martedì 10 aprile 2012

Omaggio all'Aston Villa

Scritto per Calcio 2000 del mese scorso.

Sulla balaustra della North Stand del Villa Park c'è uno striscione che corre da un'estremità all'altra della tribuna. Recita più o meno così: “Shaw e Williams si sono preparati ad avventurarsi sulla sinistra, c'è una buona palla al centro per Tony Morley, oh, ecco una grande opportunità! Ed è Peter Withe a sfruttarla al meglio!” Si tratta della traduzione non proprio letterale delle parole del commentatore della BBC Brian Moore, estrapolate dalla telecronaca di una partita che rappresenta il momento più fulgido della storia dell'Aston Villa: la finale di coppa dei campioni del 1982 vinta per 1-0 contro il Bayern Monaco a Rotterdam. Ovvero quando le squadre inglesi dominavano in Europa potendo contare su rose composte da soli giocatori britannici – ma poi come al solito ai mondiali fallivano miseramente... - e personaggi come Peter Withe e Gary Shaw erano sulle prime pagine di tutti i giornali sportivi. Il primo, fisico da taglialegna e buon fiuto per il goal, segnò a metà ripresa la marcatura che tagliò le gambe al Bayern di Kalle Rummenigge e Paul Breitner – sebbene a dirla tutta i tedeschi avrebbero meritato di più. Ma di ottimi giocatori quella squadra, che l'anno successivo fu eliminata ai quarti dalla Juventus di Platini e Boniek, ne annoverava parecchi: c'erano i piedi buoni di Gordon Cowans e Tony Morley e l'emergente portiere Nigel Spink, che quella famosa finale non avrebbe nemmeno dovuto disputarla e invece, subentrato dopo soli 10 minuti al veterano Jimmy Rimmer, mise il suo nome sulla coppa con alcune parate strepitose.

Bei tempi, quelli, per la metà claret & blue di Birmingham. Dalle parti del Villa Park negli ultimi anni le vibranti notti europee di un tempo sono ormai un ricordo. Ci si accontenta di un turno infrasettimanale di Premier, quello a cui abbiamo assistito di persona contro la neo-promossa QPR. Un match che è una sorta di compendio dei problemi che affliggono i Villans in questa stagione – non che nel recente passato le cose siano andate molto meglio...

In campo un inizio molle come una tavoletta di burro esposta al sole si traduce in uno svantaggio di due reti in un batter d'occhio, con gli ospiti londinesi quasi stupiti per tanta grazia. Se la prima marcatura è un pezzo di bravura di Djibril Cissè (all'esordio in maglia biancoblu), la seconda è un goffissimo autogoal del terzino sinistro Stephen Warnock. Uno che, ci mettiamo poco a comprenderlo, non gode delle simpatie della Holte End, la meravigliosa “curva” dove risiede la parte più calda del tifo locale. Anche gli altri membri della difesa sono beccati di continuo, una consuetudine più vicina alla tradizione latina che a quella britannica. Ma c'è da capirli. Il resto della squadra, se si eccettua un Charlie N'Zogbia in serata di grazia (cosa che non capita spessissimo, considerata l'incostanza del francese) e un Robbie Keane molto volenteroso, nel primo tempo vivacchia, per poi scuotersi dal torpore nella seconda frazione di gioco, in cui riacciuffa il risultato e sfiora pure la vittoria. Tutto sommato qualcosa di buono l'Aston Villa lo riesce a produrre, ma troppo spesso non riesce a squarciare il velo di approssimazione e mancanza di convinzione. Prova ne sia il fatto che quello racimolato con i Super Hoops era solo il secondo punto interno in sei partite. Colpa della dirigenza, che prima paga (troppo) un bomber discreto come Darren Bent, per poi cedere pezzi pregiati come Ashley Young (e non è detto che la stessa sorte possa toccare a Gabriel Agbonlahor)? E che dire allora del manager Alex McLeish? Oltre a non essere sinonimo di calcio spettacolare, lo scozzese ha una macchia difficile da lavar via agli occhi dei supporter claret & blue: dal 2007 a metà 2011 ha allenato i cugini del Birmingham City (che aveva appena condotto al trionfo in Coppa di Lega, ma anche alla retrocessione in Championship). I più esperti di calcio tra la tifoseria del Villa, oltre al fattore meramente campanilistico, devono aver pensato – a ragione – che con uno come McLeish non si poteva andar oltre un'aurea mediocritas, un campionato senza la benché minima ambizione. Anche la scelta dell'allenatore era un segnale inequivocabile. Dopo anni passati a contestare il “vecchio” padre-padrone Doug Ellis – cui è stata però dedicata un tribuna – la luna di miele con la proprietà americana del “giovane” Randy Lerner si è già dissolta da un bel po'. Dopo una prima fase alquanto promettente, ormai l'Aston Villa è a tutti gli effetti un team di seconda fascia, da “parte destra” della classifica della Premier.

Visto l'illustre blasone del club, è normale che i numerosi fan vivano uno stato quasi perenne di frustrazione, che sfocia spesso nella depressione. Tanto per chiarirci, quando parliamo dell'Aston Villa ci riferiamo alla prima super-potenza del calcio inglese, tanto che altre squadre celebri come il West Ham e il Crystal Palace (in versione pre rosso-blu Barcellona) ne imitarono l'elegante abbinamento di colori. Il suo più conosciuto board director di epoca vittoriana, quel William McGregor cui è dedicata una statua nei pressi dello stadio, fondò la Football League e nel 1888 fu l'ideatore del primo campionato inglese, che i Villans vinsero ben sei volte nell'arco di poco più di tre decenni. All'epoca anche la FA Cup faceva di frequente bella mostra di sé nella bacheca del Villa Park (cinque le coppe collezionate, con lo storico double del 1897 a impreziosire il tutto). L'ascesa di altri team di altissimo livello e soprattutto la scomparsa dei “pionieri” della generazione di McGregor coincisero con un calo di rendimento. Negli anni Trenta i Villans conobbero l'onta della Second Division, nel 1970-71 addirittura della Third. Eppure la gigantesca Holte End, che allora era un'unica, mastodontica terrace scoperta in grado di ospitare oltre 25mila spettatori, era sempre affollata. L'attaccamento dei tifosi alla maglia azzurra e amaranto sarà ripagato con lo splendido revival degli anni Ottanta, quando bastavano un buon vivaio e qualche investimento assennato per sperare di vincere qualche trofeo.

Basti pensare che il titolo di campioni d'Inghilterra del 1981 i Villans se lo aggiudicarono impiegando solo 14 giocatori! Adesso che il calcio è cambiato e servono capitali più abbondanti, senza il miliardario disposto ad allargare i cordoni della borsa si può fare ben poco.

Meglio dedicarsi ad altri tipi di “battaglie”, che quanto meno la dirigenza sembra voler condividere. Durante la partita a cui abbiamo assistito uno dei pochi sussulti del pubblico si è registrato al fischio d'inizio, quando alcuni supporter hanno dispiegato uno striscione a favore del “safe standing”, ovvero la possibilità di seguire la partita in piedi in settori appositamente dedicati, dove i seggiolini “non sbucciano le ginocchia”, come ricordavano nel loro messaggio. Una possibilità per il momento non contemplata dai regolamenti, che si ispirano al Taylor report redatto dopo la tragedia dell'Hillsborough del 1989. I vertici del club hanno fatto già sapere di condividere l'istanza di una nutrita fetta dei sostenitori dei Villans, non fosse altro perché così l'atmosfera all'interno dello stadio ne gioverebbe (durante il match al quale abbiamo assistito c'erano spesso momenti di prolungato silenzio) e con l'eventuale abbassamento dei prezzi nel settore più popolare di nuovo composto da gradinate potrebbe aumentare anche l'affluenza di pubblico. La media stagionale è di poco superiore alle 30mila unità.

Pochine, per un'arena che arriva a contenere quasi 45mila spettatori e che ancora conserva quasi intatto il fascino del classico stadio inglese, composto da tribune a due piani unite tra loro solo nella parte bassa degli angoli e senza inutili orpelli quali piste d'atletica et similia. Certo, nel 2001 è stata buttata giù, per essere poi ricostruita, la Trinity Road Stand, con i suoi mosaici e le sue vetrate per anni giudicata una delle più belle del Regno Unito, tanto da essere inaugurata nel 1924 addirittura dal futuro Re Giorgio VI. Però almeno la facciata a mattoncini con le imperiose scalinate della Holte End sono state rifatte tenendo ben presente l'antico design. Quello dei tempi d'oro, che continuando di questo passo ci metteranno chissà quanto a tornare.

1 commento:

  1. Amo l'Aston Villa, la sua storia, i suoi colori, la sua tifoseria piena d'orgoglio ma anche di malinconia negli ultimi tempi. E dire che con l'arrivo di Martin O'Neill sulla panchina sembrava potesse portare il Villa ai fasti di una volta. Poi è successo quel che è successo... SPeriamo che il nuovo allenatore, Paul Lambert, possa riuscirci...INIZIA UNA NUOVA ERA AL VILLA PARK!

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