venerdì 30 novembre 2012

La mia intervista a Zola, finalmente...

Uscita oggi su "Pubblico".

Gianfranco Zola è uno dei grandi campioni che il nostro calcio si è lasciato scappare troppo presto, a tutto vantaggio del football inglese che lo ribattezzò Magic Box. Bandiera del Chelsea da giocatore, il fantasista sardo ha iniziato la carriera di manager al West Ham dopo i due anni da consulente tecnico nell'under 21 allenata da Gigi Casiraghi. Fallita la trattativa con la Lazio, è diventato il tecnico del Watford, terzo club dopo Granada e Udinese di proprietà della famiglia Pozzo. La squadra di Elton John, ancora presidente onorario, milita in Championship, l'equivalente della nostra serie B. Martedì sera è andata a vincere a Sheffield contro il Wednesday per 4-1 e adesso è all'ottavo posto con 30 punti, anche se il compito di Zola è di riportarla in Premier il prima possibile.

Come procedono le cose al Watford? All’inizio sarà stata dura, con i tifosi delusi per la cacciata del vecchio allenatore Sean Dyche da parte dei Pozzo…
Sì, bisogna ammettere che all'inizio erano delusi per il licenziamento del manager, che era un loro idolo anche da giocatore e che l'anno scorso aveva fatto bene con una squadra non fortissima. Ma dopo qualche risultato storto le cose sono migliorate e ora stiamo attraversando un buon periodo. I giovani si stanno inserendo bene e i fan stanno apprezzando molto i nostri sforzi. In questo momento della stagione non mi interessa guardare alla classifica, questo è un progetto a lungo termine, stiamo inserendo tanti giocatori giovani e i tifosi sembrano apprezzare i nostri sforzi. La filosofia della famiglia Pozzo è anche la mia: lavorare sulla qualità del gioco innanzitutto, i risultati seguiranno.

Lei ha citato i tanti giovani, tra cui alcuni arrivati in prestito dalle altre società dei Pozzo, Granada e Udinese, presenti in rosa. Però al Watford c'è anche un veterano come l'ex romanista Marco Cassetti.
Sì, Marco è titolare e si sta facendo valere e apprezzare da tutti, anche fuori dal campo.

A livello tattico, In Italia va molto il 3-5-2. Lei in passato utilizzava altri schemi. Ora?
Ora impiego proprio il 3-5-2! Come tutti gli schemi ha i suoi pro e contro e va scelto in base ai giocatori che si hanno a disposizione, però in generale penso che dia maggior equilibrio alla squadra. A inizio stagione avevo scelto il 4-3-3, però quando ho visto che non funzionava ho preferito cambiare.

Il Watford è famoso per due personaggi profondamente legati al club: in primis Elton John, poi Luther Blissett, protagonista di una stagione tragicomica al Milan nel 1983-84. Li ha incontrati?
Ho parlato al telefono con Elton John, che si è detto molto contento del mio arrivo al Watford. Mi ha promesso che un giorno verrà allo stadio, ma per il momento non si è ancora visto. Blissett invece credo che non bazzichi più l'ambiente del club.

La Championship, oltre a essere il quinto campionato più seguito in Europa, è anche rinomato per essere un torneo molto duro. Conferma?
Confermo. Anzi, è addirittura più duro di quello che mi aspettavo. Con tutto il rispetto per la nostra serie B, la Championship è un torneo molto più competitivo e di livello superiore anche dal punto di vista tecnico. Qui puoi perdere con tutte, c'è un equilibrio totale. Prendi il Peterborough, è stato sconfitto nelle sette partite iniziali e poi è andato a vincere in trasferta su due campi molto difficili.

Obiettivo promozione?
Per questa stagione no, al massimo possiamo ambire a un posto nei play off, anche visto l'equilibrio che regna nel campionato. Certo, quando i Pozzo hanno rilevato il club lo hanno fatto con l'idea di riportarlo in Premier nell'arco di qualche anno.

Lei ha spesso detto che è meglio la tranquillità del calcio inglese rispetto ai veleni del calcio italiano. Ma davvero non tornerebbe e ha preferito “lasciar cadere” l’offerta della Lazio?
Sì, ribadisco, io sono felicissimo della scelta che ho fatto di tornare qui in Inghilterra. È vero, sono stato vicino a firmare con la Lazio, poi non è stato bello come sono andate a finire le cose. Onestamente non ne parlo con piacere, ormai è andata così e preferisco non tornarci su. Poi loro sono contenti della scelta fatta con Vladimir Petkovic, cui auguro di fare bene. Più in generale non escludo in futuro di poter tornare in Italia, qualora si dovesse presentare un'occasione valida. Però dopo la trattativa con la Lazio il mio obiettivo era tornare in Inghilterra, dove mi piace vivere e lavorare, per cui ho accettato molto volentieri la proposta della famiglia Pozzo.

Al Chelsea ha giocato con Di Matteo. Si aspettava che sarebbe diventato un grande manager, ma che poi, dopo una messe di successi, Abramovich lo avrebbe licenziato? Invece come mai Vialli ha raccolto così poco? Anche al Watford non ha lasciato un buon ricordo…
Francamente non mi aspettavo proprio che Di Matteo avrebbe intrapreso la carriera di allenatore, quando lo ha fatto mi ha sorpreso molto. Però è sempre stato evidente a tutti che aveva delle grandi capacità e si meritava tutto il successo che ha ottenuto. Per quello che è successo negli ultimi giorni posso solo dire che mi dispiace molto. Vialli ai tempi del Chelsea aveva vinto dei trofei lasciando una buona impressione, poi è vero che al Watford le cose non sono andate un granché. Una stagione storta ci può stare, Luca però ha deciso di dedicarsi ad altro, di non proseguire la carriera di allenatore. Non me lo aspettavo, ma lui ha fatto la sua scelta.

A proposito di allenatori italiani, che cosa pensa del ct della nazionale Cesare Prandelli?
In tempi non sospetti, prima che iniziasse l'Europeo, ho pubblicamente lodato il lavoro di Prandelli. Secondo me sta facendo benissimo a puntare così tanto sui giovani. È un ottimo allenatore che sta riportando entusiasmo nell'ambiente della nazionale, proprio quello che serviva.

Fra il 2006 e il 2008 è stato consulente tecnico della Under 21 allenata da Gigi Casiraghi. Un'esperienza con luci e ombre.
Quella under 21 ha raccolto molto poco in termini di risultati, ma ha favorito la crescita di giocatori importanti che adesso militano nella nazionale maggiore, ciò che penso sia proprio il compito di una selezione giovanile. Con Casiraghi abbiamo puntato forte su gente come Giovinco, che all'epoca trovava spazio solo in primavera, e Giuseppe Rossi, che faceva la riserva al Manchester United, però poi i risultati ci hanno dato ragione.

Adesso c'è Insigne...
Sì, non lo conosco benissimo, ma mi sembra un ottimo giocatore. I migliori giovani italiani secondo la mia opinione sono Verratti e soprattutto Rossi. Lui è fortissimo, appena si riprenderà dal brutto infortunio che ha avuto dimostrerà tutto il suo valore, ne sono convinto.

A proposito di Insigne, per caratteristiche e struttura fisica sembrerebbe l'erede suo e di Maradona. Certo quando lei è stato a Napoli c'era una squadra stellare.
Quello del Napoli era soprattutto un grande gruppo, molto unito in campo e fuori. Io sono rimasto in contatto con molti di loro e uno, Giancarlo Corradini, adesso è il mio assistente al Watford. Maradona, beh, lui sul rettangolo di gioco era un marziano, però era anche un uomo-spogliatoio, amatissimo da tutti.

Riattraversiamo la Manica. In Inghilterra ormai in tanti si lamentano per l’eccessiva commercializzazione del football. Eppure anche così rimane meglio del nostro calcio?
Sì, qui sanno vendere molto bene il loro prodotto, però è anche vero che il campionato inglese è di altissimo livello, tra i migliori al mondo. Sicuramente superiore alla nostra Serie A da vari punti di vista.

Oltre Manica i vari Abramovich e Al Mansour stanno facendo la fortuna dei rispettivi club. Ci dobbiamo augurare che anche da noi approdino personaggi del loro calibro? Oppure è meglio puntare sui giovani e tagliare i costi?
Al momento vista la crisi generale che ha colpito il calcio italiano è senza dubbio meglio puntare sui giovani e risanare i bilanci. Un po' come hanno già fatto in Germania, con enorme successo. Poi, se in futuro le cose andranno meglio e si presenteranno imprenditori anche stranieri con denaro e progetti seri, la cosa potrebbe essere positiva.

Ai tempi del West Ham il primo proprietario era Björgólfur Guðmundsson, a sua volta padrone della Landsbanki, una delle prime banche a risentire degli effetti della crisi proprio per la dissennata gestione finanziaria di Guðmundsson. Anche il West Ham si ritrovò in grande difficoltà, tanto che poi la società fu ceduta. Come ha vissuto quei mesi?
È chiaro che non era l'ideale. Il problema principale è stato cambiare buona parte dei programmi a stagione iniziata e ritrovarsi l'anno successivo, il secondo della mia gestione, con difficoltà enormi. Mancavano i fondi e ho dovuto affidarmi a tanti giovani, ma a volte anche i giovani vanno inseriti al momento giusto, con calma e pazienza. Purtroppo al West Ham in quei mesi non l'ho potuto fare a causa di una serie di contingenze negative.

Poi si è insediata una nuova proprietà e l'ha mandata via per prendere Avram Grant. E il West Ham è retrocesso...
Sì, ma quello per me ormai è un capitolo chiuso, acqua passata.

Certo passare da idolo assoluto dei tifosi del Chelsea ad allenatore del West Ham, squadra simbolo dell’East End proletario londinese, non deve essere stato facile. I fan del Chelsea l’hanno mai criticata per essere diventato il manager degli Irons?
No, ho avuto modo di spiegare loro la mia scelta di carattere professionale e loro hanno capito. Anche i tifosi del West Ham mi hanno sempre trattato molto bene, non mi hanno mai fatto una colpa del mio passato. Diciamo che qui alcune situazioni si vivono in modo diverso rispetto all'Italia, fortunatamente...

Parliamo del periodo allo Stamfdord Bridge. Lei arrivò al Chelsea perché nel Parma di Ancelotti non trovava più spazio. Però con i Blues ha lasciato un’impronta indelebile sul calcio inglese. È un errore affermare che in Inghilterra sapevano apprezzare ancora la fantasia, mentre il nostro calcio stava già iniziando la preoccupante involuzione che, legata alle difficoltà economiche, ha portato la Serie A ai margini del football che conta?
A Parma non stavo giocando un granché e insieme alla società capimmo che era arrivato il momento di separarci. Però è vero che in quel momento il nostro calcio aveva iniziato a dare maggior importanza alla tattica e all'elemento fisico a discapito della tecnica. Io penso che ci sia sempre bisogno del giusto equilibrio tra questi tre fattori e che in effetti l'inizio della crisi a livello di gioco sia iniziato proprio in quegli anni, quando questo equilibrio si è un po' perso.

Più importante il goal all’Inghilterra a Wembley nel 1997 o quello in finale di Coppa delle Coppe allo Stoccarda nel 1998?
Sicuramente quello con la nazionale nel match delle qualificazioni ai Mondiali del 1998. Giocare per l'Italia per me è sempre stato un grandissimo onore, poi fare un goal così importante e decisivo in un tempio del calcio come Wembley non ha prezzo.

E il goal più bello della sua carriera?
Quello contro il Norwich in un match di Coppa d'Inghilterra. Cross da calcio d'angolo, io colpisco al volo di tacco e la metto sotto la traversa. Ogni tanto me lo rivedo ancora su You Tube.

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