giovedì 20 agosto 2009

Charlton, la favola è finita

Fino a tre anni fa il Charlton Athletic era il club modello, il fulgido esempio da seguire per tutte le società di medio e piccolo cabotaggio, impegnate a sopravvivere nei perigliosi mari della Premier. Poi improvvisamente la favola degli Addicks si è dissolta, in concomitanza con la partenza del manager Alan Curbishley. Uno che nei suoi 15 anni al The Valley aveva condotto la compagine del sud-est di Londra a due promozioni nella massima serie, dove aveva poi inanellato un settimo, un undicesimo e un dodicesimo posto che avevano fatto gridare al miracolo. Una gestione tecnica e finanziaria impeccabile, improntata su acquisti oculati e una seria organizzazione, un’academy in grado di sfornare giocatori di valore come Scott Parker, Lee Bowyer e Paul Konchesky, insomma, una sorta di isola felice dove tutto filava nella giusta direzione. Si iniziava anche a discutere di ampliare la capienza dell’impianto da 27mila a oltre 40mila posti, visto che il tutto esaurito era ormai divenuto una piacevole abitudine. Intanto altre realtà del calcio d’oltre Manica, compresi club importanti come lo Sheffield Wednesday e il Leeds United, colavano a picco nei gorghi provocati da debiti e rose scadenti.

Ormai quei tempi sembrano lontani un paio di ere geologiche. La fine del ciclo Curbishley ha provocato un corto circuito dagli effetti devastanti. Coloro i quali, un po’ scottati dalle ultimissime prestazioni del suo Charlton, ritenevano che con Curbishley non si sarebbero potuti raggiungere risultati più importanti, si sono dovuti presto ricredere. Il regno del suo sostituto, il nordirlandese Iain Dowie, è durato solo 15 partite, a fronte di un inizio di stagione in Premier disastroso e di una campagna acquisti da 12 milioni di sterline a dir poco deficitaria. Otto di quei milioni erano stati investiti su brocchi del calibro di Amdy Faye, Souleymane Diawara e Djimi Traore. Gente che ha giocato poco (55 partite in tre nel corso della loro permanenza) e che è stata poi rivenduta per un misero milioncino in totale. Inoltre affidare le sorti dell’attacco biancorosso a un Jimmy Floyd Hasselbaink ormai sul viale del tramonto non si è rivelata una mossa troppo azzeccata – e stiamo usando un eufemismo… Il destino degli Addicks era segnato. Alla prima retrocessione hanno fatto seguito una mediocre stagione a metà classifica in Championship e il flop dell’annata appena passata, conclusa con il magro bottino di otto vittorie in 46 partite, con tanto di “record del club” di 18 gare senza centrare i tre punti. La panchina biancorossa è diventata tanto precaria quanto era stata stabile nel recente passato, con un altro nome illustre come Alan Pardew incapace di invertire un trend negativo fin troppo consolidato.

Adesso tocca a Phil Parkinson provare a portare il Charlton fuori dalle secche della League One. Una League One imbottita di nobili decadute come Leeds United, Norwich City e Southampton, tutte compagini che fino a non troppo tempo fa facevano la loro parte in Premier. L’inizio di campionato è stato dei più confortanti: tre vittorie in altrettante partite. A testimonianza della difficoltà della terza divisione inglese, basti pensare che proprio Norwich e Southampton per il momento sono ancorate al fondo della classifica.

La rinascita è dunque possibile. Non sarebbe la prima volta. Nel 1984 una tremenda crisi economica stava portando gli Addicks al fallimento. I tifosi più attempati ricordano un match contro il Grimsby nell’allora Second Division tenutosi davanti a sole 7.000 persone e in un The Valley sempre più malandato. Una partita che poteva essere letteralmente l’ultima della storia del Charlton. Fortunatamente si trovò una nuova proprietà che fece il massimo per salvare il club, costretto però ad un esilio forzato dal suo stadio, cominciato nel 1985, e a momentanei soggiorni a Selhurst Park e al Boleyn Ground. Ora tutti sanno, o possono immaginare, come è poi andata a finire la favola di questa orgogliosa compagine. I tifosi nel 1989 “tornano” all’abbandonato The Valley, ormai fatiscente e pieno di erbacce, e iniziano i primi lavori di ammodernamento. Passano altri anni, e ci vuole addirittura la costituzione di un partito politico, ovviamente chiamato Valley Party, prima che si possano avere i permessi necessari per ricostruire lo stadio. Il 5 dicembre 1992 c’è il tanto agognato ritorno a casa. Un successo enorme per i tifosi, che tanto hanno brigato per ottenerlo. Ora la situazione è un po’ meno tragica, ma serve un impegno da parte di tutti per tornare ai fasti recenti.

Scritto per la rubrica "British Corner" di Goal.com

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