Per la rubrica British Corner di Goal.com
Fare l’elenco delle sue mascalzonate potrebbe esaurire lo spazio a nostra disposizione. In campo e soprattutto fuori Joey Barton, ventiseienne nativo di Huyton, sobborgo povero di Liverpool, è quella che con un eufemismo potremmo definire una testa calda. Botte ne ha date tante, per informazioni chiedere ai suoi ex compagni Richard Dunne e Ousmane Dabo, calcioni anche – rimediando più di un’espulsione in carriera – ma il repertorio di bravate del nostro Joey comprende anche un sigaro spento sulla palpebra di un portiere delle giovanili del Manchester City, le terga mostrate senza alcun pudore ai tifosi dell’Everton dopo un gol segnato nei secondi finali di un match disputatosi al Goodison Park e una pletora di altri gesti non esattamente oxfordiani, spesso provocati dall’abuso continuo di alcool che lui stesso ha di recente ammesso. Tra squalifiche varie e il trasferimento dal City al Newcastle United (dovuto all’affaire Dabo), Barton ha “trovato il tempo” di trascorrere 74 giorni in prigione per una rissa fuori a un Mc Donald’s di Liverpool, nella quale picchiò selvaggiamente un ragazzo di appena 16 anni. Uscito dalle patrie galere e scontate sei giornate di sospensione comminategli dalla Football Association sempre per la vicenda legata al pestaggio dell’attuale centrocampista della Lazio, il nostro è da qualche giorno tornato a far parlare di sé soprattutto per le gesta su un campo da calcio. Per la verità a Sunderland, dove ha disputato gli ultimi minuti del derby del Tyne-Wear, il suo bacio allo stemma dei Magpies ha subito attirato le attenzioni della tifoseria locale, che lo ha bersagliato di monetine. Al di là del pessimo comportamento dei tifosi dei Black Cats, Barton non si è certo impegnato per placare gli animi fin troppo surriscaldati dei 49mila accorsi allo Stadium of Light.
Meglio è andata – sotto tutti i punti di vista – la sua seconda uscita. Suo il gol (su rigore) che ha sbloccato il match poi vinto contro il West Bromwich Albion, come nella più scontata delle favole a lieto fine. Ma proprio questo è il punto, sarà una favola a lieto fine? In un’intervista al tabloid inglese The Sun, Barton ha recitato un lungo mea culpa, assicurando di essersi affrancato dalla dipendenza dall’alcool (dopo essere passato per le abili cure della Sporting Chance Clinic di Tony Adams) e riconoscendo la miriade di errori compiuti in passato. “Penso di poter divenire un esempio per i giovani, l’aver trascorso un po’ di giorni dietro le sbarre mi ha fatto capire tante cose” ha affermato il buon Joey uno che, non va dimenticato, ha avuto un’infanzia difficile, segnata dalla povertà, e che non molto tempo fa (nel 2005) ha subito un altro forte trauma familiare – il fratello Michael è stato condannato a 17 di prigione per il coinvolgimento in un omicidio a sfondo razziale).
Il numero sette delle Magpies ha sicuramente le qualità tecniche per aiutare il club del St James’ Park a risalire la classifica e convincere Fabio Capello a tenerlo in considerazione per la nazionale dei Tre Leoni – dove Barton ha giocato una sola partita nel 2007. Intanto i tifosi del Newcastle sembrano già avergli perdonato le malefatte del passato, tanto che lo hanno incitato a più riprese nella sfida contro il WBA. Che sia l’inizio di una nuova vita, non solo dal punto di vista sportivo. Noi glielo auguriamo di cuore.
venerdì 31 ottobre 2008
mercoledì 29 ottobre 2008
Per qualche spicciolo in più
Mentre giocatori, tecnici e dirigenti guadagnano migliaia di sterline alla settimana, il resto dello staff delle squadre di Premier viene pagato un miseria, poco più del minimo salariale di 5,52 sterline all’ora. Questo quanto emerge da una ricerca condotta dal Fair Pay Network, in cui si evidenzia come soprattutto i club londinesi siano particolarmente taccagni, considerato l’alto costo della vita della capitale inglese (ragione per la quale la paga oraria dovrebbe essere adeguata a 7,45 sterline)
Il sindaco di Londra, il conservatore Boris Johnson, ha preso carta e penna e ha scritto alle cinque compagini della sua città che attualmente disputano la Premier (Arsenal, Chelsea, Fulham, Tottenham e West Ham), chiedendo di adeguarsi agli aumenti salariali suggeriti dal Fair Pay Network. Lo staranno a sentire?
Il sindaco di Londra, il conservatore Boris Johnson, ha preso carta e penna e ha scritto alle cinque compagini della sua città che attualmente disputano la Premier (Arsenal, Chelsea, Fulham, Tottenham e West Ham), chiedendo di adeguarsi agli aumenti salariali suggeriti dal Fair Pay Network. Lo staranno a sentire?
lunedì 27 ottobre 2008
Derby turbolento
Nulla di paragonabile alle infinite scazzottate sulle terraces occorse negli anni Ottanta e Settanta, ma anche sabato scorso il derby del Tyne-Wear ha avuto il suo strascico di violenze e arresti. A visitare le patrie galere sono finiti in 29. Tra loro anche un tifoso entrato in campo dopo il gol-vittoria di Kieran Richardson per insultare il portiere del Newcastle Shay Given – scena che ricorda tanto quella di un derby di Birmingham di qualche anno fa. Al fischio finale un gruppetto di supporter del Sunderland ha invaso il terreno di gioco e trovato il tempo di fare a botte con alcuni fan avversari, mentre fuori dallo Stadium of Light un cavallo della polizia è rimasto ustionato da un razzo tiratogli contro da qualche testa calda locale. Mettiamoci pure le monetine lanciate all’indirizzo di Joey Barton – che tanto per calmare gli animi non ha trovato di meglio da fare che sbaciucchiare lo stemma dei Magpies – e avremo la cronaca più o meno completa di un sabato non esattamente tranquillo. La Football Association ha già chiesto che ai tifosi resisi protagonisti degli atti di violenza sia impedito a vita l’ingresso in un’arena inglese.
È finalmente l’anno del Liverpool?
Il nono turno della Premier edizione 2008-09 sarà ricordato come quello del crollo di due record di lunghissima data, uno positivo e l’altro negativo, almeno per quel che riguarda le due compagini “padrone di casa”. Ci riferiamo ovviamente alla sconfitta del Chelsea a Stamford Bridge, che interrompe un’imbattibilità che durava 86 partite (ovvero da quando nel novembre 2004 l’Arsenal batté i Blues allora guidati da Ranieri). Ma per gli amanti del calcio inglese non va sottovalutato il risultato del Sunderland, capace di piegare il Newcastle in un derby del Tyne-Wear quanto mai accesso e appassionante e vincere un confronto diretto in casa dopo ben 28 anni – nel 1980 si giocava ancora all’ormai defunto Roker Park, c’erano le terraces e nessuno straniero in campo.
Torniamo ai Reds, autori della partita perfetta soprattutto nel reparto difensivo. Benitez è stato magistrale nello schierare la squadra un po’ sulla falsariga del modulo spallettiano (centrocampo affollato e una sola punta in avanti), che già qualche grattacapo aveva creato al Chelsea nella sfida di Champions League. Forse sarà una chiave di lettura troppo semplicistica, ma Scolari non ha il buon Drogba a togliergli le castagne dal fuoco e si vede. Non vanno però sminuiti i meriti del Liverpool capolista solitario, che senza Torres trova nell’altro spagnolo Xabi Alonso il match winner e migliore in campo – e chissà come devono fischiare le orecchie all’attuale allenatore della Juventus…
La meravigliosa favola dell’Hull City si arricchisce di un ulteriore capitolo. Al The Hawthorns di West Bromwich i Tigers soffrono, si affidano alle prodezze del portiere americano Myhill, ci provano in contropiede e alla fine escono con i tre punti che permettono alla matricola dello Yorkshire di affiancare nientemeno che il Chelsea al secondo posto. A dirla tutta il WBA non meritava lo 0-3 maturato tra il 46° e il 65° del secondo tempo – anzi, forse non meritava proprio di perdere – però andatelo a spiegare ai tifosi dell’Hull, che ormai devono pensare di vivere in un sogno perenne!
Mezzo passo falso del Manchester United al Goodison Park. Questa volta ai Red Devils non serve una frazione di gara per lavorare ai fianchi gli avversari, il vantaggio arriva quasi subito grazie all’ottimo Fletcher di questi tempi. Poi i ragazzi di Sir Alex si perdono un po’. Rooney è troppo nervoso, Ronaldo non concretizza e Ferdinand si distrae quel tanto che basta per rimettere in corsa un Everton fino a quel momento apparso poca cosa. Il centrocampista belga Fellaini mostra di valere almeno una buona parte dei 15 milioni di sterline che il club di Liverpool ha investito su di lui e i Toffees rischiano addirittura di uscire vincitori di un match in cui per circa un’ora sono stati dominati.
Un tempo e mezzo in panchina fa bene ad Adebayor. Nel derby contro il West Ham al Boleyn Ground il togolese entra, propizia il primo gol e segna la marcatura del definitivo 2-0 che mantiene i Gunners nella posizioni di testa e fa entrare in crisi gli Irons, alla terza sconfitta consecutiva in Premier. Tra problemi finanziari della proprietà islandese e cospicui risarcimenti per l’affaire Tevez, per Zola il futuro non sembra troppo roseo.
Vola l’Aston Villa del fantastico duo d’attacco Agbonlahor-Carew. Quattro gol al JJB Stadium al Wigan che solo una settimana prima stava per fare il colpaccio ad Anfield Road sono un ottimo biglietto da visita per la corsa a un posto in Champions League.
Nelle retrovie, accennato al Newcastle meritatamente sconfitto a Sunderland e che ora sempre più impelagato nella lotta per non retrocedere, fa scalpore il cambio di panchina al Tottenham – via Ramos, dentro Redknapp, che così lascia il Portsmouth nelle mani del suo vice Adams. Gli Spurs vincono la loro prima partita contro il Bolton, diretto concorrente per la permanenza in Premier, ma rimangono all’ultimo posto. L’altra pericolante Stoke viene schiantata dalla prima tripletta di Robinho in terra inglese, mentre il Fulham in extremis raccoglie un buon punto al Fratton Park di Portsmouth.
Scritto per Goal.com
Torniamo ai Reds, autori della partita perfetta soprattutto nel reparto difensivo. Benitez è stato magistrale nello schierare la squadra un po’ sulla falsariga del modulo spallettiano (centrocampo affollato e una sola punta in avanti), che già qualche grattacapo aveva creato al Chelsea nella sfida di Champions League. Forse sarà una chiave di lettura troppo semplicistica, ma Scolari non ha il buon Drogba a togliergli le castagne dal fuoco e si vede. Non vanno però sminuiti i meriti del Liverpool capolista solitario, che senza Torres trova nell’altro spagnolo Xabi Alonso il match winner e migliore in campo – e chissà come devono fischiare le orecchie all’attuale allenatore della Juventus…
La meravigliosa favola dell’Hull City si arricchisce di un ulteriore capitolo. Al The Hawthorns di West Bromwich i Tigers soffrono, si affidano alle prodezze del portiere americano Myhill, ci provano in contropiede e alla fine escono con i tre punti che permettono alla matricola dello Yorkshire di affiancare nientemeno che il Chelsea al secondo posto. A dirla tutta il WBA non meritava lo 0-3 maturato tra il 46° e il 65° del secondo tempo – anzi, forse non meritava proprio di perdere – però andatelo a spiegare ai tifosi dell’Hull, che ormai devono pensare di vivere in un sogno perenne!
Mezzo passo falso del Manchester United al Goodison Park. Questa volta ai Red Devils non serve una frazione di gara per lavorare ai fianchi gli avversari, il vantaggio arriva quasi subito grazie all’ottimo Fletcher di questi tempi. Poi i ragazzi di Sir Alex si perdono un po’. Rooney è troppo nervoso, Ronaldo non concretizza e Ferdinand si distrae quel tanto che basta per rimettere in corsa un Everton fino a quel momento apparso poca cosa. Il centrocampista belga Fellaini mostra di valere almeno una buona parte dei 15 milioni di sterline che il club di Liverpool ha investito su di lui e i Toffees rischiano addirittura di uscire vincitori di un match in cui per circa un’ora sono stati dominati.
Un tempo e mezzo in panchina fa bene ad Adebayor. Nel derby contro il West Ham al Boleyn Ground il togolese entra, propizia il primo gol e segna la marcatura del definitivo 2-0 che mantiene i Gunners nella posizioni di testa e fa entrare in crisi gli Irons, alla terza sconfitta consecutiva in Premier. Tra problemi finanziari della proprietà islandese e cospicui risarcimenti per l’affaire Tevez, per Zola il futuro non sembra troppo roseo.
Vola l’Aston Villa del fantastico duo d’attacco Agbonlahor-Carew. Quattro gol al JJB Stadium al Wigan che solo una settimana prima stava per fare il colpaccio ad Anfield Road sono un ottimo biglietto da visita per la corsa a un posto in Champions League.
Nelle retrovie, accennato al Newcastle meritatamente sconfitto a Sunderland e che ora sempre più impelagato nella lotta per non retrocedere, fa scalpore il cambio di panchina al Tottenham – via Ramos, dentro Redknapp, che così lascia il Portsmouth nelle mani del suo vice Adams. Gli Spurs vincono la loro prima partita contro il Bolton, diretto concorrente per la permanenza in Premier, ma rimangono all’ultimo posto. L’altra pericolante Stoke viene schiantata dalla prima tripletta di Robinho in terra inglese, mentre il Fulham in extremis raccoglie un buon punto al Fratton Park di Portsmouth.
Scritto per Goal.com
Sprout il punk
L’ho già confessato varie volte, di essere un fan del mensile inglese When Saturday Comes. Vanno a pescare storie incredibili, come quella pubblicata nella loro e-mail settimanale lo scorso venerdì. Il personaggio di cui si narravano le gesta nell’angolo della figurina Panini era un tale Hugh Sproat, portiere dell’Ayr United, in Scozia. Di lui, lo ammetto, ignoravo l’esistenza, e ovviamente non sapevo che in occasione di una partita si presentò con una lametta da barba conficcata nel loro dell’orecchio. “Sono un punk cocker”, la sua spiegazione, che però non convinse l’arbitro. Prima di firmare per l’Ayr Sprout faceva il lattaio, poi divenne famoso per vestire la maglia verde nella partite contro i Rangers e quella blu nelle sfide contro i Celtic. Della serie, proviamo a irritare gli avversari. Pare se la cavasse bene pure con i dribbling e i colpi di testa, tuttavia nel complesso era un buon portiere (oltre 200 presenze con l’Ayr, 150 con il Motherwell). Insomma, un bel tipo davvero!
sabato 25 ottobre 2008
Precipizio Wet Ham
Pubblicato ieri sul Manifesto
Appena usciti dalla fermata della metro di Upton Park, in pieno East End londinese, si viene investiti dalla incredibile multietnicità di Green Street. Questa lunga arteria della capitale inglese è un mix di macellerie halal, parrucchiere giamaicane e venditori di kebab turchi. Percorrendola tutta si arriva in prossimità del sito dove sta sorgendo l'arena che ospiterà le Olimpiadi del 2012. Noi ci fermiamo un po' prima, attirati dalle due torrette che troneggiano all'esterno della tribuna principale del Boleyn Ground, l'impianto del West Ham United conosciuto anche con l'appellativo di Upton Park. A pochi passi dallo stadio ci si imbatte nella statua che raffigura Bobby Moore, Geoff Hurst e Martin Peeters, tre illustrissimi ex degli Irons, nel momento di massimo fulgore, la vittoria nel campionato del mondo del 1966. I loro volti sorridenti, l'espressione fiera di Moore che solleva la coppa Jules Rimet, stridono con l'attuale umore della società e della tifoseria del team che fu anche di Paolo Di Canio. Il problema non sono le prestazioni un po' altalenanti dei ragazzi allenati ora da Gianfranco Zola che ha abbandonato l'under 21 di Casiraghi e non ha resistito al richiamo della Premier League, stavolta in panchina e non più sul campo. Il problema riguarda le pericolanti finanze societarie. «Non volate più». Con la solita ironia che li contraddistingue, in occasione della trasferta al Boleyn Ground di metà settembre i tifosi del Newcastle hanno preso in giro i loro colleghi del West Ham riferendosi al recentissimo fallimento del loro sponsor, una compagnia aerea low cost.
Un brutto colpo, quello dei mancati introiti che la compagnia assicurava per vedere il suo logo stampigliato sulla meravigliosa divisa claret & blue del club fondato in epoca vittoriana come dopolavoro per gli operai del cantiere navale Thames Ironworks. Come se non bastasse, nelle ultime settimane il West Ham è stato investito in pieno dal terremoto che ha sconquassato la finanza globale. La proprietà islandese, infatti, è stata messa all'angolo dal crollo della seconda banca del Paese, la Landsbanki, di cui il presidente del West Ham, Björgólfur Gudmundsson, è azionista di maggioranza. La Landsbanki, impelagata come tanti altri istituti di credito di questi tempi in investimenti in «titoli tossici» e amenità varie, è stata salvata dallo Stato quando era sull'orlo della bancarotta. Morale della favola: ora Gudmundsson vorrebbe volentieri rientrare almeno dei 100 milioni di sterline spesi per acquistare la compagine londinese.
Al Boleyn Ground cercano di minimizzare gli effetti della crisi, tanto che per gettare un po' di fumo negli occhi ai tifosi - e perché il centravanti titolare Dean Ashton starà fuori sei mesi - hanno preso a costo zero lo svincolato Diego Tristan, reduce dal Livorno. Ma il pericolo che a gennaio, in assenza di un compratore, il club non solo non possa fare acquisti, ma debba cedere qualche pezzo pregiato dell'argenteria di casa, c'è ed è ben concreto. È probabile che a breve si capirà se l'ipotesi di una nuova proprietà si possa concretizzare o meno. Il tempo stringe e fino ad oggi ci sono stati solo dei pour parler. Ma non finisce qui, non sono solo i deleteri effetti del credit crunch a preoccupare la tifoseria e i dirigenti del West Ham. Il carico da novanta sulle tribolate sorti degli Irons ce lo ha messo circa un mese fa un tribunale civile del Regno, che potrebbe costringere il West Ham a sborsare ben 50 milioni di sterline per «l'affare Tevez». Riassumiamo rapidamente la vicenda: nel 2006-07 il club dell'East End londinese compì delle irregolarità per mettere sotto contratto Carlitos Tevez - il cui cartellino era di proprietà della controversa agenzia Media Sports Investments dell'anglo-iraniano Kia Joorabchian. Gli Irons si salvarono per il rotto della cuffia - e grazie ai gol dell'Apache ora alla corte di Ferguson al Manchester United - a spese dello Sheffield United, che ovviamente fece ricorso contro i rivali, chiedendone la retrocessione d'ufficio.
La Premier inflisse una multa record al West Ham (sei milioni di sterline), senza però sovvertire il verdetto del campo. Il club dello Yorkshire è passato alle vie legali, vedendosi dare ragione dalle autorità competenti, a cui ora spetta di quantificare il danno. È molto probabile che il conto da saldare allo Sheffield United non sarà inferiore ai 30 milioni, cui se ne andranno ad aggiungere un'altra ventina da liquidare ai giocatori, anche loro pronti a fare la voce grossa per i mancati guadagni derivanti dal cambio di categoria.Insomma, un bel pasticcio. Nell'East End sperano che l'incubo finisca presto e che si torni a parlare solo delle giocate dell'ex Toro, David Di Michele o del prodotto dell'Academy Mark Noble, ma l'impressione è che gli ultimi capitoli di questa saga possano riservare ulteriori brutte sorprese.
Appena usciti dalla fermata della metro di Upton Park, in pieno East End londinese, si viene investiti dalla incredibile multietnicità di Green Street. Questa lunga arteria della capitale inglese è un mix di macellerie halal, parrucchiere giamaicane e venditori di kebab turchi. Percorrendola tutta si arriva in prossimità del sito dove sta sorgendo l'arena che ospiterà le Olimpiadi del 2012. Noi ci fermiamo un po' prima, attirati dalle due torrette che troneggiano all'esterno della tribuna principale del Boleyn Ground, l'impianto del West Ham United conosciuto anche con l'appellativo di Upton Park. A pochi passi dallo stadio ci si imbatte nella statua che raffigura Bobby Moore, Geoff Hurst e Martin Peeters, tre illustrissimi ex degli Irons, nel momento di massimo fulgore, la vittoria nel campionato del mondo del 1966. I loro volti sorridenti, l'espressione fiera di Moore che solleva la coppa Jules Rimet, stridono con l'attuale umore della società e della tifoseria del team che fu anche di Paolo Di Canio. Il problema non sono le prestazioni un po' altalenanti dei ragazzi allenati ora da Gianfranco Zola che ha abbandonato l'under 21 di Casiraghi e non ha resistito al richiamo della Premier League, stavolta in panchina e non più sul campo. Il problema riguarda le pericolanti finanze societarie. «Non volate più». Con la solita ironia che li contraddistingue, in occasione della trasferta al Boleyn Ground di metà settembre i tifosi del Newcastle hanno preso in giro i loro colleghi del West Ham riferendosi al recentissimo fallimento del loro sponsor, una compagnia aerea low cost.
Un brutto colpo, quello dei mancati introiti che la compagnia assicurava per vedere il suo logo stampigliato sulla meravigliosa divisa claret & blue del club fondato in epoca vittoriana come dopolavoro per gli operai del cantiere navale Thames Ironworks. Come se non bastasse, nelle ultime settimane il West Ham è stato investito in pieno dal terremoto che ha sconquassato la finanza globale. La proprietà islandese, infatti, è stata messa all'angolo dal crollo della seconda banca del Paese, la Landsbanki, di cui il presidente del West Ham, Björgólfur Gudmundsson, è azionista di maggioranza. La Landsbanki, impelagata come tanti altri istituti di credito di questi tempi in investimenti in «titoli tossici» e amenità varie, è stata salvata dallo Stato quando era sull'orlo della bancarotta. Morale della favola: ora Gudmundsson vorrebbe volentieri rientrare almeno dei 100 milioni di sterline spesi per acquistare la compagine londinese.
Al Boleyn Ground cercano di minimizzare gli effetti della crisi, tanto che per gettare un po' di fumo negli occhi ai tifosi - e perché il centravanti titolare Dean Ashton starà fuori sei mesi - hanno preso a costo zero lo svincolato Diego Tristan, reduce dal Livorno. Ma il pericolo che a gennaio, in assenza di un compratore, il club non solo non possa fare acquisti, ma debba cedere qualche pezzo pregiato dell'argenteria di casa, c'è ed è ben concreto. È probabile che a breve si capirà se l'ipotesi di una nuova proprietà si possa concretizzare o meno. Il tempo stringe e fino ad oggi ci sono stati solo dei pour parler. Ma non finisce qui, non sono solo i deleteri effetti del credit crunch a preoccupare la tifoseria e i dirigenti del West Ham. Il carico da novanta sulle tribolate sorti degli Irons ce lo ha messo circa un mese fa un tribunale civile del Regno, che potrebbe costringere il West Ham a sborsare ben 50 milioni di sterline per «l'affare Tevez». Riassumiamo rapidamente la vicenda: nel 2006-07 il club dell'East End londinese compì delle irregolarità per mettere sotto contratto Carlitos Tevez - il cui cartellino era di proprietà della controversa agenzia Media Sports Investments dell'anglo-iraniano Kia Joorabchian. Gli Irons si salvarono per il rotto della cuffia - e grazie ai gol dell'Apache ora alla corte di Ferguson al Manchester United - a spese dello Sheffield United, che ovviamente fece ricorso contro i rivali, chiedendone la retrocessione d'ufficio.
La Premier inflisse una multa record al West Ham (sei milioni di sterline), senza però sovvertire il verdetto del campo. Il club dello Yorkshire è passato alle vie legali, vedendosi dare ragione dalle autorità competenti, a cui ora spetta di quantificare il danno. È molto probabile che il conto da saldare allo Sheffield United non sarà inferiore ai 30 milioni, cui se ne andranno ad aggiungere un'altra ventina da liquidare ai giocatori, anche loro pronti a fare la voce grossa per i mancati guadagni derivanti dal cambio di categoria.Insomma, un bel pasticcio. Nell'East End sperano che l'incubo finisca presto e che si torni a parlare solo delle giocate dell'ex Toro, David Di Michele o del prodotto dell'Academy Mark Noble, ma l'impressione è che gli ultimi capitoli di questa saga possano riservare ulteriori brutte sorprese.
venerdì 24 ottobre 2008
Reportage su Chelsea-Roma
Pubblicato anche su Goal.com
La trasferta londinese mordi-e-fuggi inizia con un volo da Ciampino per… Orio al Serio. In realtà non sono l’unico ad aver pianificato con attenzione e un occhio al portafoglio il viaggio per andare a vedere Chelsea-Roma. I due voli, quello interno e il susseguente per Londra, costavano immensamente meno del “diretto”, il cui prezzo era lievitato già prima che avesse luogo il sorteggio. Potenza delle low cost!
Dopo il solito giro in centro e una puntatina al Loftus Road – dove il nuovo stemma “briatoriano” è stato appiccicato ovunque ma purtroppo al club shop si fa fatica a trovare le bellissime maglie retrò del Queen’s Park Rangers – salto sulla District Line della metro, direzione Fulham Broadway. Mancano due ore al calcio d’inizio, ma in giro c’è già un bel movimento. Lo Stamford Bridge è letteralmente a due passi dalla stazione del tube. Completamente ricostruito negli anni Novanta, con la sua forma compatta e gli alberghi, i bar e i ristoranti alla moda alle spalle della Shed End, l’impianto è lontano anni luce da quello dell’era ante-Premier e Taylor Report (il rapporto stilato dopo la strage di Hillsborough del 1989 che portò a un radicale mutamento nel panorama degli stadi inglesi). Di quella vecchia arena rimane solo un muro in cemento grezzo della vecchia Shed End – in passato il ritrovo dei tifosi più accessi dei Blues – su cui adesso fanno bella mostra di sé le foto dei grandi giocatori della storia del club, Peter Bonetti, Peter Osgood ma anche Gianfranco Zola e Gianluca Vialli. Il Chelsea ha sempre giocato al Bridge, anzi, è nato perché il suo fondatore Gus Mears non aveva trovato un affittuario l’impianto, inizialmente adibito per gare di atletica – a questo si deve la forma circolare immortalata nelle foto d’antan. Non a caso i Blues, tra le squadre professionistiche londinesi, sono i più giovani, essendo nati “solo” nel 1905.
Nel vecchio Stamford Bridge – noi ci eravamo stati quando già metà stadio era nuovo di zecca e l’altra metà prossima all’abbattimento – c’era ben altra atmosfera. Negli anni Settanta e Ottanta non era certo un luogo tranquillo (per approfondimenti leggi alla voce Headhunters, il gruppo di hooligans “locali”), ma c’era un gran tifo, soprattutto molto spontaneo. Nel match contro la Roma le sciarpe le fornisce direttamente il club – ma sventolate tutte insieme danno un bel colpo d’occhio – e anche i bandieroni che compaiono in alcuni frangenti abbiamo il sospetto siano stati pagati con i soldi di Mr Abramovich. Insomma, a livello di tifo i Blues soccombono un po’ e forse il boato più grande che producono – dopo quello del gol – è dedicato a Riise, di cui ricordano il comico autogol nella semifinale di Champions League della scorsa stagione.
Un altro segno dei tempi – e di quello che in Inghilterra ormai in molti con più di una venatura di disprezzo chiamano corporate football – è la presenza di qualche consolle per la playstation nella East Stand, a pochi passi dalla tribuna stampa dove abbiamo trovato posto. Non sappiamo se anche negli altri settori dello stadio si possa giocare a calcio virtuale con i videogames, ma dobbiamo ammettere che la cosa ci lascia un po’ contrariati (e non solo perché preferiamo il Subbuteo e il calcio balilla ai giochi “moderni”).
Sulla partita è già stato detto e scritto tutto. Solito film già visto della Roma che perde in Inghilterra e del Chelsea che in casa è una macchina da punti, anche se ai tifosi la prestazione non è piaciuta troppo. Ma la chiusura non può non essere sulla bonaria presa in giro dei sostenitori romanisti al drappello di giardinieri con tanto di tosaerba scesi in campo pochi minuti dopo il fischio finale e gli scambi di convenevoli tra i giocatori. Per i gli inservienti dei Blues applausi ironici e olé a go-go, un finale tutto sommato adeguato per una serata trascorsa in maniera abbastanza serena.
La trasferta londinese mordi-e-fuggi inizia con un volo da Ciampino per… Orio al Serio. In realtà non sono l’unico ad aver pianificato con attenzione e un occhio al portafoglio il viaggio per andare a vedere Chelsea-Roma. I due voli, quello interno e il susseguente per Londra, costavano immensamente meno del “diretto”, il cui prezzo era lievitato già prima che avesse luogo il sorteggio. Potenza delle low cost!
Dopo il solito giro in centro e una puntatina al Loftus Road – dove il nuovo stemma “briatoriano” è stato appiccicato ovunque ma purtroppo al club shop si fa fatica a trovare le bellissime maglie retrò del Queen’s Park Rangers – salto sulla District Line della metro, direzione Fulham Broadway. Mancano due ore al calcio d’inizio, ma in giro c’è già un bel movimento. Lo Stamford Bridge è letteralmente a due passi dalla stazione del tube. Completamente ricostruito negli anni Novanta, con la sua forma compatta e gli alberghi, i bar e i ristoranti alla moda alle spalle della Shed End, l’impianto è lontano anni luce da quello dell’era ante-Premier e Taylor Report (il rapporto stilato dopo la strage di Hillsborough del 1989 che portò a un radicale mutamento nel panorama degli stadi inglesi). Di quella vecchia arena rimane solo un muro in cemento grezzo della vecchia Shed End – in passato il ritrovo dei tifosi più accessi dei Blues – su cui adesso fanno bella mostra di sé le foto dei grandi giocatori della storia del club, Peter Bonetti, Peter Osgood ma anche Gianfranco Zola e Gianluca Vialli. Il Chelsea ha sempre giocato al Bridge, anzi, è nato perché il suo fondatore Gus Mears non aveva trovato un affittuario l’impianto, inizialmente adibito per gare di atletica – a questo si deve la forma circolare immortalata nelle foto d’antan. Non a caso i Blues, tra le squadre professionistiche londinesi, sono i più giovani, essendo nati “solo” nel 1905.
Nel vecchio Stamford Bridge – noi ci eravamo stati quando già metà stadio era nuovo di zecca e l’altra metà prossima all’abbattimento – c’era ben altra atmosfera. Negli anni Settanta e Ottanta non era certo un luogo tranquillo (per approfondimenti leggi alla voce Headhunters, il gruppo di hooligans “locali”), ma c’era un gran tifo, soprattutto molto spontaneo. Nel match contro la Roma le sciarpe le fornisce direttamente il club – ma sventolate tutte insieme danno un bel colpo d’occhio – e anche i bandieroni che compaiono in alcuni frangenti abbiamo il sospetto siano stati pagati con i soldi di Mr Abramovich. Insomma, a livello di tifo i Blues soccombono un po’ e forse il boato più grande che producono – dopo quello del gol – è dedicato a Riise, di cui ricordano il comico autogol nella semifinale di Champions League della scorsa stagione.
Un altro segno dei tempi – e di quello che in Inghilterra ormai in molti con più di una venatura di disprezzo chiamano corporate football – è la presenza di qualche consolle per la playstation nella East Stand, a pochi passi dalla tribuna stampa dove abbiamo trovato posto. Non sappiamo se anche negli altri settori dello stadio si possa giocare a calcio virtuale con i videogames, ma dobbiamo ammettere che la cosa ci lascia un po’ contrariati (e non solo perché preferiamo il Subbuteo e il calcio balilla ai giochi “moderni”).
Sulla partita è già stato detto e scritto tutto. Solito film già visto della Roma che perde in Inghilterra e del Chelsea che in casa è una macchina da punti, anche se ai tifosi la prestazione non è piaciuta troppo. Ma la chiusura non può non essere sulla bonaria presa in giro dei sostenitori romanisti al drappello di giardinieri con tanto di tosaerba scesi in campo pochi minuti dopo il fischio finale e gli scambi di convenevoli tra i giocatori. Per i gli inservienti dei Blues applausi ironici e olé a go-go, un finale tutto sommato adeguato per una serata trascorsa in maniera abbastanza serena.
martedì 21 ottobre 2008
Le Big Four dettano legge
Da Goal.com di oggi
Nella giornata dei tre 0-0 ci pensano le grandi a regalare emozioni e spettacolo. Il match più appassionante è senza dubbio quello di Anfield Road, dove al Liverpool riesce la quarta rimonta della stagione per avere la meglio di un Wigan ottimo soprattutto nel primo tempo. Il capocannoniere Zaki segna una doppietta – da urlo il 2-1 su sforbiciata – ma altrettanto fa Kuyt, che non fa rimpiangere l’infortunato Torres. I Reds escono fuori alla distanza, vuoi per la loro fame di vittorie, vuoi perché i Latics nella ripresa si chiudono troppo e giocano in 10 metà della seconda frazione di gara. Nel Liverpool grintoso a mai domo di questi tempi fatica ancora a mettersi in evidenza l’italiano Dossena.
Brutte notizie per la già disastrata Roma: il Chelsea, nonostante abbia perso il conto degli infortunati, si divora in un sol boccone il povero Middlesbrough dando una dimostrazione lampante del suo enorme potenziale tecnico. Anelka e Mikel non fanno rimpiangere Drogba ed Essien, Belletti trova ancora una volta il capolavoro da lontano e Kalou non è mai apparso così positivo come quest’anno. È pur vero che il Boro visto contro gli idoli di Stamford Bridge è sembrato ben poca cosa – non ha praticamente mai tirato verso la porta di Cudicini – però bisogna ammettere che il gioco che Scolari ha dato ai suoi non è fatto solo di concretezza in attacco e grande reattività in difesa, ma lascia anche spazio allo spettacolo. Insomma, Scolari batte Mourinho dal punto di vista estetico, si vedrà a fine stagione se l’ex tecnico del Portogallo saprà portare a casa anche un po’ dei trofei raccolti da the Special One.
A proposito di spettacolo, come al solito incanta il Manchester United guidato da un Rooney immenso, che la nazionale ha restituito ancora più determinato e determinante (oltre al gol che ha schiodato il risultato, per lui anche due assist al bacio). All’Old Trafford è andato in onda un vero e proprio monologo dei Red Devils, non troppo incisivi nel primo tempo ma dilaganti nella seconda frazione di gara – e a Sir Alex mancavano tutti i centrali di centrcampo... Il West Bromwich Albion, matricola che finora ha mostrato una discreta qualità tecnico-tattica, ha fatto da sparring partner e nulla più. Per intenderci, il WBA ha battuto il primo corner a un minuto dalla fine, dopo averne concessi ben 16 agli avversari.
Anche l’Arsenal stecca nel primo tempo, trovandosi sotto di una segnatura contro l’Everton, più temibile fuori casa che al Goodison Park. Poi arriva finalmente il primo gol in maglia biancorossa di Nasri, il 2-1 di un Van Persie sempre più costante e infine il siggillo della stella più splendente nel firmamento dell’Arsenal: Walcott. Ancora a secco Adebayor, cui il salario da capogiro spuntato in estate sembra iniziare a pesare un po’ troppo. Wenger torna a sorridere dopo il flop interno con l’Hull e il pareggio a Sunderland. Riuscirà a vedere i suoi rivaleggiare per il titolo?
Proprio l’Hull non arresta la sua splendida rincorsa, dando un dispiacere al West Ham. La squadra allenata da Zola capitola per la seconda volta consecutiva e vede allontanarsi il treno per l’Europa.
Passiamo ai tre 0-0 della giornata. Forse l’unica partita comunque di livello è quella del Craven Cottage, dove il Sunderland è sfortunato a non cogliere i tre punti. Ci si mettono pali e traverse a fermare i Black Cats. Scialbe le gare tra Aston Villa e Portsmouth e Bolton e Blackburn.
Il Tottenham “conferma” il peggior inizio campionato dal 1912 cadendo anche a Stoke nel match del si salvi chi può. In dieci per buona parte dell’incontro, gli Spurs finiscono addirittura in nove e con Corluka gravemente infortunato… Per la serie piove sul bagnato.
Nel Monday Night grandissima prova d’orgoglio del Newcastle che, nonostante abbia giocato 80 minuti con un uomo in meno, impatta con il Manchester City. Magpies ancora in zona calda, però.
Domenica alle 14.30 italiane sfida da non perdere tra le due capolista Chelsea e Liverpool. Allo Stamford Bridge andrà in onda l’ennesimo capitolo di una delle nuove grandi rivalità del calcio inglese versione terzo millennio.
Nella giornata dei tre 0-0 ci pensano le grandi a regalare emozioni e spettacolo. Il match più appassionante è senza dubbio quello di Anfield Road, dove al Liverpool riesce la quarta rimonta della stagione per avere la meglio di un Wigan ottimo soprattutto nel primo tempo. Il capocannoniere Zaki segna una doppietta – da urlo il 2-1 su sforbiciata – ma altrettanto fa Kuyt, che non fa rimpiangere l’infortunato Torres. I Reds escono fuori alla distanza, vuoi per la loro fame di vittorie, vuoi perché i Latics nella ripresa si chiudono troppo e giocano in 10 metà della seconda frazione di gara. Nel Liverpool grintoso a mai domo di questi tempi fatica ancora a mettersi in evidenza l’italiano Dossena.
Brutte notizie per la già disastrata Roma: il Chelsea, nonostante abbia perso il conto degli infortunati, si divora in un sol boccone il povero Middlesbrough dando una dimostrazione lampante del suo enorme potenziale tecnico. Anelka e Mikel non fanno rimpiangere Drogba ed Essien, Belletti trova ancora una volta il capolavoro da lontano e Kalou non è mai apparso così positivo come quest’anno. È pur vero che il Boro visto contro gli idoli di Stamford Bridge è sembrato ben poca cosa – non ha praticamente mai tirato verso la porta di Cudicini – però bisogna ammettere che il gioco che Scolari ha dato ai suoi non è fatto solo di concretezza in attacco e grande reattività in difesa, ma lascia anche spazio allo spettacolo. Insomma, Scolari batte Mourinho dal punto di vista estetico, si vedrà a fine stagione se l’ex tecnico del Portogallo saprà portare a casa anche un po’ dei trofei raccolti da the Special One.
A proposito di spettacolo, come al solito incanta il Manchester United guidato da un Rooney immenso, che la nazionale ha restituito ancora più determinato e determinante (oltre al gol che ha schiodato il risultato, per lui anche due assist al bacio). All’Old Trafford è andato in onda un vero e proprio monologo dei Red Devils, non troppo incisivi nel primo tempo ma dilaganti nella seconda frazione di gara – e a Sir Alex mancavano tutti i centrali di centrcampo... Il West Bromwich Albion, matricola che finora ha mostrato una discreta qualità tecnico-tattica, ha fatto da sparring partner e nulla più. Per intenderci, il WBA ha battuto il primo corner a un minuto dalla fine, dopo averne concessi ben 16 agli avversari.
Anche l’Arsenal stecca nel primo tempo, trovandosi sotto di una segnatura contro l’Everton, più temibile fuori casa che al Goodison Park. Poi arriva finalmente il primo gol in maglia biancorossa di Nasri, il 2-1 di un Van Persie sempre più costante e infine il siggillo della stella più splendente nel firmamento dell’Arsenal: Walcott. Ancora a secco Adebayor, cui il salario da capogiro spuntato in estate sembra iniziare a pesare un po’ troppo. Wenger torna a sorridere dopo il flop interno con l’Hull e il pareggio a Sunderland. Riuscirà a vedere i suoi rivaleggiare per il titolo?
Proprio l’Hull non arresta la sua splendida rincorsa, dando un dispiacere al West Ham. La squadra allenata da Zola capitola per la seconda volta consecutiva e vede allontanarsi il treno per l’Europa.
Passiamo ai tre 0-0 della giornata. Forse l’unica partita comunque di livello è quella del Craven Cottage, dove il Sunderland è sfortunato a non cogliere i tre punti. Ci si mettono pali e traverse a fermare i Black Cats. Scialbe le gare tra Aston Villa e Portsmouth e Bolton e Blackburn.
Il Tottenham “conferma” il peggior inizio campionato dal 1912 cadendo anche a Stoke nel match del si salvi chi può. In dieci per buona parte dell’incontro, gli Spurs finiscono addirittura in nove e con Corluka gravemente infortunato… Per la serie piove sul bagnato.
Nel Monday Night grandissima prova d’orgoglio del Newcastle che, nonostante abbia giocato 80 minuti con un uomo in meno, impatta con il Manchester City. Magpies ancora in zona calda, però.
Domenica alle 14.30 italiane sfida da non perdere tra le due capolista Chelsea e Liverpool. Allo Stamford Bridge andrà in onda l’ennesimo capitolo di una delle nuove grandi rivalità del calcio inglese versione terzo millennio.
giovedì 16 ottobre 2008
Craven Cottage, che passione!
Articolo pubblicato oggi da Goal.com (e che riprende in parte quanto già scritto nel mio libro "Made in England". Quasi superfluo aggiungere che ADORO il Craven Cottage...
Craven Cottage. Più che la denominazione di uno stadio sembra quella di una residenza di campagna. In effetti lo storico impianto del Fulham deve il suo nome così particolare proprio ad un... cottage! È infatti la deliziosa, romantica e, se vogliamo, un po’ anacronistica costruzione posta nell’angolo tra la Putney End e la Stevenage Road Stand, ora rinominata Johnny Hayes Stand in onore dell’ex giocatore scomparso nel 2005, a rendere unico uno degli stadi più amati della capitale inglese. In realtà il cottage originale, commissionato dal barone Craven nel 1780, non esiste più, sostituito dal grande architetto scozzese Archibald Leitch con quello attuale. Il progetto originale risale addirittura alla fine del Diciannovesimo secolo (1894), anche se una buona parte dei lavori di completamento fu realizzata intorno al 1905. Ora di quella struttura rimane solo la Stevenage Road/Johnny Hayes Stand, un gioiello ufficialmente inserito nella lista delle opere da preservare. Gli elementi classici dell’opera di Leitch ci sono tutti: la calda accoglienza dell’esterno con la facciata in mattoncini rossi, i seggiolini in legno malinconicamente retrò, i piloni di supporto che sì, danno fastidio ma come ricordano i bei tempi andati, e poi la struttura a grata sovrastata dall’insegna con il nome del club.
Per spiegare il perché di tanta passione e affetto per questo mitico stadio basta ricordare che a pochi metri dall’altra tribuna centrale, la Riverside Stand, c’è il Tamigi e che la zona in cui si trova il Craven Cottage è immersa nel verde del Bishop’s Park ed è una delle più incantevoli dell’intera periferia londinese. Se poi ci si trova nei paraggi un sabato di inizio primavera, si può essere così fortunati da assistere alla partenza della boat race, la tradizionale gara di canottaggio tra gli armi delle università di Cambridge e Oxford. La sfida, infatti, prende il via da Putney Bridge, distante pochi passi dall’impianto del Fulham.
Eppure lo stesso Craven Cottage ha rischiato più volte di sparire, addirittura qualche mese prima della sua inaugurazione. A questo punto della storia entrano in ballo due spregiudicati imprenditori dell’epoca, che rispondono ai nomi di Gus Mears e Henry Norris. Il primo possedeva il terreno, ben collegato con la metropolitana e la linea ferroviaria, dove sarebbe sorto lo Stamford Bridge, però non aveva una squadra (particolare non esattamente trascurabile: il Chelsea non esisteva ancora), mentre il secondo, presidente dei Cottagers e quindi già a pieno diritto nel firmamento calcistico inglese, aveva solo in affitto l’appezzamento dove Leitch stava iniziando a lavorare sul futuro stadio del Fulham. Ad un certo punto l’idea era di spostare lo storico club bianconero qualche chilometro più a nord, nei possedimenti di Mears, al grido di “l’unione fa la forza”. Tuttavia alla fine non se ne fece nulla. Il Fulham rimase dov’era, isolato e con un bacino di tifosi ridotto rispetto agli altri grandi team londinesi. Mears fondò un nuovo club: il Chelsea F.C. Facile dirlo ora, però Norris fu ben poco lungimirante.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, invece, una serie di difficoltà finanziarie porterà il Fulham sull’orlo del baratro, con la concreta possibilità che il terreno su cui sorgeva lo stadio fosse venduto per dar vita ad una fruttuosa speculazione immobiliare. La sopravvivenza del club e la permanenza al Cottage fu garantita solo grazie alla massiccia mobilitazione dei tifosi, capitanati da Jimmy Hill, ex giocatore dei Cottagers e commentatore del calcio inglese nella trasmissione della BBC Match of the Day. Di recente si è di nuovo ipotizzato l’abbandono dell’impianto attuale, questa volta però in circostanze ben diverse. Dopo anni di vacche magre e di scialbe prestazioni nelle divisioni minori, l’avvento del miliardario egiziano Mohammed Al Fayed aveva portato al Fulham una nuova linfa vitale. Nel 2001 la svolta, con il trionfale approdo in Premiership, guidati da francese Jean Tigana. Peccato che all’epoca ben due tribune dello stadio, la Putney End e la Hammersmith End, prevedessero solo posti in piedi, motivo per cui il Craven Cottage non si conformava alle rigide disposizioni del Taylor Report. Allora al club di Al Fayed non rimase che giocare il suo primo anno di Premier al Cottage sfruttando il periodo di grazia di 12 mesi, per poi trovare una soluzione alternativa.
L’idea iniziale era buttare giù il Craven Cottage e costruire da capo un nuovo stadio capace di 30mila posti, chiaramente tutti a sedere. Intanto giocatori e tifosi furono costretti a trasferirsi per due stagioni al Loftus Road, la casa dei rivali cittadini del Queen’s Park Rangers. I costi eccessivi legati alla realizzazione del nuovo impianto e soprattutto la fiera opposizione dei residenti locali, impegnatisi in una serie infinita di ricorsi contro il progetto, alla fine hanno portato ad un risultato insperato: la salvezza del Craven Cottage. Al Fayed si è reso conto che era molto più economico e pratico riempire di seggiolini ed ammodernare la Putney End e la Hammersmith End, fissando la capienza a 22mila posti (che con ulteriori lavori ora in programma potrebbe salire a 26mila). Dall’agosto del 2004 il cottage ospita di nuovo sul suo balcone un gruppetto di tifosi. Chissà per quanto tempo ancora.
Craven Cottage. Più che la denominazione di uno stadio sembra quella di una residenza di campagna. In effetti lo storico impianto del Fulham deve il suo nome così particolare proprio ad un... cottage! È infatti la deliziosa, romantica e, se vogliamo, un po’ anacronistica costruzione posta nell’angolo tra la Putney End e la Stevenage Road Stand, ora rinominata Johnny Hayes Stand in onore dell’ex giocatore scomparso nel 2005, a rendere unico uno degli stadi più amati della capitale inglese. In realtà il cottage originale, commissionato dal barone Craven nel 1780, non esiste più, sostituito dal grande architetto scozzese Archibald Leitch con quello attuale. Il progetto originale risale addirittura alla fine del Diciannovesimo secolo (1894), anche se una buona parte dei lavori di completamento fu realizzata intorno al 1905. Ora di quella struttura rimane solo la Stevenage Road/Johnny Hayes Stand, un gioiello ufficialmente inserito nella lista delle opere da preservare. Gli elementi classici dell’opera di Leitch ci sono tutti: la calda accoglienza dell’esterno con la facciata in mattoncini rossi, i seggiolini in legno malinconicamente retrò, i piloni di supporto che sì, danno fastidio ma come ricordano i bei tempi andati, e poi la struttura a grata sovrastata dall’insegna con il nome del club.
Per spiegare il perché di tanta passione e affetto per questo mitico stadio basta ricordare che a pochi metri dall’altra tribuna centrale, la Riverside Stand, c’è il Tamigi e che la zona in cui si trova il Craven Cottage è immersa nel verde del Bishop’s Park ed è una delle più incantevoli dell’intera periferia londinese. Se poi ci si trova nei paraggi un sabato di inizio primavera, si può essere così fortunati da assistere alla partenza della boat race, la tradizionale gara di canottaggio tra gli armi delle università di Cambridge e Oxford. La sfida, infatti, prende il via da Putney Bridge, distante pochi passi dall’impianto del Fulham.
Eppure lo stesso Craven Cottage ha rischiato più volte di sparire, addirittura qualche mese prima della sua inaugurazione. A questo punto della storia entrano in ballo due spregiudicati imprenditori dell’epoca, che rispondono ai nomi di Gus Mears e Henry Norris. Il primo possedeva il terreno, ben collegato con la metropolitana e la linea ferroviaria, dove sarebbe sorto lo Stamford Bridge, però non aveva una squadra (particolare non esattamente trascurabile: il Chelsea non esisteva ancora), mentre il secondo, presidente dei Cottagers e quindi già a pieno diritto nel firmamento calcistico inglese, aveva solo in affitto l’appezzamento dove Leitch stava iniziando a lavorare sul futuro stadio del Fulham. Ad un certo punto l’idea era di spostare lo storico club bianconero qualche chilometro più a nord, nei possedimenti di Mears, al grido di “l’unione fa la forza”. Tuttavia alla fine non se ne fece nulla. Il Fulham rimase dov’era, isolato e con un bacino di tifosi ridotto rispetto agli altri grandi team londinesi. Mears fondò un nuovo club: il Chelsea F.C. Facile dirlo ora, però Norris fu ben poco lungimirante.
Tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, invece, una serie di difficoltà finanziarie porterà il Fulham sull’orlo del baratro, con la concreta possibilità che il terreno su cui sorgeva lo stadio fosse venduto per dar vita ad una fruttuosa speculazione immobiliare. La sopravvivenza del club e la permanenza al Cottage fu garantita solo grazie alla massiccia mobilitazione dei tifosi, capitanati da Jimmy Hill, ex giocatore dei Cottagers e commentatore del calcio inglese nella trasmissione della BBC Match of the Day. Di recente si è di nuovo ipotizzato l’abbandono dell’impianto attuale, questa volta però in circostanze ben diverse. Dopo anni di vacche magre e di scialbe prestazioni nelle divisioni minori, l’avvento del miliardario egiziano Mohammed Al Fayed aveva portato al Fulham una nuova linfa vitale. Nel 2001 la svolta, con il trionfale approdo in Premiership, guidati da francese Jean Tigana. Peccato che all’epoca ben due tribune dello stadio, la Putney End e la Hammersmith End, prevedessero solo posti in piedi, motivo per cui il Craven Cottage non si conformava alle rigide disposizioni del Taylor Report. Allora al club di Al Fayed non rimase che giocare il suo primo anno di Premier al Cottage sfruttando il periodo di grazia di 12 mesi, per poi trovare una soluzione alternativa.
L’idea iniziale era buttare giù il Craven Cottage e costruire da capo un nuovo stadio capace di 30mila posti, chiaramente tutti a sedere. Intanto giocatori e tifosi furono costretti a trasferirsi per due stagioni al Loftus Road, la casa dei rivali cittadini del Queen’s Park Rangers. I costi eccessivi legati alla realizzazione del nuovo impianto e soprattutto la fiera opposizione dei residenti locali, impegnatisi in una serie infinita di ricorsi contro il progetto, alla fine hanno portato ad un risultato insperato: la salvezza del Craven Cottage. Al Fayed si è reso conto che era molto più economico e pratico riempire di seggiolini ed ammodernare la Putney End e la Hammersmith End, fissando la capienza a 22mila posti (che con ulteriori lavori ora in programma potrebbe salire a 26mila). Dall’agosto del 2004 il cottage ospita di nuovo sul suo balcone un gruppetto di tifosi. Chissà per quanto tempo ancora.
martedì 14 ottobre 2008
Storie di derby
Leggendo il buon libro di Douglas Beattie “The Rivals Game”, incentrato sulle principali rivalità calcistiche del Regno Unito, mi sono imbattuto in un aneddoto veramente notevole. Nel capitolo sul derby del Tyne-Wear (o Wear-Tyne, a secondo del “punto di vista”), Beattie racconta che nel 1922 prima di un attesissimo incontro al St James’ Park 700 tifosi del Sunderland si radunarono nel centro della loro città d’origine. Fin qui nulla di strano, se non fosse che quei supporter dei Mackems erano disoccupati – erano tempi duri, di grave crisi economica – e per risparmiare la trasferta a Newcastle se la fecero niente meno che a piedi. Ovvero 12 miglia all’andata, 12 miglia al ritorno, in una fredda mattinata di fine novembre. E il Sunderland pensò pure bene di perdere per 2-1...
venerdì 10 ottobre 2008
Game 39
Non se ne sentiva proprio la mancanza. Dopo un periodo di silenzio, si ritorna a parlare della 39ima giornata di Premier da giocarsi in giro per il mondo. Già a inizio settimana c’era stata una prima dichiarazione del direttore esecutivo della Premier Richard Scudamore, secondo il quale il progetto è ancora valido e pronto per essere realizzato. Ora ci si mette Mohamed bin Hammam, presidente della Federazione Asiatica, a manifestare il suo interesse per il Game 39. Eppure proprio Hammam era uno dei principali oppositori della Premier in versione globale, con tappe a Hong Kong piuttosto che a Shanghai. “Non ero stato consultato, per questo lo scorso febbraio mi ero pronunciato negativamente sull’idea”, ha detto lo stesso Hammam alla stampa dopo aver incontrato Scudamore ieri pomeriggio a Londra. Sono sicuro che la possibilità di dividere il munifico incasso previsto per la “giornata supplementare” ha rappresentato un argomento forte della riunione intercorsa tra i due…
giovedì 9 ottobre 2008
Titolo cattivello
Dal sito del Guardian: “Notizione per la Clearasil Regno Unito, Cassano in arrivo al Manchester City!”. Chissà come la pensa Mark Hughes.
martedì 7 ottobre 2008
Off topic (o quasi)
In realtà questo pezzo uscito domenica scorsa sul Manifesto parla ben poco di calcio britannico. Anzi, nella versione publicata sul quotidiano non ne parla proprio, ma solo perché per esigenze di spazio è stato tagliato il riferimento al Gretna, che di seguito riaggiungo.
È la matricola terribile della Bundesliga edizione 2008-09. Dopo un breve parentesi in vetta alla classifica, occupata per le prime due giornate grazie alle vittorie con Energie Cottbus e Borussia Monchengladbach, l'Hoffenheim è ormai divenuto costante argomento di discussione per gli addetti ai lavori teutonici, stupiti dalle brillanti prestazioni di questo team di cui fino a poche settimane fa ignoravano addirittura l'esistenza. Nelle ultime due settimane la compagine allenata da Ralf Rangnick (mediocre giocatore e una pessimo precedente in Bundesliga con lo Schalke) ha inanellato un 4-1 con il Borussia Dortmund e un ancor più spettacolare 4-5 con il Werder Brema, avversaria dell'Inter in Champions League. Ieri ha superato l'Eintracht 2-1 e insieme allo Stoccarda ha raggiunto l'Amburgo (che gioca oggi) in cima alla classifica. Toni e i campionissimi del Bayern Monaco hanno pareggiato 3-3 in casa con il Bochum e sono solo undicesimi, Klinsmann rischia addirittura la panchina. L'Hoffenheim invece ride: il suo centravanti, il bosniaco Vedad Ibisevic, è capocannoniere con sette reti in sette match. Il club è espressione dell'omonimo piccolo sobborgo di Sinsheim, misconosciuto paesotto del Baden-Wurttemberg abitato da 35mila anime, che fino a metà anni novanta giocava addirittura in settima serie davanti a poche decine di appassionati e che lo scorso anno si è piazzato secondo - ed è quindi stato promosso - alla prima campagna di sempre nella serie B tedesca. Insomma, così a occhio sembrerebbe la classica storia su cui scrivere un mucchio di articoli e qualche bel libro all'insegna del romanticismo calcistico spinto.Facendosi un giro su siti web e blog di qualsiasi tifoseria tedesca si capisce però che almeno in Germania tra gli appassionati la percezione che si ha della rivelazione Hoffenheim è ben diversa. Tutti lo disprezzano, per non dire che lo odiano. A nessuno è andato giù che un magnate del settore informatico, Dietmar Hopp, abbia investito una fetta cospicua della sua fortuna personale per trasformare l'Hoffenheim da brutto rospetto dei campetti della Regional Liga in principe azzurro invitato al gran ballo delle grandi. Quando si dice i soldi prima della storia e della tradizione. La notizia che sia quasi pronto un nuovo impianto «stato dell'arte» costato 40 milioni di euro e con una capienza di ben 30mila posti - praticamente l'intera popolazione di Sinsheim, neonati compresi - non fa che peggiorare le cose. Per sostenitori di storici club dell'Est come il Carl Zeiss Jena o la Dynamo Dresda, da anni in crisi finanziaria e di risultati l'Hoffenheim è l'epitome del capitalismo cinico e iniquo dell'Ovest. In tempi di petrodollari e petrorubli che ricoprono il calcio europeo, va rimarcato che a differenza degli altri ricconi che spendono e spandono, almeno Hopp è a pieno titolo un sostenitore della prima ora dell'Hoffenheim. Uno dei pochi, continueranno a obiettare fan di altre realtà del fussball, a cui sembra anche molto anomalo che un singolo imprenditore abbia in mano l'intero pacchetto azionario di una squadra di calcio, cosa che in Germania, terra di polisportive, è quantomai inusuale.
Nel panorama calcistico europeo c’è un precedente molto poco rassicurante per i sostenitori dell’Hoffenheim: il Gretna in Scozia. Anche in quel caso nell’arco di pochi anni un club senza alcun pedigree si ritrovò dal limbo del football non professionistico, per giunta nella confinante Inghilterra, al palcoscenico prestigioso della Scottish Premier League (anche in quel caso tra i mugugni delle tifoserie avversarie). Poi il Gretna, che nel frattempo aveva perso solo ai rigori una coppa di Scozia, dall’oggi al domani si ritrovò senza più un quattrino e cancellato dalla mappa del calcio che conta. Il padre-padrone-tifoso Brooks Mileson purtroppo si era gravamente ammalato e aveva ritirato il suo sostegno finanziario. Risultato: quattro milioni di sterline di debiti, stipendi non pagati, amministrazione controllata e l’inevitabile fallimento. Herr Hopp e i suoi amici dell’Hoffenheim possono fare tutti gli scongiuri del caso...
È la matricola terribile della Bundesliga edizione 2008-09. Dopo un breve parentesi in vetta alla classifica, occupata per le prime due giornate grazie alle vittorie con Energie Cottbus e Borussia Monchengladbach, l'Hoffenheim è ormai divenuto costante argomento di discussione per gli addetti ai lavori teutonici, stupiti dalle brillanti prestazioni di questo team di cui fino a poche settimane fa ignoravano addirittura l'esistenza. Nelle ultime due settimane la compagine allenata da Ralf Rangnick (mediocre giocatore e una pessimo precedente in Bundesliga con lo Schalke) ha inanellato un 4-1 con il Borussia Dortmund e un ancor più spettacolare 4-5 con il Werder Brema, avversaria dell'Inter in Champions League. Ieri ha superato l'Eintracht 2-1 e insieme allo Stoccarda ha raggiunto l'Amburgo (che gioca oggi) in cima alla classifica. Toni e i campionissimi del Bayern Monaco hanno pareggiato 3-3 in casa con il Bochum e sono solo undicesimi, Klinsmann rischia addirittura la panchina. L'Hoffenheim invece ride: il suo centravanti, il bosniaco Vedad Ibisevic, è capocannoniere con sette reti in sette match. Il club è espressione dell'omonimo piccolo sobborgo di Sinsheim, misconosciuto paesotto del Baden-Wurttemberg abitato da 35mila anime, che fino a metà anni novanta giocava addirittura in settima serie davanti a poche decine di appassionati e che lo scorso anno si è piazzato secondo - ed è quindi stato promosso - alla prima campagna di sempre nella serie B tedesca. Insomma, così a occhio sembrerebbe la classica storia su cui scrivere un mucchio di articoli e qualche bel libro all'insegna del romanticismo calcistico spinto.Facendosi un giro su siti web e blog di qualsiasi tifoseria tedesca si capisce però che almeno in Germania tra gli appassionati la percezione che si ha della rivelazione Hoffenheim è ben diversa. Tutti lo disprezzano, per non dire che lo odiano. A nessuno è andato giù che un magnate del settore informatico, Dietmar Hopp, abbia investito una fetta cospicua della sua fortuna personale per trasformare l'Hoffenheim da brutto rospetto dei campetti della Regional Liga in principe azzurro invitato al gran ballo delle grandi. Quando si dice i soldi prima della storia e della tradizione. La notizia che sia quasi pronto un nuovo impianto «stato dell'arte» costato 40 milioni di euro e con una capienza di ben 30mila posti - praticamente l'intera popolazione di Sinsheim, neonati compresi - non fa che peggiorare le cose. Per sostenitori di storici club dell'Est come il Carl Zeiss Jena o la Dynamo Dresda, da anni in crisi finanziaria e di risultati l'Hoffenheim è l'epitome del capitalismo cinico e iniquo dell'Ovest. In tempi di petrodollari e petrorubli che ricoprono il calcio europeo, va rimarcato che a differenza degli altri ricconi che spendono e spandono, almeno Hopp è a pieno titolo un sostenitore della prima ora dell'Hoffenheim. Uno dei pochi, continueranno a obiettare fan di altre realtà del fussball, a cui sembra anche molto anomalo che un singolo imprenditore abbia in mano l'intero pacchetto azionario di una squadra di calcio, cosa che in Germania, terra di polisportive, è quantomai inusuale.
Nel panorama calcistico europeo c’è un precedente molto poco rassicurante per i sostenitori dell’Hoffenheim: il Gretna in Scozia. Anche in quel caso nell’arco di pochi anni un club senza alcun pedigree si ritrovò dal limbo del football non professionistico, per giunta nella confinante Inghilterra, al palcoscenico prestigioso della Scottish Premier League (anche in quel caso tra i mugugni delle tifoserie avversarie). Poi il Gretna, che nel frattempo aveva perso solo ai rigori una coppa di Scozia, dall’oggi al domani si ritrovò senza più un quattrino e cancellato dalla mappa del calcio che conta. Il padre-padrone-tifoso Brooks Mileson purtroppo si era gravamente ammalato e aveva ritirato il suo sostegno finanziario. Risultato: quattro milioni di sterline di debiti, stipendi non pagati, amministrazione controllata e l’inevitabile fallimento. Herr Hopp e i suoi amici dell’Hoffenheim possono fare tutti gli scongiuri del caso...
domenica 5 ottobre 2008
Il Liverpool fa sul serio
Il solito punto sulla Premier, in uscita domani sul Goal.com
A Manchester, sponda City, l’euforia per l’arrivo della cascata di petrodollari portati in dote dalla nuova proprietà araba, con cui sono stati finanziati gli acquisti dei vari Robinho e Jo, sembra essersi un po’ attutita. La ragione è presto detta: il City fatica a mantenere una certa costanza di risultati, è già fuori dalla Coppa di Lega e con le grandi perde sempre. Dopo aver capitolato con il Chelsea, infatti, i Blues hanno lasciato l’intera posta in gioco al Liverpool. Eppure il City aveva chiuso la prima frazione di gioco avanti di due reti e mostrando delle buone trame offensive – sebbene Robinho non sia ancora al top. Ma quando puoi contare su un fenomeno come Fernando Torres nessun recupero è vietato... Doppietta del Nino, fallo da codice penale di Zabaleta (giustamente espulso), gol nel recupero di Kuyt ed eccovi servita l’impresa di un Liverpool sempre più convincente e grintoso. Dopo 18 anni di attesa, ad Anfield sperano che la campagna 2008-09 sia finalmente quella buona per il titolo di campioni d’Inghilterra.
Al momento si devono accontentare del secondo posto, sebbene solo per la differenza reti sfavorevole nei confronti del Chelsea, capolista nonostante i tanti infortunati – Drogba e Essien, tanto per citarne due. La prossima avversaria della Roma in Champions League risolve la pratica Aston Villa già nel primo tempo, grazie a Joe Cole e ad Anelka (prima del match candidato a un posto in infermeria piuttosto che a uno da titolare tra gli 11 di Scolari). I Blues dimostrano una superiorità a tratti imbarazzante, costringendo Friedel agli straordinari.
La gara tra Blackburn e Manchester United ricalca molto quella giocata dai campioni d’Europa una settimana fa contro il Bolton. Dominio assoluto dei ragazzi di Sir Alex, che però passano in vantaggio solo grazie a una topica dell’arbitro – con i Trotters rigore generoso su Ronaldo, a Ewood Park fallo di Vidic sul portiere in occasione del gol di Wes Brown – e poi suggellano i tre punti con una meravigliosa realizzazione di Wayne Rooney. Per l’attaccante ex Everton, alla duecentesima partita in Premier, tre gol in otto giorni in altrettante gare.
Primo pareggio in campionato per l’Arsenal, che con Fabregas evita il secondo tracollo consecutivo solo a pochi secondi dal fischio finale. A Sunderland, dove hanno facilmente vinto nelle ultime tre occasioni, i Gunners hanno la meglio nel possesso palla, ma pungono poco e si fanno addirittura impallinare dalla prodezza balistica di Leadbitter a cinque minuti dalla fine. La tattica fin troppo attendista – per non dire catenacciara – dei Black Cats fa infuriare Arsene Wenger, che però forse dovrebbe preoccuparsi prima della scarsa brillantezza di Adebayor, ancora a secco.
Non basta il grande cuore del West Ham per riacciuffare un Bolton che sfrutta al meglio le papere del portiere Green nel primo tempo. Prima sconfitta casalinga per il team di Zola, con un Di Michele ancora in ombra e sostituito dopo 50 minuti da Bellamy.
Delle grandi malate del calcio inglese (Tottenham e Newcastle) gli Spurs sembrano ormai essere incurabili: per loro ennesima sconfitta casalinga, questa volta contro la super-rivelazione Hull. Dopo aver castigato i Gunners, Geovanni affonda anche l’altra compagine di Londra Nord. L’Hull ha già fatto più punti del Derby (squadra di cui doveva seguire le “orme”...) nell’intera scorsa stagione. E per ora si gode un terzo posto che ha dell’incredibile...
Segnali di vita sul fronte Magpies. Buon pareggio al Goodison Park dell’euro-delusa Everton, che non sfrutta il doppio vantaggio iniziale e si fa bloccare sul 2-2. Per i Toffeemen è il primo punto casalingo dopo tre sconfitte consecutive. Il Newcastle dell’irascibile Joe Kinnear – è già un culto la sua conferenza stampa un po’ troppo “sboccata” – muove la classifica ma è ancora in piena zona retrocessione. Rimangono nelle retrovie lo Stoke, battuto da un Portsmouth in ripresa, e il Fulham, superato di misura nello scontro diretto con il West Bromwich. Sabato niente Premier, spazio alla nazionale impegnata a Wembley contro il Kazakistan.
A Manchester, sponda City, l’euforia per l’arrivo della cascata di petrodollari portati in dote dalla nuova proprietà araba, con cui sono stati finanziati gli acquisti dei vari Robinho e Jo, sembra essersi un po’ attutita. La ragione è presto detta: il City fatica a mantenere una certa costanza di risultati, è già fuori dalla Coppa di Lega e con le grandi perde sempre. Dopo aver capitolato con il Chelsea, infatti, i Blues hanno lasciato l’intera posta in gioco al Liverpool. Eppure il City aveva chiuso la prima frazione di gioco avanti di due reti e mostrando delle buone trame offensive – sebbene Robinho non sia ancora al top. Ma quando puoi contare su un fenomeno come Fernando Torres nessun recupero è vietato... Doppietta del Nino, fallo da codice penale di Zabaleta (giustamente espulso), gol nel recupero di Kuyt ed eccovi servita l’impresa di un Liverpool sempre più convincente e grintoso. Dopo 18 anni di attesa, ad Anfield sperano che la campagna 2008-09 sia finalmente quella buona per il titolo di campioni d’Inghilterra.
Al momento si devono accontentare del secondo posto, sebbene solo per la differenza reti sfavorevole nei confronti del Chelsea, capolista nonostante i tanti infortunati – Drogba e Essien, tanto per citarne due. La prossima avversaria della Roma in Champions League risolve la pratica Aston Villa già nel primo tempo, grazie a Joe Cole e ad Anelka (prima del match candidato a un posto in infermeria piuttosto che a uno da titolare tra gli 11 di Scolari). I Blues dimostrano una superiorità a tratti imbarazzante, costringendo Friedel agli straordinari.
La gara tra Blackburn e Manchester United ricalca molto quella giocata dai campioni d’Europa una settimana fa contro il Bolton. Dominio assoluto dei ragazzi di Sir Alex, che però passano in vantaggio solo grazie a una topica dell’arbitro – con i Trotters rigore generoso su Ronaldo, a Ewood Park fallo di Vidic sul portiere in occasione del gol di Wes Brown – e poi suggellano i tre punti con una meravigliosa realizzazione di Wayne Rooney. Per l’attaccante ex Everton, alla duecentesima partita in Premier, tre gol in otto giorni in altrettante gare.
Primo pareggio in campionato per l’Arsenal, che con Fabregas evita il secondo tracollo consecutivo solo a pochi secondi dal fischio finale. A Sunderland, dove hanno facilmente vinto nelle ultime tre occasioni, i Gunners hanno la meglio nel possesso palla, ma pungono poco e si fanno addirittura impallinare dalla prodezza balistica di Leadbitter a cinque minuti dalla fine. La tattica fin troppo attendista – per non dire catenacciara – dei Black Cats fa infuriare Arsene Wenger, che però forse dovrebbe preoccuparsi prima della scarsa brillantezza di Adebayor, ancora a secco.
Non basta il grande cuore del West Ham per riacciuffare un Bolton che sfrutta al meglio le papere del portiere Green nel primo tempo. Prima sconfitta casalinga per il team di Zola, con un Di Michele ancora in ombra e sostituito dopo 50 minuti da Bellamy.
Delle grandi malate del calcio inglese (Tottenham e Newcastle) gli Spurs sembrano ormai essere incurabili: per loro ennesima sconfitta casalinga, questa volta contro la super-rivelazione Hull. Dopo aver castigato i Gunners, Geovanni affonda anche l’altra compagine di Londra Nord. L’Hull ha già fatto più punti del Derby (squadra di cui doveva seguire le “orme”...) nell’intera scorsa stagione. E per ora si gode un terzo posto che ha dell’incredibile...
Segnali di vita sul fronte Magpies. Buon pareggio al Goodison Park dell’euro-delusa Everton, che non sfrutta il doppio vantaggio iniziale e si fa bloccare sul 2-2. Per i Toffeemen è il primo punto casalingo dopo tre sconfitte consecutive. Il Newcastle dell’irascibile Joe Kinnear – è già un culto la sua conferenza stampa un po’ troppo “sboccata” – muove la classifica ma è ancora in piena zona retrocessione. Rimangono nelle retrovie lo Stoke, battuto da un Portsmouth in ripresa, e il Fulham, superato di misura nello scontro diretto con il West Bromwich. Sabato niente Premier, spazio alla nazionale impegnata a Wembley contro il Kazakistan.
venerdì 3 ottobre 2008
Kinnear, parolacce a go-go
Roba da far impallidire Trapattoni e Malesani:
http://www.guardian.co.uk/football/2008/oct/03/newcastleunited.premierleague
A Newcastle piove proprio sul bagnato...
http://www.guardian.co.uk/football/2008/oct/03/newcastleunited.premierleague
A Newcastle piove proprio sul bagnato...
La sicurezza negli stadi inglesi
Premessa: troppo spesso in Italia si mitizza o si parla a sproposito del modello inglese. Partendo dal presupposto che non tutto quello che viene fatto in Inghilterra è esportabile in toto qui da noi, ogni tanto non sarebbe male fare qualche precisazione per capire veramente come funziona questo benedetto modello inglese. Proviamo a dare un’occhiata alla gestione dell’ordine pubblico dentro e fuori gli stadi.
Sfatiamo subito un primo mito, quello che vorrebbe gli stadi affidati solo agli stewards, senza la presenza sugli spalti di un singolo bobby. In realtà non è esattamente così. In poco meno del 60% delle partite che si tengono negli impianti inglesi la polizia c’è. Prima dell’inizio della stagione i rappresentanti delle forze dell’ordine e quelli di ogni singolo club professionistico si mettono a tavolino e pianificano l’entità della presenza di poliziotti allo stadio per ogni match in programma. Per fare ciò si tengono in considerazione quattro coefficienti di pericolosità. Unicamente l’ultima fascia di rischio non prevede agenti all’interno degli impianti, ma solo all’esterno, con la sicurezza delegata in toto agli stewards, che il loro lavoro lo fanno in maniera molto seria ed attenta, sebbene a volte siano tacciati di eccessiva severità. Quando presenti, gli esponenti delle forze dell’ordine intervengono solo su espressa richiesta degli steward o se si verifica qualche atto violento.
La relazione tra club e polizia è costante e prevede incontri mensili per aggiornare la tabella di marcia in base agli eventi contingenti (sorteggio di coppa, condotta deprecabile in trasferta, ecc). Il dettaglio da non sottovalutare, o da non ignorare, è che le spese di onorario per ogni singolo poliziotto presente all’interno di un’arena inglese sono a carico del club. Le amministrazioni locali pagano per gli agenti dispiegati all’esterno, sebbene si stia facendo strada l’idea di far coprire anche questo costo alle società calcistiche, che però così potrebbero essere ritenute responsabili per incidenti avvenuti a qualche chilometro dagli impianti di gioco e soprattutto dover sborsare ancor più quattrini per il servizio di ordine pubblico. Tanto per farsi un’idea, nel 2007-08 il Manchester United ha versato alla Greater Manchster Police qualcosa come 900mila sterline l’anno (poco più di un milione e centomila euro). Se avesse dovuto pagare l’intero conto relativo all’impiego della polizia durante le partite, si sarebbe arrivati a un milione e mezzo di pounds.
Ma a prescindere da questi distinguo, comunque importanti, rimane il fatto che le società inglesi versono alle forze dell’ordine un bel gruzzolo di denaro – club di fascia medio-alta come Portsmouth e Middlesbrough sono intorno alle 400mila sterline a stagione.
Con i tempi che corrono l’idea che un club di serie A, soprattutto fuori dall’elite, oltre agli steward debba pagare anche la polizia di Stato la troviamo ben poco relizzabile. Molto più semplice vietare le trasferte...
Scritto per Goal.com
Sfatiamo subito un primo mito, quello che vorrebbe gli stadi affidati solo agli stewards, senza la presenza sugli spalti di un singolo bobby. In realtà non è esattamente così. In poco meno del 60% delle partite che si tengono negli impianti inglesi la polizia c’è. Prima dell’inizio della stagione i rappresentanti delle forze dell’ordine e quelli di ogni singolo club professionistico si mettono a tavolino e pianificano l’entità della presenza di poliziotti allo stadio per ogni match in programma. Per fare ciò si tengono in considerazione quattro coefficienti di pericolosità. Unicamente l’ultima fascia di rischio non prevede agenti all’interno degli impianti, ma solo all’esterno, con la sicurezza delegata in toto agli stewards, che il loro lavoro lo fanno in maniera molto seria ed attenta, sebbene a volte siano tacciati di eccessiva severità. Quando presenti, gli esponenti delle forze dell’ordine intervengono solo su espressa richiesta degli steward o se si verifica qualche atto violento.
La relazione tra club e polizia è costante e prevede incontri mensili per aggiornare la tabella di marcia in base agli eventi contingenti (sorteggio di coppa, condotta deprecabile in trasferta, ecc). Il dettaglio da non sottovalutare, o da non ignorare, è che le spese di onorario per ogni singolo poliziotto presente all’interno di un’arena inglese sono a carico del club. Le amministrazioni locali pagano per gli agenti dispiegati all’esterno, sebbene si stia facendo strada l’idea di far coprire anche questo costo alle società calcistiche, che però così potrebbero essere ritenute responsabili per incidenti avvenuti a qualche chilometro dagli impianti di gioco e soprattutto dover sborsare ancor più quattrini per il servizio di ordine pubblico. Tanto per farsi un’idea, nel 2007-08 il Manchester United ha versato alla Greater Manchster Police qualcosa come 900mila sterline l’anno (poco più di un milione e centomila euro). Se avesse dovuto pagare l’intero conto relativo all’impiego della polizia durante le partite, si sarebbe arrivati a un milione e mezzo di pounds.
Ma a prescindere da questi distinguo, comunque importanti, rimane il fatto che le società inglesi versono alle forze dell’ordine un bel gruzzolo di denaro – club di fascia medio-alta come Portsmouth e Middlesbrough sono intorno alle 400mila sterline a stagione.
Con i tempi che corrono l’idea che un club di serie A, soprattutto fuori dall’elite, oltre agli steward debba pagare anche la polizia di Stato la troviamo ben poco relizzabile. Molto più semplice vietare le trasferte...
Scritto per Goal.com
mercoledì 1 ottobre 2008
Elton è preoccupato
Da ex presidente, ma soprattutto tifoso della prima ora, la popstar Elton John si è detto negativamente colpito dall’intenzione dell’attuale proprietà di vendere al miglior offerente il Watford. Le accuse mosse al board sono di non aver investito in maniera oculata i parachute money ricevuti dopo la retrocessione dalla Premier e i 12 milioni di sterline incassati per la cessione di Marlon King e Ashley Young – tanto che i profitti netti lo scorso anno ammontavano a otto milioni. Non a caso dopo nove partite disputate, gli Hornets sono solo ventunesimi nel campionato di Championship. Come sono lontani i tempi del buon Luther Blissett e del grande John Barnes…
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