.
A proposito di proprietà molto discutibili, prima dello sceicco Mansour c'era l’ex premier thailandese Thaksin Shinawatra, non proprio uno stinco di santo.
Sì, però i tifosi, ma soprattutto la Premier League, lo hanno accolto a braccia aperte. Eppure stiamo parlando di una persona che quando era al potere si è reso responsabile di serie violazioni dei diritti umani, autorizzando omicidi extra-giudiziali di centinaia di persone, e di gravissimi atti di corruzione.
Anche ad Abu Dhabi gli sceicchi hanno i loro problemi.
Sì, hanno costruito parte della loro fortuna sfruttando per pochi soldi i migranti impiegati nel settore estrattivo e delle costruzioni. Paghe da fame, pessime condizioni di lavoro e diritti ridotti al lumicino hanno rappresentato la prassi per decenni, ora ci sono stati dei miglioramenti, ma ancora abbastanza timidi.
A Manchester, sponda United, i fan hanno inscenato proteste contro il possibile arrivo di Rupert Murdoch. Poi, una volta che la società è stata rilevata dalla famiglia americana dei Glazer, causa dell’immenso debito attuale dei Red Devils, alcuni hanno deciso di creare un club tutto loro, l’FC United. Perché i sostenitori del City non hanno fatto altrettanto? Tutto sommato quello che una volta era definito il “people’s club” ora è diventato una sorta di multinazionale.
In parte i tifosi del City non si sono creati scrupoli perché la squadra, a differenza dello United, non vinceva nulla da troppi anni. Anzi, avendo subito umilianti retrocessioni anche in terza serie, non vedevano l’ora che arrivasse qualcuno in grado di riportarli ai fasti del passato, chiunque fosse. Poi nel caso dell’FC United c’è da dire che l’iniziativa è partita soprattutto da alcuni singoli con un approccio molto “politico”, i quali alla fine hanno fatto la differenza.
Il modello del trust di tifosi sta facendo molti proseliti.
In Inghilterra ci sono e ci sono stati club professionistici minori il cui pacchetto di maggioranza faceva capo ai trust, enti no profit gestiti dai supporter. A breve il Portsmouth, compagine di grande tradizione precipitata in terza serie per la gestione dissennata di varie proprietà, potrebbe essere rilevata dal trust locale, mentre in Premier il 20 per cento delle azioni dello Swansea sono in mano ai tifosi. Sì, il trust è senza dubbio una delle medicine per curare i mali del calcio moderno.
Al di là di tutto, Manchester si ritrova con due delle squadre più forti al mondo e giocatori strapagati. La cosa non stride con la situazione tutt'altro che rosea della città?
Assolutamente sì. Pensa che l’area dove gioca il City, nella parte est della città, è una delle più povere d’Inghilterra. Lì la disoccupazione raggiunge punte del 40 per cento, eppure a pochi metri da migliaia di famiglie indigenti giocano calciatori come Carlos Tevez, che guadagna una decina di milioni di euro l’anno. Manchester è stata la culla della rivoluzione industriale, la città dove sono nati i sindacati e si sono sviluppati importanti movimenti sociali, ma a partire dalla salita al potere di Margaret Thatcher nel 1979 non si è fatto nulla per invertire l'inesorabile declino delle industrie locali. Sono mancate le alternative, o meglio non li si è cercate. Le autorità cittadine hanno accettato il nuovo modello, fatto di tagli e privatizzazioni, qualcosa è stato fatto per il centro, ma le periferie, in particolare quelle della parte orientale, sono state abbandonate. Mentre si spendevano oltre cento milioni di euro di soldi pubblici per realizzare lo stadio diventato la nuova casa del City, i campi di calcio e gli impianti sportivi venivano lasciati in condizioni disastrose. A Manchester chi vuole praticare sport a livello di base ogni anno incontra sempre più difficoltà.
In Italia quando accadono episodi di violenza legati al mondo del calcio, come l'ultimo che ha visto protagonisti ultrà romani contro tifosi del Tottenham, in tanti invocano il cosiddetto “modello inglese”. Ma è proprio così esemplare?
No, al di là del fatto che non potrai mai estirpare del tutto la violenza dal football, da noi si è esagerato con normative molto draconiane o per esempio con l'impiego della telecamere a circuito chiuso per controllare i tifosi. Sebbene a fare a botte allo stadio fosse una minoranza, pur cospicua negli anni Ottanta, hanno pagato tutti. Un altro elemento spesso sottovalutato di quello che chiamate “modello inglese” è stato l'aumento vertiginoso dei biglietti, che pure dopo il disastro dell'Hillsborough nel 1989 era stato indicato come un errore da non commettere dalla commissione indipendente istituita ad hoc, che poi produsse un documento di fondamentale importanza come il Taylor Report. Negli anni Settanta e Ottanta, anche quando c'erano periodi di crisi, tutti i giovani tra i 18 e i 25 anni si potevano permettere di andare allo stadio perché era a buon mercato. Ora l'eta media degli spettatori si è alzata moltissimo e intere fasce d'età sono penalizzate. Certo, così si sarà anche tenuto lontano qualche hooligan – ma non tutti – però si è colpita duramente la working class, da sempre grande appassionata del football. Ovvero uno sport che prima era sinonimo di coesione sociale. Ora non più.
Non a caso negli impianti d'oltre Manica non c'è più l'atmosfera, il tifo di una volta. Forse una soluzione sarebbe quella di rimettere le gradinate (terraces) senza posti numerati e con i tifosi in piedi.
Più passa il tempo e più mi convinco che questa sia una soluzione ideale. Sempre il Taylor Report stabilì che le gradinate dovessero scomparire dalle prime due divisioni professionistiche inglesi. Però se si introducessero delle terraces moderne, ovvero più sicure e funzionali, come quelle che esistono in Germania, si potrebbero aumentare le presenze allo stadio, diminuire il costo dei biglietti e il calore dei supporter tornerebbe ai livelli di un tempo. In Bundesliga funziona esattamente così, quindi perché non imitarli?
martedì 4 dicembre 2012
Il punto sulla Premier – Comanda Manchester
Lo United allunga sul City, bloccato in casa dall’Everton, ma è ormai evidente che nessun altro club potrà scardinare il dominio sulla Premier delle due squadre della città del Lancashire.
Brutte sconfitte per Chelsea, West Bromwich Albion e Arsenal, con i Gunners che ormai navigano a metà classifica. Bene invece il Tottenham, facile sul campo del Fulham dell’ex Dimitar Berbatov. Solo un pari per il QPR del nuovo corso di Harry Redknapp, la zona salvezza rimane un miraggio.
COS'E' SUCCESSO – Ormai è ufficiale: la Premier 2012-13 è una corsa a due, né più né meno come l’anno scorso. Manchester United e Manchester City sono gli unici team in grado di giocarsi il titolo e già con il derby in programma domenica all’Etihad Stadium si potrebbe avere qualche indicazione supplementare sul destino del campionato attuale. Ad arrivare meglio alla stracittadina sono i Red Devils, reduci dal rocambolesco 4-3 a Reading (decima rimonta stagionale) frutto di una mezzora infarcita di goal ed emozioni e del resto del match condotto con il pilota automatico. I Light Blues, invece, con l’Everton hanno seriamente rischiato di perdere l’imbattibilità casalinga che ormai dura da un paio d’anni (gli ultimi a violare Eastlands furono proprio i Toffeemen). I ragazzi allenati da Roberto Mancini non stanno attraversando un momento brillante e si vede, quale migliore occasione per rimettersi in carreggiata di un derby, in programma domenica all’Etihad? Deve ormai dire addio ai sogni di gloria il Chelsea. Il contestatissimo Rafa Benitez sarà ancor meno amato dopo il rovescio (il primo in nove anni) al cospetto del West Ham. Partita dai due volti, al Boleyn Ground. Nel primo tempo dominano i Blues, che poi nella seconda frazione crollano e si beccano un meritato 1-3. Male anche l’Arsenal, sconfitto a domicilio dallo Swansea tornato agli ottimi livelli di inizio stagione, e il West Bromwich, fattosi sorprendere in casa dallo Stoke. Per il terzo posto, allora, inizia a farci più di un pensierino il Tottenham, corsaro al Craven Cottage. Gli Spurs devono ancora recuperare qualche infortunato eccellente (come Scott Parker), sebbene in riva al Tamigi si sia fermato per un problema muscolare Gareth Bale. In coda steccano quasi tutte, compreso il Southampton ad Anfield Road (dove i Saints hanno vinto solo una volta negli ultimi 30 anni) e il Sunderland a Norwich. Nel Monday Night risorge il Newcastle, che si impone con un secco 3-0 contro il Wigan.
IL TOP – Dieci goal in 15 gare, in cui ha scodellato anche un assist. Capocannoniere della Premier insieme a gente del calibro di Luis Suarez e Robin Van Persie. Dopo la doppietta all’Emirates le quotazioni di Michu (in teoria un centrocampista offensivo) si sono ulteriormente impennate. Per strappare lo spagnolo allo Swansea si è già fatta la fila e, ironia della sorte, pare che tra i club più interessati ci sia proprio l’Arsenal.
IL FLOP – Quasi fuori dalla Champions League e ormai tagliato fuori in campionato. Il 2012-13 non sembra proprio essere una stagione da ricordare per il Chelsea, che dal 1995 non incorreva in una sequela di sette partite senza vittorie. All’epoca la striscia negativa si fermò a dieci, un risultato che il già traballante Rafa Benitez spera di non eguagliare.
LA SORPRESA – Proprio quando sembrava lanciato verso la rincorsa a un posto in Champions League, il West Bromwich Albion è incappato in due stop consecutivi. Clamoroso il secondo, in casa contro lo Stoke. D’altronde è su questi colpacci esterni a sensazione che i Potters hanno costruito alcune delle tante salvezze dell’ultimo lustro.
TOH CHI SI RIVEDE – Nell’ultimo anno non ha praticamente mai giocato, prima per un brutto infortunio rimediato nei quarti di finale di Coppa di Lega allo Stamford Bridge nel novembre 2011, poi per una ricaduta nelle prime giornate della Premier attuale. Ora Luca Leiva pare finalmente pronto per rubare palloni e impostare il gioco nel fin qui mediocre centrocampo del Liverpool.
LA CHICCA – Nei 109 match in trasferta in cui il Sunderland si è trovato a rincorrere, solo una volta ha poi finito per vincere (2-1 al Blackburn nel 2008). Al Carrow Road i Black Cats non hanno smentito questa statistica negativa, anche perché Matt Kilgallon ha sbagliato un goal a porta vuota da due passi che ha dell’incredibile.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Contro il Wigan ha realizzato in maniera molto spettacolare la sua prima rete in Premier. Gael Bigirimana, arrivato in estate al Newcastle dal Coventry City, ha delle qualità notevoli e, nonostante sia solo diciannovenne, si sta già ritagliando degli spazi importanti nel centrocampo del Newcastle. Siamo sicuri che sentiremo ancora parlare di lui.
Brutte sconfitte per Chelsea, West Bromwich Albion e Arsenal, con i Gunners che ormai navigano a metà classifica. Bene invece il Tottenham, facile sul campo del Fulham dell’ex Dimitar Berbatov. Solo un pari per il QPR del nuovo corso di Harry Redknapp, la zona salvezza rimane un miraggio.
COS'E' SUCCESSO – Ormai è ufficiale: la Premier 2012-13 è una corsa a due, né più né meno come l’anno scorso. Manchester United e Manchester City sono gli unici team in grado di giocarsi il titolo e già con il derby in programma domenica all’Etihad Stadium si potrebbe avere qualche indicazione supplementare sul destino del campionato attuale. Ad arrivare meglio alla stracittadina sono i Red Devils, reduci dal rocambolesco 4-3 a Reading (decima rimonta stagionale) frutto di una mezzora infarcita di goal ed emozioni e del resto del match condotto con il pilota automatico. I Light Blues, invece, con l’Everton hanno seriamente rischiato di perdere l’imbattibilità casalinga che ormai dura da un paio d’anni (gli ultimi a violare Eastlands furono proprio i Toffeemen). I ragazzi allenati da Roberto Mancini non stanno attraversando un momento brillante e si vede, quale migliore occasione per rimettersi in carreggiata di un derby, in programma domenica all’Etihad? Deve ormai dire addio ai sogni di gloria il Chelsea. Il contestatissimo Rafa Benitez sarà ancor meno amato dopo il rovescio (il primo in nove anni) al cospetto del West Ham. Partita dai due volti, al Boleyn Ground. Nel primo tempo dominano i Blues, che poi nella seconda frazione crollano e si beccano un meritato 1-3. Male anche l’Arsenal, sconfitto a domicilio dallo Swansea tornato agli ottimi livelli di inizio stagione, e il West Bromwich, fattosi sorprendere in casa dallo Stoke. Per il terzo posto, allora, inizia a farci più di un pensierino il Tottenham, corsaro al Craven Cottage. Gli Spurs devono ancora recuperare qualche infortunato eccellente (come Scott Parker), sebbene in riva al Tamigi si sia fermato per un problema muscolare Gareth Bale. In coda steccano quasi tutte, compreso il Southampton ad Anfield Road (dove i Saints hanno vinto solo una volta negli ultimi 30 anni) e il Sunderland a Norwich. Nel Monday Night risorge il Newcastle, che si impone con un secco 3-0 contro il Wigan.
IL TOP – Dieci goal in 15 gare, in cui ha scodellato anche un assist. Capocannoniere della Premier insieme a gente del calibro di Luis Suarez e Robin Van Persie. Dopo la doppietta all’Emirates le quotazioni di Michu (in teoria un centrocampista offensivo) si sono ulteriormente impennate. Per strappare lo spagnolo allo Swansea si è già fatta la fila e, ironia della sorte, pare che tra i club più interessati ci sia proprio l’Arsenal.
IL FLOP – Quasi fuori dalla Champions League e ormai tagliato fuori in campionato. Il 2012-13 non sembra proprio essere una stagione da ricordare per il Chelsea, che dal 1995 non incorreva in una sequela di sette partite senza vittorie. All’epoca la striscia negativa si fermò a dieci, un risultato che il già traballante Rafa Benitez spera di non eguagliare.
LA SORPRESA – Proprio quando sembrava lanciato verso la rincorsa a un posto in Champions League, il West Bromwich Albion è incappato in due stop consecutivi. Clamoroso il secondo, in casa contro lo Stoke. D’altronde è su questi colpacci esterni a sensazione che i Potters hanno costruito alcune delle tante salvezze dell’ultimo lustro.
TOH CHI SI RIVEDE – Nell’ultimo anno non ha praticamente mai giocato, prima per un brutto infortunio rimediato nei quarti di finale di Coppa di Lega allo Stamford Bridge nel novembre 2011, poi per una ricaduta nelle prime giornate della Premier attuale. Ora Luca Leiva pare finalmente pronto per rubare palloni e impostare il gioco nel fin qui mediocre centrocampo del Liverpool.
LA CHICCA – Nei 109 match in trasferta in cui il Sunderland si è trovato a rincorrere, solo una volta ha poi finito per vincere (2-1 al Blackburn nel 2008). Al Carrow Road i Black Cats non hanno smentito questa statistica negativa, anche perché Matt Kilgallon ha sbagliato un goal a porta vuota da due passi che ha dell’incredibile.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Contro il Wigan ha realizzato in maniera molto spettacolare la sua prima rete in Premier. Gael Bigirimana, arrivato in estate al Newcastle dal Coventry City, ha delle qualità notevoli e, nonostante sia solo diciannovenne, si sta già ritagliando degli spazi importanti nel centrocampo del Newcastle. Siamo sicuri che sentiremo ancora parlare di lui.
Etichette:
Alex Ferguson,
Arsenal,
Articoli,
Chelsea,
Manchester City,
Manchester United,
Newcastle,
Sunderland,
Tottenham,
West Bromwich Albion,
West Ham United
lunedì 3 dicembre 2012
Wimbledon - Goal, invasioni e beffa finale
Pubblico mi ha dato spazio anche per una breve cronaca della partita. Peccato sia finita in quel modo...
Alla fine tanti tifosi dell’AFC Wimbledon hanno preferito stare vicini alla squadra, occupando tutti i 3mila posti messi a disposizione dai nemici giurati del Milton Keynes Dons. Quelli che una decina d’anni fa hanno defraudato con il beneplacito delle autorità calcistiche la comunità del quartiere londinese di Merton della loro squadra – il Wimbledon, divenuto appunto MK Dons – costringendola a ripartire dai livelli inferiori del calcio dilettantistico. Tanti fondatori e fan storici del nuovo club hanno preferito non mettere piede nello “stadio del male” per questo match di secondo turno della FA Cup alquanto sui generis, quelli che c’erano si sono fatti sentire e vedere, eccome. Durante il primo tempo ha sorvolato lo stadio anche un aereo con attaccato alla coda uno striscione quanto mai esplicativo: “Noi siamo il Wimbledon!”.
Nei primi 45 minuti la differente caratura delle due squadre si nota a stento. L’MK Dons, secondo in classifica nella terza serie inglese, fatica non poco a creare azioni pericolose contro l’attenta difesa degli avversari, nelle ultime posizioni dell’ex quarta divisione. Nei secondi di recupero, però, un bolide da oltre 20 metri Stephen Gleeson rompe la parità e fissa tutti i presupposti per una facile vittoria dei favoriti. Il quarto d’ora iniziale della seconda frazione di gioco pare confermare questa sensazione. L’MK, o Franchigia F.C., come la chiamano tutti gli appassionati inglesi, domina in lungo e in largo, prendendo d’assedio l’area di rigore dei rivali. Poi improvvisamente si svegliano le divinità celesti pallonare. Perfetto cross dalla destra, volo d’angelo degno del miglior Gigi Riva da parte di Jack Midson (una vita passata a girovagare tra le squadre minori di mezza Inghilterra) e goal del pareggio sotto la end occupata dai supporter dell’AFC Wimbledon.
La gioia e il senso di rivincita prendono il sopravvento e decine di tifosi si riversano in campo per festeggiare una marcatura storica quanto spettacolare. Una scena ormai inconsueta negli stadi inglesi, dove gli steward non ne fanno passare una agli spettatori troppo focosi, ma che ci sta tutta. I londinesi riacquistano fiducia, provano a rendersi ancora pericolosi e bloccano bene le folate dell’MK. A un minuto dalla fine Steven Gregory ha la palla del “miracolo”, ma il portiere dei padroni di casa David Martin la sfiora con la punta delle dita quel tanto che basta per mandarla in calcio d’angolo. E siccome il calcio a volte sa essere fin troppo crudele, nei minuti di recupero si materializza la madre di tutte le beffe. Una confusa azione da calcio d’angolo nell’area di rigore del Wimbledon termina con un tiraccio da fuori area apparentemente innocuo, se sulla traiettoria non ci mettesse il tacco con un gesto alla Ibrahimovic l’ex Liverpool Jon Otsemobor. L’ennesimo “furto” che i Dons finti infliggono a quelli veri…
Alla fine tanti tifosi dell’AFC Wimbledon hanno preferito stare vicini alla squadra, occupando tutti i 3mila posti messi a disposizione dai nemici giurati del Milton Keynes Dons. Quelli che una decina d’anni fa hanno defraudato con il beneplacito delle autorità calcistiche la comunità del quartiere londinese di Merton della loro squadra – il Wimbledon, divenuto appunto MK Dons – costringendola a ripartire dai livelli inferiori del calcio dilettantistico. Tanti fondatori e fan storici del nuovo club hanno preferito non mettere piede nello “stadio del male” per questo match di secondo turno della FA Cup alquanto sui generis, quelli che c’erano si sono fatti sentire e vedere, eccome. Durante il primo tempo ha sorvolato lo stadio anche un aereo con attaccato alla coda uno striscione quanto mai esplicativo: “Noi siamo il Wimbledon!”.
Nei primi 45 minuti la differente caratura delle due squadre si nota a stento. L’MK Dons, secondo in classifica nella terza serie inglese, fatica non poco a creare azioni pericolose contro l’attenta difesa degli avversari, nelle ultime posizioni dell’ex quarta divisione. Nei secondi di recupero, però, un bolide da oltre 20 metri Stephen Gleeson rompe la parità e fissa tutti i presupposti per una facile vittoria dei favoriti. Il quarto d’ora iniziale della seconda frazione di gioco pare confermare questa sensazione. L’MK, o Franchigia F.C., come la chiamano tutti gli appassionati inglesi, domina in lungo e in largo, prendendo d’assedio l’area di rigore dei rivali. Poi improvvisamente si svegliano le divinità celesti pallonare. Perfetto cross dalla destra, volo d’angelo degno del miglior Gigi Riva da parte di Jack Midson (una vita passata a girovagare tra le squadre minori di mezza Inghilterra) e goal del pareggio sotto la end occupata dai supporter dell’AFC Wimbledon.
La gioia e il senso di rivincita prendono il sopravvento e decine di tifosi si riversano in campo per festeggiare una marcatura storica quanto spettacolare. Una scena ormai inconsueta negli stadi inglesi, dove gli steward non ne fanno passare una agli spettatori troppo focosi, ma che ci sta tutta. I londinesi riacquistano fiducia, provano a rendersi ancora pericolosi e bloccano bene le folate dell’MK. A un minuto dalla fine Steven Gregory ha la palla del “miracolo”, ma il portiere dei padroni di casa David Martin la sfiora con la punta delle dita quel tanto che basta per mandarla in calcio d’angolo. E siccome il calcio a volte sa essere fin troppo crudele, nei minuti di recupero si materializza la madre di tutte le beffe. Una confusa azione da calcio d’angolo nell’area di rigore del Wimbledon termina con un tiraccio da fuori area apparentemente innocuo, se sulla traiettoria non ci mettesse il tacco con un gesto alla Ibrahimovic l’ex Liverpool Jon Otsemobor. L’ennesimo “furto” che i Dons finti infliggono a quelli veri…
domenica 2 dicembre 2012
Viva l'AFC Wimbledon!
Uscito oggi su Pubblico.
La squadra simbolo della resistenza al calcio moderno contro il club franchigia. La compagine fatta rinascere dall'impegno e dalla passione dei tifosi contro il team trapiantato di forza in una new town costruita dopo la Seconda guerra mondiale e dove il calcio non ha mai attecchito. Benvenuti a Milton Keynes Dons v AFC Wimbledon, match valido per il secondo turno della FA Cup, la competizione più antica al mondo (la prima edizione è datata 1871-72).
Il destino, nelle forme di un sorteggio birichino, ha messo di fronte questi due mondi opposti in uno dei match più attesi e chiacchierati dell'anno, in programma oggi allo Stadium:mk di Milton Keynes.
Due mondi opposti germogliati da un seme comune, il vecchio Wimbledon F.C. Il motivo del contendere è presto detto: nel 2002 le autorità calcistiche inglesi permisero alla dirigenza del Wimbledon di spostare baracca e burattini a 53 miglia dal suo luogo di nascita. Da Londra sud, a due passi dal tempio del tennis mondiale, a Milton Keynes, cittadina nata dal nulla nel 1967 tutta centro servizi e shopping mall. Uno dei luoghi simbolo dell'Inghilterra che si è sbarazzata troppo presto dell'industria per puntare sul terziario infarcito di finanza. Senza dubbio un luogo di grande ispirazione per uno dei maestri della letteratura britannica contemporanea come J.G. Ballard e che sembra l'ambientazione ideale per il suo ultimo libro, “Regno a Venire”.
Costretti ad abbandonare il romantico ma vetusto Plough Lane nel 1991, i Dons originali dovettero chiedere ospitalità al Crystal Palace, cominciando così il distacco dal loro luogo di origine. Intanto i costi aumentavano e le presenze allo stadio diminuivano in maniera esponenziale, anche perché la squadra non era più quella pazza e vincente degli anni ottanta. Ovvero la compagine della “personcina” John Fashanu, attaccante tutto fisico e poca tecnica reso popolare da Teo Teocoli in “Mai dire Gol”, del mediano dal tackle assassino, poi diventato attore, Vinny Jones, del peperino Dennis Wise, del portierone Dave Beasant e del talentuoso centrocampista Lawrie Sanchez. Questi ultimi due sono gli eroi della finale di Coppa d'Inghilterra del 1988, il momento più fulgido della storia del Wimbledon. Il primo parò un rigore a John Aldridge, il secondo segnò il goal decisivo per battere il grande Liverpool e dar vita a una delle più gigantesche sorprese della storia della competizione. Quel giorno buona parte dei tifosi neutrali prese le parti del Wimbledon. Un fatto insolito, poiché la squadra giallo-blu non era amata da chi non vivesse nei sobborghi meridionali di Londra. Troppo rozzo, primitivo, a tratti violento (celebre la foto che ritrae Jones mentre strizza i gioielli di famiglia a Paul Gascoigne) il gioco espresso da quella banda di matti, che negli spogliatoi ne combinava di tutti i colori, tra vestiti tagliuzzati e altre amenità varie. La stessa “personcina” pronunciò parole intrise di omofobia contro il fratello Justin, primo giocatore inglese a fare outing.
Ma al di là di tutto la “Crazy Gang” ha lasciato un'impronta nel calcio inglese, in anni peraltro difficili.
Dopo le voci di un improbabile trasferimento a Dublino e tanta incertezza, la proprietà scartò l'unica cosa sensata da fare: restituire la squadra alla comunità dove era nata nel 1889, passando nell'arco di circa un secolo da realtà dilettantistica a team della massima serie professionistica. Con il colpevole avallo della federazione, preferì puntare su una nuova piazza dotata di stadio ultramoderno e un buon bacino d'utenza potenziale. Era nata la Franchigia, come in maniera spregiativa chiama l'MK Dons la maggioranza dei tifosi inglesi. Un concetto caro agli sport professionistici americani, non alla cultura sportiva inglese, quello di cambiare casa per ragioni puramente economiche. Basti pensare a “Underworld”, il capolavoro di Don De Lillo, in cui si narra del famoso match di baseball del 1951 tra Brooklyn Dodgers e New York Giants, ora entrambe compagini “spostate” in California...
La metà bella e incoraggiante di questa storia, però, è costituita dai tifosi del vecchio Wimbledon, quelli che non si sono arresi e hanno deciso di ripartire da zero. Per questo hanno costituito un club tutto loro, rinominato, ovviamente, AFC Wimbledon. Meglio partire dai bassifondi delle leghe dilettantistiche che doversi piegare all’umiliazione di sostenere una squadra sradicata dal suo luogo d’origine e per giunta con un nome diverso, hanno pensato. Il motore di tutta l’iniziativa è stato un trust, per la precisione il Dons Trust. Con il ritrovato entusiasmo sono arrivate tante promozioni in serie, fino a quella dalla Conference alla ex Fourth Division, ora League Two, che ha segnato il ritorno tra le 92 squadre professionistiche della piramide ideale del football inglese. L'AFC Wimbledon, il club gestito interamente dai supporter, è ormai un esempio da seguire a livello nazionale. A loro si sono ispirati i fondatori dell'FC United, risposta comunitaria ai debiti e alla spersonalizzazione del Manchester United messa in atto dalla famiglia Glazer. A breve il Portsmouth, finito sull'orlo del fallimento per le malefatte di troppe proprietà, sarà salvato e amministrato dal trust dei tifosi.
Negli anni il nuovo Wimbledon è riuscito a ottenere indietro i trofei del vecchio, ma ora ha chiesto che l'MK rinunci anche al termine Dons (il soprannome degli Originals). La maggior parte dei tifosi boicotterà il match. “È un discorso di coerenza, loro non esistono, andare vorrebbe dire legittimarli” ci spiega Stefano Faccendini, italiano trapiantato a Londra da anni e autore del bellissimo “Noi siamo il Wimbledon”. La dirigenza dell'AFC dovrebbe essere allo stadio, ma ha sottolineato che non accetterà la consueta accoglienza nel directors box prevista in occasione dei match ufficiali. Insomma, i rapporti con i “transfughi” non sono certo dei migliori.
Intanto il pronostico appare scontato. Nonostante riempia a stento metà dei 22mila posti del suo stadio, L'MK è in vetta alla terza serie, mentre i veri Dons occupano i bassifondi della quarta. In Coppa però le sorprese sono sempre dietro l'angolo.
La squadra simbolo della resistenza al calcio moderno contro il club franchigia. La compagine fatta rinascere dall'impegno e dalla passione dei tifosi contro il team trapiantato di forza in una new town costruita dopo la Seconda guerra mondiale e dove il calcio non ha mai attecchito. Benvenuti a Milton Keynes Dons v AFC Wimbledon, match valido per il secondo turno della FA Cup, la competizione più antica al mondo (la prima edizione è datata 1871-72).
Il destino, nelle forme di un sorteggio birichino, ha messo di fronte questi due mondi opposti in uno dei match più attesi e chiacchierati dell'anno, in programma oggi allo Stadium:mk di Milton Keynes.
Due mondi opposti germogliati da un seme comune, il vecchio Wimbledon F.C. Il motivo del contendere è presto detto: nel 2002 le autorità calcistiche inglesi permisero alla dirigenza del Wimbledon di spostare baracca e burattini a 53 miglia dal suo luogo di nascita. Da Londra sud, a due passi dal tempio del tennis mondiale, a Milton Keynes, cittadina nata dal nulla nel 1967 tutta centro servizi e shopping mall. Uno dei luoghi simbolo dell'Inghilterra che si è sbarazzata troppo presto dell'industria per puntare sul terziario infarcito di finanza. Senza dubbio un luogo di grande ispirazione per uno dei maestri della letteratura britannica contemporanea come J.G. Ballard e che sembra l'ambientazione ideale per il suo ultimo libro, “Regno a Venire”.
Costretti ad abbandonare il romantico ma vetusto Plough Lane nel 1991, i Dons originali dovettero chiedere ospitalità al Crystal Palace, cominciando così il distacco dal loro luogo di origine. Intanto i costi aumentavano e le presenze allo stadio diminuivano in maniera esponenziale, anche perché la squadra non era più quella pazza e vincente degli anni ottanta. Ovvero la compagine della “personcina” John Fashanu, attaccante tutto fisico e poca tecnica reso popolare da Teo Teocoli in “Mai dire Gol”, del mediano dal tackle assassino, poi diventato attore, Vinny Jones, del peperino Dennis Wise, del portierone Dave Beasant e del talentuoso centrocampista Lawrie Sanchez. Questi ultimi due sono gli eroi della finale di Coppa d'Inghilterra del 1988, il momento più fulgido della storia del Wimbledon. Il primo parò un rigore a John Aldridge, il secondo segnò il goal decisivo per battere il grande Liverpool e dar vita a una delle più gigantesche sorprese della storia della competizione. Quel giorno buona parte dei tifosi neutrali prese le parti del Wimbledon. Un fatto insolito, poiché la squadra giallo-blu non era amata da chi non vivesse nei sobborghi meridionali di Londra. Troppo rozzo, primitivo, a tratti violento (celebre la foto che ritrae Jones mentre strizza i gioielli di famiglia a Paul Gascoigne) il gioco espresso da quella banda di matti, che negli spogliatoi ne combinava di tutti i colori, tra vestiti tagliuzzati e altre amenità varie. La stessa “personcina” pronunciò parole intrise di omofobia contro il fratello Justin, primo giocatore inglese a fare outing.
Ma al di là di tutto la “Crazy Gang” ha lasciato un'impronta nel calcio inglese, in anni peraltro difficili.
Dopo le voci di un improbabile trasferimento a Dublino e tanta incertezza, la proprietà scartò l'unica cosa sensata da fare: restituire la squadra alla comunità dove era nata nel 1889, passando nell'arco di circa un secolo da realtà dilettantistica a team della massima serie professionistica. Con il colpevole avallo della federazione, preferì puntare su una nuova piazza dotata di stadio ultramoderno e un buon bacino d'utenza potenziale. Era nata la Franchigia, come in maniera spregiativa chiama l'MK Dons la maggioranza dei tifosi inglesi. Un concetto caro agli sport professionistici americani, non alla cultura sportiva inglese, quello di cambiare casa per ragioni puramente economiche. Basti pensare a “Underworld”, il capolavoro di Don De Lillo, in cui si narra del famoso match di baseball del 1951 tra Brooklyn Dodgers e New York Giants, ora entrambe compagini “spostate” in California...
La metà bella e incoraggiante di questa storia, però, è costituita dai tifosi del vecchio Wimbledon, quelli che non si sono arresi e hanno deciso di ripartire da zero. Per questo hanno costituito un club tutto loro, rinominato, ovviamente, AFC Wimbledon. Meglio partire dai bassifondi delle leghe dilettantistiche che doversi piegare all’umiliazione di sostenere una squadra sradicata dal suo luogo d’origine e per giunta con un nome diverso, hanno pensato. Il motore di tutta l’iniziativa è stato un trust, per la precisione il Dons Trust. Con il ritrovato entusiasmo sono arrivate tante promozioni in serie, fino a quella dalla Conference alla ex Fourth Division, ora League Two, che ha segnato il ritorno tra le 92 squadre professionistiche della piramide ideale del football inglese. L'AFC Wimbledon, il club gestito interamente dai supporter, è ormai un esempio da seguire a livello nazionale. A loro si sono ispirati i fondatori dell'FC United, risposta comunitaria ai debiti e alla spersonalizzazione del Manchester United messa in atto dalla famiglia Glazer. A breve il Portsmouth, finito sull'orlo del fallimento per le malefatte di troppe proprietà, sarà salvato e amministrato dal trust dei tifosi.
Negli anni il nuovo Wimbledon è riuscito a ottenere indietro i trofei del vecchio, ma ora ha chiesto che l'MK rinunci anche al termine Dons (il soprannome degli Originals). La maggior parte dei tifosi boicotterà il match. “È un discorso di coerenza, loro non esistono, andare vorrebbe dire legittimarli” ci spiega Stefano Faccendini, italiano trapiantato a Londra da anni e autore del bellissimo “Noi siamo il Wimbledon”. La dirigenza dell'AFC dovrebbe essere allo stadio, ma ha sottolineato che non accetterà la consueta accoglienza nel directors box prevista in occasione dei match ufficiali. Insomma, i rapporti con i “transfughi” non sono certo dei migliori.
Intanto il pronostico appare scontato. Nonostante riempia a stento metà dei 22mila posti del suo stadio, L'MK è in vetta alla terza serie, mentre i veri Dons occupano i bassifondi della quarta. In Coppa però le sorprese sono sempre dietro l'angolo.
Iscriviti a:
Post (Atom)