Premier contraria, Championship possibilista. Così si potrebbero sintetizzare le posizioni dei massimi dirigenti dei due principali campionati inglesi sul tetto salariale, o salary cap, per dirla come i sudditi di Elisabetta Seconda (o i concittadini di Barack Obama, che in materia sono alquanto esperti). In tempi di crisi come i nostri è del tutto fisiologico che se ne torni a parlare, soprattutto in considerazione dei bilanci deficitari dei club di Premier League e delle crociate di Michel Platini per un calcio libero dai debiti. Se Alex Scudamore, il deus ex machina della Premier, ha preso le distanze con nettezza, prefigurando eventuali impatti negativi per la competitività dei team inglesi, Adam Pearson, presidente del Derby County, è sicuro che l’unica soluzione è quella del tetto salariale. In molti, tra i chairmen della Championship, iniziano a pensare che senza dei limiti alle spese e con il credit crunch che avanza inesorabile ci sia il rischio concreto che numerose società debbano far fronte all’amministrazione controllata e chissà a quant’altro. Due settimane fa, per esempio, Sheffield United e Coventry City hanno annunciato perdite nell’ordine dei quattro milioni di euro. Val la pena ricordare che la Serie B inglese non può contare sui contratti televisivi miliardari della Premier né, salvo rare eccezioni come il QPR, sui capitali di ricchi imprenditori stranieri. Per la verità ha degli introiti derivanti da botteghini e merchandising che le compagini della nostra serie cadetta si sognano, ma ciò nonostante i problemi non mancano.
Al di là delle possibili illazioni, di mettere una stretta sugli emolumenti percepiti dai calciatori se ne parlerà seriamente alla prossima riunione della Football League (che comprende tutti i club professionistici, Premier esclusa), in programma il prossimo 18 dicembre.
Nessun commento:
Posta un commento