lunedì 31 agosto 2009

Il Manchester United alla rincorsa di Chelsea e Tottenham

Ancora sotto shock per la serata da incubo dell’Upton Park, il calcio inglese si rituffa nella rassicurante routine della Premier. La quarta giornata di campionato aveva in programma il primo big match della stagione: il faccia a faccia infinito tra Sir Alex Ferguson e Arsene Wenger.

Per i Gunners il sogno della tanto attesa rivincita della doppia sconfitta nella semifinale di Champions League della scorsa stagione dura solo una ventina di minuti, poi un rigore rimediato e realizzato da Wayne Rooney e un clamoroso – mai questo aggettivo fu più adatto – autogol di Abou Diaby assicurano i tre punti ai padroni di casa. In realtà a giocare meglio è stato l’Arsenal, che tra le tante assenze doveva patire anche il forfait di Cesc Fabregas. Per un pomeriggio la dea bendata ha deciso di voltare le spalle i londinesi, beffandoli con traverse, gol annullati e occasioni sprecate a grappoli. Nello United non brillano Giggs, Carrick e Valencia, mentre il migliore ormai è quasi superfluo segnalarlo. Basta dire che ha sulle spalle il numero dieci e quanto ad esperienza e intelligenza calcistica dimostra più dei suoi quasi 24 anni anagrafici…

Poker di vittorie per il Chelsea, che impiega poco meno di un tempo per prendere le misure alla matricola terribile Burnley. Il popolo dello Stamford Bridge sembra apprezzare sempre di più il gioco tanto brillante quanto redditizio dei Blues guidato da Carlo Ancelotti. L’intesa Drogba-Anelka migliora in maniera esponenziale – vedere la prima marcatura per credere – e la rotazione degli uomini di centrocampo – sabato in campo Deco al posto di Mikel – per il momento è perfetta. Adesso bisogna solo vedere come si comporterà il club del West End londinese contro squadre di maggior spessore tecnico. Intanto il guanto di sfida è stato lanciato.

L’altra capolista a punteggio pieno è, un po’ a sorpresa, il Tottenham. Gli Spurs risolvono la pratica Birmingham solo allo spirare dell’ultimo minuto di recupero, sebbene durante il match avessero dimostrato di essere ampiamente superiori alla formazione messa in campo da Alex McLeish. Come con il West Ham, il match-winner è Aaron Lennon, ormai non solo più una saetta sulla fascia, ma anche uno dal gol facile. Per Harry Redknapp, però, ci sono anche delle pessime notizie: il suo playmaker Luka Modric si è rotto il perone e dovrà restare fuori a lungo. Proprio ora che si ora completamente inserito nel meccanismo di gioco degli Spurs…

Dopo la batosta casalinga rimediata contro l’Aston Villa, Rafa Benitez aveva bacchettato Steven Gerrard, esortandolo ad innalzare il suo livello di gioco. Il capitano dei Reds non se l’è fatto ripetere due volte, trascinando la squadra alla vittoria sul campo del Bolton. Ma quanto fatica, per un Liverpool apparso ancora convalescente, tanto da concedere due volte il vantaggio ai Trotters – non esattamente una compagine del gol facile. Maluccio il nuovo arrivato Sotiros Kyrgiakos, mentre Glen Johnson ha dimostrato per l’ennesima volta di valere i 18 milioni di sterline spesi per lui in estate segnando la sua seconda marcatura del 2009-10.

Vince e convince il Manchester City nel derby di Abu Dhabi – anche la nuova proprietà del Portsmouth viene dagli Emirati arabi. Terzo gol consecutivo in campionato di un Emmanuel Adebayor che sembra essere più quello della stagione 2007-08 (30 gol totali) che quello della campagna 2008-09 (solo 16 reti).

Pompey in grande difficoltà (zero punti) e alla ricerca dei qualche colpo in extremis sul mercato. Problemi anche per il Wigan, al terzo stop consecutivo – per giunta arrivato al 90° - dopo l’1-2 sul campo dell’Everton, e per il Fulham, l’euro-avversaria della Roma. I Cottagers vengono sconfitti senza appello dall’Aston Villa, reduce da una settimana altalenate, con vittoria ad Anfield Road ma anche un’inaspettata eliminazione in Europa Cup. Chiudono il quadro l’1-1 tra il Wolverhampton e l’Hull e l’affermazione di misura dello Stoke sull’ambizioso Sunderland. I Potters sono quinti, alla faccia di chi anche quest’anno li vedeva tra i team più scarsi della Premier.

Da Goal.com

giovedì 27 agosto 2009

La battaglia di Upton Park

Ormai sembrava un incubo scomparso nelle nebbie del passato, un difficile rompicapo risolto per sempre con un nutrito mix di leggi draconiane e incisive misure di ordine pubblico. Invece è bastato un “semplice” incontro di secondo turno di Carling Cup per riportare alla ribalta nazionale il bubbone dell’hooliganismo. Intendiamoci, quella in programma martedì sera non era esattamente una partita qualsiasi, bensì il derby londinese più a rischio incidenti: West Ham-Millwall. Alla vigilia della gara i timori erano tanti, ma la portata degli scontri ha superato le più fosche previsioni degli addetti ai lavori. Centinaia di tifosi si sono fronteggiati prima e dopo il match su Green Street, lo stradone che in pieno East End londinese porta dalla fermata della metro di Upton Park fino all’omonimo stadio del West Ham (anche se il vero nome è Boleyn Ground). Scontri si sono registrati anche all’interno dell’impianto, con tanto di tre invasioni di campo in occasione dei gol dei padroni di casa. La polizia, impegnata fino a notte fonda a sedare i continui rigurgiti di violenza, ha operato una decina di arresti, ma dopo la visione dei numerosi filmati a diposizione non si escludono nuovi fermi e soprattutto l’imposizioni di diffide a vita per i più esagitati.

Una serata da incubo, stile anni Settanta e Ottanta, quando episodi del genere erano all’ordine del giorno. La violenza fa la sua ricomparsa nel calcio inglese? Al di là degli stereotipi che vorrebbero il calcio inglese mondato da ogni forma di intemperanza, la verità è che la violenza non è mai del tutto sparita. Si è parzialmente ridotta e spesso si è trasferita lontano dagli stadi, dove gruppi di qualche decina di tifosi non di rado si danno appuntamento per una “sana” scazzottata tra loro, al riparo dalle telecamere a circuito chiuso che hanno ormai invaso tutta l’Inghilterra e le vicinanze delle arene in particolare. I match più caldi, soprattutto i tanti derby che si svolgono in tutti gli angoli del Paese, rimangono sempre fonte di preoccupazioni per le forze dell’ordine. In un’ipotetica classifica, West Ham-Millwall la fa da padrone. Lo si è scritto spesso nei vari libri di hooligans pentiti o presunti tali, lo si è visto nel film “Hooligans on Green Street”, lo si è sperimentato dal vivo martedì sera. Le due tifoserie si odiano di brutto e non fanno niente per nasconderlo. Forse sono troppo simili per riuscire a tollerarsi a vicenda. Entrambe con una spiccata matrice proletaria, un forte radicamento nelle rispettive comunità, già in passato hanno più volte guadagnato una considerevole ribalta mediatica per le loro imprese tutt’altro che edificanti. Basta fare un giretto su You Tube per rendersene conto, casomai in primis dando un’occhiata a un famoso Luton Town-Millwall di FA Cup del 1985, match andato pure in diretta nazionale…

Come se non bastasse, considerato il differente pedigree calcistico, Irons e Lions hanno avuto modo di fronteggiarsi solo raramente. Attualmente il West Ham, allenato da Gianfranco Zola, è un team di Premier, mentre il Millwall del Sud povero di Londra si trova due divisioni più sotto, in League One. La partita di martedì era la prima dal 2004-05, quando le due gare del campionato di Championship – che avemmo modo di seguire dal vivo – furono pressoché prive di scontri, ma il livello di militarizzazione fuori e dentro gli stadi fu incredibile. Per capirci, il match in casa del Millwall fu giocato alle 12 di una piovosa domenica mattina di novembre, alla presenza di 15mila spettatori e oltre 1.500 poliziotti in assetto anti-sommossa. Un’occasione così “ghiotta” come quella di martedì, per di più sotto forma di gara secca di coppa e in notturna, sarebbe forse ricapitata solo tra un bel po’ di anni, e dunque valeva la pena prenderla al volo. Non a caso nelle baruffe pre-partita la polizia ha individuato numerosi teppisti privi di biglietto o addirittura con un banning order (la nostra diffida) sul groppone. Tante “vecchie facce”, membri dei gruppi di hooligans del passato come i temutissimi Inter City Firm (West Ham) e Bushwhackers (Millwall), si sono dati appuntamento per una sorta di rimpatriata – il che spiega anche il numero così alto di persone coinvolte. Adesso si attende l’esito delle inchieste già promosse dalle autorità sportive e giudiziarie. Intanto dalle parti di Scotland Yard, ma non solo, si spera che i prossimi sorteggi delle coppe nazionali non riservino altre sorprese. Forse in futuro non sarebbe una cattiva idea evitare che incori di questa pericolosità si giochino in notturna, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta (meno luce, più alcool nelle vene, ecc.). Steve Bacon, il fotografo ufficiale degli Irons, ha dichiarato al Times che in 35 anni di lavoro al Boleyn Ground non aveva mai vissuto una serata così spaventosa. Speriamo che non ne debbano seguire altre.

Da Goal.com

martedì 25 agosto 2009

London Calling

Le tre grandi del calcio londinese lanciano la sfida: Arsenal, Chelsea e Tottenham hanno completato un percorso netto (i Gunners però hanno giocato una partita in meno) che permette loro di monopolizzare le prime posizioni della classifica di Premier.

Domenica i successi di Chelsea e Tottenham sono arrivati nei primi derby stagionali. Se il match del Craven Cottage è stato ben poco spettacolare, soprattutto per colpa di un Fulham rinunciatario e poco ispirato, al Boleyn Ground Spurs e West Ham hanno prodotto emozioni e spettacolo in quantità industriali (e un Cudicini in gran forma). Mentre Harry Redknapp ha potuto battere il club di cui ha vestito la maglia e che ha allenato grazie alle prodezze di due stelline del calcio inglese, Jermain Defoe e Aaron Lennon, Carlo Ancelotti ha festeggiato il tris di affermazioni in campionato per merito del duo franco-ivoriano Anelka & Drogba, un assist e un gol a testa. E le nostre perplessità sulle difficoltà di intesa tra i due campioni dell’attacco dei Blues vanno già a farsi benedire…

Dieci gol in due partite, sette giocatori a segno, un gioco spumeggiante come quello espresso nelle migliori annate dell’era Wenger: benvenuti alla festa dell’Arsenal. Il malcapitato di turno è il sofferente Portsmouth ora di proprietà araba, ancora fermo a zero punti dopo le tre gare disputate in questo inizio stagione in cui di nuovi acquisti non c’è nemmeno l’ombra e un paio di ex idoli del Fratton Park (Johnson, Crouch) sono ormai un lontano ricordo. Che ai Gunners vada invece tutto a gonfie vele lo testimonia la dinamica della rete di Willy Gallas. Dopo aver segnato di schiena nel match di Champions League con il Celtic, il difensore francese l’ha buttata dentro calciandosi la palla sulla fronte. Ovviamente in maniera involontaria…

Il Manchester United impiega un tempo per scrollarsi di dosso le pericolose scorie della nottataccia del Turf Moor. Al ribattezzato DW Stadium, dalle iniziali del presidente David Whelan, la prima frazione risulta abbastanza equilibrata e si chiude sullo 0-0. Poi si scatenano le punte di Sir Alex e i Latics finiscono travolti da un pokerissimo di reti in meno di 45 minuti. Si conferma un grandissimo Wayne Rooney (doppietta), si sbloccano Dimitar Berbatov (fin allo splendido gol un po’ in ombra) e Michael Owen (che in una gara ufficiale non segnava da gennaio). Bene l’ex di turno Antonio Valencia, che non sarà Cristiano Ronaldo, ma i cross in area di rigore li sa indirizzare molto bene, cavandosela discretamente pure in fase di copertura.

Sorride anche l’altra metà di Manchester. Tevez è la mente, Adebayor è il braccio: i Wolves sono costretti a capitolare. A voler fare i pignoli, i Citizens peccano ancora un po’ troppo del “killing instinct” necessario per chiudere le partite. Contro i Wolves nel finale sono serviti un pizzico di fortuna (traversa di Keogh) e un grande Shay Given per evitare la beffa, soprattutto considerato il dominio assoluto della prima frazione di gioco.

Nel Monday Night un Aston Villa finalmente cinico e concreto infligge la seconda sconfitta stagionale al Liverpool, al primo tonfo ad Anfield in Premier dal dicembre 2007. Reds ancora deludenti e sempre più sull’orlo della crisi.

Il Burnley compie un altro miracolo, superando di misura un Everton ancorato a quota zero e forse distratto dal mercato – avendo oltre 20 milioni di sterline da investire dopo la cessione di Joleon Lescott al Manchester City. I Clarets ripetono il copione del match contro i campioni uscenti dello United: prima segnano (con il veterano Elliott), poi si salvano grazie a un errore dal dischetto da parte degli avversari (a sbagliare è Louis Saha). Al Turf Moor sembra di sognare ad occhi aperti.

Nella giornata da segnalare anche la prima vittoria dell’Hull per 1-0 sul Bolton, le parate di Sorensen che salvano lo Stoke sul campo del Birmingham e il successo non proprio meritatissimo del Sunderland a spese di un Blackburn bravo ma sfortunato.

Pubblicato oggi su Goal.com

lunedì 24 agosto 2009

Derby londinese in tarda mattinata

L'articolo qui di seguito l'ho scritto circa quattro anni fa per la mitica fanza God Save The Football. Mi fa piacere riproporlo alla vigilia del match valido per il secondo turno di Carling Cup che si terrà domani al Boleyn Ground. Peccato non essere lì...

Prendete tre italiani patiti di calcio inglese, per la precisione un tifoso dell’Arsenal, uno del West Ham ed uno del Manchester United ma con spiccate simpatie per il Millwall, e fategli trascorrere un giorno e mezzo a Londra, città che tutti e tre hanno visitato innumerevoli volte. In quel lasso di tempo considerate che c’è pure un imperdibile derby West Ham-Millwall e che i nostri amici hanno tre tagliandi per accedere al Boleyn Ground. E’ abbastanza chiaro che la combriccola di footy-mad passi il suo tempo tra pub, librerie specializzate in sport (o sarebbe meglio dire libreria specializzata, la solita che tutti conosciamo), visite a qualche stadio (Highbury, con annesso giretto nel museo), un salto in alcuni negozi a “tema” (calcio ed affini) e per finire si goda un derby londinese a dir poco sentito, concedendosi un ricco pre-partita nella zona di Upton Park. Tralasciamo il racconto dettagliato sullo smodato uso delle carte di credito in quel di Sport Pages e di Soccer Scene. D’altronde la maglietta del Millwall anni ‘60 della Toffs bisognava comprarla, no? E poi il libro di Simon Inglis sul mitico architetto di stadi Archibald Leitch chi se lo sarebbe lasciato sfuggire? Con tutte quelle foto d’epoca e la storia di come misero su il Craven Cottage piuttosto che Ibrox…

Vabbè, passiamo alla partita, non prima di aver detto che nelle loro peregrinazioni i nostri amici hanno anche visto da lontano il nuovo impianto dell’Arsenal, attualmente in avanzato stato di costruzione. Alla vista delle mastodontiche tribune dell’Emirates Stadium, si sono registrati sentimenti contrastanti per il tifoso dei Gunners, nonostante tutto ancora legatissimo al caro vecchio Arsenal Stadium. Ma torniamo a West Ham-Millwall. Ovvero, come enfaticamente sottolineato dal programma ufficiale della partita, “lo scontro tra le culture calcistiche dell’Est e del Sud di Londra”. Più prosaicamente, una sfida che vede contrapposte due tra le tifoserie più turbolente di tutto il Regno Unito. Tifoserie che si odiano profondamente, non fanno niente per nasconderlo e che negli scorsi decenni hanno causato numerosi episodi di violenza, finendo ripetutamente sulle prime pagine dei giornali. Il perché di tanto astio è presto detto. I supporter delle due squadre sono troppo simili per potersi amare. Sia il Millwall che il West Ham, infatti, hanno una base di tifosi quasi esclusivamente proletaria, fortemente attaccati al loro territorio ed alla sua “difesa”. Anche i fondatori dei due team hanno chiare origini working class, visto che parliamo di operai che verso la fine del diciannovesimo secolo decisero di mettere su una squadra per praticare quel gioco che già all’epoca esercitava tanto fascino proprio sulle masse popolari. Per gli Hammers la sfida con il Millwall rappresenta una sorta di ultima chiamata per i Play Offs di Championship e quindi una chance di tornare in Premier, mentre per i Lions le ambizioni di promozione sono tramontate da qualche settimana.

Insomma, oltre che il derby la partita più importante di tutta la stagione, almeno per gli Hammers. Per ragioni di sicurezza si gioca alle 12.00 di sabato. La fermata della metropolitana di Upton Park, che dista cinque minuti a piedi dallo stadio, è presidiata dalla polizia, che pattuglia in forze le strade prospicenti il Boleyn Ground. Tutto sembra tranquillo fino alle 10.30, allorché arriva uno sparuto gruppo di tifosi del Millwall. Sale la tensione, soprattutto a parole. Le forze dell’ordine bloccano il vialone che porta allo stadio, mentre arrivano decine di camionette cariche di poliziotti in assetto anti-sommossa e con cinque-sei cani al seguito. Le due tifoserie si fronteggiano...con qualche coro. Nessuno si azzarda a lanciare nemmeno un pezzo di carta contro la polizia, figuriamoci una molotov, come accaduto di recente in Italia. Dopo un po’ i poliziotti scortano i supporter dei Lions a destinazione. Quanto descritto sarà il momento più ad alta tensione della giornata, per quello che è considerato forse il derby più a rischio di tutta l’Inghilterra.

I tre anglofili italiani, dopo aver buttato un occhio sulla scena appena descritta, si fanno tutte le bancarelle attorno allo stadio, in alcuni casi pentendosi di aver quasi finito i contanti, per poi trovare il proprio posto in tribuna intorno alle 11.30. Non prima di aver notato che alcuni muri esterni della Doc Martens Stand riportano i nomi di numerosi tifosi del West Ham che ci hanno purtroppo lasciato. Da brividi.

Nonostante le presunta pericolosità del match, al Boleyn Ground non mancano parecchi bambini con la magliettina azzurra-bordeaux d’ordinanza. All’entrata i controlli degli efficientissimi steward sono ridotti al minimo. L’atmosfera all’interno dello stadio è vibrante, fatta di cori e battimani. Riferimenti all’orientamento politico delle due squadre nemmeno a sognarseli. Non mancano certo i cori contro gli avversari. Si tratta pur sempre di un derby. Però in campo non arriva nessun oggetto. I circa 2.500 tifosi del Millwall, separati dai rivali da qualche fila di seggiolini e da un cordone di polizia, non vengono bersagliati con monetine e razzi lanciati dalle gradinate avversarie. Inutile dire che qui non ci sono “gabbie”, e, dopo il disastro dell’Hillsborough, allorché morirono contro le inferriate di una curva ben 96 persone, sono state tolte tutte le barriere tra le tribune ed il terreno da gioco. Però oggi nessuno ha provato ad invadere il campo – cosa che peraltro in Inghilterra accade molto di rado.

Lo splendido impianto del West Ham, ovviamente tutti posti numerati e a sedere e scalini sgombri dalla presenza di tifosi, facilita l’operato delle forze dell’ordine e degli steward, disposti in maniera strategica nei punti nevralgici dello stadio. Dopo pochi minuti segna il Millwall. Tifosi bianco-blu in delirio, che intonano il famoso coro “No one likes us, we don’t care” – non piacciamo a nessuno, ma non ci importa – che dipinge alla perfezione l’attitudine mentale di chi non ha avuto la fortuna di nascere nelle eleganti vie di Belgravia. Da brividi il “ruggito”, una sorta di argh prolungato all’infinito, a fare il verso al leone, il simbolo della loro squadra. Disperazione del tifoso del West Ham e di quello dell’Arsenal, prestato per una mattinata alla causa Hammers. Il simpatizzante del Millwall se la ride sotto i baffi. Ma i tifosi del West Ham non si demoralizzano, continuano a cantare il loro inno e ad incitare la squadra, fino all’esplosione di gioia del liberatorio pareggio, raggiunto verso la fine del primo tempo. Ora è il tifoso dei Lions a rimanerci male, mentre gli altri due festeggiano allegramente il gol. Il secondo tempo offre meno emozioni. Il match finisce 1-1. Volano un po’ di fischi, poi si torna tutti a casa, senza cercare il contatto con gli avversari o lo scontro con le “guardie”. Ormai da queste parti sono cose che succedono molto sporadicamente. Per i nostri tre amici è tempo di tornare in Italia, già con il pensiero della prossima trasferta in Inghilterra.

venerdì 21 agosto 2009

Eriksson riparte dal basso

«Riportare il Notts County in Premier League è la più grande sfida sportiva della mia vita». Così si è espresso Sven Goran Eriksson all'indomani della sua nomina a «Director of Football» del club di Nottingham, la scorsa stagione classificatosi solo diciannovesimo nella quarta serie inglese. A fine luglio l'allenatore svedese ha accettato l'incarico «non per soldi», ma perché stimolato dall'ambizioso progetto disegnato dalla nuova proprietà, un gruppo dell'Europa dell'Est che risponde al nome di Munto Finance - invero un po' oscuro, tanto da non essere dotato di un sito web che dia qualche delucidazione in più sulle sue attività. Eriksson ha ammesso di aver provato «molta incertezza» appena ricevuta la proposta, ma di essersi poi rapidamente convinto. Per dirla tutta, si vocifera di un compenso annuale che si aggirerebbe sui due milioni di sterline, un ottimo sprone per cercare un alloggio nelle Midlands. Il suo raggio d'azione spazia dagli aspetti tecnici da curare insieme all'allenatore Ian McParland, ai trasferimenti, fino allo sviluppo del settore giovanile. In mano un piano (e un contratto) quinquennale.
L'esperienza di Eriksson e i danari dall'Est Europa dovrebbero quanto meno portare subito nuova linfa e un po' di entusiasmo a quello che sarà anche il club professionistico più antico del Pianeta (anno di nascita 1862) e tra i 12 membri fondatori del campionato inglese, che tanto tempo fa avrà pure ispirato la maglia a strisce bianco latte e nero fumo a una celeberrima compagine torinese, ma che di recente ha saputo collezionare solo delusioni. Per non parlare del record di giorni di amministrazione controllata: 534 tra il 2002 e il 2003, ai tempi del consorzio guidato da Albert Scardino, giornalista vincitore di un Premio Pulitzer ed ex collaboratore di Bill Clinton. Uno che di calcio capiva poco e di finanza ancor meno, almeno a giudicare dai pessimi risultati della sua gestione. Per la serie corsi e ricorsi storici, già dopo la Seconda Guerra Mondiale il Notts County fece parlare di sé per un affare un po' sui generis: nonostante allora giocasse in Terza Divisione, iscrisse a libro paga addirittura il capitano della nazionale inglese, Tommy Lawton. Eriksson ha l'occasione di riconquistare un po' di popolarità nel Paese che, quando era il tecnico della nazionale, lo ha prima annusato con diffidenza, poi esaltato, quindi scagliato nella polvere liberandosene appena possibile, ovvero quando il nostro prima non andò oltre i quarti di finale ai Mondiali del 2006 e poi ebbe il torto di spifferare qualche segreto di troppo a un giornalista del News of the World travestito da sceicco. In mezzo mille pruriginose avventure che hanno fatto la felicità dei tabloid. Le successive esperienze al Manchester City e sulla panchina del Messico sono state, se possibile, ancora più frustranti e avare di soddisfazioni. Un dato di fatto è inequivocabile: è più facile attirare simpatie se si lavora per una società storica ma molto deficitaria sul rettangolo verde - retrocesso dall'allora First Division nel 1992, il Notts milita in quarta serie da cinque anni consecutivi - che raggiungere subito risultati positivi anche se in cassa si hanno molti quattrini. Queen's Park Rangers docet. E poi i bianconeri hanno uno degli inni più strambi della storia del calcio. Fa più o meno così (sulle note di una vecchia ballata folk dei Weavers, On Top of Old Smokey): «Avevo una carriola, mi sono perso la ruota». E nessuno sa perché.
Per il momento, però, le cose sembrano andare bene. Il Notts, come lo chiamano i suoi tifosi (abbreviazione di Nottinghamshire, guai a confonderlo coi rivali acerrimi del Nottingham Forest), ha vinto le prime due partite di League Two (l'equivalente della nostra vecchia C2) segnando la bellezza di nove reti, senza subirne nemmeno una. L'effetto Eriksson si è fatto subito sentire al botteghino. Per la prima partita contro il Bradford City, al Meadow Lane sono accorsi in quasi 10mila - l'anno scorso la media è stata di poco superiore alle 4mila unità. Negli ultimi giorni si sono pure scatenate voci su possibili arrivi clamorosi in quel di Nottingham. Si è scritto di un Notts County interessato a Luis Figo, Patrick Vieira e Pavel Nedved. Grazie ai buoni contatti di Sven ci potrebbe essere qualche altra sorpresa, ma francamente sembra solo fantacalcio. Il mercato reale dei bianconeri è stato sì ricco, ma di onesti lavoratori delle divisioni minori, eccezion fatta per l'acquisto di Kasper Schmeichel dal Manchester City (dove il figlio del grande Peter Schemichel era ormai relegato al ruolo di terzo portiere). Per ora l'eroe dei supporter del Notts è lo stagionato Lee Hughes, che proprio nella gara con il Bradford ha messo a segno una tripletta. Sotto lo sguardo soddisfatto di Mr Eriksson. La strada per la Premier è molto lunga, per cui è meglio cominciare bene.

Articolo scritto per il Manifesto e andato in pagina prima che il Notts County perdesse la sua prima partita di campionato in quel di Chesterfield.

giovedì 20 agosto 2009

Charlton, la favola è finita

Fino a tre anni fa il Charlton Athletic era il club modello, il fulgido esempio da seguire per tutte le società di medio e piccolo cabotaggio, impegnate a sopravvivere nei perigliosi mari della Premier. Poi improvvisamente la favola degli Addicks si è dissolta, in concomitanza con la partenza del manager Alan Curbishley. Uno che nei suoi 15 anni al The Valley aveva condotto la compagine del sud-est di Londra a due promozioni nella massima serie, dove aveva poi inanellato un settimo, un undicesimo e un dodicesimo posto che avevano fatto gridare al miracolo. Una gestione tecnica e finanziaria impeccabile, improntata su acquisti oculati e una seria organizzazione, un’academy in grado di sfornare giocatori di valore come Scott Parker, Lee Bowyer e Paul Konchesky, insomma, una sorta di isola felice dove tutto filava nella giusta direzione. Si iniziava anche a discutere di ampliare la capienza dell’impianto da 27mila a oltre 40mila posti, visto che il tutto esaurito era ormai divenuto una piacevole abitudine. Intanto altre realtà del calcio d’oltre Manica, compresi club importanti come lo Sheffield Wednesday e il Leeds United, colavano a picco nei gorghi provocati da debiti e rose scadenti.

Ormai quei tempi sembrano lontani un paio di ere geologiche. La fine del ciclo Curbishley ha provocato un corto circuito dagli effetti devastanti. Coloro i quali, un po’ scottati dalle ultimissime prestazioni del suo Charlton, ritenevano che con Curbishley non si sarebbero potuti raggiungere risultati più importanti, si sono dovuti presto ricredere. Il regno del suo sostituto, il nordirlandese Iain Dowie, è durato solo 15 partite, a fronte di un inizio di stagione in Premier disastroso e di una campagna acquisti da 12 milioni di sterline a dir poco deficitaria. Otto di quei milioni erano stati investiti su brocchi del calibro di Amdy Faye, Souleymane Diawara e Djimi Traore. Gente che ha giocato poco (55 partite in tre nel corso della loro permanenza) e che è stata poi rivenduta per un misero milioncino in totale. Inoltre affidare le sorti dell’attacco biancorosso a un Jimmy Floyd Hasselbaink ormai sul viale del tramonto non si è rivelata una mossa troppo azzeccata – e stiamo usando un eufemismo… Il destino degli Addicks era segnato. Alla prima retrocessione hanno fatto seguito una mediocre stagione a metà classifica in Championship e il flop dell’annata appena passata, conclusa con il magro bottino di otto vittorie in 46 partite, con tanto di “record del club” di 18 gare senza centrare i tre punti. La panchina biancorossa è diventata tanto precaria quanto era stata stabile nel recente passato, con un altro nome illustre come Alan Pardew incapace di invertire un trend negativo fin troppo consolidato.

Adesso tocca a Phil Parkinson provare a portare il Charlton fuori dalle secche della League One. Una League One imbottita di nobili decadute come Leeds United, Norwich City e Southampton, tutte compagini che fino a non troppo tempo fa facevano la loro parte in Premier. L’inizio di campionato è stato dei più confortanti: tre vittorie in altrettante partite. A testimonianza della difficoltà della terza divisione inglese, basti pensare che proprio Norwich e Southampton per il momento sono ancorate al fondo della classifica.

La rinascita è dunque possibile. Non sarebbe la prima volta. Nel 1984 una tremenda crisi economica stava portando gli Addicks al fallimento. I tifosi più attempati ricordano un match contro il Grimsby nell’allora Second Division tenutosi davanti a sole 7.000 persone e in un The Valley sempre più malandato. Una partita che poteva essere letteralmente l’ultima della storia del Charlton. Fortunatamente si trovò una nuova proprietà che fece il massimo per salvare il club, costretto però ad un esilio forzato dal suo stadio, cominciato nel 1985, e a momentanei soggiorni a Selhurst Park e al Boleyn Ground. Ora tutti sanno, o possono immaginare, come è poi andata a finire la favola di questa orgogliosa compagine. I tifosi nel 1989 “tornano” all’abbandonato The Valley, ormai fatiscente e pieno di erbacce, e iniziano i primi lavori di ammodernamento. Passano altri anni, e ci vuole addirittura la costituzione di un partito politico, ovviamente chiamato Valley Party, prima che si possano avere i permessi necessari per ricostruire lo stadio. Il 5 dicembre 1992 c’è il tanto agognato ritorno a casa. Un successo enorme per i tifosi, che tanto hanno brigato per ottenerlo. Ora la situazione è un po’ meno tragica, ma serve un impegno da parte di tutti per tornare ai fasti recenti.

Scritto per la rubrica "British Corner" di Goal.com

martedì 18 agosto 2009

Magliette

Chiamatemi antiquato, ma le maglie di gioco degli ultimi anni le trovo spesso oscene. Vedere quella del Tottenham con le strisce di giallo-uniposca per credere. Fa piacere invece che il Leicester City abbia dato ascolto ai suoi tifosi, decidendo di onorare i 125 dalla sua fondazione con una prima maglia non recante alcuna scritta sul petto. Quella da trasferta, molto simile al modello scelto nel 1884, ha uno sponsor un po’ sui generis, visto che parliamo di un’organizzazione no profit. E poi almeno sono entrambe alquanto sobrie…

lunedì 17 agosto 2009

E' subito un Premier all'insegna dello spettacolo

Tra le grandi stecca solo il Liverpool, sconfitto dal Tottenham. Subito decisivi Rooney, Adebayor e Drogba. L’Arsenal umilia l’Everton. Male l’Aston Villa.

Finalmente sono terminati i tour nei quattro angoli del pianeta, con folle di cinesi, piuttosto che sudafricani, festanti per l’arrivo dei vari Rooney e Robinho di turno. Per un momento si smette pure di parlare di calcio mercato, quest’anno monopolizzato dai tanti denari che ingolfano le casse del Manchester City. La Premier League apre i battenti! Lo fa con una prima giornata dove le grandi o aspiranti tali vincono tutte, eccezion fatta per il Liverpool, e dove non si registra un pareggio ma ben cinque vittorie in trasferta su dieci gare in totale.

Nelle ultime due stagioni al suo esordio in campionato il Manchester United aveva pareggiato in casa contro Reading e Newcastle, entrambi team poi retrocessi in Championship. Quest’anno i Red Devils hanno preferito incamerare subito tre punti preziosi per la rincorsa allo storico poker di successi consecutivi in Premier. È bastato un gol di Wayne Rooney – sempre più leader della squadra – ma tutto sommato lo United ha ben figurato, con il neo-acquisto Antonio Valencia che ha fornito una prestazione incoraggiante e l’altro nuovo arrivato Michelino Owen che ha sfiorato la marcatura al suo esordio da “amico” all’Old Trafford.

Non ha per nulla impressionato invece il Liverpool, che infatti ha perso a Londra con il Tottenham. Per la verità il 2-1 finale sta molto stretto agli Spurs rivitalizzati dalla cura Redknapp, che beneficiano di una regia pressoché perfetta di Luka Modric e di un Aaron Lennon esplosivo, anche per la scarsa qualità difensiva dell’argentino Emiliano Insua, che in teoria, molto in teoria, avrebbe dovuto bloccare le sgroppate sulla fascia del nazionale inglese. Maluccio pure Fernando Torres e Dirk Kuyt, ma nei Reds si sente già la mancanza di Xabi Alonso. E per vedere in campo Alberto Aquilani Rafa Benitez dovrà aspettare ancora quasi due mesi…

Anche Carlo Ancelotti spera di poter recuperare presto qualche pedina decisiva, così da riportare Michael Essien davanti alla difesa e non tenerlo sulla corsia destra, dove il ghanese si impegna ma non è decisivo. Mettiamoci che dall’altra parte Florent Malouda è in evidente ritardo di forma e che l’Hull City sfrutta al meglio le pochissime occasioni capitategli, segnando pure con l’odiato Stephen Hunt (quello che provocò l’infortunio a Peter Cech tre anni fa a Reading) e capiremo perché l’esordio del tecnico di Reggiolo allo Stamford Bridge si stava tramutando in un incubo. Però non ci dobbiamo nemmeno scordare che oltre a uno spento Nicolas Anelka, in attacco i Blues dispongono di un certo Didier Drogba. Uno che ha il gol nel sangue, che segna pure quando sbaglia un cross – come successo sabato nei minuti di recupero – e che ha già dimostrato molto spesso in carriera di essere decisivo.

Al Goodison Park l’Arsenal umilia un Everton troppo brutto per essere vero. Arsene Wenger si ritrova senza pedine importanti come il solito Tomas Rosicki, Theo Walcott e Samir Nasri, con un mercato che ha tolto più di quello che ha dato, ciò nonostante per la squadra da lui plasmata alla perfezione la difficile visita a casa dell’Everton si trasforma in una passeggiata. Nella prestazione dei Gunners dal centrocampo scintillante guidato da Denilson e Cesc Fabregas faremmo fatica a trovare qualche difetto, mentre per i Toffeemen non c’è proprio nulla da salvare. A questo punto la cessione del difensore Joleon Lescott diventa necessaria, sia per fare cassa al fine di investire soldi su eventuali nuovi arrivi, sia perché non ha senso tenere un giocatore ormai così palesemente con la testa altrove, che rischia di trasformare uno dei migliori reparti arretrati della scorsa stagione in un colabrodo.

Il Manchester City dominatore del mercato vince subito in trasferta, a Blackburn. Una sorta di evento, per una compagine che nel 2008-09 aveva trionfato lontano da casa solo due volte in tutto il campionato. A parte qualche patema d’animo nel primo tempo, i Blues tengono bene il campo, sebbene Mark Hughes sia presto chiamato a risolvere un dilemma: val davvero la pena impiegare Robinho come esterno di centrocampo? Non è meglio trovargli una miglior collocazione?

Sorpresa di giornata il 2-0 che il Wigan del giovane allenatore spagnolo Roberto Martinez infligge a domicilio a un frastornato Aston Villa – e che perla la marcatura di Rodallega! Negli altri match spiccano il 2-0 esterno del West Ham a Wolverhampton e il medesimo risultato “all’inglese” che ha permesso allo Stoke di battere l’altra neo-promossa Burnley. Per le tre compagini provenienti dalla Championship – tutte a zero dopo la prima giornata – la vita in Premier si annuncia molto difficile.

Da Goal.com di oggi

sabato 15 agosto 2009

Premier al via

Sono partiti Cristiano Ronaldo e Xabi Alonso, sono arrivati Carlo Ancelotti e Alberto Aquilani. La Premier League inglese sabato si presenta ai nastri di partenza senza più la sua stella di prima grandezza - ma tutto sommato rimane il campionato di maggior spessore tecnico del mondo - e con un fardello di debito da «far invidia» a un paese africano. I bilanci dello scorso anno dei 20 club della massima divisione d'oltre Manica ci raccontano di oltre 3 miliardi di euro di esposizione totale. Sarà per questo e per la crisi, che in Inghilterra si fa sentire più che da altre parti, che il mercato estivo non ha riservato troppi colpi a sensazione, fatta eccezione per la cessione di Ronaldo dal Manchester United al Real Madrid per la cifra iperbolica di 90 milioni di euro e per l'iper-attivismo del Manchester City. Bella forza, con i miliardi degli sceicchi di Abu Dhabi sono capaci tutti a spendere 200 milioni in giocatori nello spazio di soli 12 mesi. Nelle settimane appena trascorse, però, la dirigenza dei Blues del Lancashire ha dimostrato di aver imparato la lezione, acquistando con criterio e non un po' alla rinfusa come era accaduto nel recente passato. Santa Cruz, Adebayor, Tevez, Barry e Touré sono tutti acquisti di valore pronti a puntellare ogni reparto di gioco. Insomma, se l'oligopolio delle Big Four (Manchester United, Liverpool, Chelsea e Arsenal, in ordine di classifica 2008-09) non verrà scalfito quest'anno, non verrà scalfito mai più.
Anche perché sulla carta almeno tre grandi si sono indebolite. I campioni uscenti dei Red Devils, in cerca del poker di successi consecutivi in Premier, hanno preso il promettente colombiano Antonio Valencia e l'ex grande nemico Michael Owen per sostituire Tevez e mister 90 milioni, l'Arsenal ha ceduto pedine fondamentali come Adebayor e Touré e deve fare i conti con gli infortuni di Nasri e Rosicki, mentre il Liverpool spera nella resurrezione di Aquilani per mettere una pezza alla fuga di Xabi Alonso. Curioso come sia Alex Ferguson che Rafa Benitez - che si odiano ferocemente - si affidino a due giocatori dall'infortunio a dir poco facile.
Sempre a proposito dei Reds, c'è da segnalare il solito fermento per le sorti della società. Al momento, il club è nelle mani del duo americano Gillett-Hicks, che ha appena rinegoziato con la Royal Bank of Scotland un debito di 350 milioni di euro, ma i supporter si stanno organizzando in grande stile per creare una valida alternativa.
Due gruppi, Share Liverpool FC e Spirit of Shankly Campaign, stanno muovendo i loro primi passi per rilevare la società. L'obiettivo è particolarmente ambizioso: raccogliere 250 milioni dai tifosi e altri 100 da un partner commerciale. Staremo a vedere se riusciranno nel loro intento. Il Chelsea si è pressoché mantenuto immutato, considerati anche i gran rifiuti di Andrea Pirlo e Daniele De Rossi e fatti salvi eventuali colpi di mercato dell'ultima ora (leggi Pato o Ribery, ndr.). Il vero valore aggiunto della campagna acquisti del club dello Stamford Bridge dovrebbe quindi essere Carlo Ancelotti. Saprà imitare i successi di Josè Mourinho, oppure farà la fine ingloriosa di Felipao Scolari? Per adesso, l'ex allenatore del Milan ha già messo in bacheca la Charity Shield (la supercoppa inglese), strappata domenica scorsa al Manchester United. Non sarà il trofeo più importante della storia, ma è meglio di niente.
Everton e Aston Villa si dovranno accontentare del solito piazzamento Uefa - o Europa League che dir si voglia - duellando con un manipolo di squadre londinesi, West Ham, Fulham e Tottenham.
Proprio gli Spurs hanno preso il lungagnone ex Portsmouth Peter Crouch e scaricato al Sunderland il reietto Darren Bent, che prima della tanto attesa cessione aveva trovato il modo di attaccare il suo ormai ex club utilizzando Twitter. Un chiaro segno dei tempi...
Tutte le altre rischiano il salto nel purgatorio della Championship e il conseguente ingente danno economico ad esso legato. Come al solito faranno fatica le neopromosse, per il 2009-10 Wolverhampton, Birmingham e Burnley. Quest'ultima rappresenta la città più piccola ad aver mai «messo piede» in Premier dalla sua fondazione (1992). E pensare che una volta anche i piccoli Clarets riuscivano a salire sul trono d'Inghilterra. Accadde nel 1960. Più di una vita fa, calcisticamente parlando.

Pubblicato sul Manifesto di giovedì scorso.

domenica 9 agosto 2009

Norwich superfavorito? Forse no.

Stando alle valutazioni di molti addetti ai lavori e di riviste specializzate, i Canaries sarebbero accreditati di un pronto ritorno in Championship dopo la retrocessione dello scorso maggio. A giudicare dall’esordio stagionale, quanto meno il cammino del Norwich non appare così facile e privo di insidie. Altrimenti come si spiegherebbe l’1-7 casalingo rimediato nel derby con il Colchester United? Va bene che era la prima partita di campionato, però lo score segnava già 0-4 dopo poco più di 25 minuti…