venerdì 27 aprile 2012
Match programme un po' caro...
Andrà all'asta il 15 maggio presso la sede londinese di Sotheby's. E' il rarissimo programma della prima finale di FA Cup giocata dal Manchester United (vittoria 1-0 contro il Bristol City). Non è messo in ottime condizione - dalle foto si deduce che c'è nastro adesivo ovunque - però se lo volete comprare preratatevi a sborsare più di 22mila sterline. Si pensa infatti che supererà il record di 21.850 fissato da un match programme del 1889. Insomma, roba da intenditori, ma con parecchio denaro in banca. Per la cronaca, all'epoca era costato un solo penny.
giovedì 26 aprile 2012
Tetto di spesa
E' un periodaccio. Altro che ponti e festività, la mole di lavoro in questi giorni non fa che aumentare. Mi dovrei rifare la settimana prossima con un po' di pezzi sulla FA Cup. Per il momento segnalo questo breve articolo pubblicato sull'Independent sui limiti di spesa per le squadre di Championship: http://www.independent.co.uk/sport/football/football-league/championship-clubs-adopt-spending-rules-7679138.html
lunedì 23 aprile 2012
Quando lo Stoke faceva lo spendaccione...
Negli anni Settanta l’abitudine ormai inveterata dei club inglesi – non solo di Premier – di vivere al di sopra dei loro mezzi era ancora ben lontana dal manifestarsi. I costi erano più contenuti, i dirigenti non vivevano alle spalle delle società, gli agenti non strappavano commissioni milionarie e soprattutto i giocatori non avevano contratti da nababbi. Certo, gli introiti erano minori, ma ce li si faceva bastare. C’erano però anche allora delle eccezioni di rilievo. Una era senza dubbio rappresentata dallo Stoke City. Una realtà storica del calcio d’oltre Manica – nata nel 1863, è stata tra i membri fondatori della Football League – che per lunghi periodi ha trascorso scialbe stagioni lontano dalla massima divisione. Solo con l’enfant du pays Stanley Matthews negli anni Trenta i Potters riuscirono a sollevarsi un po’ dalla mediocrità che li contraddistingueva, senza tuttavia vincere nessuna competizione di rilievo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale arrivarono altre annate cupe e bisognò attendere fin verso la metà degli anni Sessanta per rivedere qualche sprazzo degli antichi bagliori. Merito, come spesso accade, di un manager valente come Tony Waddington, bravo a saper sfruttare al meglio l’esperienza di giocatori affidabili ma un po’ in là con l’età come Dennis Viollet, Maurice Setters e Jimmy McIlroy e a strappare alla concorrenza il fenomenale portiere campione del mondo con i Tre Leoni nel 1966, Gordon Banks.
Lo Stoke provò a recuperare il tempo perduto scalando posizioni in campionato e facendo strada nelle coppe. In FA Cup centrò due semifinali consecutive nel 1971 e nel 1972, trovando però sempre la strada sbarrata da un Arsenal d’antan (così forte che nel 1971 centrò addirittura il double). Ma nel 1972 i Potters riuscirono finalmente a mettere le mani sul primo trofeo della loro storia ultracentenaria, sconfiggendo 2-1 il Chelsea di Peter Osgood nella finale di Coppa di Lega. Nel 1974-75 terminarono la First Division a soli quattro punti dal Derby County campione, orfano di Nigel Clough ma allenato dal suo pupillo Dave Mackay.
A difendere i pali di quella squadra c’era Peter Shilton, un altro portiere acquistato dal Leicester City, come Banks – nel frattempo ritiratosi per problemi di salute. La stella costata un mucchio di denaro – 325mila sterline, per l’epoca un vero e proprio cifrone – doveva servire a garantire il salto di qualità definitivo. A dirla tutta sarebbe stato meglio investire quei soldi in maniera più oculata, per esempio trovando un degno sostituto al centravanti John Ritchie (capocannoniere della storia dello Stoke con 171 reti), che proprio nell’estate del 1975 aveva deciso di appendere le scarpe al chiodo. Oppure lasciare quel denaro nelle casse societarie, visto l’uragano che si stava per abbattere sui poveri Potters. Non parliamo per metafora, nell’inverno del 1976 la città dell’Inghilterra centrale fu investita da una tempesta di pioggia e vento così violenta da scoperchiare il tetto della Butler Stand, una delle tribune del vecchio Victoria Ground.
La copertura assicurativa si rivelò tragicamente inadeguata, solo una piccola porzione dell’ingente fattura per i costi di riparazione. La dirigenza dello Stoke capì che erano finiti i tempi di vacche grasse, che i debiti andavano ripagati e anche di fretta. Bisognava vendere i pezzi pregiati dell’argenteria di famiglia. Jimmy Greenhoff, l’idolo della tifoseria biancorossa, si accasò malvolentieri al Manchester United, Alan Hudson passò all’Arsenal e Mike Pejic fu venduto all’Everton. Nessuno si sorprese allorché già nel 1977 la squadra retrocesse in Second Division. Ci sono voluti decenni, ma ora gli Stoke hanno cancellato per sempre le ferite di quella terribile notte di burrasca che li mise in ginocchio, almeno dal punto di vista economico. Il revival biancorosso procede alla grande. Il team non pratica un gioco spettacolare, ma trasuda concretezza e solidità da tutti i pori, mentre la gestione societaria è quanto mai attenta. Questa volta non basterà un colpo di vento per spazzar via i sogni di gloria.
Lo Stoke provò a recuperare il tempo perduto scalando posizioni in campionato e facendo strada nelle coppe. In FA Cup centrò due semifinali consecutive nel 1971 e nel 1972, trovando però sempre la strada sbarrata da un Arsenal d’antan (così forte che nel 1971 centrò addirittura il double). Ma nel 1972 i Potters riuscirono finalmente a mettere le mani sul primo trofeo della loro storia ultracentenaria, sconfiggendo 2-1 il Chelsea di Peter Osgood nella finale di Coppa di Lega. Nel 1974-75 terminarono la First Division a soli quattro punti dal Derby County campione, orfano di Nigel Clough ma allenato dal suo pupillo Dave Mackay.
A difendere i pali di quella squadra c’era Peter Shilton, un altro portiere acquistato dal Leicester City, come Banks – nel frattempo ritiratosi per problemi di salute. La stella costata un mucchio di denaro – 325mila sterline, per l’epoca un vero e proprio cifrone – doveva servire a garantire il salto di qualità definitivo. A dirla tutta sarebbe stato meglio investire quei soldi in maniera più oculata, per esempio trovando un degno sostituto al centravanti John Ritchie (capocannoniere della storia dello Stoke con 171 reti), che proprio nell’estate del 1975 aveva deciso di appendere le scarpe al chiodo. Oppure lasciare quel denaro nelle casse societarie, visto l’uragano che si stava per abbattere sui poveri Potters. Non parliamo per metafora, nell’inverno del 1976 la città dell’Inghilterra centrale fu investita da una tempesta di pioggia e vento così violenta da scoperchiare il tetto della Butler Stand, una delle tribune del vecchio Victoria Ground.
La copertura assicurativa si rivelò tragicamente inadeguata, solo una piccola porzione dell’ingente fattura per i costi di riparazione. La dirigenza dello Stoke capì che erano finiti i tempi di vacche grasse, che i debiti andavano ripagati e anche di fretta. Bisognava vendere i pezzi pregiati dell’argenteria di famiglia. Jimmy Greenhoff, l’idolo della tifoseria biancorossa, si accasò malvolentieri al Manchester United, Alan Hudson passò all’Arsenal e Mike Pejic fu venduto all’Everton. Nessuno si sorprese allorché già nel 1977 la squadra retrocesse in Second Division. Ci sono voluti decenni, ma ora gli Stoke hanno cancellato per sempre le ferite di quella terribile notte di burrasca che li mise in ginocchio, almeno dal punto di vista economico. Il revival biancorosso procede alla grande. Il team non pratica un gioco spettacolare, ma trasuda concretezza e solidità da tutti i pori, mentre la gestione societaria è quanto mai attenta. Questa volta non basterà un colpo di vento per spazzar via i sogni di gloria.
domenica 22 aprile 2012
ll Punto sulla Premier – Giochi riaperti, sarà decisivo il derby di Manchester
Rallenta ancora lo United, bloccato in casa dall'Everton. Il City coglie al volo l'occasione e spera nel sorpasso vincendo la stracittadina.
Continua il calvario del Tottenham, che non è più in grado di ritrovarsi. Il pari tra Arsenal e Chelsea serve di più ai Gunners, mentre il Newcastle non la finisce di stupire e ora occupa la quarta posizione.
COS'E' SUCCESSO – Una delle partite dell'anno, oltre a regalare spettacolo ed emozioni in quantità industriali, ci ha assicurato un finale di campionato al cardiopalma. Stiamo ovviamente parlando di Manchester United-Everton, match in cui la doppietta di Wayne Rooney (quarto marcatore di sempre della storia del club con 180 reti) non basta a cancellare le numerose amnesie della difesa dei Red Devils. Sfuma così negli ultimi minuti la trentesima vittoria in Premier ai danni dei Toffees, mai domi. Il City non getta alle ortiche l'occasione di portarsi a meno tre dominando a Wolverhampton contro i poveri Wolves, da domenica matematicamente retrocessi visto che, tolte le prime tre partite, hanno raccolto la miseria di 16 punti sui 96 disponibili. Lunedì sera a Eastlands in programma c'è uno dei derby più importanti della storia di Manchester, con possibile sorpasso grazie alla migliore differenza reti qualora dovessero vincere i Citizens. Malissimo il Tottenham, che perdendo al Loftus Road con il QPR non approfitta del pareggio a reti bianche tra Arsenal e Chelsea. I Blues ormai potranno giocare la Champions League 2012-13 solo vincendo quella in corso. La principale competizione continentale appare ormai alla portata del Newcastle, ora quarto ma atteso da match non facili con City e Chelsea. Anche in coda regna l'incertezza su quali saranno gli altri due team ad accompagnare il Wolverhampton in Championship. Questo fine settimana si è risollevato il Blackburn (2-0 interno al Norwich), mentre Bolton (1-1 con lo Swansea) e Aston Villa (0-0 con il Sunderland) hanno raccolto solo un punto. Dopo una raffica di imprese, anche il Wigan ha fermato la sua corsa. Al Craven Cottage i Latics hanno subito la rimonta e il sorpasso del Fulham, ormai salvo.
IL TOP – Il Newcastle non vuole porsi più limiti. Già la qualificazione in Europa League sarebbe stata accolta come un'impresa dalla Toon Army, figuriamoci un piazzamento tra le prime quattro in classifica. E attenzione, c'è ancora la possibilità di entrare direttamente in Champions League senza passare per i preliminari...
IL FLOP – Gioco involuto, risultati che non arrivano e obiettivi stagionali falliti uno dopo l'altro. La crisi del Tottenham non sembra conoscere fine. Se fino a qualche settimana fa gli Spurs erano i favoritissimi per il terzo posto, ora rischiano seriamente di non centrare nemmeno l'ultima posizione utile per accedere alla Champions League 2012-13. Intanto si moltiplicano le voci di possibili cessioni di pezzi pregiati...
LA SORPRESA – Dopo la cocente delusione nella semifinale di FA Cup, l'Everton ha saputo risollevarsi alla grande. Commovente la prestazione tutto cuore e grinta dell'Old Trafford, che potrebbe tornare utile per arrivare prima del Liverpool in classifica, ma soprattutto rappresenta un enorme favore a Roberto Mancini e ai suoi ragazzi.
TOH CHI SI RIVEDE – Mauro Formica doveva essere il valore aggiunto in termini di fantasia e qualità per garantire al Blackburn più chance nella difficile lotta per non retrocedere. Ha spesso deluso queste aspettative, sebbene il suo primo goal dopo tre mesi nel match contro il Norwich potrebbe rivelarsi di grande importanza per i Rovers.
LA CHICCA – Con lo 0-0 all'Emirates il Chelsea ha collezionato il quinto pareggio nei derby stagionali in Premier. Aggiungiamoci anche due sconfitte e in attesa del match casalingo con il QPR il computo delle vittorie è incredibilmente a quota zero. Un record negativo per i Blues, che in 20 anni di Premier non hanno mai chiuso un campionato senza almeno un successo nelle stracittadine.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Negli ultimi tempi Moussa Dembélé sta dimostrando di avere non solo delle doti tecniche quanto mai raffinate, ma anche di essere un giocatore molto duttile dal punto di vista tattico. Il ventiquattrenne belga, infatti, nasce come attaccante di movimento, ma ora grazie agli insegnamenti di Martin Jol ha arretrato di qualche decina di metri il suo raggio d'azione. A quanto pare con un discreto successo.
COS'E' SUCCESSO – Una delle partite dell'anno, oltre a regalare spettacolo ed emozioni in quantità industriali, ci ha assicurato un finale di campionato al cardiopalma. Stiamo ovviamente parlando di Manchester United-Everton, match in cui la doppietta di Wayne Rooney (quarto marcatore di sempre della storia del club con 180 reti) non basta a cancellare le numerose amnesie della difesa dei Red Devils. Sfuma così negli ultimi minuti la trentesima vittoria in Premier ai danni dei Toffees, mai domi. Il City non getta alle ortiche l'occasione di portarsi a meno tre dominando a Wolverhampton contro i poveri Wolves, da domenica matematicamente retrocessi visto che, tolte le prime tre partite, hanno raccolto la miseria di 16 punti sui 96 disponibili. Lunedì sera a Eastlands in programma c'è uno dei derby più importanti della storia di Manchester, con possibile sorpasso grazie alla migliore differenza reti qualora dovessero vincere i Citizens. Malissimo il Tottenham, che perdendo al Loftus Road con il QPR non approfitta del pareggio a reti bianche tra Arsenal e Chelsea. I Blues ormai potranno giocare la Champions League 2012-13 solo vincendo quella in corso. La principale competizione continentale appare ormai alla portata del Newcastle, ora quarto ma atteso da match non facili con City e Chelsea. Anche in coda regna l'incertezza su quali saranno gli altri due team ad accompagnare il Wolverhampton in Championship. Questo fine settimana si è risollevato il Blackburn (2-0 interno al Norwich), mentre Bolton (1-1 con lo Swansea) e Aston Villa (0-0 con il Sunderland) hanno raccolto solo un punto. Dopo una raffica di imprese, anche il Wigan ha fermato la sua corsa. Al Craven Cottage i Latics hanno subito la rimonta e il sorpasso del Fulham, ormai salvo.
IL TOP – Il Newcastle non vuole porsi più limiti. Già la qualificazione in Europa League sarebbe stata accolta come un'impresa dalla Toon Army, figuriamoci un piazzamento tra le prime quattro in classifica. E attenzione, c'è ancora la possibilità di entrare direttamente in Champions League senza passare per i preliminari...
IL FLOP – Gioco involuto, risultati che non arrivano e obiettivi stagionali falliti uno dopo l'altro. La crisi del Tottenham non sembra conoscere fine. Se fino a qualche settimana fa gli Spurs erano i favoritissimi per il terzo posto, ora rischiano seriamente di non centrare nemmeno l'ultima posizione utile per accedere alla Champions League 2012-13. Intanto si moltiplicano le voci di possibili cessioni di pezzi pregiati...
LA SORPRESA – Dopo la cocente delusione nella semifinale di FA Cup, l'Everton ha saputo risollevarsi alla grande. Commovente la prestazione tutto cuore e grinta dell'Old Trafford, che potrebbe tornare utile per arrivare prima del Liverpool in classifica, ma soprattutto rappresenta un enorme favore a Roberto Mancini e ai suoi ragazzi.
TOH CHI SI RIVEDE – Mauro Formica doveva essere il valore aggiunto in termini di fantasia e qualità per garantire al Blackburn più chance nella difficile lotta per non retrocedere. Ha spesso deluso queste aspettative, sebbene il suo primo goal dopo tre mesi nel match contro il Norwich potrebbe rivelarsi di grande importanza per i Rovers.
LA CHICCA – Con lo 0-0 all'Emirates il Chelsea ha collezionato il quinto pareggio nei derby stagionali in Premier. Aggiungiamoci anche due sconfitte e in attesa del match casalingo con il QPR il computo delle vittorie è incredibilmente a quota zero. Un record negativo per i Blues, che in 20 anni di Premier non hanno mai chiuso un campionato senza almeno un successo nelle stracittadine.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Negli ultimi tempi Moussa Dembélé sta dimostrando di avere non solo delle doti tecniche quanto mai raffinate, ma anche di essere un giocatore molto duttile dal punto di vista tattico. Il ventiquattrenne belga, infatti, nasce come attaccante di movimento, ma ora grazie agli insegnamenti di Martin Jol ha arretrato di qualche decina di metri il suo raggio d'azione. A quanto pare con un discreto successo.
mercoledì 18 aprile 2012
C'è Chelsea v Barcellona, i Blues alle prese con i fantasmi del passato
Un mio pezzo pubblicato oggi sull'Unità.
Il Chelsea e la Champions League, una relazione quanto mai travagliata. I Blues si apprestano ad affrontare il Barcellona nella doppia sfida di semifinale partendo senza i favori del pronostico, a differenza di quanto accaduto nel recente passato. Ovvero quando, sebbene annoverati tra i possibili vincitori, non erano mai riusciti ad alzare la coppa dalle grandi orecchie. Una volta si è messo di traverso il Monaco dei miracoli, un'altra una maledetta scivolata di John Terry dal dischetto del rigore ha cancellato il sogno sul più bello, un'altra ancora un arbitro norvegese di nome Tom Ovrebo ha deciso di falsare con le sue enigmatiche decisioni una semifinale dominata proprio contro i catalani.
Ma quando la competizione si chiamava Coppa dei Campioni ed era alla sua prima edizione assoluta nel 1955-56 le cose andarono ancora peggio. Non fosse altro perché alla squadra fresca vincitrice della First Division inglese fu comunicato che non avrebbe affrontato gli svedesi del Djurgardens nel primo turno del torneo. “Questa partita non si ha da fare”, aveva tuonato il segretario della Football League Alan Hardaker, contrario alla partecipazione dei club inglesi alle competizioni continentali.
Una posizione oltranzista e retrograda, infarcita di snobismo e mal riposto senso di superiorità, che costò molto caro al team del West End londinese.
Quel Chelsea era lontano anni luce dall'attuale, ricco, vincente e tra le squadre più famose al mondo. Negli anni Cinquanta i Blues avevano le casse societarie, annaspavano nelle parti basse della First Division ed erano ben poco alla moda, come può testimoniare il soprannome dell'epoca, i Pensioners. Nel simbolo che li aveva accompagnati fino al 1952 era raffigurato un pluri-medagliato ospite del Royal Hospital, una casa di riposo per militari a due passi dallo Stamford Bridge.
Per spazzar via le ragnatele e ringiovanire l'ambiente ci volle un manager come Ted Drake. Ex simbolo dell'Arsenal da giocatore, Drake raccolse il Chelsea ai margini della zona retrocessione. Già nel 1953-54 condusse i Blues a un insperato ottavo posto.
La sua fu una rivoluzione a 360 gradi. Con il suo avvento sui programmi del Chelsea sparì il pensioner e comparve il leone rampante, poi mantenuto con piccole modifiche fino ai giorni nostri.
Considerate allora le ridotte disponibilità economiche, Drake fece di necessità virtù, divenendo il mago degli acquisti a poco prezzo ma al contempo di qualità, andando a scovare i giocatori dove in tanti non si sarebbero mai sognati.
E poi seppe coltivare tanti giovani talenti, che sbocciarono in prima squadra dopo essere passati per il campo di allenamento di Welsh Harp Ground. La stampa li coccolò inventandosi per loro il simpatico soprannome di Drake's Ducklings (gli anatroccoli).
Ciò nonostante, il pensiero che i Blues potessero celebrare il loro cinquantesimo anniversario con l'affermazione in First Division non sfiorò la mente del più ottimista dei tifosi reduce da una serata ad alto tasso alcolico nel pub sotto casa.
Forse nemmeno Drake ci sperava troppo. Il primo segmento della campagna 1954-55 fu condotto sulla falsariga delle precedenti, ovvero maluccio. A novembre il Chelsea era dodicesimo, poi si scosse dal torpore e prese a macinare risultati con la doppia vittoria su una grande dell'epoca come il Wolverhampton.
Proprio i Wolves, insieme a Sunderland e Portsmouth si dovettero arrendere ai Blues, campioni con un bottino di punti tra i più bassi della storia del calcio inglese.
Ma se sminuissimo troppo quel trionfo del Chelsea faremmo un immeritato torto a gente del calibro di Roy Bentley e Stan Willemse. Il primo era un capitano alla John Terry come personalità – al Bridge campeggia ancor oggi uno striscione in suo onore – ma di ruolo faceva, e bene, l'attaccante, tanto che quell'anno siglò 21 reti. Il secondo può essere paragonato a JT per il timore che incuteva agli avversari.
Come premio Bentley e compagni ricevettero un vestito fatto su misura da un sarto di Kensington. Non dubitiamo che la qualità del completo sia stata ottima, ma certo a pensare la valanga di soldi che sommerge i calciatori moderni (e quelli del Chelsea in particolare) a ogni trofeo conquistato viene da sorridere.
Il Chelsea e la Champions League, una relazione quanto mai travagliata. I Blues si apprestano ad affrontare il Barcellona nella doppia sfida di semifinale partendo senza i favori del pronostico, a differenza di quanto accaduto nel recente passato. Ovvero quando, sebbene annoverati tra i possibili vincitori, non erano mai riusciti ad alzare la coppa dalle grandi orecchie. Una volta si è messo di traverso il Monaco dei miracoli, un'altra una maledetta scivolata di John Terry dal dischetto del rigore ha cancellato il sogno sul più bello, un'altra ancora un arbitro norvegese di nome Tom Ovrebo ha deciso di falsare con le sue enigmatiche decisioni una semifinale dominata proprio contro i catalani.
Ma quando la competizione si chiamava Coppa dei Campioni ed era alla sua prima edizione assoluta nel 1955-56 le cose andarono ancora peggio. Non fosse altro perché alla squadra fresca vincitrice della First Division inglese fu comunicato che non avrebbe affrontato gli svedesi del Djurgardens nel primo turno del torneo. “Questa partita non si ha da fare”, aveva tuonato il segretario della Football League Alan Hardaker, contrario alla partecipazione dei club inglesi alle competizioni continentali.
Una posizione oltranzista e retrograda, infarcita di snobismo e mal riposto senso di superiorità, che costò molto caro al team del West End londinese.
Quel Chelsea era lontano anni luce dall'attuale, ricco, vincente e tra le squadre più famose al mondo. Negli anni Cinquanta i Blues avevano le casse societarie, annaspavano nelle parti basse della First Division ed erano ben poco alla moda, come può testimoniare il soprannome dell'epoca, i Pensioners. Nel simbolo che li aveva accompagnati fino al 1952 era raffigurato un pluri-medagliato ospite del Royal Hospital, una casa di riposo per militari a due passi dallo Stamford Bridge.
Per spazzar via le ragnatele e ringiovanire l'ambiente ci volle un manager come Ted Drake. Ex simbolo dell'Arsenal da giocatore, Drake raccolse il Chelsea ai margini della zona retrocessione. Già nel 1953-54 condusse i Blues a un insperato ottavo posto.
La sua fu una rivoluzione a 360 gradi. Con il suo avvento sui programmi del Chelsea sparì il pensioner e comparve il leone rampante, poi mantenuto con piccole modifiche fino ai giorni nostri.
Considerate allora le ridotte disponibilità economiche, Drake fece di necessità virtù, divenendo il mago degli acquisti a poco prezzo ma al contempo di qualità, andando a scovare i giocatori dove in tanti non si sarebbero mai sognati.
E poi seppe coltivare tanti giovani talenti, che sbocciarono in prima squadra dopo essere passati per il campo di allenamento di Welsh Harp Ground. La stampa li coccolò inventandosi per loro il simpatico soprannome di Drake's Ducklings (gli anatroccoli).
Ciò nonostante, il pensiero che i Blues potessero celebrare il loro cinquantesimo anniversario con l'affermazione in First Division non sfiorò la mente del più ottimista dei tifosi reduce da una serata ad alto tasso alcolico nel pub sotto casa.
Forse nemmeno Drake ci sperava troppo. Il primo segmento della campagna 1954-55 fu condotto sulla falsariga delle precedenti, ovvero maluccio. A novembre il Chelsea era dodicesimo, poi si scosse dal torpore e prese a macinare risultati con la doppia vittoria su una grande dell'epoca come il Wolverhampton.
Proprio i Wolves, insieme a Sunderland e Portsmouth si dovettero arrendere ai Blues, campioni con un bottino di punti tra i più bassi della storia del calcio inglese.
Ma se sminuissimo troppo quel trionfo del Chelsea faremmo un immeritato torto a gente del calibro di Roy Bentley e Stan Willemse. Il primo era un capitano alla John Terry come personalità – al Bridge campeggia ancor oggi uno striscione in suo onore – ma di ruolo faceva, e bene, l'attaccante, tanto che quell'anno siglò 21 reti. Il secondo può essere paragonato a JT per il timore che incuteva agli avversari.
Come premio Bentley e compagni ricevettero un vestito fatto su misura da un sarto di Kensington. Non dubitiamo che la qualità del completo sia stata ottima, ma certo a pensare la valanga di soldi che sommerge i calciatori moderni (e quelli del Chelsea in particolare) a ogni trofeo conquistato viene da sorridere.
lunedì 16 aprile 2012
Berbatov al passo d'addio
Da capocannoniere della Premier (20 goal nel 2010-11) a riserva impiegata solo occasionalmente. È lo strano destino di Dimitar Berbatov, che nell'arco di pochi mesi all'Old Trafford ha visto precipitare le sue quotazioni in maniera vertiginosa. Per la verità le prime avvisaglie che qualcosa stava cambiando nelle scelte operate da Alex Ferguson nel reparto offensivo si erano già avute nella seconda parte della campagna passata. Dopo un inizio campionato scintillante e con marcature a raffica, il bulgaro era stato relegato spesso in panchina. “Colpa” soprattutto della contemporanea esplosione del Chicharito Hernandez, che però durante la stagione che sta appena volgendo al termine, tra infortuni e cali di forma, non ha saputo ripetere il rendimento dei suoi primi mesi al Manchester United. Nonostante ciò Berbatov è rimasto sempre ai margini della squadra, tanto che già a gennaio si parlava di una sua possibile cessione. Adesso è praticamente sicuro che il suo futuro sarà altrove.
Lo ha ammesso anche il suo agente, Emil Danchev, facendo presente che il suo assistito non si opporrà al volere della società, ormai orientata alla cessione del forte attaccante. Prelevato dal Tottenham nel 2008 all'esorbitante costo di 30,75 milioni di sterline (quasi 38 milioni di euro al cambio corrente), Berbatov non ha mai convinto del tutto l'ambiente dello United, vuoi per il carattere non proprio amichevole – come dimostrato già nel suo periodo londinese – vuoi per una certa indolenza che non di rado ha fatto andare su tutte le furie Sir Alex. Meglio puntare sulla velocità di Danny Welbeck e provare a rigenerare il Chicharito, allora. E dire addio senza troppi rimpianti a Mitko, come è conosciuto in patria l'ormai ex centravanti della nazionale bulgara.
Lo ha ammesso anche il suo agente, Emil Danchev, facendo presente che il suo assistito non si opporrà al volere della società, ormai orientata alla cessione del forte attaccante. Prelevato dal Tottenham nel 2008 all'esorbitante costo di 30,75 milioni di sterline (quasi 38 milioni di euro al cambio corrente), Berbatov non ha mai convinto del tutto l'ambiente dello United, vuoi per il carattere non proprio amichevole – come dimostrato già nel suo periodo londinese – vuoi per una certa indolenza che non di rado ha fatto andare su tutte le furie Sir Alex. Meglio puntare sulla velocità di Danny Welbeck e provare a rigenerare il Chicharito, allora. E dire addio senza troppi rimpianti a Mitko, come è conosciuto in patria l'ormai ex centravanti della nazionale bulgara.
sabato 14 aprile 2012
Clint tuttofare
I tifosi della Juventus se lo ricordano molto bene, ma non certo con affetto. Nell'Europa League 2009-2010, infatti, fu proprio Clint Dempsey a segnare con uno spettacolare pallonetto la rete che estromise i bianconeri dalla competizione, in cui poi il Fulham riuscì inaspettatamente a raggiungere la finale. Il centrocampista offensivo statunitense ha vissuto quest'anno la sua miglior stagione al Craven Cottage, tanto che si dà già per scontato l'interessamento nei suoi confronti di molte grandi compagini e lui stesso ha ammesso che la sua permanenza al club del presidente Mohamed Al-Fayed non è per nulla scontata.
Non c'è che dire, nel 2007, quando lo prelevarono dai New England Revolution, i Cottagers fecero uno degli acquisti più azzeccati della loro storia. Da allora il rendimento di Dempsey è cresciuto in maniera esponenziale, anche a dispetto di qualche infortunio di troppo. Oltre alla buona tecnica individuale, i suoi punti di forza sono la duttilità tattica (può giocare centrocampista avanzato sia a destra che a sinistra, ma anche seconda punta) e l'ottimo fiuto del goal. Nel 2011-12 e nella stagione scorsa ha raggiunto la doppia cifra in campionato, tra l'altro mostrando di saper segnare di testa, con azioni personali ma anche da calcio piazzato. A 29 anni, con una più che discreta esperienza a livello internazionale – vanta oltre 80 presenze con la maglia degli Stati Uniti – per Dempsey sembra essere arrivato il momento di svolta della sua carriera. Sulla carta è uno dei pezzi pregiati del mercato estivo, almeno in Inghilterra.
Non c'è che dire, nel 2007, quando lo prelevarono dai New England Revolution, i Cottagers fecero uno degli acquisti più azzeccati della loro storia. Da allora il rendimento di Dempsey è cresciuto in maniera esponenziale, anche a dispetto di qualche infortunio di troppo. Oltre alla buona tecnica individuale, i suoi punti di forza sono la duttilità tattica (può giocare centrocampista avanzato sia a destra che a sinistra, ma anche seconda punta) e l'ottimo fiuto del goal. Nel 2011-12 e nella stagione scorsa ha raggiunto la doppia cifra in campionato, tra l'altro mostrando di saper segnare di testa, con azioni personali ma anche da calcio piazzato. A 29 anni, con una più che discreta esperienza a livello internazionale – vanta oltre 80 presenze con la maglia degli Stati Uniti – per Dempsey sembra essere arrivato il momento di svolta della sua carriera. Sulla carta è uno dei pezzi pregiati del mercato estivo, almeno in Inghilterra.
venerdì 13 aprile 2012
E' uscito Fever Pitch!
Ecco la fantastica copertina del nuovo numero di Fever Pitch, il 14° della serie. In arrivo a metà aprile, si tratterà di un altro numero pieno di storie, curiosità, passioni. Dalla non-league del Tow Law Town a Fred Perry, dalle renne scozzesi al declino del Charlton, dai numeri di Opta alla 'Coppa dei tempi dell'esilio', nel nuovo FP c'è tutto un mondo da esplorare, raccontato con la solita passione dei nostri autori. Insomma un numero da non perdere!
giovedì 12 aprile 2012
Il Wigan non smette mai di stupire
Il quindicesimo tentativo è stato finalmente quello buono. Dopo 14 sconfitte consecutive, il Wigan Athletic è riuscito nell'impresa di battere il Manchester United. Un'affermazione di enorme importanza non solo perché cancella una sorta di tabù, ma soprattutto perché potrebbe valere la settima salvezza consecutiva del piccolo club del Lancashire.
Come ha affermato Alex Ferguson durante le interviste post-match, i Latics non meritano di occupare una posizione nelle parti basse della classifica. Il loro gioco è brillante e molto evoluto dal punto di vista tattico. Merito di Roberto Martinez, uno degli allenatori emergenti della Premier, nonché ex bandiera del club, con cui dal 1995 al 2001 ha collezionato quasi 200 presenze dettando i ritmi a centrocampo. La rosa può contare su qualche talento emergente – l'ex Crystal Palace Victor Moses – e capitani di lungo corso con esperienza da vendere – il capitano Gary Caldwell e l'eroe della partita contro lo United Shaun Maloney – ma nel complesso non è certo stratosferica. D'altronde il Wigan può contare sì sulla generosità e la competenza del suo proprietario Dave Whelan, ex difensore di Blackburn Rovers e Crewe Alexandra negli anni Sessanta che ha poi fatto fortuna vendendo articoli sportivi, ma deve fare i conti con un bacino d'utenza alquanto ridotto.
Mercoledì ad assistere alla partita dell'anno c'erano 18mila persone, compreso un nutrito contingente di supporter dei Red Devils. Se anche contro il Manchester United circa 7mila seggiolini rimangono vuoti, appare evidente che nemmeno un filotto di stagioni in Premier League sia riuscito a cambiare i gusti della popolazione locale. A Wigan, infatti, la grande passione si chiama rugby a 13. Il simbolo della cittadina sono i Warriors, nati nel 1872 e con una bacheca piena zeppa di trofei. Il football è arrivato parecchio tempo dopo – i Latics sono stati fondati nel 1932 – e per decenni si è limitato al livello amatoriale. Per carità, i risultati non erano poi così malaccio, tanto che i bianco-blu possono ancora vantare il record della vittoria più netta di una squadra non league contro una professionistica (6-1 in casa del Carlisle United nel primo turno della FA Cup 1934-35). L'approdo in Football League è datato solo 1978, sebbene da allora il club se la sia sempre cavata piuttosto bene.
In oltre 30 anni è incappato in una sola retrocessione e già nel 1985 ha fatto la sua apparizione nel prestigioso scenario di Wembley per contendere al Brentford il Football League Trophy (l'equivalente della nostra Coppa Italia di Serie C). In quell'occasione i Latics si imposero un po' a sorpresa per 3-1, con sullo sfondo i loro (pochi) tifosi che cantavano “siamo i supporter più educati del Paese!”, quasi a voler rimarcare la loro netta inferiorità numerica rispetto al seguito della maggior parte degli altri team. Quel trionfo fu bissato nel 1999, mentre non a Wembley, bensì a Cardiff, nel 2006 i ragazzi allora allenati da Paul Jewell (l'artefice della promozione in Premier nel 2005) rimediarono una sonora scoppola dal Manchester United (guarda tu il destino!) nell'atto conclusivo della Coppa di Lega. Non c'è che dire, era proprio arrivato il tempo di prendersi una meritata rivincita.
Come ha affermato Alex Ferguson durante le interviste post-match, i Latics non meritano di occupare una posizione nelle parti basse della classifica. Il loro gioco è brillante e molto evoluto dal punto di vista tattico. Merito di Roberto Martinez, uno degli allenatori emergenti della Premier, nonché ex bandiera del club, con cui dal 1995 al 2001 ha collezionato quasi 200 presenze dettando i ritmi a centrocampo. La rosa può contare su qualche talento emergente – l'ex Crystal Palace Victor Moses – e capitani di lungo corso con esperienza da vendere – il capitano Gary Caldwell e l'eroe della partita contro lo United Shaun Maloney – ma nel complesso non è certo stratosferica. D'altronde il Wigan può contare sì sulla generosità e la competenza del suo proprietario Dave Whelan, ex difensore di Blackburn Rovers e Crewe Alexandra negli anni Sessanta che ha poi fatto fortuna vendendo articoli sportivi, ma deve fare i conti con un bacino d'utenza alquanto ridotto.
Mercoledì ad assistere alla partita dell'anno c'erano 18mila persone, compreso un nutrito contingente di supporter dei Red Devils. Se anche contro il Manchester United circa 7mila seggiolini rimangono vuoti, appare evidente che nemmeno un filotto di stagioni in Premier League sia riuscito a cambiare i gusti della popolazione locale. A Wigan, infatti, la grande passione si chiama rugby a 13. Il simbolo della cittadina sono i Warriors, nati nel 1872 e con una bacheca piena zeppa di trofei. Il football è arrivato parecchio tempo dopo – i Latics sono stati fondati nel 1932 – e per decenni si è limitato al livello amatoriale. Per carità, i risultati non erano poi così malaccio, tanto che i bianco-blu possono ancora vantare il record della vittoria più netta di una squadra non league contro una professionistica (6-1 in casa del Carlisle United nel primo turno della FA Cup 1934-35). L'approdo in Football League è datato solo 1978, sebbene da allora il club se la sia sempre cavata piuttosto bene.
In oltre 30 anni è incappato in una sola retrocessione e già nel 1985 ha fatto la sua apparizione nel prestigioso scenario di Wembley per contendere al Brentford il Football League Trophy (l'equivalente della nostra Coppa Italia di Serie C). In quell'occasione i Latics si imposero un po' a sorpresa per 3-1, con sullo sfondo i loro (pochi) tifosi che cantavano “siamo i supporter più educati del Paese!”, quasi a voler rimarcare la loro netta inferiorità numerica rispetto al seguito della maggior parte degli altri team. Quel trionfo fu bissato nel 1999, mentre non a Wembley, bensì a Cardiff, nel 2006 i ragazzi allora allenati da Paul Jewell (l'artefice della promozione in Premier nel 2005) rimediarono una sonora scoppola dal Manchester United (guarda tu il destino!) nell'atto conclusivo della Coppa di Lega. Non c'è che dire, era proprio arrivato il tempo di prendersi una meritata rivincita.
martedì 10 aprile 2012
Omaggio all'Aston Villa
Scritto per Calcio 2000 del mese scorso.
Sulla balaustra della North Stand del Villa Park c'è uno striscione che corre da un'estremità all'altra della tribuna. Recita più o meno così: “Shaw e Williams si sono preparati ad avventurarsi sulla sinistra, c'è una buona palla al centro per Tony Morley, oh, ecco una grande opportunità! Ed è Peter Withe a sfruttarla al meglio!” Si tratta della traduzione non proprio letterale delle parole del commentatore della BBC Brian Moore, estrapolate dalla telecronaca di una partita che rappresenta il momento più fulgido della storia dell'Aston Villa: la finale di coppa dei campioni del 1982 vinta per 1-0 contro il Bayern Monaco a Rotterdam. Ovvero quando le squadre inglesi dominavano in Europa potendo contare su rose composte da soli giocatori britannici – ma poi come al solito ai mondiali fallivano miseramente... - e personaggi come Peter Withe e Gary Shaw erano sulle prime pagine di tutti i giornali sportivi. Il primo, fisico da taglialegna e buon fiuto per il goal, segnò a metà ripresa la marcatura che tagliò le gambe al Bayern di Kalle Rummenigge e Paul Breitner – sebbene a dirla tutta i tedeschi avrebbero meritato di più. Ma di ottimi giocatori quella squadra, che l'anno successivo fu eliminata ai quarti dalla Juventus di Platini e Boniek, ne annoverava parecchi: c'erano i piedi buoni di Gordon Cowans e Tony Morley e l'emergente portiere Nigel Spink, che quella famosa finale non avrebbe nemmeno dovuto disputarla e invece, subentrato dopo soli 10 minuti al veterano Jimmy Rimmer, mise il suo nome sulla coppa con alcune parate strepitose.
Bei tempi, quelli, per la metà claret & blue di Birmingham. Dalle parti del Villa Park negli ultimi anni le vibranti notti europee di un tempo sono ormai un ricordo. Ci si accontenta di un turno infrasettimanale di Premier, quello a cui abbiamo assistito di persona contro la neo-promossa QPR. Un match che è una sorta di compendio dei problemi che affliggono i Villans in questa stagione – non che nel recente passato le cose siano andate molto meglio...
In campo un inizio molle come una tavoletta di burro esposta al sole si traduce in uno svantaggio di due reti in un batter d'occhio, con gli ospiti londinesi quasi stupiti per tanta grazia. Se la prima marcatura è un pezzo di bravura di Djibril Cissè (all'esordio in maglia biancoblu), la seconda è un goffissimo autogoal del terzino sinistro Stephen Warnock. Uno che, ci mettiamo poco a comprenderlo, non gode delle simpatie della Holte End, la meravigliosa “curva” dove risiede la parte più calda del tifo locale. Anche gli altri membri della difesa sono beccati di continuo, una consuetudine più vicina alla tradizione latina che a quella britannica. Ma c'è da capirli. Il resto della squadra, se si eccettua un Charlie N'Zogbia in serata di grazia (cosa che non capita spessissimo, considerata l'incostanza del francese) e un Robbie Keane molto volenteroso, nel primo tempo vivacchia, per poi scuotersi dal torpore nella seconda frazione di gioco, in cui riacciuffa il risultato e sfiora pure la vittoria. Tutto sommato qualcosa di buono l'Aston Villa lo riesce a produrre, ma troppo spesso non riesce a squarciare il velo di approssimazione e mancanza di convinzione. Prova ne sia il fatto che quello racimolato con i Super Hoops era solo il secondo punto interno in sei partite. Colpa della dirigenza, che prima paga (troppo) un bomber discreto come Darren Bent, per poi cedere pezzi pregiati come Ashley Young (e non è detto che la stessa sorte possa toccare a Gabriel Agbonlahor)? E che dire allora del manager Alex McLeish? Oltre a non essere sinonimo di calcio spettacolare, lo scozzese ha una macchia difficile da lavar via agli occhi dei supporter claret & blue: dal 2007 a metà 2011 ha allenato i cugini del Birmingham City (che aveva appena condotto al trionfo in Coppa di Lega, ma anche alla retrocessione in Championship). I più esperti di calcio tra la tifoseria del Villa, oltre al fattore meramente campanilistico, devono aver pensato – a ragione – che con uno come McLeish non si poteva andar oltre un'aurea mediocritas, un campionato senza la benché minima ambizione. Anche la scelta dell'allenatore era un segnale inequivocabile. Dopo anni passati a contestare il “vecchio” padre-padrone Doug Ellis – cui è stata però dedicata un tribuna – la luna di miele con la proprietà americana del “giovane” Randy Lerner si è già dissolta da un bel po'. Dopo una prima fase alquanto promettente, ormai l'Aston Villa è a tutti gli effetti un team di seconda fascia, da “parte destra” della classifica della Premier.
Visto l'illustre blasone del club, è normale che i numerosi fan vivano uno stato quasi perenne di frustrazione, che sfocia spesso nella depressione. Tanto per chiarirci, quando parliamo dell'Aston Villa ci riferiamo alla prima super-potenza del calcio inglese, tanto che altre squadre celebri come il West Ham e il Crystal Palace (in versione pre rosso-blu Barcellona) ne imitarono l'elegante abbinamento di colori. Il suo più conosciuto board director di epoca vittoriana, quel William McGregor cui è dedicata una statua nei pressi dello stadio, fondò la Football League e nel 1888 fu l'ideatore del primo campionato inglese, che i Villans vinsero ben sei volte nell'arco di poco più di tre decenni. All'epoca anche la FA Cup faceva di frequente bella mostra di sé nella bacheca del Villa Park (cinque le coppe collezionate, con lo storico double del 1897 a impreziosire il tutto). L'ascesa di altri team di altissimo livello e soprattutto la scomparsa dei “pionieri” della generazione di McGregor coincisero con un calo di rendimento. Negli anni Trenta i Villans conobbero l'onta della Second Division, nel 1970-71 addirittura della Third. Eppure la gigantesca Holte End, che allora era un'unica, mastodontica terrace scoperta in grado di ospitare oltre 25mila spettatori, era sempre affollata. L'attaccamento dei tifosi alla maglia azzurra e amaranto sarà ripagato con lo splendido revival degli anni Ottanta, quando bastavano un buon vivaio e qualche investimento assennato per sperare di vincere qualche trofeo.
Basti pensare che il titolo di campioni d'Inghilterra del 1981 i Villans se lo aggiudicarono impiegando solo 14 giocatori! Adesso che il calcio è cambiato e servono capitali più abbondanti, senza il miliardario disposto ad allargare i cordoni della borsa si può fare ben poco.
Meglio dedicarsi ad altri tipi di “battaglie”, che quanto meno la dirigenza sembra voler condividere. Durante la partita a cui abbiamo assistito uno dei pochi sussulti del pubblico si è registrato al fischio d'inizio, quando alcuni supporter hanno dispiegato uno striscione a favore del “safe standing”, ovvero la possibilità di seguire la partita in piedi in settori appositamente dedicati, dove i seggiolini “non sbucciano le ginocchia”, come ricordavano nel loro messaggio. Una possibilità per il momento non contemplata dai regolamenti, che si ispirano al Taylor report redatto dopo la tragedia dell'Hillsborough del 1989. I vertici del club hanno fatto già sapere di condividere l'istanza di una nutrita fetta dei sostenitori dei Villans, non fosse altro perché così l'atmosfera all'interno dello stadio ne gioverebbe (durante il match al quale abbiamo assistito c'erano spesso momenti di prolungato silenzio) e con l'eventuale abbassamento dei prezzi nel settore più popolare di nuovo composto da gradinate potrebbe aumentare anche l'affluenza di pubblico. La media stagionale è di poco superiore alle 30mila unità.
Pochine, per un'arena che arriva a contenere quasi 45mila spettatori e che ancora conserva quasi intatto il fascino del classico stadio inglese, composto da tribune a due piani unite tra loro solo nella parte bassa degli angoli e senza inutili orpelli quali piste d'atletica et similia. Certo, nel 2001 è stata buttata giù, per essere poi ricostruita, la Trinity Road Stand, con i suoi mosaici e le sue vetrate per anni giudicata una delle più belle del Regno Unito, tanto da essere inaugurata nel 1924 addirittura dal futuro Re Giorgio VI. Però almeno la facciata a mattoncini con le imperiose scalinate della Holte End sono state rifatte tenendo ben presente l'antico design. Quello dei tempi d'oro, che continuando di questo passo ci metteranno chissà quanto a tornare.
Sulla balaustra della North Stand del Villa Park c'è uno striscione che corre da un'estremità all'altra della tribuna. Recita più o meno così: “Shaw e Williams si sono preparati ad avventurarsi sulla sinistra, c'è una buona palla al centro per Tony Morley, oh, ecco una grande opportunità! Ed è Peter Withe a sfruttarla al meglio!” Si tratta della traduzione non proprio letterale delle parole del commentatore della BBC Brian Moore, estrapolate dalla telecronaca di una partita che rappresenta il momento più fulgido della storia dell'Aston Villa: la finale di coppa dei campioni del 1982 vinta per 1-0 contro il Bayern Monaco a Rotterdam. Ovvero quando le squadre inglesi dominavano in Europa potendo contare su rose composte da soli giocatori britannici – ma poi come al solito ai mondiali fallivano miseramente... - e personaggi come Peter Withe e Gary Shaw erano sulle prime pagine di tutti i giornali sportivi. Il primo, fisico da taglialegna e buon fiuto per il goal, segnò a metà ripresa la marcatura che tagliò le gambe al Bayern di Kalle Rummenigge e Paul Breitner – sebbene a dirla tutta i tedeschi avrebbero meritato di più. Ma di ottimi giocatori quella squadra, che l'anno successivo fu eliminata ai quarti dalla Juventus di Platini e Boniek, ne annoverava parecchi: c'erano i piedi buoni di Gordon Cowans e Tony Morley e l'emergente portiere Nigel Spink, che quella famosa finale non avrebbe nemmeno dovuto disputarla e invece, subentrato dopo soli 10 minuti al veterano Jimmy Rimmer, mise il suo nome sulla coppa con alcune parate strepitose.
Bei tempi, quelli, per la metà claret & blue di Birmingham. Dalle parti del Villa Park negli ultimi anni le vibranti notti europee di un tempo sono ormai un ricordo. Ci si accontenta di un turno infrasettimanale di Premier, quello a cui abbiamo assistito di persona contro la neo-promossa QPR. Un match che è una sorta di compendio dei problemi che affliggono i Villans in questa stagione – non che nel recente passato le cose siano andate molto meglio...
In campo un inizio molle come una tavoletta di burro esposta al sole si traduce in uno svantaggio di due reti in un batter d'occhio, con gli ospiti londinesi quasi stupiti per tanta grazia. Se la prima marcatura è un pezzo di bravura di Djibril Cissè (all'esordio in maglia biancoblu), la seconda è un goffissimo autogoal del terzino sinistro Stephen Warnock. Uno che, ci mettiamo poco a comprenderlo, non gode delle simpatie della Holte End, la meravigliosa “curva” dove risiede la parte più calda del tifo locale. Anche gli altri membri della difesa sono beccati di continuo, una consuetudine più vicina alla tradizione latina che a quella britannica. Ma c'è da capirli. Il resto della squadra, se si eccettua un Charlie N'Zogbia in serata di grazia (cosa che non capita spessissimo, considerata l'incostanza del francese) e un Robbie Keane molto volenteroso, nel primo tempo vivacchia, per poi scuotersi dal torpore nella seconda frazione di gioco, in cui riacciuffa il risultato e sfiora pure la vittoria. Tutto sommato qualcosa di buono l'Aston Villa lo riesce a produrre, ma troppo spesso non riesce a squarciare il velo di approssimazione e mancanza di convinzione. Prova ne sia il fatto che quello racimolato con i Super Hoops era solo il secondo punto interno in sei partite. Colpa della dirigenza, che prima paga (troppo) un bomber discreto come Darren Bent, per poi cedere pezzi pregiati come Ashley Young (e non è detto che la stessa sorte possa toccare a Gabriel Agbonlahor)? E che dire allora del manager Alex McLeish? Oltre a non essere sinonimo di calcio spettacolare, lo scozzese ha una macchia difficile da lavar via agli occhi dei supporter claret & blue: dal 2007 a metà 2011 ha allenato i cugini del Birmingham City (che aveva appena condotto al trionfo in Coppa di Lega, ma anche alla retrocessione in Championship). I più esperti di calcio tra la tifoseria del Villa, oltre al fattore meramente campanilistico, devono aver pensato – a ragione – che con uno come McLeish non si poteva andar oltre un'aurea mediocritas, un campionato senza la benché minima ambizione. Anche la scelta dell'allenatore era un segnale inequivocabile. Dopo anni passati a contestare il “vecchio” padre-padrone Doug Ellis – cui è stata però dedicata un tribuna – la luna di miele con la proprietà americana del “giovane” Randy Lerner si è già dissolta da un bel po'. Dopo una prima fase alquanto promettente, ormai l'Aston Villa è a tutti gli effetti un team di seconda fascia, da “parte destra” della classifica della Premier.
Visto l'illustre blasone del club, è normale che i numerosi fan vivano uno stato quasi perenne di frustrazione, che sfocia spesso nella depressione. Tanto per chiarirci, quando parliamo dell'Aston Villa ci riferiamo alla prima super-potenza del calcio inglese, tanto che altre squadre celebri come il West Ham e il Crystal Palace (in versione pre rosso-blu Barcellona) ne imitarono l'elegante abbinamento di colori. Il suo più conosciuto board director di epoca vittoriana, quel William McGregor cui è dedicata una statua nei pressi dello stadio, fondò la Football League e nel 1888 fu l'ideatore del primo campionato inglese, che i Villans vinsero ben sei volte nell'arco di poco più di tre decenni. All'epoca anche la FA Cup faceva di frequente bella mostra di sé nella bacheca del Villa Park (cinque le coppe collezionate, con lo storico double del 1897 a impreziosire il tutto). L'ascesa di altri team di altissimo livello e soprattutto la scomparsa dei “pionieri” della generazione di McGregor coincisero con un calo di rendimento. Negli anni Trenta i Villans conobbero l'onta della Second Division, nel 1970-71 addirittura della Third. Eppure la gigantesca Holte End, che allora era un'unica, mastodontica terrace scoperta in grado di ospitare oltre 25mila spettatori, era sempre affollata. L'attaccamento dei tifosi alla maglia azzurra e amaranto sarà ripagato con lo splendido revival degli anni Ottanta, quando bastavano un buon vivaio e qualche investimento assennato per sperare di vincere qualche trofeo.
Basti pensare che il titolo di campioni d'Inghilterra del 1981 i Villans se lo aggiudicarono impiegando solo 14 giocatori! Adesso che il calcio è cambiato e servono capitali più abbondanti, senza il miliardario disposto ad allargare i cordoni della borsa si può fare ben poco.
Meglio dedicarsi ad altri tipi di “battaglie”, che quanto meno la dirigenza sembra voler condividere. Durante la partita a cui abbiamo assistito uno dei pochi sussulti del pubblico si è registrato al fischio d'inizio, quando alcuni supporter hanno dispiegato uno striscione a favore del “safe standing”, ovvero la possibilità di seguire la partita in piedi in settori appositamente dedicati, dove i seggiolini “non sbucciano le ginocchia”, come ricordavano nel loro messaggio. Una possibilità per il momento non contemplata dai regolamenti, che si ispirano al Taylor report redatto dopo la tragedia dell'Hillsborough del 1989. I vertici del club hanno fatto già sapere di condividere l'istanza di una nutrita fetta dei sostenitori dei Villans, non fosse altro perché così l'atmosfera all'interno dello stadio ne gioverebbe (durante il match al quale abbiamo assistito c'erano spesso momenti di prolungato silenzio) e con l'eventuale abbassamento dei prezzi nel settore più popolare di nuovo composto da gradinate potrebbe aumentare anche l'affluenza di pubblico. La media stagionale è di poco superiore alle 30mila unità.
Pochine, per un'arena che arriva a contenere quasi 45mila spettatori e che ancora conserva quasi intatto il fascino del classico stadio inglese, composto da tribune a due piani unite tra loro solo nella parte bassa degli angoli e senza inutili orpelli quali piste d'atletica et similia. Certo, nel 2001 è stata buttata giù, per essere poi ricostruita, la Trinity Road Stand, con i suoi mosaici e le sue vetrate per anni giudicata una delle più belle del Regno Unito, tanto da essere inaugurata nel 1924 addirittura dal futuro Re Giorgio VI. Però almeno la facciata a mattoncini con le imperiose scalinate della Holte End sono state rifatte tenendo ben presente l'antico design. Quello dei tempi d'oro, che continuando di questo passo ci metteranno chissà quanto a tornare.
lunedì 9 aprile 2012
ll Punto sulla Premier – Il crollo del Manchester City
I Citizens, sempre più staccati dai cugini dello United, ormai rischiano di dire addio al titolo. Flop Balotelli.
Il Tottenham rallenta e si ritrova di nuovo a inseguire l'Arsenal. Chelsea e Newcastle conservano ancora un po' di speranze di strappare la qualificazione per la prossima Champions League.
COS'E' SUCCESSO – Roberto Mancini ricorderà a lungo la domenica di Pasqua appena trascorsa. Il suo Manchester City, infatti, ha forse visto svanire in maniera definitiva il sogno di risalire di nuovo sul trono di campione d'Inghilterra dopo un'astinenza che dura dal 1968. Troppo mediocre la prestazione fornita all'Emirates, contro un Arsenal affamato di punti utili per il terzo posto e apparso dominante per ampi tratti della contesa. L'1-0 finale sta addirittura troppo stretto ai ragazzi di Arsene Wenger, ora di nuovo con più due punti di vantaggio sul Tottenham. Non gioca una partita memorabile – anzi, riceve pure un discreto aiuto dalla terna arbitrale – ma lo United alla fine vince e consolida il suo primato. Sugli scudi, e non solo per il goal della sicurezza, il solito, intramontabile Paul Scholes. Paradossalmente al momento è più equilibrata la corsa al terzo e quarto posto in classifica. Il Tottenham si deve accontentare dello 0-0 sul difficile campo del Sunderland, il Chelsea fatica di brutto ad aver ragione del Wigan, mentre al Liberty Stadium di Swansea il Newcastle vince il quarto incontro consecutivo. In coda, ormai spacciato il Wolverhampton, perdono tutte tranne l'Aston Villa, che si fa riacciuffare in extremis all'Anfield Road. Sanguinose le sconfitte di Bolton e Blackburn, arrivate con un divario molto netto (tre goal) e contro squadre che non avevano molto da chiedere a questo fine stagione (rispettivamente Fulham e West Bromwich).
IL TOP – A posteriori tocca ammettere che le mosse del criticatissimo proprietario del Newcastle, Mike Ashley, si stanno rivelando azzeccate. La cessione di Andy Carroll ha permesso l'acquisizione a costi contenuti di giocatori di grande qualità (Demba Ba e Demba Cissé su tutti), mentre la nomina di Alan Pardew come manager sta pagando degli enormi dividendi in termini di stabilità. I Magpies stanno disputando un campionato di altissimo livello e non erano in tanti ad averlo pronosticato.
IL FLOP – Un fallo da denuncia su Song, una serie di interventi da ammonizione culminati nel doppio giallo rimediato nei minuti finali di un match giocato certo non benissimo. Tanto per gradire si è pure beccato il rimbrotto di Mancini perché dopo l'espulsione se l'è presa molto ma molto comoda per uscire dal campo (e stando alle ultime parole del Mancio sarebbe destinato a una cessione quasi certa). Il momento estremamente negativo di Mario Balotelli fotografa al meglio quello della sua squadra, ormai in crisi profonda. Chissà se dopo averlo visto all'Emirates i tifosi interisti lo rimpiangono ancora così tanto...
LA SORPRESA – In virtù di un invidiabile stato di forma il Bolton sembrava destinato a uscire presto dalle acque agitate della zona retrocessione. Anche il calendario poteva essere d'aiuto, ma la sfida interna contro un Fulham ormai tranquillo si è tramutata in un incubo. La difesa dei Trotters non ha retto l'urto di un Clint Dempsey scintillante e sul Reebok Stadium sono tornati ad aleggiare i fantasmi del capitombolo in Championship.
TOH CHI SI RIVEDE – Kenny Dalglish non lo aveva mai impiegato, nemmeno nelle coppe. Finalmente sabato Alexandre Doni ha fatto il suo esordio con la maglia del Liverpool. Poche sbavature, ma il match che conta l'ex romanista lo disputerà il prossimo fine settimana contro l'Everton nella semifinale di FA Cup. Proprio il derby rappresenterà un'occasione enorme per smentire la non eccelsa opinione che ha nei suoi confronti King Kenny.
LA CHICCA – Giornata molto opaca per le terne arbitrali. Dai due goal in fuorigioco accordati al Chelsea, al rigore fantasma concesso al Manchester United, per finire con il fallaccio di Balotelli nemmeno sanzionato. Di topiche gli “uomini in nero” ne hanno prese francamente troppe.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Forse siamo dei grandi appassionati di giocatori minori, ma secondo noi uno come Grant Holt (15 goal stagionali al suo esordio in Premier alla tenera età di 30 anni) merita senza dubbio un po' più di spazio di quanto gliene concedano i media. Se il Norwich City si è salvato una bella fetta di merito è anche sua.
Il Tottenham rallenta e si ritrova di nuovo a inseguire l'Arsenal. Chelsea e Newcastle conservano ancora un po' di speranze di strappare la qualificazione per la prossima Champions League.
COS'E' SUCCESSO – Roberto Mancini ricorderà a lungo la domenica di Pasqua appena trascorsa. Il suo Manchester City, infatti, ha forse visto svanire in maniera definitiva il sogno di risalire di nuovo sul trono di campione d'Inghilterra dopo un'astinenza che dura dal 1968. Troppo mediocre la prestazione fornita all'Emirates, contro un Arsenal affamato di punti utili per il terzo posto e apparso dominante per ampi tratti della contesa. L'1-0 finale sta addirittura troppo stretto ai ragazzi di Arsene Wenger, ora di nuovo con più due punti di vantaggio sul Tottenham. Non gioca una partita memorabile – anzi, riceve pure un discreto aiuto dalla terna arbitrale – ma lo United alla fine vince e consolida il suo primato. Sugli scudi, e non solo per il goal della sicurezza, il solito, intramontabile Paul Scholes. Paradossalmente al momento è più equilibrata la corsa al terzo e quarto posto in classifica. Il Tottenham si deve accontentare dello 0-0 sul difficile campo del Sunderland, il Chelsea fatica di brutto ad aver ragione del Wigan, mentre al Liberty Stadium di Swansea il Newcastle vince il quarto incontro consecutivo. In coda, ormai spacciato il Wolverhampton, perdono tutte tranne l'Aston Villa, che si fa riacciuffare in extremis all'Anfield Road. Sanguinose le sconfitte di Bolton e Blackburn, arrivate con un divario molto netto (tre goal) e contro squadre che non avevano molto da chiedere a questo fine stagione (rispettivamente Fulham e West Bromwich).
IL TOP – A posteriori tocca ammettere che le mosse del criticatissimo proprietario del Newcastle, Mike Ashley, si stanno rivelando azzeccate. La cessione di Andy Carroll ha permesso l'acquisizione a costi contenuti di giocatori di grande qualità (Demba Ba e Demba Cissé su tutti), mentre la nomina di Alan Pardew come manager sta pagando degli enormi dividendi in termini di stabilità. I Magpies stanno disputando un campionato di altissimo livello e non erano in tanti ad averlo pronosticato.
IL FLOP – Un fallo da denuncia su Song, una serie di interventi da ammonizione culminati nel doppio giallo rimediato nei minuti finali di un match giocato certo non benissimo. Tanto per gradire si è pure beccato il rimbrotto di Mancini perché dopo l'espulsione se l'è presa molto ma molto comoda per uscire dal campo (e stando alle ultime parole del Mancio sarebbe destinato a una cessione quasi certa). Il momento estremamente negativo di Mario Balotelli fotografa al meglio quello della sua squadra, ormai in crisi profonda. Chissà se dopo averlo visto all'Emirates i tifosi interisti lo rimpiangono ancora così tanto...
LA SORPRESA – In virtù di un invidiabile stato di forma il Bolton sembrava destinato a uscire presto dalle acque agitate della zona retrocessione. Anche il calendario poteva essere d'aiuto, ma la sfida interna contro un Fulham ormai tranquillo si è tramutata in un incubo. La difesa dei Trotters non ha retto l'urto di un Clint Dempsey scintillante e sul Reebok Stadium sono tornati ad aleggiare i fantasmi del capitombolo in Championship.
TOH CHI SI RIVEDE – Kenny Dalglish non lo aveva mai impiegato, nemmeno nelle coppe. Finalmente sabato Alexandre Doni ha fatto il suo esordio con la maglia del Liverpool. Poche sbavature, ma il match che conta l'ex romanista lo disputerà il prossimo fine settimana contro l'Everton nella semifinale di FA Cup. Proprio il derby rappresenterà un'occasione enorme per smentire la non eccelsa opinione che ha nei suoi confronti King Kenny.
LA CHICCA – Giornata molto opaca per le terne arbitrali. Dai due goal in fuorigioco accordati al Chelsea, al rigore fantasma concesso al Manchester United, per finire con il fallaccio di Balotelli nemmeno sanzionato. Di topiche gli “uomini in nero” ne hanno prese francamente troppe.
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Forse siamo dei grandi appassionati di giocatori minori, ma secondo noi uno come Grant Holt (15 goal stagionali al suo esordio in Premier alla tenera età di 30 anni) merita senza dubbio un po' più di spazio di quanto gliene concedano i media. Se il Norwich City si è salvato una bella fetta di merito è anche sua.
mercoledì 4 aprile 2012
Il titolo dell'anno
Letto su soccernet.com (scusate, ma non ho potuto resistere a commentarlo): "The tie is not over, Jesus tells 'lucky' Chelsea". Beh, se lo dice lui...
lunedì 2 aprile 2012
ll Punto sulla Premier – Il City balbetta, lo United vola
Ai Citizens non basta una doppietta di un sempre più discusso Balotelli per avere ragione del Sunderland. I Red Devils passano a Blackburn.
Il Tottenham riacciuffa i cugini dell'Arsenal, sconfitti nel derby con il QPR. Nel Chelsea che regola l'Aston Villa Torres segna il primo goal in Premier da settembre. Quasi spacciato il Wolverhampton, mentre tra le altre pericolanti è bagarre assoluta.
COS'E' SUCCESSO – Dopo la terribile storia di Fabrice Muamba, che sembra avviata però a un fantastico lieto fine, la Premier è stata investita in settimana da un’altra pessima notizia: il capitano dell’Aston Villa Stilyian Petrov è affetto da una forma acuta di leucemia. In attesa di iniziare un lungo – e speriamo efficace – percorso di cure, il bulgaro sabato era in tribuna a sostenere la sua squadra e a ricevere il sostegno dei supporter presenti al Villa Park. I Villans ce l’hanno messa tutta, recuperando due reti di svantaggio al Chelsea, che però negli ultimi minuti sono riusciti a strappare i tre punti. Per i Blues rimangono intatte le possibilità di arrivare in Champions League, mentre l’Aston Villa comincia a temere per la sua permanenza in Premier. Nel duello per il titolo grande passo avanti del Manchester United. I Red Devils salgono a più cinque grazie a due marcature nei minuti finali che fanno saltare il fortino eretto dal Blackburn. In precedenza, infatti, il City aveva buttato alle ortiche un'altro pezzetto di Premier pareggiando in casa un incontro quanto mai rocambolesco contro il Sunderland. Sempre più accesa la corsa per il terzo posto. L’Arsenal gioca maluccio e perde contro un QPR molto combattivo, mentre il Tottenham torna alla vittoria dopo cinque partite sconfiggendo solo nel finale lo Swansea. Malissimo il Liverpool dei fischiatissimi ex Andy Carroll, Craig Bellamy e Josè Enrique che con il Newcastle rimedia il sesto rovescio in sette match. Ora i Reds sono ottavi, superati pure dai cugini dell’Everton (ottimo 2-0 al WBA) contro cui disputeranno fra due settimane la semifinale di FA Cup. In coda, c’è da aggiungere un plauso al Wigan (secco 2-0 allo Stoke per la seconda affermazione casalinga stagionale) e al Bolton, che “elimina” il Woverhampton”, ormai disperato.
IL TOP – Un impatto devastante. È quello che ha avuto sulla Premier l'attaccante senegalese Demba Cissé. In sette match disputati con il Newcastle ha siglato altrettante reti. Sembra proprio essere uno che si adatta facilmente e domenica con la sua doppietta a pure permesso ai Magpies di sfatare il tabù Liverpool, contro cui il club del St James' Park aveva perso nove degli ultimi undici match.
IL FLOP – Fine della corsa, o quasi. Il Wolverhampton appare ormai condannato al ritorno in Championship dopo due anni passati a lottare nei bassifondi della Premier. L'ultima chiamata per i Wolves era il match interno contro la diretta concorrente Bolton. Nonostante fossero passati in vantaggio, i ragazzi in Old Gold hanno fallito un'occasione molto ghiotta per ritirarsi su in classifica e ora si ritrovano a sei punti della quartultima. Un'enormità...
LA SORPRESA – Il Sunderland è la prima squadra a togliere punti al Manchester City in casa. I Light Blues erano reduci da una striscia di ben 20 vittorie consecutive, 15 delle quali nel campionato attuale. La squadra allenata da Martin O'Neill ha addirittura rischiato il colpo grosso, ma già così si è confermata bestia nera stagionale del club della metà celeste di Manchester, che aveva sconfitto con una marcatura all'ultimo minuto del coreano Ji Dong-Won già all'andata.
TOH CHI SI RIVEDE – Finalmente Adel Taarabt ha trovato il suo primo goal in Premier. Stagione difficile, quella per il marocchino ex Tottenham, l'anno scorso protagonista assoluto nella trionfale campagna del QPR in Championship. Il suo contributo potrebbe rivelarsi fondamentale nella corsa alla salvezza dei Super Hoops, almeno così si augurano dalle parti di Loftus Road.
LA CHICCA – A metà anni Novanta gli scontri diretti tra Manchester United e Blackburn valevano la vetta della classifica e l'Ewood Park faceva sempre registrare il tutto esaurito quando i due club del Lancashire si fronteggiavano. Lunedì sera, vuoi per la crisi economica, il rendimento scadente dei Rovers e la diretta televisiva, niente sold out. Era piena solo la End riservata ai tifosi dello United...
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Forse è il giocatore più sottovalutato di tutto il campionato inglese. Clint Dempsey è versatile, segna con continuità (con quello di sabato ha raggiunto quota 13 in Premier) e non sembra mai difettargli una buona dose di grinta. Un centrocampista offensivo che a 29 anni è nel pieno della maturazione e meriterebbe senza dubbio una chance da parte di una grande.
Il Tottenham riacciuffa i cugini dell'Arsenal, sconfitti nel derby con il QPR. Nel Chelsea che regola l'Aston Villa Torres segna il primo goal in Premier da settembre. Quasi spacciato il Wolverhampton, mentre tra le altre pericolanti è bagarre assoluta.
COS'E' SUCCESSO – Dopo la terribile storia di Fabrice Muamba, che sembra avviata però a un fantastico lieto fine, la Premier è stata investita in settimana da un’altra pessima notizia: il capitano dell’Aston Villa Stilyian Petrov è affetto da una forma acuta di leucemia. In attesa di iniziare un lungo – e speriamo efficace – percorso di cure, il bulgaro sabato era in tribuna a sostenere la sua squadra e a ricevere il sostegno dei supporter presenti al Villa Park. I Villans ce l’hanno messa tutta, recuperando due reti di svantaggio al Chelsea, che però negli ultimi minuti sono riusciti a strappare i tre punti. Per i Blues rimangono intatte le possibilità di arrivare in Champions League, mentre l’Aston Villa comincia a temere per la sua permanenza in Premier. Nel duello per il titolo grande passo avanti del Manchester United. I Red Devils salgono a più cinque grazie a due marcature nei minuti finali che fanno saltare il fortino eretto dal Blackburn. In precedenza, infatti, il City aveva buttato alle ortiche un'altro pezzetto di Premier pareggiando in casa un incontro quanto mai rocambolesco contro il Sunderland. Sempre più accesa la corsa per il terzo posto. L’Arsenal gioca maluccio e perde contro un QPR molto combattivo, mentre il Tottenham torna alla vittoria dopo cinque partite sconfiggendo solo nel finale lo Swansea. Malissimo il Liverpool dei fischiatissimi ex Andy Carroll, Craig Bellamy e Josè Enrique che con il Newcastle rimedia il sesto rovescio in sette match. Ora i Reds sono ottavi, superati pure dai cugini dell’Everton (ottimo 2-0 al WBA) contro cui disputeranno fra due settimane la semifinale di FA Cup. In coda, c’è da aggiungere un plauso al Wigan (secco 2-0 allo Stoke per la seconda affermazione casalinga stagionale) e al Bolton, che “elimina” il Woverhampton”, ormai disperato.
IL TOP – Un impatto devastante. È quello che ha avuto sulla Premier l'attaccante senegalese Demba Cissé. In sette match disputati con il Newcastle ha siglato altrettante reti. Sembra proprio essere uno che si adatta facilmente e domenica con la sua doppietta a pure permesso ai Magpies di sfatare il tabù Liverpool, contro cui il club del St James' Park aveva perso nove degli ultimi undici match.
IL FLOP – Fine della corsa, o quasi. Il Wolverhampton appare ormai condannato al ritorno in Championship dopo due anni passati a lottare nei bassifondi della Premier. L'ultima chiamata per i Wolves era il match interno contro la diretta concorrente Bolton. Nonostante fossero passati in vantaggio, i ragazzi in Old Gold hanno fallito un'occasione molto ghiotta per ritirarsi su in classifica e ora si ritrovano a sei punti della quartultima. Un'enormità...
LA SORPRESA – Il Sunderland è la prima squadra a togliere punti al Manchester City in casa. I Light Blues erano reduci da una striscia di ben 20 vittorie consecutive, 15 delle quali nel campionato attuale. La squadra allenata da Martin O'Neill ha addirittura rischiato il colpo grosso, ma già così si è confermata bestia nera stagionale del club della metà celeste di Manchester, che aveva sconfitto con una marcatura all'ultimo minuto del coreano Ji Dong-Won già all'andata.
TOH CHI SI RIVEDE – Finalmente Adel Taarabt ha trovato il suo primo goal in Premier. Stagione difficile, quella per il marocchino ex Tottenham, l'anno scorso protagonista assoluto nella trionfale campagna del QPR in Championship. Il suo contributo potrebbe rivelarsi fondamentale nella corsa alla salvezza dei Super Hoops, almeno così si augurano dalle parti di Loftus Road.
LA CHICCA – A metà anni Novanta gli scontri diretti tra Manchester United e Blackburn valevano la vetta della classifica e l'Ewood Park faceva sempre registrare il tutto esaurito quando i due club del Lancashire si fronteggiavano. Lunedì sera, vuoi per la crisi economica, il rendimento scadente dei Rovers e la diretta televisiva, niente sold out. Era piena solo la End riservata ai tifosi dello United...
CONSIGLI PER GLI ACQUISTI – Forse è il giocatore più sottovalutato di tutto il campionato inglese. Clint Dempsey è versatile, segna con continuità (con quello di sabato ha raggiunto quota 13 in Premier) e non sembra mai difettargli una buona dose di grinta. Un centrocampista offensivo che a 29 anni è nel pieno della maturazione e meriterebbe senza dubbio una chance da parte di una grande.
domenica 1 aprile 2012
Una richiesta inusuale
Vi sponsorizziamo, ma solo se andate in campo con delle maglie uguali in tutto e per tutto a quelle che indossavate negli anni Settanta. Questo il contenuto dell'accordo tra il Kettering Town (squadra di quinta serie inglese, con enormi problemi finanziari) e la Betfair, che così voleva celebrare il fatto che i Poppies sono stati il primo club inglese a presentarsi in campo con una scritta sulla maglia, per l'appunto negli anni Settanta (per la precisione nel 1976). Per la cronaca, contro lo Stockport il Kettering ha perso 3-1 ed è ormai a un passo dalla retrocessione.
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