venerdì 17 settembre 2010

La seconda parte del reportage sulle squadre di Liverpool scritto per Fever Pitch

I tifosi dell’Everton sono fin troppo silenziosi. Lungi dal non esprimere interesse nei confronti del match, che si mette subito bene grazie a un mortifero uno-due di Tim Cahill e Landon Donovan, ma di cantare non sembra abbiano troppa voglia. Quasi si stessero conservando la voce per un appuntamento più importante, più sentito, come può essere un derby con la metà rossa della Merseyside. In effetti una decina di giorni dopo la gara interna con il Sunderland alla quale abbiamo assistito, vinta facilmente per 2-0, i Toffeemen si ritroveranno di fronte i rivali cittadini. Quelli che li battono (quasi) sempre e che anche nel secondo derby della stagione avranno la meglio per 1-0, ottava affermazione negli ultimi undici scontri diretti in campionato. Quelli che sono arrivati dopo – l’Everton è stato fondato nel 1878, il Liverpool nel 1892 – e che hanno vinto di più. Tanto di più. Ma che per gli evertoniani doc saranno sempre la seconda squadra della città, sostenuta da migranti e gente che a Liverpool casomai non ci ha mai messo piede. Loro, i Toffeemen, sono il People’s Club, la squadra dei “nativi” (leggi alla voce Wayne Rooney ma anche Steve McManaman e Jamie Carragher), come ci rammentano le sciarpe messe in bella mostra dalle bancarelle che fanno da corona al Goodison Park. Un impianto storico, distante solo dieci minuti a piedi dall’Anfield Road. Come avrete letto spesso, basta attraversare lo Stanley Park e dalla roccaforte rossa si passa a quella tutta blu. I paraggi dello stadio sono meno tetri di quelli dell’arena del Liverpool, anche perché una delle strade dà direttamente sul parco. Dopo aver reso il dovuto omaggio alla statua di Dixie Dean, prolifico centravanti icona che tra il 1925 e il 1937 fece esultare i supporter dell’Everton per ben 383 volte (un record assoluto per il beautiful game), la prima cosa che cerco con gli occhi è la chiesa di St Luke’s. Ovviamente è lì, all’angolo tra il Main Stand e la Gwladys End.

Costruita oltre un secolo fa (nel 1901) ha messo il bastone fra le ruote anche al grande Archibald Leitch, il celeberrimo architetto di stadi che nel 1907 fu chiamato per ingrandire e rendere più funzionale il Goodison Park. Un compito che lo accompagnerà per i successivi 30 anni. Non bastavano le file ordinate di casette a schiera con cui venire a patti, ci si doveva mettere pure un luogo di culto, avrà pensato Leitch. D’altronde ai tempi non si costruiva in lande desolate ai bordi della città, bensì in quartieri popolosi e dove lo spazio era scarso, limitato. Al di là delle battute, è evidente che la conformazione urbana del quartiere ha condizionato lo sviluppo di Goodison Park, che più di tanto non può essere ampliato, prova ne sia che solo una tribuna, la Park Stand, è stata abbattuta e poi riedificata (ma era l’unica delle quattro a non essere opera del genio di Leitch). Le altre, per l’immenso piacere dei cultori delle arene del passato, sono state ammodernate e rese più funzionali alla bell’e meglio, ma conservano ancora la struttura del passato. Prendete per esempio la Bullens Stand, dove troviamo posto per il match contro il Sunderland. I seggiolini dove appoggiamo le nostre terga sono quelli in legno (pure parecchio consumato) che hanno ospitato generazioni e generazioni di supporter. Certo, la visuale è leggermente disturbata dalle colonne che sorreggono il piano superiore. Quello con il marchio distintivo di Leitch: la balconata adornata con una serie di decorazioni in acciaio a linee incrociate che richiamano i colori del club. Una “chicca” che non smettiamo di ammirare, come non riusciamo a distogliere lo sguardo dai tre piani della mastodontica Main Stand. Se si vuole respirare qualche alito d’aria del passato, bisogna assolutamente fare una capatina da queste parti.

E poi quella sulla Goodison è una sede storica, “attiva” già in epoca vittoriana. Per la precisione dal 1892, da quando per una disputa economica il club si spostò di qualche centinaia di metri dalla “sistemazione precedente”. Ovvero dall’Anfield Road, la prima casa dell’Everton, “lasciata” ai neonati cugini del Liverpool. In realtà in quell’anno i Reds si chiamavano Everton F.C. and Athletic Grounds e la loro fondazione si deve proprio al padrone dei terreni dove sorgeva l’impianto impiegato dai Blues, tale John Houlding. Un po’ come accadrà con il Chelsea una dozzina di anni dopo, per non dismettere uno stadio si mise insieme una squadra. La quasi omonimia – bella forza, erano entrambe originarie dello stesso quartiere! – e l’iniziale similitudine cromatica – il rosso “cittadino” fu scelto solo nel 1896 – crearono non pochi imbarazzi alla Football League, che infatti intimò ai nuovi arrivati di cambiare nome. Il resto è storia.

Quella dell’Everton è punteggiata da tanti momenti di gloria, da sole quattro stagioni passate nel limbo della Second Division, ma anche da un bel po’ di bocconi amari. I bocconi trangugiati a causa del già accennato dominio dei cugini. A livello domestico i Toffees si sono difesi benino, affermandosi in campionato già nel 1890-91, godendo di stagioni d’oro a cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra mondiale, rialzando la testa dopo qualche momento buio negli Anni Sessanta, per poi avere uno spettacolare revival a metà degli Ottanta. La meravigliosa quadra guidata da Howard Kendall nel 1985 si aggiudicò una fantastica doppietta campionato-Coppa delle Coppe, sfiorando di poco anche la FA Cup. Ma a causa dei tragici fatti dell’Heysel non poté competere nell’edizione successiva della Coppa dei Campioni.

Un rimpianto enorme, una ferita mai completamente guarita per tutto l’ambiente, che infatti si dice da allora porti ancora maggiore rancore ai rivali cittadini – che invece devono la loro fama mondiale proprio alle numerose coppe europee messe in bacheca. I vari Neville Southall, Kevin Ratcliffe, Trevor Steven e Grame Sharp riusciranno a bissare il titolo inglese nel 1987, ma il dovuto ricambio non ci fu, anche a causa della crisi che colpì in quel periodo il calcio d’oltre Manica e dei mancati introiti derivanti dalle competizioni continentali. Attualmente l’Everton è tra quelle grandi che raccolgono solo le briciole (poche) che cascano dal piatto delle Big Four. Per aumentare i guadagni si era pensato di affidarsi a uno stadio più grande, alle porte della città. L’impianto di Kirkby, è notizia di qualche mese fa, però non si farà. I suoi impatti sarebbero stati troppo gravosi sulla comunità locale, motivo per cui il governo lo ha rispedito al mittente. Tutte le polemiche che avevano fatto seguito alla decisione della dirigenza, sostenuta da una parte minoritaria della tifoseria, si sono sciolte come neve al sole. Meglio così, la prossima volta che capiteremo dalle parti di Goodison Road prima di una partita lo Spellow Pub sarà ancora pieno di tifosi storici che sostenevano il People’s Club già dai tempi di Ray Wilson, l’unico campione del mondo della storia dell’Everton. Parliamo, ovviamente, del 1966, e di quando al Goodison Park si giocarono ben cinque partite dei mondiali, compresa la semifinale Germania-Urss. Un motivo d’orgoglio per la città di Liverpool e un segno distintivo di cui non si può fregiare l’Anfield Road, rifattosi poi nell’Europeo del 1996. Volete mettere con il fascino dei mitici Sixties?

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