Pubblicato ieri sul Manifesto
Appena usciti dalla fermata della metro di Upton Park, in pieno East End londinese, si viene investiti dalla incredibile multietnicità di Green Street. Questa lunga arteria della capitale inglese è un mix di macellerie halal, parrucchiere giamaicane e venditori di kebab turchi. Percorrendola tutta si arriva in prossimità del sito dove sta sorgendo l'arena che ospiterà le Olimpiadi del 2012. Noi ci fermiamo un po' prima, attirati dalle due torrette che troneggiano all'esterno della tribuna principale del Boleyn Ground, l'impianto del West Ham United conosciuto anche con l'appellativo di Upton Park. A pochi passi dallo stadio ci si imbatte nella statua che raffigura Bobby Moore, Geoff Hurst e Martin Peeters, tre illustrissimi ex degli Irons, nel momento di massimo fulgore, la vittoria nel campionato del mondo del 1966. I loro volti sorridenti, l'espressione fiera di Moore che solleva la coppa Jules Rimet, stridono con l'attuale umore della società e della tifoseria del team che fu anche di Paolo Di Canio. Il problema non sono le prestazioni un po' altalenanti dei ragazzi allenati ora da Gianfranco Zola che ha abbandonato l'under 21 di Casiraghi e non ha resistito al richiamo della Premier League, stavolta in panchina e non più sul campo. Il problema riguarda le pericolanti finanze societarie. «Non volate più». Con la solita ironia che li contraddistingue, in occasione della trasferta al Boleyn Ground di metà settembre i tifosi del Newcastle hanno preso in giro i loro colleghi del West Ham riferendosi al recentissimo fallimento del loro sponsor, una compagnia aerea low cost.
Un brutto colpo, quello dei mancati introiti che la compagnia assicurava per vedere il suo logo stampigliato sulla meravigliosa divisa claret & blue del club fondato in epoca vittoriana come dopolavoro per gli operai del cantiere navale Thames Ironworks. Come se non bastasse, nelle ultime settimane il West Ham è stato investito in pieno dal terremoto che ha sconquassato la finanza globale. La proprietà islandese, infatti, è stata messa all'angolo dal crollo della seconda banca del Paese, la Landsbanki, di cui il presidente del West Ham, Björgólfur Gudmundsson, è azionista di maggioranza. La Landsbanki, impelagata come tanti altri istituti di credito di questi tempi in investimenti in «titoli tossici» e amenità varie, è stata salvata dallo Stato quando era sull'orlo della bancarotta. Morale della favola: ora Gudmundsson vorrebbe volentieri rientrare almeno dei 100 milioni di sterline spesi per acquistare la compagine londinese.
Al Boleyn Ground cercano di minimizzare gli effetti della crisi, tanto che per gettare un po' di fumo negli occhi ai tifosi - e perché il centravanti titolare Dean Ashton starà fuori sei mesi - hanno preso a costo zero lo svincolato Diego Tristan, reduce dal Livorno. Ma il pericolo che a gennaio, in assenza di un compratore, il club non solo non possa fare acquisti, ma debba cedere qualche pezzo pregiato dell'argenteria di casa, c'è ed è ben concreto. È probabile che a breve si capirà se l'ipotesi di una nuova proprietà si possa concretizzare o meno. Il tempo stringe e fino ad oggi ci sono stati solo dei pour parler. Ma non finisce qui, non sono solo i deleteri effetti del credit crunch a preoccupare la tifoseria e i dirigenti del West Ham. Il carico da novanta sulle tribolate sorti degli Irons ce lo ha messo circa un mese fa un tribunale civile del Regno, che potrebbe costringere il West Ham a sborsare ben 50 milioni di sterline per «l'affare Tevez». Riassumiamo rapidamente la vicenda: nel 2006-07 il club dell'East End londinese compì delle irregolarità per mettere sotto contratto Carlitos Tevez - il cui cartellino era di proprietà della controversa agenzia Media Sports Investments dell'anglo-iraniano Kia Joorabchian. Gli Irons si salvarono per il rotto della cuffia - e grazie ai gol dell'Apache ora alla corte di Ferguson al Manchester United - a spese dello Sheffield United, che ovviamente fece ricorso contro i rivali, chiedendone la retrocessione d'ufficio.
La Premier inflisse una multa record al West Ham (sei milioni di sterline), senza però sovvertire il verdetto del campo. Il club dello Yorkshire è passato alle vie legali, vedendosi dare ragione dalle autorità competenti, a cui ora spetta di quantificare il danno. È molto probabile che il conto da saldare allo Sheffield United non sarà inferiore ai 30 milioni, cui se ne andranno ad aggiungere un'altra ventina da liquidare ai giocatori, anche loro pronti a fare la voce grossa per i mancati guadagni derivanti dal cambio di categoria.Insomma, un bel pasticcio. Nell'East End sperano che l'incubo finisca presto e che si torni a parlare solo delle giocate dell'ex Toro, David Di Michele o del prodotto dell'Academy Mark Noble, ma l'impressione è che gli ultimi capitoli di questa saga possano riservare ulteriori brutte sorprese.
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