“La fortuna si nasconde sempre”, recita una strofa del meraviglioso inno “I’m Forever Blowing Bubbles” che i supporter del West Ham cantano ormai da 90 anni. Mai come quest’anno quel passaggio ben si addice alla deludente stagione degli Irons. Domenica scorsa siamo stati testimoni diretti dell’ennesima prestazione sconclusionata dei beniamini dell’East End londinese, infarcita di errori, tanta buona volontà e qualche (raro) colpo di genio.
Eppure l’umore dei tifosi prima del match casalingo con l’Everton era dei migliori, soprattutto grazie all’iniezione di fiducia rimediata con la vittoria in extremis nel recupero contro l’Aston Villa. Green Street, lo stradone reso famoso (quanto meno in Italia) dall’omonimo film e dai recenti fatti del derby con il Millwall, è un unico serpentone di tifosi in claret & blue, con qualche macchia blu-Everton. L’atmosfera è tranquilla e rilassata, anni luce lontana da quella brutta serata di fine agosto, quando centinaia di supporter di Hammers e Lions se la diedero di santa ragione e ci scappò pure il morto. Almeno così pare, leggendo alcuni siti inglesi che riportano come la persona accoltellata su Priory Road, in prossimità dell’entrata dedicata ai tifosi in trasferta, sia deceduta dopo alcune settimane di agonia. Le scene alle quali assistiamo sono le “solite” che si verificano nelle vicinanze di uno stadio inglese: venditori di programmi vecchi e nuovi, spillette, sciarpe e t-shirt (spesso canzonatorie degli odiati Spurs) presi d’assalto, pub che straboccano di gente, hamburger e hot dog divorati in quantità industriali nei paraggi dei chioschi di cipolla maleodoranti. La tipicità del Boleyn Ground è la processione per la foto di rito nei pressi della statua che ritrae Bobby Moore, Geoff Hurst e Martin Peters (i tre Irons che vinsero la Coppa del Mondo nel 1966) allo zenit delle loro carriere, e la bancarella dell’hooliologist (così si autodefinisce…) Cass Pennant, che spaccia libri, dvd, magliette e cappellini “a tema”. A differenza di altre occasioni, non ci imbattiamo nel gigantesco ex membro dell’Inter City Firm, il gruppo di punta degli hooligans del West Ham negli anni Settanta e Ottanta.
L’entusiasmo dei tifosi dura fino all’inizio partita, carico di emozioni per il minuto di silenzio in onore delle vittime delle guerre mondiali e dei conflitti in corso – in Inghilterra la seconda domenica di novembre si osserva il Remembrence Day (che in realtà cade l’11 dello stesso mese) – e per il più mondano canto dell’inno “Bubbles”. Poi gli idoli di casa iniziano a giocare e lì sono dolori. Il Boleyn Ground si spegne. La Bobby Moore Stand, culla del tifo claret & blue, smette di cantare, e sembra solo bisbigliare tutta la sua delusione. Tanti sostenitori seguono la partita in piedi, segno che anche nel Regno Unito alcune regole troppo draconiane – tipo quella di dover per forza stare seduti durante il match – si possono superare al grido de “l’unione fa la forza”. Ovvero se siamo in mille e non in cinque ad alzarci gli steward non ci butteranno fuori. Il letargo ha un rapido sussulto dopo le balla rete di Luis Saha che regala l’1-0 a un Everton incerottato e reduce dalla doppia figuraccia in Europa League contro il Benfica. Ma fino all’intervallo si sente solo lo spicchio di Trevor Brooking Stand dove sono assiepati i fedelissimi dei Toffees. Sarà che nella pausa i maxi schermi del Boleyn Ground trasmettono un’intervista a Paolo Di Canio – che qui adorano – corredata da qualche sua celebre segnatura, sarà che gli Irons cominciano ad imbroccare qualche passaggio in più, il secondo tempo si apre con tutt’altra atmosfera.
Dopo un quarto d’ora entra pure Alessandro Diamanti, al posto di un evanescente – e siamo clementi – Luis Jimenez. L’ex livornese si presenta subito con un assist meraviglioso per il bimbetto Zavon Hines, che insacca con la complicità di Tony Hibbert. I 30mila supporter di fede West Ham impazziscono, sebbene la marcatura valga solo l’1-2 – nel frattempo aveva raddoppiato Dan Gosling. L’ultimo quarto di gara è un Diamanti show, ma pure i suoi compagni ci provano senza tregua. Hines e l’altro prodotto dell’Academy Junior Stanislas si mangiano un paio di gol fatti ma va bene lo stesso. Qui la mentalità vuole che se dai il 110 per cento, a fine partita ricevi lo stesso gli applausi. Anche se hai perso e ti ritrovi in piena zona retrocessione. Nessuno se la prende con Gianfranco Zola. Per carità, il sardo può vantare tutte le attenuanti del caso. Ha l’infermeria piena (è fuori pure il bomber Carlton Cole), giovani promettenti ma ancora alle prime armi e un Valon Berhami lontano parente di quello ammirato nella sua esperienza con la Lazio. Però far giocare solo mezz’ora a un Diamanti che tira, crossa, sforna assist e lotta come un leone su ogni palla è delittuoso. La fortuna si nasconderà pure, ma ogni tanto va anche aiutata…
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