Questo esce domani su Goal.com ed è una versione più lunga e aggiornata di un articolo già pubblicato dal Manifesto.
Alcool e football. In Inghilterra è un binomio indissolubile per tanti tifosi ma anche per molti calciatori, che a volte esagerano e finiscono per rimanere coinvolti in qualche pub brawl, la “classica” rissa da eccesso di birra e superalcolici.
Poco prima di Capodanno anche una delle stelle più fulgide del firmamento calcistico d’Oltre Manica come Steven Gerrard è finito per qualche ora dietro le sbarre per una scazzottata in un locale notturno. Il capitano del Liverpool ha negato di essere stato ubriaco al momento del fattaccio, ma non è da escludere che il “fattore alcool” abbia giocato un ruolo in tutta la vicenda.
È tuttavia innegabile che la drinking culture – e i relativi danni collaterali – continui a fare i suoi proseliti nel mondo del calcio britannico.
Tutti ormai conoscono la triste storia di George Best, ucciso dalla sua passione per la bottiglia, ma anche gente del calibro di Bobby Moore, capitano dell’Inghilterra vincitrice dei mondiali 1966, e di Jimmy Greaves, fenomenale attaccante del Tottenham che giocò anche qualche partita nel Milan di Nereo Rocco, ammise la propria condizione di alcolista. Grazie al taglio scandalistico dei tabloid, negli anni Sessanta iniziarono a essere di dominio pubblico le storie sui calciatori sbevazzoni che prima rimanevano circoscritte nell’ambito degli addetti ai lavori e dei frequentatori di night club – non a caso si vocifera che a cavallo tra le due guerre il grande centravanti dell’Everton e della nazionale Dixie Dean fosse un vero scavezzacollo. Di vicende curiose e divertenti ce ne sarebbero da riempire qualche libro.
Come non citare, però, almeno la funambolica ala scozzese Jimmy Johnstone o il mattacchione londinese Robin Friday. Il primo, durante un ritiro della nazionale del leone rampante, una notte era così alticcio che non si accorse che la barca su cui era salito per riprendersi dall’eccesso di alcool non fosse legata. Per riportarlo a riva dovette intervenire la guardia costiera! Il secondo è per molti il più grande talento sprecato della storia del calcio inglese. Uno che al principio della sua carriera, quando militava ancora nei dilettanti dell’Hayes, durante una partita improvvisamente sparì per un quarto d’ora, per poi rientrare e segnare il gol decisivo. L’assenza temporanea, ça va sans dire, era dovuta a una capatina al pub adiacente allo stadio…
Senza andare troppo lontano nel tempo altri campioni come Tony Adams e Paul Merson hanno faticato non poco per liberarsi del demone dell’alcool. Adams ha anche scontato 56 giorni di prigione per guida in stato di ebbrezza, decidendo poi di mettere in piedi una clinica specializzata per il recupero di sportivi che hanno imboccato la strada della dipendenza da alcool, droghe o scommesse.
I nuovi metodi di allenamento e soprattutto l’uso di nutrizionisti e dietologi per salvaguardare la forma degli atleti cominciano ad avere un effetto positivo, almeno nella ricca Premier. Ma chi beve un bicchierino di troppo si pizzica sempre. Nel 2000 sette pinte di vodka e rum e il conseguente attacco al malcapitato Sarfraz Najeib sono costate a Jonathan Woodgate una notte in cella e 100 ore di servizi sociali. Un anno e mezzo fa, prima di un ottavo di Champions League tra Barcellona e Liverpool, il litigio alcolico tra Craig Bellamy e John Arne Riise, con il gallese a rincorrere l’attuale terzino della Roma con una mazza da golf, fece la gioia dei direttori dei giornali popolari di mezza Europa.
Purtroppo il caso più eclatante di fuoriclasse dei nostri tempi rovinato da birra e whisky è ancora quello di Paul “Gazza” Gascoigne. Tra marachelle e follie varie, una “gita” all’ospedale psichiatrico e un pestaggio alla povera moglie Sheryl, l’ex numero otto di Newcastle, Tottenham e Lazio non sembra proprio farcela a vincere la sua battaglia contro l’alcool. Il giorno di Natale era atteso dai familiari per pranzo, invece si è rintanato in un hotel nei pressi del centro di recupero di Minsterworth, nel Gloucestershire, dove è in cura da tre settimane. L’hanno ritrovato dopo tre giorni. Solo, ubriaco e depresso per le parole del figlio dodicenne Regan, che in un documentario di prossima diffusione su Channel Four ha dichiarato: “mio padre morirà presto”.
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