lunedì 7 marzo 2011

Aspettando Tottenham-Milan

Confermarsi ai vertici della Premier, fare più strada possibile in Europa, ma anche “trovare” una casa più grande e confortevole. Non c'è che dire, il Tottenham, giustiziere del Milan nell'andata degli ottavi di Champions League, sta provando in tutti i modi ad affermarsi come una delle potenze assolute del football d'oltre Manica e mondiale. La questione del nuovo stadio è prioritaria, ma non di facile risoluzione. Il glorioso White Hart Lane, che si appresta ad ospitare una delle partite più importanti della storia recente degli Spurs, è ormai tristemente sulle soglie della pensione. L'impianto che dal 1900 ospita le gesta della compagine del nord di Londra è troppo piccolo, visto che può contenere solo 36mila spettatori e fa sempre il tutto esaurito – roba che dalle nostre parti susciterebbe l'invidia di tanti club, compresa qualche grande. E poi si trova in una posizione fin troppo scomoda; la fermata della metropolitana è lontana e la viabilità delle strade adiacenti va in tilt alla fine di ogni partita.

Il pensiero di abbandonare questa storica arena frulla nelle menti dei dirigenti del Tottenham da qualche anno. Le alte sfere societarie avevano anche presentato il progetto di uno stadio molto avveniristico che sarebbe dovuto sorgere nei paraggi di quello attuale (e tutt'ora c'è la possibilità che questo accada), poi hanno provato con un pizzico di furbizia ad accaparrarsi l'Olimpico una volta terminati i giochi del 2012. Un tentativo nato male e finito peggio. Al comitato organizzatore non piaceva l'idea del Tottenham di abbattere quasi tutto lo stadio per costruirne uno nuovo (senza pista), a fronte della promessa di ristrutturare l'attuale stadio nazionale per l'atletica (vetusto e poco capiente). Meglio dare le chiavi dell'impianto al West Ham, che si tiene la pista e non snatura le sue origini – l'Olimpico si trova a Stratford, nell'East End londinese, a un tiro di schioppo dal Boleyn Ground, dove giocano attualmente gli Irons.

A dirla tutta di esempi di “migrazioni” di squadre all'interno della metropoli inglese ce ne sono, sebbene risalgano a parecchi decenni fa. Il Millwall si è spostato dall'Isle of Dogs, nell'East End, a sud, l'Arsenal dalle propagini meridionali a nord, proprio a due passi dalla sede del Tottenham. Era il 1913 e il White Hart Lane era in fase di ristrutturazione e ampliamento per mano del leggendario architetto scozzese Archibal Leitch. Per intenderci, colui che disegnò buona parte degli stadi più importanti del Regno Unito.

I Gunners si resero ancora più antipatici agli occhi dei loro nuovi vicini soffiandogli a tavolino il posto nell'allora First Division una volta finita la Prima Guerra Mondiale. Tutto “merito” dell'allora presidente dell'Arsenal, Henry Norris e, narra la vulgata, della sua comune militanza nella massoneria con il massimo responsabile della lega, John McKenna.

Le numerose vittorie collezionate dalla compagine biancorossa furono ulteriore motivo di attrito per i supporter degli Spurs, che solo molto di recente hanno rivisto la loro squadra tornare a livelli consoni al suo blasone. Tanto che dopo 17 stagioni hanno anche vinto un derby in casa degli odiati nemici.

Al principio degli anni Sessanta, però, i rapporti di forza erano invertiti, eccome. Mentre l'Arsenal rimediava figuracce, Gli Spurs vincevano, e tanto. Merito di un grande tecnico: Bill Nicholson, colui che sta al Tottenham come Alex Ferguson e Matt Busby stanno al Manchester United o Bill Shankly e Bob Paisley stanno al Liverpool. Come Paisley, Nicholson aveva vestito la maglia della squadra che ha poi finito per allenare. Nel 1951, da giocatore, vinse il titolo di campione d'Inghilterra, bissato poi nel 1961 da manager. Tre anni prima la partita d'esordio sulla panchina degli Spurs aveva lasciato presagire i tratti distintivi di quello che sarebbe stato un regno quasi ventennale: vittorie e calcio spettacolo (i londinesi si imposero addirittura 10-4 sull'Everton). Il suo credo stravolgeva un po' i canoni del calcio inglese di quel periodo: niente palla lunga e pedalare, ma palla a terra e una fitta rete di passaggi per ubriacare gli avversari. Non a caso quello del 1961 viene ricordato come uno dei team più forti e pregevoli dal punto di vista estetico della storia del beautiful game. Grazie alla tecnica sopraffina di Danny Blanchflower, il fiuto del gol di Bobby Smith e le ruvide ma efficaci maniere del difensore Dave Mackay, al White Hart Lane arrivò anche la Coppa d'Inghilterra – il Tottenham fu il primo club del Ventesimo Secolo a centrare il double. La FA Cup divenne una sorta di piacevole consuetudine (fu vinta tre volte in sette anni), ma anche in campo continentale i bianchi si fecero valere. Furono il primo club inglese ad aggiudicarsi un trofeo continentale (la Coppa delle Coppe edizione 1962-63), dopo essere stati eliminati solo dal grande Benfica di Eusebio nella Coppa dei Campioni della stagione precedente. Prima di dimettersi nel 1974, disgustato dalla brutta piega che stava prendendo il football, tra hooligan e interessi economici in crescita esponenziale, Nicholson fece in tempo a portare a casa un paio di Coppe di Lega e soprattutto la Coppa Uefa del 1972, nella finale tutta inglese con il Wolverhampton.

Anche in quell'epoca d'oro non mancarono le delusioni e i momenti tristi. A fronte dell'imponente potenziale tecnico (a metà 1961 fu messo sotto contratto anche l'ex milanista Jimmy Greaves), il Tottenham non seppe ripetersi in campionato, condizione indispensabile per giocare la Coppa dalle grandi orecchie. Nel 1964 il talentuoso centrocampista scozzese John White, soprannominato il “fantasma di White Hart Lane” per la sua capacità di comparire dal nulla in area di rigore, morì a soli 27 anni per colpa di un maledetto fulmine che lo colpì sui campi di golf di Enfield, a due passi dallo stadio dove era diventato un beniamino dei tifosi.

Finita l'era Nicholson, agli Spurs è rimasto il peso dei ricordi, con cui è stato difficilissimo convivere. Nonostante i tanti campioni messi sotto contratto dalla società, i fallimenti si sono sprecati, mentre “gli altri” collezionavano trofei sotto la guida di George Graham prima e Arsene Wenger poi.

Adesso sembra finalmente giunto il momento della redenzione, della rivincita. Battere il Milan ed entrare così nelle otto formazioni più forti d'Europa rappresenterebbe l'omaggio migliore alla memoria di Nicholson, che non c'è più dal 2004, e di quella mitica squadra del 1961, di cui proprio in questi mesi si celebra il cinquantennale.

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