Forse per l’Aston Villa il sogno di diventare campione d’Inghilterra sarà destinato a rimanere tale, ma ci sono comunque ottime possibilità che il team di Birmingham possa scardinare la ferrea presa che le cosiddette Big Four del calcio inglese (Manchester United, Liverpool, Chelsea e Arsenal) hanno da tempo sulle prime quattro posizioni della classifica della Premier. Al momento i Villans sono terzi, a soli cinque punti dai campioni d’Europa dello United e con un discreto vantaggio sulle dirette inseguitrici (più due sul Chelsea e addirittura più sette sull’Arsenal).
Di solito in questi casi si tende a parlare di miracolo e a dare buona parte dei meriti all’allenatore. Il Villa non fa eccezione. Sulla sua panchina siede un tecnico esperto e capace come Martin O’Neill, in gioventù centrocampista dal carattere un po’ bizzoso in quel di Nottingham. Era il Forest dei miracoli, che sotto la guida del leggendario Brian Clough stupì l’Europa vincendo due Coppe dei Campioni consecutive nel 1979 e 1980. Da grande O’Neill, nordirlandese di fede cattolica e anche ex buon giocatore di calcio gaelico, ha provato a ripercorrere le orme del suo mentore al City Ground, senza deludere. Il nostro ha lasciato ottimi ricordi sia a Leicester che a Glasgow – ovviamente sponda Celtic. Al Parkhead era letteralmente venerato, non foss’altro perché ai tre campionati vinti in grande stile aggiunse anche la splendida cavalcata nella Coppa Uefa edizione 2002-03, culminata in una Siviglia invasa dai colori biancoverdi con la finale persa ai supplementari contro il Porto di José Mourinho.
L’avvento di O’Neill è coinciso con un altro importante arrivo nelle West Midlands: quello del milionario americano Randy Lerner. Lerner è forse il presidente straniero più amato di tutto il football d’Oltre Manica. Arrivato in punta dei piedi, non si è buttato a capofitto su nomi a sensazione, ma ha preferito impostare la sua gestione sull’oculatezza e i progressi a lungo termine, assecondando sempre il volere del tecnico, che ha preferito dare un’impronta molto britannica alla sua squadra. Non a caso nella formazione dell’Aston Villa si contano solo tre titolari stranieri – il portiere veterano Brad Friedel, l’ex Celtic Stilian Petrov e il centrale difensivo danese Martin Laursen, già visto in Italia con le maglie di Verona e Milan. Gli altri membri del team sono per buona parte giovani inglesi di grande qualità come gli attaccanti Ashley Young e Gabriel Agbonlahor, il difensore Curtis Davies e l’esterno James Milner, tutti nel giro della nazionale maggiore. Completano il mosaico dei punti cardine della compagine claret & blue gli esperti Gareth Barry e Emile Heskey. Un mix vincente, capace di giocare un calcio divertente ma anche efficace, di sana impronta britannica però attendista quanto basta da garantire una messe di successi lontano dal Villa Park – finora ben dieci, con una striscia aperta di sette, record del club.
In realtà Lerner, in patria proprietario della franchigia di football americano dei Cleveland Browns, è tanto amato dai supporter del Villa anche per un’altra ragione: li ha liberati dalla dittatura dell’ex padre-padrone Doug Ellis. Uno che ha retto le sorti societarie per una vita, prima dal 1968 fino al 1979 e poi dal 1983 al 2006, “intitolandosi” pure una delle tribune dello stadio (sebbene lui sostenga che furono gli altri membri del board a cambiare nome alla Witton Stand per “fargli un regalo di compleanno”). Curioso, o forse no, come le due grandi imprese dell’Aston Villa a inizio anni Ottanta arrivarono quando Ellis non faceva momentaneamente parte del club. Stiamo ovviamente parlando del campionato vinto nel 1981 e della Coppa dei Campioni – allora si chiamava ancora così – messa in bacheca il 26 maggio 1982. Ovvero quando a Rotterdam contro il Bayern Monaco la riserva Nigel Spink parò tutto a Rummenigge e compagni e un gol del “bisonte” Peter Withe (arrivato dopo una delle poche sortite offensive prodotte in tutta la partita dalla compagine inglese) regalò il loro momento di massimo fulgore ai vari Tony Morley, Gary Shaw e Gordon Cowans. Dopo quella splendida parentesi, ci sono state da registrare quasi esclusivamente cocenti delusioni, compresa una retrocessione in Second Division nel 1987. Prima che, nel 2006, Ellis si decidesse a cedere il club, al Villa Park le contestazioni si sprecavano. “We Want Ellis out” (Ellis vattene) era divenuto il coro più gettonato dai supporter, che non perdonavano all’anziano presidente una conduzione approssimativa della società e una tendenza inveterata a non voler spendere troppe sterline sul mercato. Insomma, di non essere in grado di onorare il blasone di uno dei club più antichi e gloriosi d’Inghilterra, che a cavallo tra la fine del Diciannovesimo secolo e l’inizio del Ventesimo seppe vincere sei campionati e altrettante coppe d’Inghilterra. All’epoca l’Aston Villa era una vera potenza, il primo squadrone degli albori del professionismo nel football. Non solo influenzò lo stile di gioco, fu anche imitato per la bellezza della mitica maglia claret & blue (celeste e vinaccia), successivamente adottata da altre celebri compagini come il West Ham o il Crystal Palace.
Per la verità dopo i fasti di inizio Novecento ed episodici revival negli anni Cinquanta e Ottana, i Villans hanno spesso attraversato periodi di vacche magrissime, il cui nadir è coinciso con l’eclatante capitombolo in terza serie nel 1969. L’attaccamento dei tifosi, di estrazione più borghese rispetto ai cugini working class del Birmingham City, tuttavia è sempre rimasto immutato. Anche in Third Division l’affluenza al Villa Park era intorno alle 40mila presenze. Qualche anno fa lo storico impianto ha subito un profondo maquillage. La vecchia, immensa curva, la Holte End, è stata completamente ricostruita. Stessa sorte è toccata alla Trinity Road Stand, la tribuna che fino al 2000, data della sua “sostituzione”, era ritenuta forse la più bella d’Inghilterra. Disegnata dal celebre architetto di stadi Archibald Leitch e inaugurata da Re Giorgio VI nel 1924, la decisione di buttare giù la sua elegante facciata di mattoncini rossi e le gloriose gradinate è un altro dei misfatti che i supporter non perdonano al povero Ellis.
Pubblicato ieri dal Manifesto
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