Ultimo articolo dell'anno scritto per Goal.com. Tanti auguri di un felice 2009!
Mentre nel resto di Europa anche i calciatori santificano le feste godendosi un periodo di meritato riposo (beh, si dice così, no? ma noi non siamo tanto d’accordo), in Inghilterra la tradizione e il rispetto dei tifosi impongono una bella abbuffata di calcio. Anzi, quest’anno non ci sono i soliti quattro turni in dieci giorni, ma il classico Boxing Day, una giornata il 28 e poi nel primo week end dell’anno il terzo turno della mitica Coppa d’Inghilterra. Di cose, come al solito, ne sono successe tante, anche fuori dal campo. Ogni riferimento a Steven Gerrard è assolutamente voluto.
La capolista Liverpool prima scherza in casa contro il malcapitato Bolton, che affonda sotto i colpi di un Robbie Keane molto ispirato, poi dilaga a Newcastle. Record del mondo di palle gol non trasformate nei primi minuti della sfida del St James Park, tutte a favore degli uomini dell’ancora convalescente Benitez, ma alla fine ci pensa il solito meraviglioso Gerrard a sbloccare il risultato e a dare inizio alla goleada del team di Anfield Road. I Magpies, decimati dagli infortuni, crollano miseramente e se non fosse per l’ottimo Given (migliore in campo per i bianconeri) il passivo potrebbe prendere delle dimensioni inopinate.
Anche il Chelsea incamera tre punti facili in occasione del turno di Santo Stefano. Troppo debole il West Bromwich Albion, che alza subito bandiera bianca al cospetto di Drogba, schierato finalmente titolare e in gol dopo soli tre minuti di gioco. La sfida del Craven Cottage – a proposito, che bello il cottage addobbato con le decorazioni natalizie! – sulla carta si presentava molto più insidiosa e in effetti ai Blues i due punti persi in extremis potrebbero costare molto cari. Eppure il Chelsea era stato bravo a ribaltare il risultato, scardinando la muraglia messa i piedi da Hodgson. In una delle rare sortite offensive, i Cottagers però riuscivano a trovare il pareggio con l’americano Dempsey, eroe di giornata con la sua doppietta. Il Fulham porta così a nove i risultati utili consecutivi, mentre per il Chelsea dopo le otto vittorie iniziali quello del derby è il secondo pareggio esterno di fila e i punti di distacco dal Liverpool diventano tre.
Vince di misura sia a Stoke che in casa con il Middlesbrough il Manchester United, reduce dalla trionfale trasferta giapponese. I Red Devils rischiano poco in difesa, nonostante l’assenza di Ferdinand, degnamente sostituito dal giovane Evans, creano tantissimo in attacco, dove però manca il miglior Ronaldo, Park sbaglia troppo e Rooney trova sulla sua strada estremi difensori in grande forma. Ma se proprio in quel reparto di campioni ne hai a iosa – leggi Tevez & Berbatov – ti può capitare di vincere lo stesso partite che si sono maledettamente complicate. Raccogliendo sei punti dai recuperi interni contro Fulham e Wigan, lo United si porterebbe a una sola incollatura dal Liverpool.
Non brilla l’Arsenal, orfano di Walcott e Fabregas (e ti pare poco!). Il 28, in casa contro il malridotto Portsmouth, fatica non poco a trovare i tre punti, mentre a Santo Stefano si fa rimontare nei secondi finali dall’Aston Villa, dopo essere stato in vantaggio di due marcature. Tuttavia i Villans hanno dato una bella lezione di gioco ai ragazzi di Wenger, colpendo ben tre pali nella prima frazione di gioco. Contando le chance di realizzazione non è una bestemmia affermare che il club di Birmingham avrebbe meritato la vittoria. Vittoria che invece è giunta a Hull, sempre in extremis e questa volta con più di un pizzico di fortuna, dal momento che Zayatè ha pensato bene di spedire il pallone nella propria porta sparigliando un match mediocre e privo di spunti di rilievo.
Nel resto della Premier, vola l’Everton dei tanti attaccanti in infermeria. I Toffees raccolgono sei punti d’oro e si issano al sesto posto a sole tre lunghezze dall’Arsenal. Anche il Wigan fa fuoco e fiamme e si attesta a ridosso della compagine del Goodison Park grazie ai successi su Newcastle e Bolton. Risorge il West Ham, prima corsaro al Fratton Park di Portsmouth – grande Bellamy in quell’occasione – e poi anche fortunato – era ora! – contro lo Stoke. A proposito dei Potters, precipitati al terzultimo posto in classifica, forse qualcuno avrà visto le immagini del “diverbio” tra Griffin e Fuller, costato l’espulsione al giamaicano. Bah... Fatica ancora il Tottenham, a secco di gol sia con il Fulham che a West Bromwich, dove lascia l’intera posta in gioco ai padroni di casa. Chiusura su quelli che in tanti vorrebbero i re del mercato di gennaio: i Citizens. Alla passeggiata interna con l’Hull fa da contraltare la pessima prestazione a Blackburn, in uno scontro diretto per non retrocedere. Buon per Hughes che Sturridge e Robinho rimedino nel finale un punto di valore incalcolabile.
mercoledì 31 dicembre 2008
lunedì 29 dicembre 2008
Che beffa, povero Droylsden!
Un rinvio per nebbia, una gara interrotta per un guasto al sistema di illuminazione, una partita finita 2-2. Così si poteva riassumere la sfida infinita tra Droylsden (Blue Square North, sesta serie del calcio inglese) e Chesterfield (quarta divisione, ovvero League Two), prima dell’incontro decisivo, vinto per 2-1 dal non-league team. Mettiamoci che nella gara interrotta il Chesterfield vinceva 2-0, nel pareggio proprio gli Spireites avevano lasciato segnare gli avversari per fare ammenda per un gol realizzato dopo una rimessa laterale “non restituita” e, last but not least, che la Football Association ha sbattuto fuori il Droylsden per aver schierato un giocatore soggetto a squalifica, tale Sam Newton, difensore autore di entrambi i gol del 2-1 che aveva regalato ai Bloods un terzo turno da sogno in casa dell’Ipswich Town. Ora la compagine della periferia di Manchester farà ricorso, sebbene le speranze di vittoria siano ridotte al lumicino.
domenica 28 dicembre 2008
Quelli che l'Old Firm
Oggi a Glasgow va in scena il 381esimo episodio della storia infinita tra le due grandi rivali del calcio scozzese: Celtic e Rangers. All'ora di pranzo, per esigenze televisive e di ordine pubblico, gli Hoops proveranno a uscire indenni dalle mura nemiche dall'Ibrox Park, mentre i Light Blues cercheranno di bissare il successo dell'andata e avvicinarsi così in classifica alla formazione guidata dal rosso fumantino Gordon Strachan. Nel mondo del calcio il dibattito su quale sia il derby più sentito, più acceso, potrà andare avanti all'infinito, però è incontestabile che l'Old Firm, come è ribattezzata la stracittadina di Glasgow, racchiuda in sé degli elementi che trascendono la sfida sportiva. Cattolici contro protestanti, Irlanda contro Regno Unito, repubblicani contro monarchici: Celtic contro Rangers è anche questo.
Ripercorrendo a ritroso la storia delle due squadre che dalla loro nascita hanno cannibalizzato il football scozzese collezionando un totale di 93 campionati sui 111 disponibili, in realtà si scopre che per qualche decennio l'odio settario che ha poi intossicato i loro confronti diretti era rimasto quasi del tutto ai margini. Nel 1873 un manipolo di canottieri, i fratelli Moses e Peter McNeil, Peter Campbell e William McBeath, tutti di religione protestante, fondò il club i cui colori, blu-bianco e rosso, si ispiravano dichiaratamente alla Union Jack, mentre il nome fu preso in prestito da una compagine rugbistica inglese. I Rangers erano l'espressione del West End cittadino, un mix eterogeneo di esponenti della classe dei lavoratori e della borghesia benestante. Allora la divisione era netta anche a livello geografico, dal momento che nell'East End più povero e più «irlandesizzato» il cuore batteva forte per il Celtic, ovvero la società creata nel 1887 da Fratello Walfrid per finanziare la Poor Children's Dinner Table, la mensa dove trovavano un aiuto e del cibo caldo i poveri di origine irlandese della città. Ora, fatta eccezione per l'elemento religioso, alcune delle «barriere» di una volta si sono un po' sfumate. Una parte del ceto medio-alto ha origini irlandesi o comunque tifa Celtic, mentre a est ci sono roccaforti dei Blues (il quartiere di Bridgeton) e a ovest dei Bhoys (Govan, appena dietro Ibrox Park).
Ma torniamo in piena epoca vittoriana, agli albori della storia del football, quando le due compagini parevano andare d'amore e d'accordo e condividere un'agenda comune fatta di professionismo e grandi introiti ai botteghini - non a caso l'appellativo Old Firm, vecchia ditta, venne coniato dai tifosi delle altre squadre scozzesi con più di una punta di accezione dispregiativa. Vinta l'opposizione di realtà quasi amatoriali, come il Queen's Park - tuttora unico club dilettantistico delle divisioni professionistiche scozzesi - a Celts e Gers non rimase che spartirsi a fase alterne Coppa nazionale, campionato e competizioni locali (le mitiche e ormai estinte Charity Cup e Glasgow Cup).
Nell'immediato primo dopo guerra l'arrivo a Glasgow dei due armatori dell'Ulster, Edward Harland e Gustav Wolff (quelli del Titanic), contribuì a far esplodere il bubbone del settarismo che ha caratterizzato la rivalità fino ai nostri giorni. In tempi di crisi economica, i due imprenditori nei loro cantieri navali assoldavano solo lavoratori di religione protestante, un principio che estesero dal punto di vista sportivo anche ai Rangers, almeno stando roumors dell'epoca. È un fatto che il duo Harland e Wolff accorse al capezzale dei malmessi Light Blues, rimpinguando le loro esangui casse con un prestito di 90mila sterline e sicuramente rivendicando una certa voce in capitolo in ambito gestionale. È un altro fatto che fino a pochi anni fa i cattolici ad aver vestito la maglia blu arrivavano a stento alla dozzina, e che intanto l'odio tra le due tifoserie aveva superato i livelli di guardia.
Più «tolleranti» invece sono sempre stati i bianco-verdi del Celtic, anche se alla fine del diciannovesimo secolo ci furono dirigenti che si batterono per adottare la medesima politica dell'Hibernian di Edimburgo, che all'epoca mandava in campo solo ed esclusivamente giocatori di religione cattolica. Tuttavia uno dei primi portieri del club del Park Head, che di cognome faceva Duff, apparteneva addirittura all'ordine d'Orange (l'organizzazione paramassonica creata nel 1795 per celebrare la vittoria di Guglielmo Terzo di Orange sull'esercito cattolico di Giacomo Secondo nei pressi del fiume Boyne circa un secolo prima). Duff perse il posto in squadra unicamente per demeriti sportivi, dopo aver incassato ben otto gol in un'amichevole giocata con il Dumbarton nel gennaio del 1892. Protestanti erano anche Ronnie Simpson, Tommy Gemmell, Willie Wallace e Bertie Auld, quattro «Lisbon Lions», come furono soprannominati i membri del team che nel 1967 nella capitale portoghese sconfisse l'Inter di Helenio Herrera e riuscì a portare per la prima volta nella storia la Coppa dei Campioni in Gran Bretagna. Protestante era anche Jock Stein, il tecnico di quella fantastica squadra. Uno che tra il 1966 e il 1974 fu capace di vincere nove campionati di fila (record poi eguagliato dai Rangers a cavallo tra anni Ottanta e Novanta) e che pensava che «il calcio senza i tifosi non è niente».
In quei gloriosi anni Sessanta - che videro anche i Rangers mettersi in evidenza con buone prestazioni in Europa, poi culminate con la vittoria in Coppa delle Coppe all'inizio del decennio successivo - erano già un elemento acquisito le violenze che troppo spesso facevano da corollario ai confronti tra le due compagini. Botte da orbi tra tifosi sul campo, sugli spalti e fuori dallo stadio erano la norma. Ora vuoi per la globalizzazione del calcio - che ha portato un cattolico, l'italiano Lorenzo Amoruso, a indossare la fascia di capitano dei Rangers - vuoi per le normative anti-hooligans o ancora per l'influenza positiva del processo di pace in Irlanda del Nord, roccaforte di tantissimi tifosi di entrambe le squadre, alcuni spigoli molto appuntiti sembrano essersi in parte smussati, anche se c'è tanta strada da fare per poter raggiungere una situazione di piena normalità.
I due club ce la stanno mettendo tutta per far sparire i residui di odio settario che ancora fanno capolino sugli spalti specialmente in occasione dei derby. Ovvero quando cori, bandiere e sciarpe contengono più messaggi politici che incitamenti ai giocatori (i quali, a volte, rispondono per le rime: il portiere polacco Boruc ad esempio indossando una maglietta col volto di Papa Wojtyla). Il dibattito è aperto, l'Old Firm è ancora una fastidiosa propagine dell'odio tra cattolici e protestanti oppure ormai è soprattutto una sfida sportiva? Canzoni come The Fields of Athenry e The Soldiers Song (filo-irlandesi) e Rule Britannia e The Sash (lealiste) sono insulti ad intere comunità oppure parte del retroterra culturale delle due fazioni che per questo andrebbero tollerate?
Forse una risposta a questi interrogativi ce la fornisce un episodio occorso nell'immediato dopo partita del derby dello scorso settembre, allorché Neil Lennon, in precedenza giocatore e adesso membro dello staff tecnico del Celtic, venne aggredito da due tifosi dei Rangers, che lo ricoprirono d'insulti a sfondo religioso. L'ex capitano dei Bhoys è un nordirlandese di fede cattolica e già in passato era stato fatto oggetto di pesanti minacce da parte di esaltati di fede protestante. Come dire che certe brutte abitudini sono dure a morire.
Dal Manifesto di ieri.
Ripercorrendo a ritroso la storia delle due squadre che dalla loro nascita hanno cannibalizzato il football scozzese collezionando un totale di 93 campionati sui 111 disponibili, in realtà si scopre che per qualche decennio l'odio settario che ha poi intossicato i loro confronti diretti era rimasto quasi del tutto ai margini. Nel 1873 un manipolo di canottieri, i fratelli Moses e Peter McNeil, Peter Campbell e William McBeath, tutti di religione protestante, fondò il club i cui colori, blu-bianco e rosso, si ispiravano dichiaratamente alla Union Jack, mentre il nome fu preso in prestito da una compagine rugbistica inglese. I Rangers erano l'espressione del West End cittadino, un mix eterogeneo di esponenti della classe dei lavoratori e della borghesia benestante. Allora la divisione era netta anche a livello geografico, dal momento che nell'East End più povero e più «irlandesizzato» il cuore batteva forte per il Celtic, ovvero la società creata nel 1887 da Fratello Walfrid per finanziare la Poor Children's Dinner Table, la mensa dove trovavano un aiuto e del cibo caldo i poveri di origine irlandese della città. Ora, fatta eccezione per l'elemento religioso, alcune delle «barriere» di una volta si sono un po' sfumate. Una parte del ceto medio-alto ha origini irlandesi o comunque tifa Celtic, mentre a est ci sono roccaforti dei Blues (il quartiere di Bridgeton) e a ovest dei Bhoys (Govan, appena dietro Ibrox Park).
Ma torniamo in piena epoca vittoriana, agli albori della storia del football, quando le due compagini parevano andare d'amore e d'accordo e condividere un'agenda comune fatta di professionismo e grandi introiti ai botteghini - non a caso l'appellativo Old Firm, vecchia ditta, venne coniato dai tifosi delle altre squadre scozzesi con più di una punta di accezione dispregiativa. Vinta l'opposizione di realtà quasi amatoriali, come il Queen's Park - tuttora unico club dilettantistico delle divisioni professionistiche scozzesi - a Celts e Gers non rimase che spartirsi a fase alterne Coppa nazionale, campionato e competizioni locali (le mitiche e ormai estinte Charity Cup e Glasgow Cup).
Nell'immediato primo dopo guerra l'arrivo a Glasgow dei due armatori dell'Ulster, Edward Harland e Gustav Wolff (quelli del Titanic), contribuì a far esplodere il bubbone del settarismo che ha caratterizzato la rivalità fino ai nostri giorni. In tempi di crisi economica, i due imprenditori nei loro cantieri navali assoldavano solo lavoratori di religione protestante, un principio che estesero dal punto di vista sportivo anche ai Rangers, almeno stando roumors dell'epoca. È un fatto che il duo Harland e Wolff accorse al capezzale dei malmessi Light Blues, rimpinguando le loro esangui casse con un prestito di 90mila sterline e sicuramente rivendicando una certa voce in capitolo in ambito gestionale. È un altro fatto che fino a pochi anni fa i cattolici ad aver vestito la maglia blu arrivavano a stento alla dozzina, e che intanto l'odio tra le due tifoserie aveva superato i livelli di guardia.
Più «tolleranti» invece sono sempre stati i bianco-verdi del Celtic, anche se alla fine del diciannovesimo secolo ci furono dirigenti che si batterono per adottare la medesima politica dell'Hibernian di Edimburgo, che all'epoca mandava in campo solo ed esclusivamente giocatori di religione cattolica. Tuttavia uno dei primi portieri del club del Park Head, che di cognome faceva Duff, apparteneva addirittura all'ordine d'Orange (l'organizzazione paramassonica creata nel 1795 per celebrare la vittoria di Guglielmo Terzo di Orange sull'esercito cattolico di Giacomo Secondo nei pressi del fiume Boyne circa un secolo prima). Duff perse il posto in squadra unicamente per demeriti sportivi, dopo aver incassato ben otto gol in un'amichevole giocata con il Dumbarton nel gennaio del 1892. Protestanti erano anche Ronnie Simpson, Tommy Gemmell, Willie Wallace e Bertie Auld, quattro «Lisbon Lions», come furono soprannominati i membri del team che nel 1967 nella capitale portoghese sconfisse l'Inter di Helenio Herrera e riuscì a portare per la prima volta nella storia la Coppa dei Campioni in Gran Bretagna. Protestante era anche Jock Stein, il tecnico di quella fantastica squadra. Uno che tra il 1966 e il 1974 fu capace di vincere nove campionati di fila (record poi eguagliato dai Rangers a cavallo tra anni Ottanta e Novanta) e che pensava che «il calcio senza i tifosi non è niente».
In quei gloriosi anni Sessanta - che videro anche i Rangers mettersi in evidenza con buone prestazioni in Europa, poi culminate con la vittoria in Coppa delle Coppe all'inizio del decennio successivo - erano già un elemento acquisito le violenze che troppo spesso facevano da corollario ai confronti tra le due compagini. Botte da orbi tra tifosi sul campo, sugli spalti e fuori dallo stadio erano la norma. Ora vuoi per la globalizzazione del calcio - che ha portato un cattolico, l'italiano Lorenzo Amoruso, a indossare la fascia di capitano dei Rangers - vuoi per le normative anti-hooligans o ancora per l'influenza positiva del processo di pace in Irlanda del Nord, roccaforte di tantissimi tifosi di entrambe le squadre, alcuni spigoli molto appuntiti sembrano essersi in parte smussati, anche se c'è tanta strada da fare per poter raggiungere una situazione di piena normalità.
I due club ce la stanno mettendo tutta per far sparire i residui di odio settario che ancora fanno capolino sugli spalti specialmente in occasione dei derby. Ovvero quando cori, bandiere e sciarpe contengono più messaggi politici che incitamenti ai giocatori (i quali, a volte, rispondono per le rime: il portiere polacco Boruc ad esempio indossando una maglietta col volto di Papa Wojtyla). Il dibattito è aperto, l'Old Firm è ancora una fastidiosa propagine dell'odio tra cattolici e protestanti oppure ormai è soprattutto una sfida sportiva? Canzoni come The Fields of Athenry e The Soldiers Song (filo-irlandesi) e Rule Britannia e The Sash (lealiste) sono insulti ad intere comunità oppure parte del retroterra culturale delle due fazioni che per questo andrebbero tollerate?
Forse una risposta a questi interrogativi ce la fornisce un episodio occorso nell'immediato dopo partita del derby dello scorso settembre, allorché Neil Lennon, in precedenza giocatore e adesso membro dello staff tecnico del Celtic, venne aggredito da due tifosi dei Rangers, che lo ricoprirono d'insulti a sfondo religioso. L'ex capitano dei Bhoys è un nordirlandese di fede cattolica e già in passato era stato fatto oggetto di pesanti minacce da parte di esaltati di fede protestante. Come dire che certe brutte abitudini sono dure a morire.
Dal Manifesto di ieri.
martedì 23 dicembre 2008
Fever Pitch, la prima rivista tutta italiana sul calcio inglese del passato
Quelli che i replay di FA Cup devono essere illimitati…quelli che le maglie sono meglio senza sponsor…quelli che le terraces sono molto più di un seggiolino su cui mangiare popcorn mentre guardiamo uno spettacolo qualunque...quelli che Alan Shearer (e tanti come lui) è un mito per quello che ha fatto (tanti, tanti gol), ma anche per quello che NON ha fatto (svendere l’anima per un pò di soldi e di gloria in più)…quelli che il calcio è un amore congenito, pressoché inguaribile, a volte disperato, quasi sempre irrazionale…quelli che il pallone è altro che una sfera di cuoio che rotola su un prato, è comunità, tradizione, cultura...FEVER PITCH, appunto…
Per scaricare il numero zero: http://feverpitch2009.blogspot.com/
Per qualsiasi info su Fever Pitch e per abbonamenti: giacomomallano@studiocvm.com, gmallano@yahoo.it, info@oldbritishfootball.com
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In attesa dell’abbuffata natalizia, ancora pareggi per le grandi
Il solito punto Premier scritto per Goal.com
La settimana pre-natalizia del calcio inglese verrà probabilmente ricordata più per il sorteggio di Champions League, che propone un triplo scontro Premier-Serie A, che per il titolo di campione del mondo conquistato in Giappone dal Manchester United. I Red Devils, che ovviamente hanno dovuto posticipare il match casalingo contro il Wigan, chiudono con l’ennesimo trionfo un 2008 da favola, ma l’attrattiva dell’ex Coppa Intercontinentale rimane piuttosto bassa – e noi siamo tra quelli che provavano scarso interesse, in particolare per questa edizione senza grandi team brasiliani o argentini a contendersi il trofeo.
Sul suolo inglese, invece continua a regnare l’equilibrio al vertice, con Liverpool e Chelsea che rimangono distanziate di un solo punto.
Al di là delle polemiche per la severissima espulsione di Adebayor, la gara tra Arsenal e Liverpool mantiene solo in parte le attese. Troppe le assenze da un parte e dall’altra per assicurare un grande spettacolo ai 60mila dell’Emirates. Van Persie illude i Gunners con una perla di rara bellezza, ma l’ex Spurs Robbie Keane risponde con un gol altrettanto bello. Pareggio sostanzialmente giusto, con entrambe le compagini che non riescono a centrare il tris di vittorie contro le grandi (sia i ragazzi di Benitez che quelli di Wenger avevano infatti sconfitto Chelsea e Manchester United).
Gli euro-rivali della Roma confermano di giocare meglio contro le squadre di rango, però adesso si ritrovano a meno tre dall’Aston Villa, salito al terzo posto grazie al successo sul West Ham e al contemporaneo turno di riposo del Manchester United. A essere onesti al Boleyn Ground i Villans pescano un jolly immeritato, soprattutto per quanto (non) mostrato nel secondo tempo. Irons spuntati e sfortunati e al momento pericolosamente quartultimi.
Si ferma a otto la striscia di successi in trasferta del Chelsea, che al Goodison Park strappa a fatica un punto a un Everton molto combattivo nonostante la totale assenza di punte, tutte relegate in infermeria. I Blues pagano la cattiva giornata di Anelka e l’espulsione a fine tempo di Terry, reo di un fallo da codice penale sul povero Osman.
Continua l’ascesa del Fulham, facile vincitore su un Middlesbrough impalpabile. I Cottagers dell’ottimo Roy Hodgson ora sono ottavi, a un passo dalla zona Uefa. Se il neo-nazionale Jimmy Bullard dovesse rimanere – ma è improbabile – al Craven Cottage si potrebbe sognare in grande.
La ricorsa a un posto in Coppa Uefa dell’Hull viene invece bruscamente interrotta dal Sunderland, corsaro al KC Stadium. Nelle due partite del post-Keane i Black Cats hanno incamerato sei punti, segnando otto gol, tanto che si vocifera già che l’interim a Ricky Sbragia si possa protrarre fino al termine della stagione.
Nelle parti basse della classifica risorgono Blackburn e West Bromwich Albion, rispettivamente a secco di vittorie da undici e dodici giornate. Ai Rovers giova immediatamente il cambio di allenatore. Curioso come Sam Allardyce ritorni in panchina proprio contro lo Stoke, ultima squadra affrontata nella sfortunata avventura al St James’ Park di Newcastle. I Potters alzano ben presto bandiera bianca, subendo tre gol già nel primo tempo. Vince in extremis il WBA, sempre ultimo ma confortato dal 2-1 interno inflitto al pessimo Manchester City di questi tempi. Senza Robinho infortunato e con una difesa da dopolavoro ferroviario, i Citizens sprofondano al terzultimo posto. Mark Hughes mangerà il pudding di Natale?
Chi non traballa più è Joe Kinnear, che ha condotto il Newcastle fuori dalla zona retrocessione, ridando carattere e determinazione a una squadra fino a poche settimane fa confusionaria e sempre sull’orlo di una crisi di nervi. La vittoria in volata sul Tottenham garantisce finalmente un po’ di serenità alla Toon Army. Se la merita tutta!
La settimana pre-natalizia del calcio inglese verrà probabilmente ricordata più per il sorteggio di Champions League, che propone un triplo scontro Premier-Serie A, che per il titolo di campione del mondo conquistato in Giappone dal Manchester United. I Red Devils, che ovviamente hanno dovuto posticipare il match casalingo contro il Wigan, chiudono con l’ennesimo trionfo un 2008 da favola, ma l’attrattiva dell’ex Coppa Intercontinentale rimane piuttosto bassa – e noi siamo tra quelli che provavano scarso interesse, in particolare per questa edizione senza grandi team brasiliani o argentini a contendersi il trofeo.
Sul suolo inglese, invece continua a regnare l’equilibrio al vertice, con Liverpool e Chelsea che rimangono distanziate di un solo punto.
Al di là delle polemiche per la severissima espulsione di Adebayor, la gara tra Arsenal e Liverpool mantiene solo in parte le attese. Troppe le assenze da un parte e dall’altra per assicurare un grande spettacolo ai 60mila dell’Emirates. Van Persie illude i Gunners con una perla di rara bellezza, ma l’ex Spurs Robbie Keane risponde con un gol altrettanto bello. Pareggio sostanzialmente giusto, con entrambe le compagini che non riescono a centrare il tris di vittorie contro le grandi (sia i ragazzi di Benitez che quelli di Wenger avevano infatti sconfitto Chelsea e Manchester United).
Gli euro-rivali della Roma confermano di giocare meglio contro le squadre di rango, però adesso si ritrovano a meno tre dall’Aston Villa, salito al terzo posto grazie al successo sul West Ham e al contemporaneo turno di riposo del Manchester United. A essere onesti al Boleyn Ground i Villans pescano un jolly immeritato, soprattutto per quanto (non) mostrato nel secondo tempo. Irons spuntati e sfortunati e al momento pericolosamente quartultimi.
Si ferma a otto la striscia di successi in trasferta del Chelsea, che al Goodison Park strappa a fatica un punto a un Everton molto combattivo nonostante la totale assenza di punte, tutte relegate in infermeria. I Blues pagano la cattiva giornata di Anelka e l’espulsione a fine tempo di Terry, reo di un fallo da codice penale sul povero Osman.
Continua l’ascesa del Fulham, facile vincitore su un Middlesbrough impalpabile. I Cottagers dell’ottimo Roy Hodgson ora sono ottavi, a un passo dalla zona Uefa. Se il neo-nazionale Jimmy Bullard dovesse rimanere – ma è improbabile – al Craven Cottage si potrebbe sognare in grande.
La ricorsa a un posto in Coppa Uefa dell’Hull viene invece bruscamente interrotta dal Sunderland, corsaro al KC Stadium. Nelle due partite del post-Keane i Black Cats hanno incamerato sei punti, segnando otto gol, tanto che si vocifera già che l’interim a Ricky Sbragia si possa protrarre fino al termine della stagione.
Nelle parti basse della classifica risorgono Blackburn e West Bromwich Albion, rispettivamente a secco di vittorie da undici e dodici giornate. Ai Rovers giova immediatamente il cambio di allenatore. Curioso come Sam Allardyce ritorni in panchina proprio contro lo Stoke, ultima squadra affrontata nella sfortunata avventura al St James’ Park di Newcastle. I Potters alzano ben presto bandiera bianca, subendo tre gol già nel primo tempo. Vince in extremis il WBA, sempre ultimo ma confortato dal 2-1 interno inflitto al pessimo Manchester City di questi tempi. Senza Robinho infortunato e con una difesa da dopolavoro ferroviario, i Citizens sprofondano al terzultimo posto. Mark Hughes mangerà il pudding di Natale?
Chi non traballa più è Joe Kinnear, che ha condotto il Newcastle fuori dalla zona retrocessione, ridando carattere e determinazione a una squadra fino a poche settimane fa confusionaria e sempre sull’orlo di una crisi di nervi. La vittoria in volata sul Tottenham garantisce finalmente un po’ di serenità alla Toon Army. Se la merita tutta!
venerdì 19 dicembre 2008
Il punto sul Game 39
“Non credo che si terrà mai un Game 39. Io sono contrario e penso che non si debba organizzare”. Così si è espresso di recente Alex Ferguson, notoriamente uno che non ha peli sulla lingua, sul progetto di giocare una giornata supplementare di Premier in giro per il pianeta. La sua voce, ovviamente molto autorevole, si va a unire alle tante che del “Game 39” – come lo hanno ribattezzato in Inghilterra perché si aggiungerebbe alle attuali 38 giornate di campionato – hanno detto peste e corna. Tantissimi tifosi e anche un buon numero di addetti ai lavori sono nella migliore delle ipotesi scettici, nella peggiore disgustati da questo (ennesimo) possibile strappo alla tradizione in nome del Dio soldo. Eppure Richard Scudamore, il potentissimo amministratore delegato della Premier League, da quasi un anno porta avanti la sua idea di campionato con appendice globale. Dopo una prima levata di scudi e un apparente ridimensionamento dell’idea, Scudamore è ritornato alla carica. Nel 2010-11 potremmo assistere a un Chelsea-Portsmouth a Tokyo piuttosto che a un Manchester United-Middlesbrough a Singapore o ancora a un Arsenal-Sunderland in quel di New York – non sarebbero previsti scontri diretti tra le grandi, così da non concentrare l’interesse solo su una manciata di partite.
La scadenza temporale non è scelta a caso. All’inizio di quella stagione scadono i contratti per i diritti tv della Premier (che al momento garantiscono alla lega inglese introiti che si aggirano sui tre miliardi di euro a triennio). Il Game 39 potrebbe quindi permettere un’ulteriore impennata ai guadagni della stessa Premier, che per la verità sta addirittura valutando la possibilità di mettere in piedi un canale satellitare tutto suo. Quasi scontato che a ospitare gli incontri sarebbero ricchi stati asiatici, gli Usa o l’Australia, il tutto sulla scorta dei tornei e delle amichevoli estive che le compagini della Premier – dietro lauti compensi – disputano proprio in quelle parti del globo. Grazie a un sapiente uso dello strumento del marketing la massima divisione inglese è ormai il campionato più popolare del mondo.
Il revival della diabolica pensata di Scudamore si è avuto verso la metà dello scorso ottobre, quando Mohamed bin Hammam, presidente della Federazione Asiatica, ha manifestato il suo interessamento per il Game 39, dopo un primo giudizio negativo espresso a febbraio. Ripensamento merito di un chiarimento intercorso con l’amministratore delegato della Premier, “reo” di non aver consultato Hammam in precedenza. Insomma, “questo matrimonio si ha da fare”, sembrerebbe di capire. Considerata la scarsa attenzione che di solito viene riservata dagli spin doctors del football inglese alle opinioni dei consumatori – pardon, dei tifosi – forse un aiuto al fronte del no potrebbe arrivare da altri personaggi di spicco del calcio ai tempi della globalizzazione. Michel Platini e Sepp Blatter, rispettivamente presidente di UEFA e FIFA, sono nettamente contrari. Blatter ha addirittura prefigurato che una mossa del genere potrebbe pregiudicare la corsa dell’Inghilterra all’aggiudicazione del mondiale 2018. Per onor di cronaca anche il governo di Sua Maestà britannica non sembra troppo a favore del progetto.
È ancora presto per dire come andrà a finire, se il numero dei presidenti e allenatori dei club di Premier vogliosi di andare a cimentarsi all’estero aumenterà vertiginosamente oppure se rimarrà limitato come è adesso.
Come già evidenziato da molti osservatori, non solo oltre Manica, la sostanza dei fatti è che spostare baracca e burattini – anche se una tantum – fuori dal suo habitat naturale potrebbe rivelarsi un flop proprio perché si verrebbero a perdere quegli elementi fondanti (stadi, tifo, atmosfera) che sono motivo del fascino e dell’unicità del football inglese. Fulham-Everton al Craven Cottage, a due passi dal Tamigi e con sullo sfondo la Johnny Haynes Stand vecchia come il cucco, sarà molto più allettante dello stesso match disputato in qualche modernissima arena giapponese, al di là delle giocate mostrate dai 22 in campo – e a dirla tutta va rimarcato come anche in Premier ci siano partite dal livello tecnico non eccelso. Chissà se Scudamore, tra un business plan e un contratto di sponsorizzazione, saprà rendersene conto.
Scritto per Goal.com
La scadenza temporale non è scelta a caso. All’inizio di quella stagione scadono i contratti per i diritti tv della Premier (che al momento garantiscono alla lega inglese introiti che si aggirano sui tre miliardi di euro a triennio). Il Game 39 potrebbe quindi permettere un’ulteriore impennata ai guadagni della stessa Premier, che per la verità sta addirittura valutando la possibilità di mettere in piedi un canale satellitare tutto suo. Quasi scontato che a ospitare gli incontri sarebbero ricchi stati asiatici, gli Usa o l’Australia, il tutto sulla scorta dei tornei e delle amichevoli estive che le compagini della Premier – dietro lauti compensi – disputano proprio in quelle parti del globo. Grazie a un sapiente uso dello strumento del marketing la massima divisione inglese è ormai il campionato più popolare del mondo.
Il revival della diabolica pensata di Scudamore si è avuto verso la metà dello scorso ottobre, quando Mohamed bin Hammam, presidente della Federazione Asiatica, ha manifestato il suo interessamento per il Game 39, dopo un primo giudizio negativo espresso a febbraio. Ripensamento merito di un chiarimento intercorso con l’amministratore delegato della Premier, “reo” di non aver consultato Hammam in precedenza. Insomma, “questo matrimonio si ha da fare”, sembrerebbe di capire. Considerata la scarsa attenzione che di solito viene riservata dagli spin doctors del football inglese alle opinioni dei consumatori – pardon, dei tifosi – forse un aiuto al fronte del no potrebbe arrivare da altri personaggi di spicco del calcio ai tempi della globalizzazione. Michel Platini e Sepp Blatter, rispettivamente presidente di UEFA e FIFA, sono nettamente contrari. Blatter ha addirittura prefigurato che una mossa del genere potrebbe pregiudicare la corsa dell’Inghilterra all’aggiudicazione del mondiale 2018. Per onor di cronaca anche il governo di Sua Maestà britannica non sembra troppo a favore del progetto.
È ancora presto per dire come andrà a finire, se il numero dei presidenti e allenatori dei club di Premier vogliosi di andare a cimentarsi all’estero aumenterà vertiginosamente oppure se rimarrà limitato come è adesso.
Come già evidenziato da molti osservatori, non solo oltre Manica, la sostanza dei fatti è che spostare baracca e burattini – anche se una tantum – fuori dal suo habitat naturale potrebbe rivelarsi un flop proprio perché si verrebbero a perdere quegli elementi fondanti (stadi, tifo, atmosfera) che sono motivo del fascino e dell’unicità del football inglese. Fulham-Everton al Craven Cottage, a due passi dal Tamigi e con sullo sfondo la Johnny Haynes Stand vecchia come il cucco, sarà molto più allettante dello stesso match disputato in qualche modernissima arena giapponese, al di là delle giocate mostrate dai 22 in campo – e a dirla tutta va rimarcato come anche in Premier ci siano partite dal livello tecnico non eccelso. Chissà se Scudamore, tra un business plan e un contratto di sponsorizzazione, saprà rendersene conto.
Scritto per Goal.com
martedì 16 dicembre 2008
Cacciato pure Ince
Era nell'aria, ora è ufficiale: Paul Ince non è più l'allenatore dei Blackburn Rovers. E' la sesta panchina che cambia in Premier dall'inizio stagione. Tante, forse troppe per gli standard britannici...
lunedì 15 dicembre 2008
Le grandi rallentano il passo
È stato il turno dei quattro pareggi delle Big Four e dei grandi ex (Berbatov e Zola) accolti con reazioni diametralmente opposte dalle tifoserie del loro recente passato. Ma tutto sommato è stata altresì la giornata dei grandi rimpianti, sia per chi non ha potuto allungare in classifica, sia per chi non si è avvicinato alla vetta.
Ancora una volta i match di Liverpool e Chelsea ricalcano un copione del tutto simile. Entrambe le grandi si trovano a rincorrere le avversarie, per poi dominare la seconda frazione di gioco, che però non regala i tre punti alle compagini della Merseyside e di Londra.
I Reds vanno addirittura sotto di due gol contro l’Hull, ormai splendida realtà e non più solo sorpresa, si buttano a testa bassa alla ricerca del pari – centrato con una doppietta del solito Gerrard – e sono anche sfortunati in più di un’occasione. Il Liverpool fa registrare il quarto pareggio casalingo stagionale anche a causa dell’eccessiva prudenza di Benitez, che non schiera Keane insieme all’unica punta Kuyt e inserisce troppo tardi Babel. Chissà come l’avrà presa l’attaccante irlandese, per il quale si parla di un addio anticipato da Anfield Road…
Per il Chelsea continua la “maledizione” dello Stamford Bridge, quest’anno non più fortezza inespugnabile e serbatoio di punti come negli anni passati. Se non ci fosse il percorso netto in trasferta, i Blues si troverebbero in ben altra posizione di classifica, considerate le due sconfitte e i quattro pareggi interni collezionati finora. Nella gara dei tanti ex (Joe Cole e Lampard da una parte, Carlton Cole e Parker dell’altra in campo) l’accoglienza riservata a Gianfranco Zola è da brividi. Solo applausi e cori per Magic Box, che sfata il tabù Chelsea (gli Irons avevano perso gli ultimi sette derby) grazie a una prova maiuscola di Bellamy e Berhami. Ai Blues non basta il quattordicesimo gol in Premier del capocannoniere Anelka. Sorpasso fallito e Liverpool ancora a meno uno.
Al White Hart Lane Berbatov viene spernacchiato per tutto l’incontro dai tifosi degli Spurs, che certo non hanno preso troppo bene il suo trasferimento allo United. Tottenham e Man U mettono in piedi una bella partita, sebbene priva di realizzazioni. Nel complesso il pareggio è sostanzialmente giusto, con i Red Devils a manovrare di più ma con i padroni di casa che riescono a creare un buon numero di palle gol. Il team di Sir Alex non scenderà in campo nel prossimo turno, dal momento che volerà in Giappone per il mondiale per club – appuntamento che forse ha un po’ distratto Ronaldo e compagni.
Non convince l’Arsenal orfano del talento di Walcott. Al Riverside Stadium di Middlesbrough i Gunners trovano il gol del vantaggio con Adebayor, ma non reggono l’urto delle offensive del Boro che – a proposito di ex – pareggia poi con Aliadiere. L’Arsenal, poco brillante soprattutto nel secondo tempo, scala al quinto posto, superato dall’Aston Villa dei giovani fenomeni Agbonlahor e Young. Villans implacabili con il Bolton, che pure era passato in vantaggio con una prodezza di Elmander.
Consueta ammucchiata nelle retrovie, anche se il Blackburn (arrivato alla sesta sconfitta consecutiva) e il West Bromwich Albion iniziano a perdere contatto. I Rovers crollano a Wigan, il WBA fa altrettanto a Sunderland. Ai Black Cats evidentemente la fuoriuscita di Roy Keane non deve aver fatto tanto male…
Colpaccio del Newcastle, corsaro al Fratton Park di Portsmouth. Apre le danze Michael Owen, sempre più oggetto del desiderio di molti club in vista del mercato di gennaio.
Chi sembra aver imboccato un tunnel sempre più buio è il Manchester City, adesso terzultimo in classifica. Il gol in extremis di Cahill al City of Manchester Stadium regala all’Everton la sesta vittoria esterna della campagna 2008-09 e il settimo posto, in attesa del Monday Night della settimana prossima.
Da Goal.com di oggi
Ancora una volta i match di Liverpool e Chelsea ricalcano un copione del tutto simile. Entrambe le grandi si trovano a rincorrere le avversarie, per poi dominare la seconda frazione di gioco, che però non regala i tre punti alle compagini della Merseyside e di Londra.
I Reds vanno addirittura sotto di due gol contro l’Hull, ormai splendida realtà e non più solo sorpresa, si buttano a testa bassa alla ricerca del pari – centrato con una doppietta del solito Gerrard – e sono anche sfortunati in più di un’occasione. Il Liverpool fa registrare il quarto pareggio casalingo stagionale anche a causa dell’eccessiva prudenza di Benitez, che non schiera Keane insieme all’unica punta Kuyt e inserisce troppo tardi Babel. Chissà come l’avrà presa l’attaccante irlandese, per il quale si parla di un addio anticipato da Anfield Road…
Per il Chelsea continua la “maledizione” dello Stamford Bridge, quest’anno non più fortezza inespugnabile e serbatoio di punti come negli anni passati. Se non ci fosse il percorso netto in trasferta, i Blues si troverebbero in ben altra posizione di classifica, considerate le due sconfitte e i quattro pareggi interni collezionati finora. Nella gara dei tanti ex (Joe Cole e Lampard da una parte, Carlton Cole e Parker dell’altra in campo) l’accoglienza riservata a Gianfranco Zola è da brividi. Solo applausi e cori per Magic Box, che sfata il tabù Chelsea (gli Irons avevano perso gli ultimi sette derby) grazie a una prova maiuscola di Bellamy e Berhami. Ai Blues non basta il quattordicesimo gol in Premier del capocannoniere Anelka. Sorpasso fallito e Liverpool ancora a meno uno.
Al White Hart Lane Berbatov viene spernacchiato per tutto l’incontro dai tifosi degli Spurs, che certo non hanno preso troppo bene il suo trasferimento allo United. Tottenham e Man U mettono in piedi una bella partita, sebbene priva di realizzazioni. Nel complesso il pareggio è sostanzialmente giusto, con i Red Devils a manovrare di più ma con i padroni di casa che riescono a creare un buon numero di palle gol. Il team di Sir Alex non scenderà in campo nel prossimo turno, dal momento che volerà in Giappone per il mondiale per club – appuntamento che forse ha un po’ distratto Ronaldo e compagni.
Non convince l’Arsenal orfano del talento di Walcott. Al Riverside Stadium di Middlesbrough i Gunners trovano il gol del vantaggio con Adebayor, ma non reggono l’urto delle offensive del Boro che – a proposito di ex – pareggia poi con Aliadiere. L’Arsenal, poco brillante soprattutto nel secondo tempo, scala al quinto posto, superato dall’Aston Villa dei giovani fenomeni Agbonlahor e Young. Villans implacabili con il Bolton, che pure era passato in vantaggio con una prodezza di Elmander.
Consueta ammucchiata nelle retrovie, anche se il Blackburn (arrivato alla sesta sconfitta consecutiva) e il West Bromwich Albion iniziano a perdere contatto. I Rovers crollano a Wigan, il WBA fa altrettanto a Sunderland. Ai Black Cats evidentemente la fuoriuscita di Roy Keane non deve aver fatto tanto male…
Colpaccio del Newcastle, corsaro al Fratton Park di Portsmouth. Apre le danze Michael Owen, sempre più oggetto del desiderio di molti club in vista del mercato di gennaio.
Chi sembra aver imboccato un tunnel sempre più buio è il Manchester City, adesso terzultimo in classifica. Il gol in extremis di Cahill al City of Manchester Stadium regala all’Everton la sesta vittoria esterna della campagna 2008-09 e il settimo posto, in attesa del Monday Night della settimana prossima.
Da Goal.com di oggi
venerdì 12 dicembre 2008
Tetto salariale
Premier contraria, Championship possibilista. Così si potrebbero sintetizzare le posizioni dei massimi dirigenti dei due principali campionati inglesi sul tetto salariale, o salary cap, per dirla come i sudditi di Elisabetta Seconda (o i concittadini di Barack Obama, che in materia sono alquanto esperti). In tempi di crisi come i nostri è del tutto fisiologico che se ne torni a parlare, soprattutto in considerazione dei bilanci deficitari dei club di Premier League e delle crociate di Michel Platini per un calcio libero dai debiti. Se Alex Scudamore, il deus ex machina della Premier, ha preso le distanze con nettezza, prefigurando eventuali impatti negativi per la competitività dei team inglesi, Adam Pearson, presidente del Derby County, è sicuro che l’unica soluzione è quella del tetto salariale. In molti, tra i chairmen della Championship, iniziano a pensare che senza dei limiti alle spese e con il credit crunch che avanza inesorabile ci sia il rischio concreto che numerose società debbano far fronte all’amministrazione controllata e chissà a quant’altro. Due settimane fa, per esempio, Sheffield United e Coventry City hanno annunciato perdite nell’ordine dei quattro milioni di euro. Val la pena ricordare che la Serie B inglese non può contare sui contratti televisivi miliardari della Premier né, salvo rare eccezioni come il QPR, sui capitali di ricchi imprenditori stranieri. Per la verità ha degli introiti derivanti da botteghini e merchandising che le compagini della nostra serie cadetta si sognano, ma ciò nonostante i problemi non mancano.
Al di là delle possibili illazioni, di mettere una stretta sugli emolumenti percepiti dai calciatori se ne parlerà seriamente alla prossima riunione della Football League (che comprende tutti i club professionistici, Premier esclusa), in programma il prossimo 18 dicembre.
Al di là delle possibili illazioni, di mettere una stretta sugli emolumenti percepiti dai calciatori se ne parlerà seriamente alla prossima riunione della Football League (che comprende tutti i club professionistici, Premier esclusa), in programma il prossimo 18 dicembre.
lunedì 8 dicembre 2008
L'addio di Darren Anderton
Ex nazionale inglese e stella del Tottenham, a causa dei tanti infortuni che lo hanno martoriato Anderton ha sicuramente reso meno di quanto ci si potesse attendere dal suo enrme talento. Ora lascia il Bournemouth, malridotto team di Fourth Division, e il football regalando però ai tifosi dei Cherries e a tutti i veri appassionati un ultimo bagliore di classe: gol al volo a pochi minuti dalla fine nel match casalingo contro il Chester City. Ovviamente è stata la marcatura che ha deciso la sfida. Bye bye Darren!
giovedì 4 dicembre 2008
Sorteggi FA Cup
Prima le cose serie. Al terzo turno della Coppa d'Inghilterra è approdato un discreto drappello di squadre non-league. Dopo le ripetizioni potrebbero ammontare addirittura a otto, per il momento cinque sono sicure di giocarsi l'opportunità storica di arrivare al quarto turno. Il 3 gennaio si avvicina e mai come quest'anno, con la riduzione del numero di giornate di campionato da disputare durante le festività natalizie, la Coppa sarà attesa con trepidazione dai fan di calcio inglese.
Passiamo all'altro sorteggio, quello "subbuteistico". A dicembre al campo Roma si prospettano sfide epiche: Everton v Tottenham, Barnet v West Ham (derby londinese quasi inedito), Cardiff v Millwall (e qui la memoria va ad alcune "turbolenze" del passato).
Passiamo all'altro sorteggio, quello "subbuteistico". A dicembre al campo Roma si prospettano sfide epiche: Everton v Tottenham, Barnet v West Ham (derby londinese quasi inedito), Cardiff v Millwall (e qui la memoria va ad alcune "turbolenze" del passato).
martedì 2 dicembre 2008
Liverpool e Chelsea, guardatevi le spalle
La domenica dei derby non tradisce le aspettative e regala quello spettacolo che era parzialmente mancato nei match disputati sabato. Chi si attendeva un verdetto negativo sulle chance dell’Arsenal di potersi ancora battere per il titolo è stato prontamente smentito dai Gunners, sempre più imprevedibili. Dopo aver battuto il Manchester United, i biancorossi hanno messo sotto il Chelsea niente meno che a Stamford Bridge. Indubbiamente la topica del guardialinee sulla rete del pareggio di Van Persie ha inciso molto sull’esito finale della gara, però nel complesso ci sentiamo di poter dire che l’Arsenal ha meritatamente portato a casa i tre punti.
Pessime notizie per i Blues, che contro le grandi hanno raccolto la miseria di un punto (per di più giocando tutte e tre le partite in casa). A colpire in negativo è stata la scarsissima capacità di reazione dopo il 2-1 di Van Persie. Un’apatia già notata soprattutto nella rovinosa trasferta di Roma in Champions League.
Non si comporta tanto meglio il Liverpool, che senza Torres fatica in attacco contro un West Ham chiuso a riccio. Per i Reds il Monday Night si trasforma in un incubo che si concretizza nel secondo 0-0 consecutivo ad Anfield, per di più contro squadre di secondo piano. L’unica nota positiva è il primo posto in solitario, sebbene con un solo unto di margine sul Chelsea. Bene gli Irons. E se Bellamy, invece di centrare il palo, avesse buttato dentro il classico gol dell’ex chissà come sarebbe andata a finire…
Il Manchester United riesce a vendicare la doppia sconfitta nei derby della scorsa stagione. L’1-0 finale, siglato da un sempre ottimo Rooney, non rispecchia appieno la superiorità nel gioco e nelle occasioni palesata dai ragazzi di Sir Alex. Cristiano Ronaldo bagna il trionfo nel Pallone d’Oro rimediando due cartellini gialli (e il susseguente rosso) nella maniera più sciocca possibile, “coronamento” di una partita giocata ben al di sotto dei suoi standard abituali. Nel City meglio Wright-Phillips che Robinho, ma nel complesso è stato tutto il team dell’ex centravanti dello United Mark Hughes a deludere.
Al Villa Park l’euforia per il quarto posto dura poco. I ragazzi di Martin O’Neill disputano una partita a dir poco scialba contro un Fulham attento e intenzionato a racimolare il secondo punto consecutivo in trasferta dopo lo 0-0 di Anfield Road della settimana scorsa. Missione compiuta per i Cottagers di Mr Roy Hodgson, ma quanta noia…
Finisce in parità la sfida tra le due matricole terribili Stoke e Hull, sebbene i Tigers si siano fatti preferire sul piano del gioco. Il team di Phil Brown rimane al sesto posto con un solo punto di vantaggio sull’Everton, corsaro al White Hart Lane. Per Moyes la gioia della trecentesima panchina per i Toffemen è offuscata dal grave infortunio all’attaccante nigeriano Yakubu, fuori per tutto il resto della stagione.
Gli Spurs compiono un passo indietro, non riuscendo a tirarsi completamente fuori dalla zona calda della classifica, occupata ormai in pianta stabile dal Sunderland, che incassa la quinta sconfitta in sei partite, per di più subendo un umiliante 4-1 da parte di una diretta concorrente come il Bolton del ritrovato Elmander.
Derby bruttino al Riverside Stadium. Middlesbrough e Newcastle puntano più a non prenderle. Molto soddisfatto dello 0-0 finale il manager dei Magpies Joe Kinnear, confermato fino al termine della stagione.
In coda continuano a fare male il West Bromwich, che pure a Wigan era passato in vantaggio e a poi finito per capitolare nei minuti finali, e il Blackburn. Al Fratton Park ai Rovers era riuscita la stessa impresa del Milan, ovvero rimontare due gol ai padroni di casa del Portsmouth nello spazio di poco tempo. Ma poi ci ha pensato Davis a far precipitare Ince e i suoi ragazzi nella disperazione più totale.
Da Goal.com di oggi
Pessime notizie per i Blues, che contro le grandi hanno raccolto la miseria di un punto (per di più giocando tutte e tre le partite in casa). A colpire in negativo è stata la scarsissima capacità di reazione dopo il 2-1 di Van Persie. Un’apatia già notata soprattutto nella rovinosa trasferta di Roma in Champions League.
Non si comporta tanto meglio il Liverpool, che senza Torres fatica in attacco contro un West Ham chiuso a riccio. Per i Reds il Monday Night si trasforma in un incubo che si concretizza nel secondo 0-0 consecutivo ad Anfield, per di più contro squadre di secondo piano. L’unica nota positiva è il primo posto in solitario, sebbene con un solo unto di margine sul Chelsea. Bene gli Irons. E se Bellamy, invece di centrare il palo, avesse buttato dentro il classico gol dell’ex chissà come sarebbe andata a finire…
Il Manchester United riesce a vendicare la doppia sconfitta nei derby della scorsa stagione. L’1-0 finale, siglato da un sempre ottimo Rooney, non rispecchia appieno la superiorità nel gioco e nelle occasioni palesata dai ragazzi di Sir Alex. Cristiano Ronaldo bagna il trionfo nel Pallone d’Oro rimediando due cartellini gialli (e il susseguente rosso) nella maniera più sciocca possibile, “coronamento” di una partita giocata ben al di sotto dei suoi standard abituali. Nel City meglio Wright-Phillips che Robinho, ma nel complesso è stato tutto il team dell’ex centravanti dello United Mark Hughes a deludere.
Al Villa Park l’euforia per il quarto posto dura poco. I ragazzi di Martin O’Neill disputano una partita a dir poco scialba contro un Fulham attento e intenzionato a racimolare il secondo punto consecutivo in trasferta dopo lo 0-0 di Anfield Road della settimana scorsa. Missione compiuta per i Cottagers di Mr Roy Hodgson, ma quanta noia…
Finisce in parità la sfida tra le due matricole terribili Stoke e Hull, sebbene i Tigers si siano fatti preferire sul piano del gioco. Il team di Phil Brown rimane al sesto posto con un solo punto di vantaggio sull’Everton, corsaro al White Hart Lane. Per Moyes la gioia della trecentesima panchina per i Toffemen è offuscata dal grave infortunio all’attaccante nigeriano Yakubu, fuori per tutto il resto della stagione.
Gli Spurs compiono un passo indietro, non riuscendo a tirarsi completamente fuori dalla zona calda della classifica, occupata ormai in pianta stabile dal Sunderland, che incassa la quinta sconfitta in sei partite, per di più subendo un umiliante 4-1 da parte di una diretta concorrente come il Bolton del ritrovato Elmander.
Derby bruttino al Riverside Stadium. Middlesbrough e Newcastle puntano più a non prenderle. Molto soddisfatto dello 0-0 finale il manager dei Magpies Joe Kinnear, confermato fino al termine della stagione.
In coda continuano a fare male il West Bromwich, che pure a Wigan era passato in vantaggio e a poi finito per capitolare nei minuti finali, e il Blackburn. Al Fratton Park ai Rovers era riuscita la stessa impresa del Milan, ovvero rimontare due gol ai padroni di casa del Portsmouth nello spazio di poco tempo. Ma poi ci ha pensato Davis a far precipitare Ince e i suoi ragazzi nella disperazione più totale.
Da Goal.com di oggi
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