Uscito il mese scorso su Fever Pitch, la nuova rivista di calcio britannico.
È l’unica squadra formata da dilettanti di tutte le divisioni professionistiche inglesi e scozzesi. La sua casa è uno stadio da oltre 50mila posti, dove gioca la nazionale con il leone rampante sul petto. Ha un palmares di tutto rispetto, in cui figurano ben 10 coppe di Scozia. Stiamo ovviamente parlando del Queen’s Park di Glasgow – l’impianto, nemmeno a dirlo è Hampden Park – storica compagine nata nel lontanissimo 9 luglio del 1867 su iniziativa di un gruppo di studenti e professionisti.
In piena epoca vittoriana al di là del Vallo di Adriano il Queen’s Park divenne il club per eccellenza. Non solo per essere stato il primo in assoluto a vedere la luce e uno dei sette (poi tutti spariti, tranne ovviamente i bianconeri) a fondare la Scottish Football Association nel 1873, ma anche per aver influenzato enormemente il football in quei giorni di campi fangosi, scarpe chiodate e brache lunghe. Gli Spiders furono l’esempio, il modello da imitare. Si distinsero come dei veri precursori, nel loro innovativo impianto di regole introdussero la traversa, il calcio di punizione e l’intervallo tra i due tempi. Come se non bastasse, al Queen’s Park si deve un primo tentativo di “ingentilire” un gioco fino ad allora ancora troppo rozzo, più simile al rugby che al calcio come lo intendiamo oggi. I giocatori del team glasvegiano capirono l’importanza del passaggio al compagno e della tattica, dimostrandosi subito superiori a tutte le altre formazioni amatoriali incontrate nelle amichevoli organizzate in quegli anni. Non a caso la prima nazionale scozzese che il 30 novembre 1872 affrontò l’Inghilterra era composta da 11 giocatori (compreso il capitano Robert W. Gardner) del Queen’s Park, a cui si deve anche il primo completo maglia blu, calzoncini bianchi e calzettoni rossi della rappresentativa di Scozia. Fino al 1873, infatti, quelle erano le divise di gioco degli Spiders, poi mutate nei classici hoops (cerchi) bianconeri mantenuti fino ad oggi.
In assenza di un vero e proprio campionato, furono le coppe a monopolizzare l’interesse del Queen’s Park. Sia la FA Cup scozzese che quella inglese. In Inghilterra i ragazzi di Glasgow ebbero l’onore di disputare la prima edizione del torneo calcistico più antico del pianeta, abbracciando le regole della federazione nata nel 1863 presso la Freemasons’ Tavern di Londra. Per agevolarli e ridurre al massimo le loro spese – viaggiare non era poi così facile come ai nostri giorni – gli organizzatori li fecero partire direttamente dalle semifinali. Ma proprio per motivi logistici, non poterono ripetere la gara con i Wanderers (terminata 0-0) e dovettero far strada ai futuri vincitori del trofeo. Nel 1884 e nel 1885, guidati dall’ottimo centrocampista Charles Campbell, raggiunsero addirittura la finale e con tanto di etichetta di favoriti. Persero in entrambe le occasioni (1-2 e 0-2, sempre contro il Blackburn Rovers), lasciando per sempre ai loro tifosi il rimpianto di non aver portato la coppa in Scozia. Le cose andarono meglio sul suolo amico. Le prime tre FA Cup furono vinte alla grande, tanto per rimarcare una netta superiorità rispetto al resto delle contendenti. Nel 1886 si potevano contare già otto trionfi nella coppa nazionale e sette affermazioni nella Glasgow Merchant's Charity Cup, istituita nel 1876 con finalità benefiche da un gruppo di imprenditori della città.
Ma per assurdo la grande popolarità del calcio, la sua enorme diffusione in ogni angolo del Regno, era destinata a giocare un brutto scherzo al Queen’s Park. Nomi nuovi si affacciavano all’orizzonte, club ambiziosi come quello fondato da un prete cattolico, Fratello Walfrid, cui venne dato il nome di Celtic. Sempre a Glasgow iniziava a farsi valere un’altra compagine, frutto della passione di un gruppo di amici protestanti: i Rangers. Ma era soprattutto il fantasma del professionismo a incombere sempre più minaccioso. L’idea romantica di una squadra formata solo di dilettanti nativi di Glasgow, che aveva convinto il board nel 1890 a declinare l’offerta di entrare a far parte della Football League (ritenuta un “covo di professionisti” destinato a stroncare tutte le piccole realtà calcistiche del Paese) e a disputare la prima edizione del campionato, non si coniugava più con i crescenti interessi economici che il football aveva attorno.
Emblematica, a questo proposito, fu la finale di Coppa di Scozia del 1892 tra Queen’s Park e Celtic. I bianco-verdi vinsero nettamente in campo (un epico 5-1) e fuori, se è vero che a partire dal 1893 quello del calciatore divenne un mestiere retribuito a tutti gli effetti e il motto degli Spiders, ludere causa ludendi, giocare per il semplice piacere del gioco, apparve già superato nei fatti. Da quel momento il Celtic spiccò il volo in maniera definitiva, mentre il Queen’s Park iniziò un lento ma inesorabile declino.
Certo, gli Spiders trovarono ancora il tempo di aggiudicarsi un’altra coppa e una Glasgow Cup (altra competizione di marca glasvegiana), ma ormai il loro destino appariva segnato. Nel 1900 capitolarono in parte al nuovo che avanzava, scegliendo di disputare il campionato. Tre anni dopo si trasferirono al terzo Hampden Park della loro storia – il secondo fu venduto al poi defunto Third Lanark, che lo ribattezzò Cathkin Park. Il gigantesco impianto, quello del famoso “ruggito” del pubblico, nel 1933, in occasione del secondo turno di FA Cup contro i Rangers, fece registrare il record di presenze per un incontro del Queen’s Park. Ben 97 mila persone accorsero ad assistere alle giocate di Bob Gillespie e Jimmy Crawford, gli ultimi Spiders a vestire la maglia della nazionale scozzese (il record di caps è invece detenuto dal difensore Watty Arnott con 14).
Intanto nel 1922 il team aveva già conosciuto l’umiliazione del tonfo, seppure solo per una stagione, in seconda serie. In realtà in precedenza i bianconeri erano giunti altre cinque volte ultimi nella massima divisione scozzese, ma non essendo in vigore un meccanismo di retrocessione automatica in ragione dell’illustre passato gli era stata garantita la “rielezione” automatica.
Gli ultimi fuochi, una affermazione in Glasgow Cup e qualche buon piazzamento in campionato, arrivarono dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, quando il tetto salariale imposto dai club scozzesi era così basso che anche un club di dilettanti era in grado di mettere in piedi una squadra competitiva. Nel 1957-58, però, gli Hoops abbandonarono l’allora Division One (l’equivalente dell’attuale Premier), senza farvi più ritorno. Da allora il Queen’s Park ha girovagato nei bassifondi della lega scozzese non riuscendo nemmeno in parte a rinverdire i fasti del suo nobile passato. Qualche buon giocatore a inizio carriera ha vestito le maglie a strisce bianconere – “tale” Alex Ferguson e il portiere dei “Lisbon Lions” Ronnie Simpson – e di recente (nel 1998) si è deciso di garantire un salario all’allenatore e mettere sotto contratto ex professionisti, ma lo status amatoriale del club molto difficilmente regalerà troppe gioie ai tifosi. Ovvero a quelle centinaia di appassionati che occupano uno spicchio del South Stand di Hampden Park, ora del tutto ristrutturato e con una capienza ridotta a 52.500 posti. Lo stadio, non va dimenticato, è ancora di proprietà degli Spiders, anche se i lavori sono stati quasi interamente finanziati con fondi pubblici.
Anche il motto è sempre quello, ludere causa ludendi, che adesso potremmo parafrasare in “andiamo, divetiamoci e non pensiamo ai milioni di sterline che hanno intossicato il gioco moderno”. Altri mille di questi anni, caro vecchio Queen’s Park.
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