Il Manchester City sta vivendo un periodo a dir poco complicato, su questo non ci piove. Come se non bastassero le alterne fortune sul campo della compagine allenata da Mark Hughes, ora ci si sono messe anche altre vicissitudini a far dormire sonni agitati ai tifosi dei Blues. Prima la ben nota vicenda Kakà, quindi la notizia shock dell’accusa di stupro alla stella brasiliana Robinho stanno destabilizzando un ambiente che si aspettava ben altri accadimenti dalla stagione 2008-09, soprattutto dopo l’arrivo della multimiliardaria proprietà araba. Fortuna che almeno il neo-acquisto Craig Bellamy, prelevato dal West Ham United per la considerevole somma di 14 milioni di sterline, si è subito presentato con un gol nel suo esordio contro una delle sue tante ex squadre, il Newcastle United. Solo il tempo dirà se l’attaccante gallese sarà valso tutti quei soldi. Considerando i precedenti fallimenti di Bellamy proprio a Newcastle e poi a Liverpool, qualche perplessità sul suo reale valore agli addetti ai lavori rimane ancora.
È indubbio che a preoccupare i fan del City è l’impossibilità di fare acquisti di enorme pregio nonostante un conto in banca pressoché illimitato. Insomma, niente Kakà ma nemmeno niente Buffon o Messi, come avevano invece lasciato intendere con fin troppo ottimismo i nuovi padroni del vapore. Obiettivi troppo ambiziosi per un club che, almeno negli ultimi decenni, ha un cursus honorum più da provinciale che da grande del calcio inglese? In buona parte è questa la motivazione dei grandi rifiuti incassati finora dalla società tanto cara ai fratelli Gallacher degli Oasis e al campione del mondo di boxe Ricky Hatton.
Forse con un approccio più basato su una seria programmazione e meno su spunti da fantacalcio tra amici, le cose migliorerebbero e si potrebbe cercare sul serio di puntare ai vertici della classifica – cosa che quest’anno sta riuscendo all’Aston Villa, che proprio della gestione oculata e del sapiente mix tra giovani di grande talento e veterani di infinita esperienza ha fatto una ragione d’essere.
Non c’è bisogno di tirare in ballo vecchi adagi latini per rimarcare come di sbagli se ne possano sempre fare, basta poi imparare a dovere la lezione. Un altro errore che occorrerà tenere in considerazione nell’immediato futuro riguarderà quello dello svolgimento delle trattative di mercato, o meglio della presenza degli agenti al tavolo negoziale.
Sulla sua rubrica sul quotidiano inglese The Guardian David Conn, giornalista esperto di football e business, fa notare che per l’affare del secolo era stato chiamato a fare da mediatore Kia Joorabchian, fondatore ed ex presidente della controversa Media Sports Investments. Fin qui nulla di strano, se non fosse che l’anglo-iraniano Joorabchian non è un agente accreditato dalla Football Association inglese e che in Brasile è accusato di riciclaggio di denaro sporco per operazioni di mercato legate al Corinthians (nel 2004 il club dell’ex fenomeno Ronaldo fu praticamente cooptato dalla Media Sports Investments). Dopo gli scandali del recente passato, la FA nel 2008 ha deciso di operare una stretta molto rigida e severa sui soggetti che possono intavolare trattative per il trasferimento di un giocatore, tanto da stilare una lista ufficiale di nomi di procuratori o avvocati “giusti”. Joorabchian non rientra in quella lista. Lo scorso giugno il Luton Town, mediocre team di quarta serie, si è vista levare 10 punti in classifica per aver impiegato un agente non autorizzato nella compravendita di quattro giocatori.
Sebbene il Manchester City stia usando un basso profilo sul ruolo svolto da Joorabchian, Conn fa notare che è lo stesso sito ufficiale del Milan ad aver confermato che l’uomo d’affari di origini iraniane non si trovava a Milano per fare shopping a via Montenapoleone, bensì per portare Kakà nel Lancashire. Chissà se ora oltre al danno (l’essere stati snobbati dall’ex pallone d’oro), ci sarà anche la beffa (una penalizzazione in classifica). Scommettiamo che la Football Association sarà meno draconiana di quanto mostrato con il povero Luton?
Dalla mia rubrica settimanale su Goal.com
venerdì 30 gennaio 2009
martedì 27 gennaio 2009
I misteri del calcio
Il Tottenham si è già “ricomprato” Pascal Chimbonda e Jermain Defoe. Ora pare interessato a Robbie Keane, poco a suo agio alla corte di Benitez. Ho paura che dalle parti di White Hart Lane non abbiano idea di che cosa voglia dire il termine “programmazione”. Poi però non si devono stupire se la squadra è in piena zona retrocessione, a onta dei proclami di inizio stagione su un possibile piazzamento tra le prime quattro.
lunedì 26 gennaio 2009
Emozioni
Torquay e Kettering sono state molto sfortunate. Le ultime due sopravvissute del contingente non-league in FA Cup hanno senza dubbio raccolto molto meno di quello che meritavano. Però hanno regalato delle emozioni uniche, sicuramente più piacevoli delle ormai stucchevoli trattative di mercato (ogni riferimento alla vicenda Kakà è puramente voluto) e alle voci di cessioni di club più o meno importanti (leggi Liverpool e giù di lì). Adoro sempre il calcio inglese, però alcuni suoi aspetti "moderni" iniziano a darmi ai nervi.
mercoledì 21 gennaio 2009
Una vetta molto affollata
Uscito ieri su Goal.com
Mettiamo per un attimo da parte il florilegio di illazioni e notizie su Kakà che non approda Manchester City e Roman Abramovich che si sbarazza del Chelsea e parliamo di calcio giocato. Parliamo di una giornata di Premier dove gol pesanti sono arrivati negli istanti conclusivi di tutti i match più rilevanti per il vertice della classifica.
Il tanto atteso derby della Merseyside si chiude con un pareggio che sta stretto al Liverpool ma che nel complesso premia gli sforzi del più debole Everton, tartassato da infortuni e squalifiche. Come si sarebbe detto una volta, è stata una partita maschia, molto spezzettata da falli da ambo le parti. Così così il rientro dal primo minuto di Fernando Torres, che nel primo tempo si è letteralmente mangiato un gol fatto. Ora i Reds sono secondi, a causa di una peggior differenza reti.
La scorsa stagione lo United aveva lasciato l’intera posta in gioco al Reebok Park di Bolton. Quest’anno ci ha messo 90 minuti – non sempre brillantissimi – per avere la meglio di una versione a dir poco coriacea dei Trotters. Siamo alle solite, con gente del calibro di Tevez e Berbatov (mente e braccio del gol della vittoria) le partite le puoi vincere in qualsiasi momento. L’impressione è che se Ronaldo ritrovasse un po’ il feeling con il gol, i Red Devils diventerebbero inarrestabili – non che adesso, dopo dieci partite di campionato senza subire reti, siano il team preferito dagli avversari…
Rischia grosso il Chelsea, che a due minuti dal termine si ritrova sotto di un gol con la matricola Stoke. Belletti e Lampard risparmiano una figuraccia a Scolari e tengono vive le speranze dei Blues, nel complesso però meritevoli dei tre punti.
Segnali di ripresa arrivano dall’Arsenal, che sempre nei minuti finali infligge la quinta sconfitta consecutiva in Premier all’Hull, prendendosi la tanto attesa rivincita per la delusione patita all’Emirates nel match d’andata. In attesa di Walcott e Fabregas, Wenger si gode i progressi di Adebayor e la continuità di Van Persie e Nasri. Gunners sempre a meno tre dalla quarta posizione detenuta dall’Aston Villa corsaro a Sunderland nonostante l’espulsione della stellina Ashley Young.
Continua il buon periodo del West Ham. Nel derby contro il Fulham Di Michele ritrova la maglia da titolare e il gol. La partita dei grandi ex – e della grande paura per il Tottenham – si rivela la più spettacolare e avvincente della giornata. Defoe e Redknapp sul fronte Spurs, il fischiatissimo Campbell, Kaboul e Davis sulla sponda Pompey hanno certamente contribuito ad aggiungere pepe a una sfida già di per sé delicata per le scricchiolanti posizioni di classifica delle due contendenti. Alla fine il più contento sarà forse stato Fabio Capello: la palma di migliore in campo è andata al portierone del Portsmouth David James.
A proposito di ex, chissà come avrà festeggiato Sam Allardyce il pesante 3-0 inflitto dal suo Blackburn ai suoi precedenti datori di lavoro del Newcastle. I Magpies fanno una poco gradita ricomparsa nella zona retrocessione, dove sprofonda il Middlesbrough (che tonfo al The Hawthorns di West Bromwich!) e da cui si allontana invece il City, anche fortunato nell’imporre l’1-0 finale a un Wigan mai domo.
Ora in coda c’è sempre più un affollamento degno della metro londinese nelle ore di punta. In soli sei punti ci sono la bellezza di 12 squadre, con cinque team a “contendersi” la poltrona dell’ultimo posto in classifica. Insomma, per adesso l’equilibrio regna sovrano sia nei quartieri alti che in quelli bassi della Premier.
Mettiamo per un attimo da parte il florilegio di illazioni e notizie su Kakà che non approda Manchester City e Roman Abramovich che si sbarazza del Chelsea e parliamo di calcio giocato. Parliamo di una giornata di Premier dove gol pesanti sono arrivati negli istanti conclusivi di tutti i match più rilevanti per il vertice della classifica.
Il tanto atteso derby della Merseyside si chiude con un pareggio che sta stretto al Liverpool ma che nel complesso premia gli sforzi del più debole Everton, tartassato da infortuni e squalifiche. Come si sarebbe detto una volta, è stata una partita maschia, molto spezzettata da falli da ambo le parti. Così così il rientro dal primo minuto di Fernando Torres, che nel primo tempo si è letteralmente mangiato un gol fatto. Ora i Reds sono secondi, a causa di una peggior differenza reti.
La scorsa stagione lo United aveva lasciato l’intera posta in gioco al Reebok Park di Bolton. Quest’anno ci ha messo 90 minuti – non sempre brillantissimi – per avere la meglio di una versione a dir poco coriacea dei Trotters. Siamo alle solite, con gente del calibro di Tevez e Berbatov (mente e braccio del gol della vittoria) le partite le puoi vincere in qualsiasi momento. L’impressione è che se Ronaldo ritrovasse un po’ il feeling con il gol, i Red Devils diventerebbero inarrestabili – non che adesso, dopo dieci partite di campionato senza subire reti, siano il team preferito dagli avversari…
Rischia grosso il Chelsea, che a due minuti dal termine si ritrova sotto di un gol con la matricola Stoke. Belletti e Lampard risparmiano una figuraccia a Scolari e tengono vive le speranze dei Blues, nel complesso però meritevoli dei tre punti.
Segnali di ripresa arrivano dall’Arsenal, che sempre nei minuti finali infligge la quinta sconfitta consecutiva in Premier all’Hull, prendendosi la tanto attesa rivincita per la delusione patita all’Emirates nel match d’andata. In attesa di Walcott e Fabregas, Wenger si gode i progressi di Adebayor e la continuità di Van Persie e Nasri. Gunners sempre a meno tre dalla quarta posizione detenuta dall’Aston Villa corsaro a Sunderland nonostante l’espulsione della stellina Ashley Young.
Continua il buon periodo del West Ham. Nel derby contro il Fulham Di Michele ritrova la maglia da titolare e il gol. La partita dei grandi ex – e della grande paura per il Tottenham – si rivela la più spettacolare e avvincente della giornata. Defoe e Redknapp sul fronte Spurs, il fischiatissimo Campbell, Kaboul e Davis sulla sponda Pompey hanno certamente contribuito ad aggiungere pepe a una sfida già di per sé delicata per le scricchiolanti posizioni di classifica delle due contendenti. Alla fine il più contento sarà forse stato Fabio Capello: la palma di migliore in campo è andata al portierone del Portsmouth David James.
A proposito di ex, chissà come avrà festeggiato Sam Allardyce il pesante 3-0 inflitto dal suo Blackburn ai suoi precedenti datori di lavoro del Newcastle. I Magpies fanno una poco gradita ricomparsa nella zona retrocessione, dove sprofonda il Middlesbrough (che tonfo al The Hawthorns di West Bromwich!) e da cui si allontana invece il City, anche fortunato nell’imporre l’1-0 finale a un Wigan mai domo.
Ora in coda c’è sempre più un affollamento degno della metro londinese nelle ore di punta. In soli sei punti ci sono la bellezza di 12 squadre, con cinque team a “contendersi” la poltrona dell’ultimo posto in classifica. Insomma, per adesso l’equilibrio regna sovrano sia nei quartieri alti che in quelli bassi della Premier.
venerdì 16 gennaio 2009
I nuovi antipatici?
È risaputo che in Inghilterra la squadra più antipatica alla maggioranza degli appassionati di calcio sia il Manchester United, ma se continueranno di questo passo – ovvero a spendere milioni nemmeno fossero i soldi del Monopoli – questo poco ambito primato rischia di passare ai Blues del City. A sentire certe cifre viene da pensare che, sempre parlando esclusivamente di calcio, Abramovich sia una persona molto oculata con i suoi quattrini (il che in buona parte è vero). Quasi superfluo citare la bontà della scelta di investire sui giovani dell’Arsenal e dello stesso Manchester United. Insomma, siamo pronti per la Big Five o addirittura solo per la Big One?
lunedì 12 gennaio 2009
L’acuto dei campioni
Il non semplicissimo inserimento di Berbatov, la querelle Ronaldo, le voci di mercato su Tevez e alcune prestazioni non proprio da United. I Red Devils cancellano tutti questi patemi in un pomeriggio di grandissimo calcio, impartendo una sonora lezione di gioco al malcapitato Chelsea, che invece sembra non essere in grado di uscire dal periodo opaco che sta attraversando da alcune settimane a questa parte. Lo United gira a mille, ispirato dalla classe dei vari Rooney, Berbatov, Giggs e Ronaldo e confortato dalla concretezza in difesa di Vidic e Evans – ottimo sostituto dell’infortunato Ferdinand. Male il Chelsea, tradito da uomini chiave come Deco, Ballack, Joe Cole e Drogba. Che Abramovich stia già pensando a un sostituto di Felipao Scolari? Intanto il Liverpool è a meno quattro e se il Manchester United dovesse vincere i recuperi con Wigan e Fulham conquisterebbe cinque punti di vantaggio sul club dello Stamford Bridge.
La sfuriata di Rafa Benitez nei confronti del collega Alex Ferguson, accusato di essere una sorta di “intoccabile del calcio inglese”, non porta bene alla sua squadra, che contro lo Stoke gioca maluccio e non va al di là dello 0-0 – steso risultato con cui si era concluso il match di andata ad Anfield. Il Liverpool punge solo nel finale con Gerrard, sfortunato a colpire per due volte i legni della porta difesa da Sorensen, ma nel complesso non merita il successo. Bene lo Stoke, che si rende pericoloso in più di un’occasione. Forse Benitez la prossima volta farebbe meglio a concentrarsi di più sulla sua squadra, specialmente su come impiegare gli uomini del suo attacco (per un’ora affidato al solo Kuyt).
Bellissimo il derby delle Midlands tra Aston Villa e West Bromwich Albion, aperto dell’ex Baggies (fischiatissimo) Curtis Davies. Villa cinico quel che basta per prevalere su un WBA come al solito bello e poco concreto. Martin O’Neill continua a sperare di conservare fino al termine della campagna un quarto posto al momento più che meritato.
Un po’ come nella precedente partita casalinga di Premier contro il Portsmouth, l’Arsenal non incanta ma trova i tre punti nei minuti conclusivi. Guidati da Nasri e Van Persie, i Gunners hanno subito cinto d’assedio i resti del Bolton. I Trotters erano decimati dagli infortuni, tanto da avere solo tre giocatori in panchina. Troppo deboli gli ospiti, privi di smalto i padroni di casa – UN PO’ arruffoni in alcune fasi di gioco – di belle azioni all’Emirates se ne sono viste pochine…
Partita spettacolare al St James’ Park di Newcastle. Il 2-2 finale conferma la ritrovata buona forma del West Ham e i problemi in difesa dei padroni di casa, bravi comunque a riacciuffare il risultato nel finale.
Continua a deludere, ma non è una novità, il Tottenham. Dopo la buona parentesi nelle coppe, gli Spurs cadono nei secondi finali a Wigan contro la squadra che avevano eliminato solo una settimana prima in FA Cup. Figueroa infligge l’undicesima sconfitta stagionale al team londinese, che al momento sarebbe l’ultima squadra a retrocedere in Championship.
Detto del pari nel derby del nord-est tra Middlesbrough e Sunderland, menzione speciale per l’Everton, che un po’ in sordina prova a braccare l’Arsenal per il quinto posto. In attesa del derby previsto per il prossimo Monday Night, i Toffees vincono facile sull’Hull, in evidente crisi e giunto alla quarta sconfitta consecutiva in campionato. Ora le Tigers farebbero bene a guardarsi alle spalle.
Al Craven Cottage e al Fratton Park, stadi rispettivamente di Fulham e Portsmouth, non si è potuto giocare per i campi gelati – in mattinata la temperatura era ben al di sotto dello zero. Ai tifosi delle due pericolanti Blackburn e Manchester City non è rimasto che tornarsene nel Lancashire, in attesa di tempi migliori.
Scritto per Goal.com
La sfuriata di Rafa Benitez nei confronti del collega Alex Ferguson, accusato di essere una sorta di “intoccabile del calcio inglese”, non porta bene alla sua squadra, che contro lo Stoke gioca maluccio e non va al di là dello 0-0 – steso risultato con cui si era concluso il match di andata ad Anfield. Il Liverpool punge solo nel finale con Gerrard, sfortunato a colpire per due volte i legni della porta difesa da Sorensen, ma nel complesso non merita il successo. Bene lo Stoke, che si rende pericoloso in più di un’occasione. Forse Benitez la prossima volta farebbe meglio a concentrarsi di più sulla sua squadra, specialmente su come impiegare gli uomini del suo attacco (per un’ora affidato al solo Kuyt).
Bellissimo il derby delle Midlands tra Aston Villa e West Bromwich Albion, aperto dell’ex Baggies (fischiatissimo) Curtis Davies. Villa cinico quel che basta per prevalere su un WBA come al solito bello e poco concreto. Martin O’Neill continua a sperare di conservare fino al termine della campagna un quarto posto al momento più che meritato.
Un po’ come nella precedente partita casalinga di Premier contro il Portsmouth, l’Arsenal non incanta ma trova i tre punti nei minuti conclusivi. Guidati da Nasri e Van Persie, i Gunners hanno subito cinto d’assedio i resti del Bolton. I Trotters erano decimati dagli infortuni, tanto da avere solo tre giocatori in panchina. Troppo deboli gli ospiti, privi di smalto i padroni di casa – UN PO’ arruffoni in alcune fasi di gioco – di belle azioni all’Emirates se ne sono viste pochine…
Partita spettacolare al St James’ Park di Newcastle. Il 2-2 finale conferma la ritrovata buona forma del West Ham e i problemi in difesa dei padroni di casa, bravi comunque a riacciuffare il risultato nel finale.
Continua a deludere, ma non è una novità, il Tottenham. Dopo la buona parentesi nelle coppe, gli Spurs cadono nei secondi finali a Wigan contro la squadra che avevano eliminato solo una settimana prima in FA Cup. Figueroa infligge l’undicesima sconfitta stagionale al team londinese, che al momento sarebbe l’ultima squadra a retrocedere in Championship.
Detto del pari nel derby del nord-est tra Middlesbrough e Sunderland, menzione speciale per l’Everton, che un po’ in sordina prova a braccare l’Arsenal per il quinto posto. In attesa del derby previsto per il prossimo Monday Night, i Toffees vincono facile sull’Hull, in evidente crisi e giunto alla quarta sconfitta consecutiva in campionato. Ora le Tigers farebbero bene a guardarsi alle spalle.
Al Craven Cottage e al Fratton Park, stadi rispettivamente di Fulham e Portsmouth, non si è potuto giocare per i campi gelati – in mattinata la temperatura era ben al di sotto dello zero. Ai tifosi delle due pericolanti Blackburn e Manchester City non è rimasto che tornarsene nel Lancashire, in attesa di tempi migliori.
Scritto per Goal.com
lunedì 5 gennaio 2009
Il Queen’s Park, il club più antico di Scozia
Uscito il mese scorso su Fever Pitch, la nuova rivista di calcio britannico.
È l’unica squadra formata da dilettanti di tutte le divisioni professionistiche inglesi e scozzesi. La sua casa è uno stadio da oltre 50mila posti, dove gioca la nazionale con il leone rampante sul petto. Ha un palmares di tutto rispetto, in cui figurano ben 10 coppe di Scozia. Stiamo ovviamente parlando del Queen’s Park di Glasgow – l’impianto, nemmeno a dirlo è Hampden Park – storica compagine nata nel lontanissimo 9 luglio del 1867 su iniziativa di un gruppo di studenti e professionisti.
In piena epoca vittoriana al di là del Vallo di Adriano il Queen’s Park divenne il club per eccellenza. Non solo per essere stato il primo in assoluto a vedere la luce e uno dei sette (poi tutti spariti, tranne ovviamente i bianconeri) a fondare la Scottish Football Association nel 1873, ma anche per aver influenzato enormemente il football in quei giorni di campi fangosi, scarpe chiodate e brache lunghe. Gli Spiders furono l’esempio, il modello da imitare. Si distinsero come dei veri precursori, nel loro innovativo impianto di regole introdussero la traversa, il calcio di punizione e l’intervallo tra i due tempi. Come se non bastasse, al Queen’s Park si deve un primo tentativo di “ingentilire” un gioco fino ad allora ancora troppo rozzo, più simile al rugby che al calcio come lo intendiamo oggi. I giocatori del team glasvegiano capirono l’importanza del passaggio al compagno e della tattica, dimostrandosi subito superiori a tutte le altre formazioni amatoriali incontrate nelle amichevoli organizzate in quegli anni. Non a caso la prima nazionale scozzese che il 30 novembre 1872 affrontò l’Inghilterra era composta da 11 giocatori (compreso il capitano Robert W. Gardner) del Queen’s Park, a cui si deve anche il primo completo maglia blu, calzoncini bianchi e calzettoni rossi della rappresentativa di Scozia. Fino al 1873, infatti, quelle erano le divise di gioco degli Spiders, poi mutate nei classici hoops (cerchi) bianconeri mantenuti fino ad oggi.
In assenza di un vero e proprio campionato, furono le coppe a monopolizzare l’interesse del Queen’s Park. Sia la FA Cup scozzese che quella inglese. In Inghilterra i ragazzi di Glasgow ebbero l’onore di disputare la prima edizione del torneo calcistico più antico del pianeta, abbracciando le regole della federazione nata nel 1863 presso la Freemasons’ Tavern di Londra. Per agevolarli e ridurre al massimo le loro spese – viaggiare non era poi così facile come ai nostri giorni – gli organizzatori li fecero partire direttamente dalle semifinali. Ma proprio per motivi logistici, non poterono ripetere la gara con i Wanderers (terminata 0-0) e dovettero far strada ai futuri vincitori del trofeo. Nel 1884 e nel 1885, guidati dall’ottimo centrocampista Charles Campbell, raggiunsero addirittura la finale e con tanto di etichetta di favoriti. Persero in entrambe le occasioni (1-2 e 0-2, sempre contro il Blackburn Rovers), lasciando per sempre ai loro tifosi il rimpianto di non aver portato la coppa in Scozia. Le cose andarono meglio sul suolo amico. Le prime tre FA Cup furono vinte alla grande, tanto per rimarcare una netta superiorità rispetto al resto delle contendenti. Nel 1886 si potevano contare già otto trionfi nella coppa nazionale e sette affermazioni nella Glasgow Merchant's Charity Cup, istituita nel 1876 con finalità benefiche da un gruppo di imprenditori della città.
Ma per assurdo la grande popolarità del calcio, la sua enorme diffusione in ogni angolo del Regno, era destinata a giocare un brutto scherzo al Queen’s Park. Nomi nuovi si affacciavano all’orizzonte, club ambiziosi come quello fondato da un prete cattolico, Fratello Walfrid, cui venne dato il nome di Celtic. Sempre a Glasgow iniziava a farsi valere un’altra compagine, frutto della passione di un gruppo di amici protestanti: i Rangers. Ma era soprattutto il fantasma del professionismo a incombere sempre più minaccioso. L’idea romantica di una squadra formata solo di dilettanti nativi di Glasgow, che aveva convinto il board nel 1890 a declinare l’offerta di entrare a far parte della Football League (ritenuta un “covo di professionisti” destinato a stroncare tutte le piccole realtà calcistiche del Paese) e a disputare la prima edizione del campionato, non si coniugava più con i crescenti interessi economici che il football aveva attorno.
Emblematica, a questo proposito, fu la finale di Coppa di Scozia del 1892 tra Queen’s Park e Celtic. I bianco-verdi vinsero nettamente in campo (un epico 5-1) e fuori, se è vero che a partire dal 1893 quello del calciatore divenne un mestiere retribuito a tutti gli effetti e il motto degli Spiders, ludere causa ludendi, giocare per il semplice piacere del gioco, apparve già superato nei fatti. Da quel momento il Celtic spiccò il volo in maniera definitiva, mentre il Queen’s Park iniziò un lento ma inesorabile declino.
Certo, gli Spiders trovarono ancora il tempo di aggiudicarsi un’altra coppa e una Glasgow Cup (altra competizione di marca glasvegiana), ma ormai il loro destino appariva segnato. Nel 1900 capitolarono in parte al nuovo che avanzava, scegliendo di disputare il campionato. Tre anni dopo si trasferirono al terzo Hampden Park della loro storia – il secondo fu venduto al poi defunto Third Lanark, che lo ribattezzò Cathkin Park. Il gigantesco impianto, quello del famoso “ruggito” del pubblico, nel 1933, in occasione del secondo turno di FA Cup contro i Rangers, fece registrare il record di presenze per un incontro del Queen’s Park. Ben 97 mila persone accorsero ad assistere alle giocate di Bob Gillespie e Jimmy Crawford, gli ultimi Spiders a vestire la maglia della nazionale scozzese (il record di caps è invece detenuto dal difensore Watty Arnott con 14).
Intanto nel 1922 il team aveva già conosciuto l’umiliazione del tonfo, seppure solo per una stagione, in seconda serie. In realtà in precedenza i bianconeri erano giunti altre cinque volte ultimi nella massima divisione scozzese, ma non essendo in vigore un meccanismo di retrocessione automatica in ragione dell’illustre passato gli era stata garantita la “rielezione” automatica.
Gli ultimi fuochi, una affermazione in Glasgow Cup e qualche buon piazzamento in campionato, arrivarono dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, quando il tetto salariale imposto dai club scozzesi era così basso che anche un club di dilettanti era in grado di mettere in piedi una squadra competitiva. Nel 1957-58, però, gli Hoops abbandonarono l’allora Division One (l’equivalente dell’attuale Premier), senza farvi più ritorno. Da allora il Queen’s Park ha girovagato nei bassifondi della lega scozzese non riuscendo nemmeno in parte a rinverdire i fasti del suo nobile passato. Qualche buon giocatore a inizio carriera ha vestito le maglie a strisce bianconere – “tale” Alex Ferguson e il portiere dei “Lisbon Lions” Ronnie Simpson – e di recente (nel 1998) si è deciso di garantire un salario all’allenatore e mettere sotto contratto ex professionisti, ma lo status amatoriale del club molto difficilmente regalerà troppe gioie ai tifosi. Ovvero a quelle centinaia di appassionati che occupano uno spicchio del South Stand di Hampden Park, ora del tutto ristrutturato e con una capienza ridotta a 52.500 posti. Lo stadio, non va dimenticato, è ancora di proprietà degli Spiders, anche se i lavori sono stati quasi interamente finanziati con fondi pubblici.
Anche il motto è sempre quello, ludere causa ludendi, che adesso potremmo parafrasare in “andiamo, divetiamoci e non pensiamo ai milioni di sterline che hanno intossicato il gioco moderno”. Altri mille di questi anni, caro vecchio Queen’s Park.
È l’unica squadra formata da dilettanti di tutte le divisioni professionistiche inglesi e scozzesi. La sua casa è uno stadio da oltre 50mila posti, dove gioca la nazionale con il leone rampante sul petto. Ha un palmares di tutto rispetto, in cui figurano ben 10 coppe di Scozia. Stiamo ovviamente parlando del Queen’s Park di Glasgow – l’impianto, nemmeno a dirlo è Hampden Park – storica compagine nata nel lontanissimo 9 luglio del 1867 su iniziativa di un gruppo di studenti e professionisti.
In piena epoca vittoriana al di là del Vallo di Adriano il Queen’s Park divenne il club per eccellenza. Non solo per essere stato il primo in assoluto a vedere la luce e uno dei sette (poi tutti spariti, tranne ovviamente i bianconeri) a fondare la Scottish Football Association nel 1873, ma anche per aver influenzato enormemente il football in quei giorni di campi fangosi, scarpe chiodate e brache lunghe. Gli Spiders furono l’esempio, il modello da imitare. Si distinsero come dei veri precursori, nel loro innovativo impianto di regole introdussero la traversa, il calcio di punizione e l’intervallo tra i due tempi. Come se non bastasse, al Queen’s Park si deve un primo tentativo di “ingentilire” un gioco fino ad allora ancora troppo rozzo, più simile al rugby che al calcio come lo intendiamo oggi. I giocatori del team glasvegiano capirono l’importanza del passaggio al compagno e della tattica, dimostrandosi subito superiori a tutte le altre formazioni amatoriali incontrate nelle amichevoli organizzate in quegli anni. Non a caso la prima nazionale scozzese che il 30 novembre 1872 affrontò l’Inghilterra era composta da 11 giocatori (compreso il capitano Robert W. Gardner) del Queen’s Park, a cui si deve anche il primo completo maglia blu, calzoncini bianchi e calzettoni rossi della rappresentativa di Scozia. Fino al 1873, infatti, quelle erano le divise di gioco degli Spiders, poi mutate nei classici hoops (cerchi) bianconeri mantenuti fino ad oggi.
In assenza di un vero e proprio campionato, furono le coppe a monopolizzare l’interesse del Queen’s Park. Sia la FA Cup scozzese che quella inglese. In Inghilterra i ragazzi di Glasgow ebbero l’onore di disputare la prima edizione del torneo calcistico più antico del pianeta, abbracciando le regole della federazione nata nel 1863 presso la Freemasons’ Tavern di Londra. Per agevolarli e ridurre al massimo le loro spese – viaggiare non era poi così facile come ai nostri giorni – gli organizzatori li fecero partire direttamente dalle semifinali. Ma proprio per motivi logistici, non poterono ripetere la gara con i Wanderers (terminata 0-0) e dovettero far strada ai futuri vincitori del trofeo. Nel 1884 e nel 1885, guidati dall’ottimo centrocampista Charles Campbell, raggiunsero addirittura la finale e con tanto di etichetta di favoriti. Persero in entrambe le occasioni (1-2 e 0-2, sempre contro il Blackburn Rovers), lasciando per sempre ai loro tifosi il rimpianto di non aver portato la coppa in Scozia. Le cose andarono meglio sul suolo amico. Le prime tre FA Cup furono vinte alla grande, tanto per rimarcare una netta superiorità rispetto al resto delle contendenti. Nel 1886 si potevano contare già otto trionfi nella coppa nazionale e sette affermazioni nella Glasgow Merchant's Charity Cup, istituita nel 1876 con finalità benefiche da un gruppo di imprenditori della città.
Ma per assurdo la grande popolarità del calcio, la sua enorme diffusione in ogni angolo del Regno, era destinata a giocare un brutto scherzo al Queen’s Park. Nomi nuovi si affacciavano all’orizzonte, club ambiziosi come quello fondato da un prete cattolico, Fratello Walfrid, cui venne dato il nome di Celtic. Sempre a Glasgow iniziava a farsi valere un’altra compagine, frutto della passione di un gruppo di amici protestanti: i Rangers. Ma era soprattutto il fantasma del professionismo a incombere sempre più minaccioso. L’idea romantica di una squadra formata solo di dilettanti nativi di Glasgow, che aveva convinto il board nel 1890 a declinare l’offerta di entrare a far parte della Football League (ritenuta un “covo di professionisti” destinato a stroncare tutte le piccole realtà calcistiche del Paese) e a disputare la prima edizione del campionato, non si coniugava più con i crescenti interessi economici che il football aveva attorno.
Emblematica, a questo proposito, fu la finale di Coppa di Scozia del 1892 tra Queen’s Park e Celtic. I bianco-verdi vinsero nettamente in campo (un epico 5-1) e fuori, se è vero che a partire dal 1893 quello del calciatore divenne un mestiere retribuito a tutti gli effetti e il motto degli Spiders, ludere causa ludendi, giocare per il semplice piacere del gioco, apparve già superato nei fatti. Da quel momento il Celtic spiccò il volo in maniera definitiva, mentre il Queen’s Park iniziò un lento ma inesorabile declino.
Certo, gli Spiders trovarono ancora il tempo di aggiudicarsi un’altra coppa e una Glasgow Cup (altra competizione di marca glasvegiana), ma ormai il loro destino appariva segnato. Nel 1900 capitolarono in parte al nuovo che avanzava, scegliendo di disputare il campionato. Tre anni dopo si trasferirono al terzo Hampden Park della loro storia – il secondo fu venduto al poi defunto Third Lanark, che lo ribattezzò Cathkin Park. Il gigantesco impianto, quello del famoso “ruggito” del pubblico, nel 1933, in occasione del secondo turno di FA Cup contro i Rangers, fece registrare il record di presenze per un incontro del Queen’s Park. Ben 97 mila persone accorsero ad assistere alle giocate di Bob Gillespie e Jimmy Crawford, gli ultimi Spiders a vestire la maglia della nazionale scozzese (il record di caps è invece detenuto dal difensore Watty Arnott con 14).
Intanto nel 1922 il team aveva già conosciuto l’umiliazione del tonfo, seppure solo per una stagione, in seconda serie. In realtà in precedenza i bianconeri erano giunti altre cinque volte ultimi nella massima divisione scozzese, ma non essendo in vigore un meccanismo di retrocessione automatica in ragione dell’illustre passato gli era stata garantita la “rielezione” automatica.
Gli ultimi fuochi, una affermazione in Glasgow Cup e qualche buon piazzamento in campionato, arrivarono dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, quando il tetto salariale imposto dai club scozzesi era così basso che anche un club di dilettanti era in grado di mettere in piedi una squadra competitiva. Nel 1957-58, però, gli Hoops abbandonarono l’allora Division One (l’equivalente dell’attuale Premier), senza farvi più ritorno. Da allora il Queen’s Park ha girovagato nei bassifondi della lega scozzese non riuscendo nemmeno in parte a rinverdire i fasti del suo nobile passato. Qualche buon giocatore a inizio carriera ha vestito le maglie a strisce bianconere – “tale” Alex Ferguson e il portiere dei “Lisbon Lions” Ronnie Simpson – e di recente (nel 1998) si è deciso di garantire un salario all’allenatore e mettere sotto contratto ex professionisti, ma lo status amatoriale del club molto difficilmente regalerà troppe gioie ai tifosi. Ovvero a quelle centinaia di appassionati che occupano uno spicchio del South Stand di Hampden Park, ora del tutto ristrutturato e con una capienza ridotta a 52.500 posti. Lo stadio, non va dimenticato, è ancora di proprietà degli Spiders, anche se i lavori sono stati quasi interamente finanziati con fondi pubblici.
Anche il motto è sempre quello, ludere causa ludendi, che adesso potremmo parafrasare in “andiamo, divetiamoci e non pensiamo ai milioni di sterline che hanno intossicato il gioco moderno”. Altri mille di questi anni, caro vecchio Queen’s Park.
giovedì 1 gennaio 2009
Football e alcool
Questo esce domani su Goal.com ed è una versione più lunga e aggiornata di un articolo già pubblicato dal Manifesto.
Alcool e football. In Inghilterra è un binomio indissolubile per tanti tifosi ma anche per molti calciatori, che a volte esagerano e finiscono per rimanere coinvolti in qualche pub brawl, la “classica” rissa da eccesso di birra e superalcolici.
Poco prima di Capodanno anche una delle stelle più fulgide del firmamento calcistico d’Oltre Manica come Steven Gerrard è finito per qualche ora dietro le sbarre per una scazzottata in un locale notturno. Il capitano del Liverpool ha negato di essere stato ubriaco al momento del fattaccio, ma non è da escludere che il “fattore alcool” abbia giocato un ruolo in tutta la vicenda.
È tuttavia innegabile che la drinking culture – e i relativi danni collaterali – continui a fare i suoi proseliti nel mondo del calcio britannico.
Tutti ormai conoscono la triste storia di George Best, ucciso dalla sua passione per la bottiglia, ma anche gente del calibro di Bobby Moore, capitano dell’Inghilterra vincitrice dei mondiali 1966, e di Jimmy Greaves, fenomenale attaccante del Tottenham che giocò anche qualche partita nel Milan di Nereo Rocco, ammise la propria condizione di alcolista. Grazie al taglio scandalistico dei tabloid, negli anni Sessanta iniziarono a essere di dominio pubblico le storie sui calciatori sbevazzoni che prima rimanevano circoscritte nell’ambito degli addetti ai lavori e dei frequentatori di night club – non a caso si vocifera che a cavallo tra le due guerre il grande centravanti dell’Everton e della nazionale Dixie Dean fosse un vero scavezzacollo. Di vicende curiose e divertenti ce ne sarebbero da riempire qualche libro.
Come non citare, però, almeno la funambolica ala scozzese Jimmy Johnstone o il mattacchione londinese Robin Friday. Il primo, durante un ritiro della nazionale del leone rampante, una notte era così alticcio che non si accorse che la barca su cui era salito per riprendersi dall’eccesso di alcool non fosse legata. Per riportarlo a riva dovette intervenire la guardia costiera! Il secondo è per molti il più grande talento sprecato della storia del calcio inglese. Uno che al principio della sua carriera, quando militava ancora nei dilettanti dell’Hayes, durante una partita improvvisamente sparì per un quarto d’ora, per poi rientrare e segnare il gol decisivo. L’assenza temporanea, ça va sans dire, era dovuta a una capatina al pub adiacente allo stadio…
Senza andare troppo lontano nel tempo altri campioni come Tony Adams e Paul Merson hanno faticato non poco per liberarsi del demone dell’alcool. Adams ha anche scontato 56 giorni di prigione per guida in stato di ebbrezza, decidendo poi di mettere in piedi una clinica specializzata per il recupero di sportivi che hanno imboccato la strada della dipendenza da alcool, droghe o scommesse.
I nuovi metodi di allenamento e soprattutto l’uso di nutrizionisti e dietologi per salvaguardare la forma degli atleti cominciano ad avere un effetto positivo, almeno nella ricca Premier. Ma chi beve un bicchierino di troppo si pizzica sempre. Nel 2000 sette pinte di vodka e rum e il conseguente attacco al malcapitato Sarfraz Najeib sono costate a Jonathan Woodgate una notte in cella e 100 ore di servizi sociali. Un anno e mezzo fa, prima di un ottavo di Champions League tra Barcellona e Liverpool, il litigio alcolico tra Craig Bellamy e John Arne Riise, con il gallese a rincorrere l’attuale terzino della Roma con una mazza da golf, fece la gioia dei direttori dei giornali popolari di mezza Europa.
Purtroppo il caso più eclatante di fuoriclasse dei nostri tempi rovinato da birra e whisky è ancora quello di Paul “Gazza” Gascoigne. Tra marachelle e follie varie, una “gita” all’ospedale psichiatrico e un pestaggio alla povera moglie Sheryl, l’ex numero otto di Newcastle, Tottenham e Lazio non sembra proprio farcela a vincere la sua battaglia contro l’alcool. Il giorno di Natale era atteso dai familiari per pranzo, invece si è rintanato in un hotel nei pressi del centro di recupero di Minsterworth, nel Gloucestershire, dove è in cura da tre settimane. L’hanno ritrovato dopo tre giorni. Solo, ubriaco e depresso per le parole del figlio dodicenne Regan, che in un documentario di prossima diffusione su Channel Four ha dichiarato: “mio padre morirà presto”.
Alcool e football. In Inghilterra è un binomio indissolubile per tanti tifosi ma anche per molti calciatori, che a volte esagerano e finiscono per rimanere coinvolti in qualche pub brawl, la “classica” rissa da eccesso di birra e superalcolici.
Poco prima di Capodanno anche una delle stelle più fulgide del firmamento calcistico d’Oltre Manica come Steven Gerrard è finito per qualche ora dietro le sbarre per una scazzottata in un locale notturno. Il capitano del Liverpool ha negato di essere stato ubriaco al momento del fattaccio, ma non è da escludere che il “fattore alcool” abbia giocato un ruolo in tutta la vicenda.
È tuttavia innegabile che la drinking culture – e i relativi danni collaterali – continui a fare i suoi proseliti nel mondo del calcio britannico.
Tutti ormai conoscono la triste storia di George Best, ucciso dalla sua passione per la bottiglia, ma anche gente del calibro di Bobby Moore, capitano dell’Inghilterra vincitrice dei mondiali 1966, e di Jimmy Greaves, fenomenale attaccante del Tottenham che giocò anche qualche partita nel Milan di Nereo Rocco, ammise la propria condizione di alcolista. Grazie al taglio scandalistico dei tabloid, negli anni Sessanta iniziarono a essere di dominio pubblico le storie sui calciatori sbevazzoni che prima rimanevano circoscritte nell’ambito degli addetti ai lavori e dei frequentatori di night club – non a caso si vocifera che a cavallo tra le due guerre il grande centravanti dell’Everton e della nazionale Dixie Dean fosse un vero scavezzacollo. Di vicende curiose e divertenti ce ne sarebbero da riempire qualche libro.
Come non citare, però, almeno la funambolica ala scozzese Jimmy Johnstone o il mattacchione londinese Robin Friday. Il primo, durante un ritiro della nazionale del leone rampante, una notte era così alticcio che non si accorse che la barca su cui era salito per riprendersi dall’eccesso di alcool non fosse legata. Per riportarlo a riva dovette intervenire la guardia costiera! Il secondo è per molti il più grande talento sprecato della storia del calcio inglese. Uno che al principio della sua carriera, quando militava ancora nei dilettanti dell’Hayes, durante una partita improvvisamente sparì per un quarto d’ora, per poi rientrare e segnare il gol decisivo. L’assenza temporanea, ça va sans dire, era dovuta a una capatina al pub adiacente allo stadio…
Senza andare troppo lontano nel tempo altri campioni come Tony Adams e Paul Merson hanno faticato non poco per liberarsi del demone dell’alcool. Adams ha anche scontato 56 giorni di prigione per guida in stato di ebbrezza, decidendo poi di mettere in piedi una clinica specializzata per il recupero di sportivi che hanno imboccato la strada della dipendenza da alcool, droghe o scommesse.
I nuovi metodi di allenamento e soprattutto l’uso di nutrizionisti e dietologi per salvaguardare la forma degli atleti cominciano ad avere un effetto positivo, almeno nella ricca Premier. Ma chi beve un bicchierino di troppo si pizzica sempre. Nel 2000 sette pinte di vodka e rum e il conseguente attacco al malcapitato Sarfraz Najeib sono costate a Jonathan Woodgate una notte in cella e 100 ore di servizi sociali. Un anno e mezzo fa, prima di un ottavo di Champions League tra Barcellona e Liverpool, il litigio alcolico tra Craig Bellamy e John Arne Riise, con il gallese a rincorrere l’attuale terzino della Roma con una mazza da golf, fece la gioia dei direttori dei giornali popolari di mezza Europa.
Purtroppo il caso più eclatante di fuoriclasse dei nostri tempi rovinato da birra e whisky è ancora quello di Paul “Gazza” Gascoigne. Tra marachelle e follie varie, una “gita” all’ospedale psichiatrico e un pestaggio alla povera moglie Sheryl, l’ex numero otto di Newcastle, Tottenham e Lazio non sembra proprio farcela a vincere la sua battaglia contro l’alcool. Il giorno di Natale era atteso dai familiari per pranzo, invece si è rintanato in un hotel nei pressi del centro di recupero di Minsterworth, nel Gloucestershire, dove è in cura da tre settimane. L’hanno ritrovato dopo tre giorni. Solo, ubriaco e depresso per le parole del figlio dodicenne Regan, che in un documentario di prossima diffusione su Channel Four ha dichiarato: “mio padre morirà presto”.
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