martedì 3 luglio 2012

London Calling su Paese Sera

A seguire il testo dell'intervista fatta a Max Troiani e me da Roberto D'Amico alla presentazione del libro tenutasi la scorsa settimana da The Dressers a Roma.

A tu per tu con Max Troiani e Luca Manes, autori del libro "London Calling. La storia dell'Arsenal e di un secolo e mezzo di football all'ombra del Big Ben". Li abbiamo incontrati nel corso della presentazione del loro volume nei locali di Dressers e ci hanno raccontato episodi, aneddoti e storie che hanno reso celebri i Gunners in tutto il Mondo ed hanno spinto i due autori a scriverci un libro. Manes e Troiani si dicono inoltre convinti sull'impossibilità di paragonare il loro calcio con il nostro: "Le squadre in Inghilterra fanno il possibile per mettere il risalto la propria storia, i propri successi, i propri giocatori, tutto per allargare la grande famiglia di tifosi che hanno intorno. Qui da noi il percorso è inverso: si fa di tutto per allontanare i tifosi dallo stadio e dal calcio"

In questi giorni di calcio internazionale, che hanno tenuto migliaia di italiani incollati davanti la televisione ad osservare le prodezze della nazionale azzurra, non c’erano solo gli Europei di calcio ad attirare l’attenzione dei veri intenditori di Football, quelli autentici.

I due autori: Luca Manes e Max Troiani A poco più di sei mesi di distanza dall’anteprima assoluta nella Capitale, avvenuta lo scorso dicembre nella suggestiva e simbolica sede della Fondazione Gabriele Sandri, Max Troiani e Luca Manes hanno incontrato nuovamente i loro lettori per presentare la loro ultima fatica: “London Calling - La storia dell'Arsenal e di un secolo e mezzo di football all'ombra del Big Ben”.

Abbiamo incontrato i due autori proprio nei locali di Dressers in via Alba 46, dove pochi minuti prima della semifinale Italia-Germania, è avvenuta la presentazione. Ecco le impressioni, i commenti le idee di Max e Luca non solo sull’Arsenal ma sul calcio inglese a 360°: dal tifo agli stadi, dalle repressioni al modello italiano.

Come è nata l’idea di scrivere questo libro e perché?

Max: Io era da tempo che avevo in mente di mettermi a lavorare su questo progetto. Era il mio sogno scrivere la storia dell’Arsenal, approfondendo aspetti, caratteristiche e raccontando aneddoti che ne hanno caratterizzato l’evolversi. Ho avuto la fortuna grazie a Luca di scriverlo.

Luca: L’Arsenal è stata forse la scusa per scrivere il libro. L’idea è nata per parlare un po’ di Londra, di come è inteso e nato li calcio. Sono sicuramente aspetti più complessi di quanto si immagina comunemente: il calcio in Inghilterra si sviluppa infatti soprattutto nel nord del paese, nei centri industriali. Si assiste quindi ad una grande attività amatoriale, tant’è che molte squadre hanno faticato molto ad arrivare ad ottenere gli stessi successi dell’Arsenal. Nel nostro libro raccontiamo storie, incroci inverosimili, fatti mai pensabili per il nostro modo di concepire il calcio e di vedere quello inglese: ad esempio di come il Presidente del Fuhlam sia poi diventato il presidente dell’Arsenal e di come abbia trasferito la squadra dal sud al nord della città. Un po’ come è successo pochi anni fa con Wimbledon che è stata spostata altrove, oppure al Millwall che si trovava in una zona difficile dell’est londinese e si è dovuto trasferire a sud, oppure dei vari tentativi di fusione tra Fulham e QPR o QPR e Brentford. Insomma raccontare il calcio inglese anche attraverso storie non propriamente romantiche che danno però l’idea di come, almeno secondo il mio punto di vista, il calcio di una volta sia migliore del corporate football attuale.

Luca, hai scritto praticamente tutti i tuoi libri sul calcio anglosassone, avvalendoti in due casi dell’aiuto di Max. E’ una tua passione particolare oppure stai percorrendo una strada poco battuta da altri autori?

Questa è una passione che coltivo da quando ho 8-9 anni. Un po’ con il Subbuteo, un po’ con le poche immagini che arrivavano dall’Inghilterra mi sono avvicinato a questo mondo. Non a caso fin da quando sono ragazzino tifo per il Manchester United, sebbene poi tifi anche una squadra italiana. Il discorso è che mi è sempre piaciuto raccontare storie che mi hanno appassionato e conosco bene. Ad esempio, raccontando la “Leggenda dei Busby Babes” ho parlato dell’inizio del mio amore per lo United. Una squadra che all’epoca non vinceva tanto quanto oggi, anzi era schiacciata dalla rivalità con il Liverpool.

Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato nello scrivere questo o, se preferite, quant’è facile parlare di calcio inglese in Italia?

Luca: In realtà il problema è costituito dal canale della distribuzione. Il tema è chiaramente per amatori, per un pubblico di nicchia. Non è quindi facile diffondere in maniera appropriata un prodotto di questo tipo. Dal punto di vista pratico invece, nella raccolta di materiale e fonti, non abbiamo avuto particolari difficoltà: in Inghilterra, tra internet, libri, archivi e contatti diretti, è molto semplice ricostruire con precisione una storia. Personalmente credo che sia però fondamentale andare sul luogo, intervistare persone, parlarne in giro. Si riesce a dare sicuramente più incisività al racconto.

Calcio inglese e calcio italiano: quali sono le differenze principali?

Max: Io non seguo più il calcio italiano quindi sono forse di parte. Le differenze sono comunque abissali e vanno dalle strutture, dagli stadi, fino ad arrivare all’organizzazione e ai club. Le squadre in Inghilterra fanno il possibile per mettere il risalto la propria storia, i propri successi, i propri giocatori, tutto per allargare la grande famiglia di tifosi che hanno intorno. Qui da noi il percorso è inverso: si fa di tutto per allontanare i tifosi dallo stadio e dal calcio. Ricordo l’episodio che mi ha fatto definitivamente ripudiare il calcio italiano: era il ritorno di Agostino Di Bartolomei a Roma con la maglia del Milan. La Curva Sud lo fischiò per tutta la partita coprendolo di insulti. Era ancora il mio capitano, fu un atteggiamento che mi fece veramente male.

Parliamo a questo punto di stadi: le restrizioni effettuate sul tifo in Inghilterra potrebbero essere accettate nel calcio italiano? Potrebbero essere un passo in avanti o uno indietro?

Luca: Francamente in Inghilterra hanno esagerato. Una parte dell’atmosfera che c’era prima l’hanno praticamente uccisa. Una zona dello stadio dedicata ai tifosi più “appassionati” è per me fondamentale. Eliminarla è stato il peggiore degli sbagli. Inoltre la repressione che hanno messo in atto è stata troppo spesso eccessiva nelle misure: questo ha fatto si che in molte partite, soprattutto se non di cartello, l’atmosfera del vero tifo manchi del tutto. Negli ultimi tempi ho notato però che le tifoserie stanno riconsiderando la situazione rispetto al recente passato. Sempre più “curve” tornano ad ospitare tifosi che assistono alla partita in piedi. Questo dimostra che gli inglesi hanno capito che bisogna tornare, in forma sana, a quelle che erano le vecchie “terrace”, cariche di atmosfera, coinvolgimento, calore. Chiaro che nel mondo del Corporate Football, che vede il tifoso come “cliente”, viene a mancare l’essenza stessa del supporter. Per risolvere il problema Hooligans hanno sicuramente esagerato, adesso vedremo cosa accadrà, magari si troverà una situazione di compromesso.

Progetti per il futuro?

Max: da parte mia no. Al momento mi voglio occupare della promozione di questo libro. Poi vediamo cosa succederà in futuro.

Luca: Io ho una mezza idea che mi passa per la mente e che ovviamente riguarda il calcio inglese. Mi piacerebbe raccontare il derby londinese tra Millwall e West Ham. Vediamo per il futuro, anche in questo caso si può raccontare di una Londra meno conosciuta, meno patinata, più vera.

di Roberto D'Amico

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