La prima e l'ultima squadra a vincere il campionato inglese. Ovvero il Preston North End e il Manchester United. Sul campo la distanza attuale tra le due compagini del Lancashire non è paragonabile alla iato temporale, ma poco ci manca. Il Preston se la cava discretamente nella insidiosissima Championship, lo United, beh, forse è superfluo parlare dei suoi successi, tanto sono universalmente conosciuti.
Se il team che fu di George Best e Bobby Charlton è ormai uno dei simboli del cosiddetto corporate football, il PNE è uno dei club del panorama inglese che più ha provato a rimanere fedele alla tradizione. Sarà perché ospita il meraviglioso museo del football inglese, sarà perché nel totale rifacimento del suo impianto, il Deepdale, ha cercato di non snaturare lo schema architettonico dei bei tempi andati, ad ogni modo l'impressione che abbiamo avuto passando un pomeriggio e una sera a casa del Preston ci ha confermato la buona pubblicità di cui gode il club.
Abbiamo accennato al museo, un vero gioiello che tutti i tifosi di calcio dovrebbero visitare. Oltre a una preziosa ricostruzione della storia del football e del contesto sociale in cui si andava man mano a innestare, si trovano delle vere chicche. Abbiamo potuto ammirare il pallone della finale dei mondiali del 1966 e quelli utilizzati nel 1930 in Uruguay per la prima Coppa del mondo. E ancora, le magliette indossate da un giocatore inglese nella prima partita ufficiale con la Scozia (1872) e da Sir Stanley Matthews durante la sua apparizione nella celebre finale di coppa del 1953 (che il suo Blackpool vinse per 4 a 3 ai danni del Bolton). A proposito di divise di gioco, c'è anche quella del Maradona versione “mano de dios”. Non stupisce che quando i tifosi inglesi gli passano accanto si lascino sfuggire qualche commento non proprio amichevole...
La terza versione della FA Cup, datata 1896, fa poi bella mostra in una delle teche del museo, insieme a centinaia di altri preziosi memorabilia. Lo stadio del Preston, invece, ha una gradevole particolarità: in tre delle quattro tribune con il colore dei seggiolini è stata riprodotta l'immagine di tre grandi giocatori della storia del club: Tom Finney, Alan Kelly e Bill Shankly (“quel” Bill Shankly che negli anni Sessanta ha portato il Liverpool dall'anonimato della Seconda Divisione alla vetta della Prima Divisione).
Il match a cui assistiamo, tra la compagine di casa e lo Sheffield Wednesday, serve a ribadire alcune nostre convinzioni: il livello delle squadre di Championship è alto ma vista la presenza di un elevato numero di giocatori britannici il tipo di gioco ha mantenuto l'impronta “all'inglese” e che ormai negli stadi d'oltre Manica è quasi la norma che siano i supporter in trasferta a essere più attivi di quelli di casa. Questo perché tifando “in blocco” (e rimanendo quasi tutti in piedi) sono meno controllabili da parte degli steward.
Per la cronaca, proprio quando i sostenitori del Wednesday stavano già festeggiando una meritata vittoria esterna, il Preston ha trovato il gol del pareggio, che però non gli permette di rimanere in zona play offs.
La seconda parte della nostra gita nel Lancashire si svolge presso ben altro palcoscenico. Ci attende il maestoso Old Trafford di Manchester per il ritorno degli ottavi di Champions League tra Inter e United. Se i tifosi della beneamata sono saliti fin quassù da tutta Italia, almeno a giudicare dai dialetti che abbiamo sentito, quelli del Manchester United arrivano da tutto il mondo, sempre tenendo in considerazione le lingue parlate dai fan in maglietta e cappellino presenti all'Old Trafford. Per farsi un'idea di quale potenza commerciale siano ormai divenuti i Red Devils basta farsi un giro al club shop, o forse dovremmo dire megastore. Le casse aperte sono una ventina, la fila dei clienti, pardon, tifosi, molto lunga. Tra loro anche molti interisti, ben determinati a portare a casa un souvenir della trasferta a Manchester. Fortunatamente anche sul piano dell'ordine pubblico le cose filano lisce. Rispetto al passato (vedi il famoso match con la Roma del 2007), gli inglesi sembrano aver imparato la lezione e aprono prima l'accesso al settore dedicato ai supporter nerazzurri, che intanto nell'attesa di entrare nel teatro dei sogni avevano intonato cori di incoraggiamento alla squadra e di sberleffo nei confronti della Juventus (c'era pure chi mostrava con orgoglio uno striscione con la scritta “Grazie Chelsea”.
Una volta iniziata la partita l'umore delle truppe neroazzure muta in maniera repentina. I 4mila interisti vengono sovrastati dai 70mila fan di casa. Le fiammate di Ibrahimovic e compagni ogni tanto resuscitano il contingente di tifosi italiani, che però cadono nella più profonda depressione quando Ronaldo trafigge Julio Cesar a inizio ripresa. “You're non special anymore”, cantano rivolti a Mourinho nella Stretford End. Non sei più speciale, caro Josè. Gli “speciali” ormai sono altri e portano il diavoletto sul petto.
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