È una sorta di Dan Peterson del calcio inglese. Dopo oltre dieci anni di lontananza dalla panchina, Kenny Dalglish non ha potuto dire no al richiamo del cuore. Messo da parte il comodo e poco stressante ruolo di “ambasciatore” dei Reds, lo scozzese ha sostituito Roy Hodgson – mai troppo amato dai frequentatori della Kop – alla guida di un Liverpool malandato come non accadeva da decenni.
Sono mesi che si parla di questo clamoroso ritorno, anche l'estate scorsa erano circolate voci in merito a Dalglish come possibile erede di Rafa Benitez. Ora c'è chi, come il capitano Steven Gerrad, non lo vorrebbe come semplice traghettatore, ma allenatore a lungo termine. Staremo a vedere, anche in base ai risultati raccolti e alla volontà della nuova proprietà americana.
Le prime uscite sotto la nuova conduzione tecnica sono state tutt'altro che esaltanti, ma i tifosi del Liverpool sono disposti a pazientare. Per loro Dalglish è uno dei grandissimi idoli del passato, garanzia di successo sia come giocatore che come manager.
Il buon Kenny approdò sulla Merseyside nell'ormai lontano 1977, come sostituto di un'altra icona dei rossi: King Kevin Keegan. Fu amore a prima vista, che valse anche a lui il soprannome di King, Re. Meno rapido ma forse addirittura più talentuoso di KKK, nella sua permanenza ad Anfield Road Dalglish ha vinto otto campionati, tre Coppe dei Campioni e due FA Cup. In campo sapeva segnare gol con la stessa facilità con cui sfornava assist al bacio. Proverbiale la sua partnership con un altro grande dell'epoca, Ian Rush. A lui – in qualità di player-manager – sono legati i dolci ma ormai datati ricordi dell'ultimo titolo di campione d'Inghilterra dei Reds (1990) ma anche immagini sicuramente meno piacevoli per i kopites. Come dimenticare la sua espressione sbigottita dopo il gol di Michael Thomas nei minuti di recupero del leggendario Liverpool-Arsenal del 26 maggio 1989, poi immortalato da Nick Hornby nel suo Fever Pitch.
I Gunners scipparono il campionato a un Liverpool scosso dalla recente tragedia dell'Hillsborough (96 tifosi morti in una calca infernale). Un episodio che colpì profondamente Dalglish, che già aveva vissuto l'incubo dell'Heysel. Sempre nel 1989 si disputò uno dei derby più importanti e commoventi della storia. Il Liverpool si impose 3 a 2 sull'Everton, con tutti i tifosi uniti nel ricordo dei recenti fatti dell'Hillsborough e uno dei più struggenti You'll Never Walk Alone mai cantato in uno stadio inglese.
La note del celebre inno della Kop, è risaputo, sono di casa anche al Celtic Park, dove Dalglish negli anni Settanta è diventato una stella di prima grandezza del firmamento calcistico mondiale. E sì, perché lui, originario della metà protestante – e quindi tifosa dei Rangers – di Glasgow, ha fatto fortuna indossando una maglia a cerchi bianco verdi. Dopo una consistente scorpacciata di coppe e campionati, il suo addio provocò grande malumore nella tifoseria degli Hoops, tanto che fu a lungo considerato come un traditore. La sua relazione con i Celtic non migliorò certo dopo il breve interludio manageriale nel 2000, terminato male e con una causa legale poi vinta da Dalglish, che, già reduce dall’altalenante esperienza al Newcastle, decise di averne abbastanza dello scomodo ruolo d’allenatore e di dedicarsi ad attività meno stressanti.
Queste ultime esperienze negative convinsero un po’ di addetti ai lavori che lo scozzese era in grado di cavarsela solo alla guida di squadre fortissime – nel 1994-95 aveva vinto un campionato con il grande Blackburn ispirato da Alan Shearer – ma che alle prime difficoltà mostrava dei limiti considerevoli. Critiche forse ingenerose, che proverà a smentire risollevando le sorti dei mediocri Reds attuali. King Kenny è tornato, viva King Kenny.
Nessun commento:
Posta un commento