Con un colpevole ritardo di due giorni vorrei commemorare anche io il triste anniversario della tragedia di Bradford. Quanto segue è tratto dal mio libro Made in England, pubblicato dalla Bradipo Libri nel 2008.
Bradford è una cittadina del West Yorkshire che, grazie a un fiorente settore tessile, ha avuto il suo momento di massimo fulgore durante il periodo della rivoluzione industriale. Come in buona parte del Nord dell’Inghilterra, anche a Bradford gli anni Ottanta del secolo scorso portarono una forte crisi economica, acuita da un difficile processo di integrazione dei numerosi immigrati di origine asiatica. L’ormai lontano sabato 11 maggio 1985, però, per la città doveva essere una giornata di festa, un piacevole diversivo per dimenticare i tanti problemi che affliggevano (e che tormentano tuttora) quello spicchio d’Inghilterra. La squadra locale, infatti, tornava in Second Division per la prima volta dall’inizio del secondo dopo guerra. L’ultima partita della stagione contava ben poco, se non per celebrare davanti a oltre 11.000 spettatori – l’intera capienza dell’impianto – le gesta di un team già matematicamente sicuro del primo posto nella classifica finale dell’allora Third Division.
Invece quel giorno Bradford visse uno dei momenti più tristi e drammatici della sua storia. Mentre il match contro il Lincoln City si trascinava stancamente verso la fine del primo tempo, la vetusta tribuna centrale dello stadio Valley Parade prese improvvisamente fuoco. Negli annali del calcio inglese rimarrà per sempre la terribile immagine del tetto della Main Stand avvolto dalle fiamme e degli increduli 22 giocatori fermi in mezzo al campo, ad assistere a uno spettacolo da far gelare il sangue. Il bilancio finale della tragedia fu pesantissimo: 56 morti e oltre 250 feriti. E se non fosse stato per l’eroismo di alcuni poliziotti e di una manciata di spettatori sarebbe andata ancora peggio. Tra coloro che affrontarono il pericolo per salvare delle vite umane ci fu anche John Hawley, attaccante del Bradford City che mai si sarebbe sognato di passare alla storia per qualcosa di molto diverso da un gol o da un assist vincente. Il padre di Stuart Mc Call, uno degli alfieri della promozione e poi giocatore di spicco di Everton e Rangers, rimase ustionato in maniera grave.
Ma come era stato possibile il verificarsi di un incidente del genere? La risposta apparve molto semplice sin dalle prime fasi dell’indagine: lo stadio era in buona parte costruito in legno e amianto, ovvero i materiali utilizzati per la sua realizzazione ben 77 anni prima. In base ai risultati della commissione d’inchiesta guidata dal giudice Oliver Popplewell si accertò che a scatenare l’inferno fu il fatale contatto tra i rifiuti ammucchiatisi da anni sotto la tribuna e una sigaretta non spenta bene da uno degli spettatori presenti nel blocco G della Main Stand. Bastò quindi una scintilla perché in pochi minuti dei materiali altamente infiammabili dessero vita a un rogo micidiale. Così tragico che necessitò di diverse ore per essere estinto del tutto. A peggiorare la situazione già disperata ci si mise anche la mancata apertura delle porte di accesso, rimaste chiuse per buona parte dell’incendio. Nella sostanza dei fatti a uccidere decine di tifosi fu l’inadeguatezza di un impianto costruito addirittura a inizio del secolo scorso.
Ironia della sorte, era previsto che la Main Stand dovesse essere sostituita con una struttura più moderna, in ferro e acciaio, già progettata in vista del salto nella divisione superiore. Quando le fiamme furono domate, tra i resti della tribuna divorata dal fuoco si poterono intravedere le prime travi di ferro già portate al Valley Parade per sostituire la vecchia copertura in legno. Dopo lo straziante pomeriggio di Bradford arrivarono i primi provvedimenti, a partire dalla revisione in senso restrittivo della legislazione sulle misure di sicurezza legate agli eventi sportivi. Secondo la commissione d’inchiesta era assolutamente prioritario che le uscite di sicurezza fossero numerose e facilmente accessibili.
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