Il soprannome di entrambi i club è Red Devils, diavoli rossi. Ma le similarità finiscono qui, tanto che nella storia del football inglese le due compagini non si sono mai incontrate. Almeno fino a sabato, quando il grande Manchester United e il minuscolo Crawley Town si fronteggeranno davanti ai quasi 80mila spettatori dell’Old Trafford per la partita più singolare del quinto turno di Coppa d’Inghilterra, forse l’unica competizione al mondo che può proporre sfide così fuori dal comune.
La capolista della Premier League, con una bacheca di trofei tra le più affollate dell’orbe terracqueo, contro la potenziale prima in classifica della Blue Square Bet Premier Division, la massima serie semidilettantistica del beautiful game (il Crawley al momento è secondo, ma ha cinque incontri da recuperare e solo quattro punti di distacco dalla capolista AFC Wimbledon). In realtà un altro elemento in comune alle due società c’è, ed è quello dei debiti. Tanti, intorno ai 600 milioni di euro, quelli dello United, a causa della furbesca gestione finanziaria portata avanti dal 2005 a questa parte dalla famiglia americana dei Glazer, che però si mormora sarebbe sul punto di vendere il club alla famiglia reale del Qatar per quasi due miliardi di euro. Visto quanto già accaduto con il City, sembra proprio che i fondi sovrani arabi abbiano una predilezione per la città di Manchester.
Ma a proposito di passività negative in bilancio, anche il Crawley Town – che rappresenta una cittadina a 45 chilometri a sud di Londra – nel suo recente passato se l’è vista brutta. A inizio 2009, i debiti da pagare ammontavano a poco più di un milione di euro, un’enormità per una realtà di quelle dimensioni. Poi nell’aprile dello stesso anno l’attuale presidente Bruce Winfield e un gruppetto di imprenditori locali corsero al capezzale del club, assolvendo alle varie pendenze in atto e iniziando a compiere importanti investimenti sul mercato. Non a caso la scorsa estate il Crawley ha stabilito il record di categoria, dal momento che ha speso 250mila euro per assicurarsi i servigi dell’attaccante Richard Brodie. Sembra che il Manchester City del mondo dilettantistico, come viene definito in maniera sprezzante dai rivali, debba le sue fortune a un uomo d’affari di Hong Kong, da cui arriverebbero buona parte dei fondi impiegati di recente.
Insomma, di romanticismo e profumo del calcio di una volta, nella bella avventura del Crawley, ci sono poche tracce, ma tant’è, per diventare la sesta compagine non league (esponente del mondo dilettantistico) ad arrivare così avanti nella competizione più antica del Pianeta dal Secondo Dopoguerra a oggi qualche quattrino in più è indispensabile.
La sfida nella sfida è tra i due manager, entrambi scozzesi. Alex Ferguson non ha bisogno di presentazioni, basta solo aggiungere che da bambino tifa per i Glasgow Rangers, squadra in cui ha militato qualche decennio fa, quando era un calciatore appena discreto. Steve Evans, invece, è una fanatico dei Bhoys di bianco e verde cerchiati, dei Glasgow Celtic, e ha una carriera d’allenatore macchiata da qualche peccatuccio di troppo. Ai tempi del Boston United fu sospeso per 20 mesi dalla Football Association a causa di gravi irregolarità contrattuali, successivamente è stato dichiarato colpevole da una corte inglese per evasione fiscale. Per non parlare poi delle sue performance a bordo campo. Nel 2006 al Blundell Park di Grimsby la polizia lo ha “accompagnato” fuori dallo stadio a metà partita dopo che aveva rovesciato sul povero quarto uomo un ingente carico di parolacce. Le giornate di squalifica e le espulsioni per condotta poco riguardosa nei confronti della terna arbitrale ormai non si contano più; chissà se saprà mantenere un aplomb impeccabile al Teatro dei Sogni e soprattutto in diretta televisiva nazionale.
Al di là delle sue marachelle, Evans ha sempre dimostrato di essere il classico buon allenatore di categoria e quest’anno sta conducendo i Red Devils a un’impresa storica: l’accesso alla Football League. Già il passaggio dal primo al terzo turno della Coppa d’Inghilterra (ovvero quando scendono in campo i big), poteva costituire la classica ciliegina sulla torta, figuriamoci la vittoria casalinga contro il Derby (blasonato team di Championship, l’equivalente della nostra Serie B) e il Torquay United (quarta serie) negli impegni successivi. Con i Rams allenati dal figlio del leggendario Brian Clough, Nigel, ha deciso nei minuti di recupero un gol del centrocampista argentino Sergio Torres, unico straniero della rosa di questa stagione insieme al portiere olandese ex Brighton Michel Kuipers. Una prodezza che ha scatenato l’entusiasmo dei 4mila fan accorsi all’angusto Broadfield Stadium – ovviamente per l’occasione tutto esaurito – tra i quali alcuni hanno pure esposto un “irriguardoso” striscione che recitava “Il vero Torres ce l’abbiamo noi”.
Un pizzico di spavalderia che non fa difetto – e come poteva essere altrimenti – nemmeno a Evans, il quale, dopo aver previsto che il sorteggio avrebbe accoppiato la sua squadra con gli illustri avversari, ha così commentato: “Siamo l’unica squadra non league in grado di battere il Manchester United. Certo, ci vorrà un miracolo, ma i miracoli a volte accadono”.
A confortare in parte il tecnico del Crawley ci sono alcuni precedenti di una manciata di anni fa. Nel 2005 e nel 2006 i Red Devils più celebri, per l’occasione imbottiti di riserve, pareggiarono il primo match per 0-0 sia contro l’Exeter City che con il Burton Albion, allora entrambi team semidilettantistici. Con l’Exeter la figuraccia arrivò addirittura all’Old Trafford, al cospetto però di 10mila tifosi ospiti in estasi di gioia. Certo, poi nei replay Ferguson mise in campo qualche titolare in più, guadagnando facilmente la qualificazione al turno successivo.
A Crawley tutti si augurano di poter assistere a una ripetizione del match a campi invertiti, che costituirebbe un vero e proprio evento epocale per il centro del West Sussex. Hai visto mai che quel giorno si possa materializzare pure l’ignoto benefattore di Hong Kong?
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