“Il calcio è uno sport fatto di 22 giocatori che corrono dietro a un pallone e di un arbitro che ogni tanto fa qualche errore. E alla fine vince sempre la Germania”. Per capire quanto per gli inglesi sia importante, e temuto, un incontro con gli storici rivali tedeschi (e non parliamo solo di football), basta rileggersi le parole di Gary Linecker. Lui ha vissuto uno degli episodi meno fulgidi della diatriba sportiva tra le due nazionali: la semifinale di Italia 90. Non bastò una sua rete per portare i Tre Leoni in finale. Chris Waddle e Psycho Pearce sparacchiarono dal dischetto e ai posteri fu consegnata l’immagine triste di un Gazza Gascoigne in lacrime, quasi un presagio di quella che sarebbe stata una vita fatta di tanti episodi balordi. La maledizione dei rigori, per gli inglesi, iniziò in quella calda serata torinese. Il secondo dei tanti flop dal dischetto che da due decenni accompagnano la nazionale ora allenata da Fabio Capello fu se possibile ancora più doloroso. Avversaria ovviamente la Germania, questa volta la competizione erano i campionati europei che l’Inghilterra ospitò nel 1996. Alan Shearer e compagni dominarono in lungo e in largo una partita iniziata in discesa, proprio grazie a un gol dell’idolo dei tifosi del Newcastle. Ma i tedeschi non mollano mai, è risaputo, e quella volta toccò a Gareth Southgate far sprofondare nella disperazione i 100mila di Wembley e una nazione intera.
A proposito del vecchio Wembley, quello con le due Torri, la pista e i seggiolini stretti stretti da far venire i crampi, indovinate chi giocò l’ultima partita contro i Tre Leoni prima che il tempio fosse abbattuto. Elementare, Watson, la Germania. Che, sotto una pioggia battente, vinse con un tiraccio del randellatore di centrocampo Dietmar Hamann. La partita era valida per il girone di qualificazione al Mondiale nippo-coreano. Per smentire l’adagio lineckeriano, nel match di ritorno Sven Goran Eriksson guarì gli inglesi dalla loro allergia ai tecnici stranieri, almeno quelli chiamati a guidare l’undici della Regina. Grazie anche a una tripletta di un giovane e all’epoca sano come un pesce Michael Owen, l’Inghilterra umiliò 5-1 una Germania incredula, esterrefatta.
Tornando a parlare di gare valide per una fase finale di una Coppa del Mondo, prima della famosa semifinale sul suolo italico le tre sfide che opposero gli allora tedeschi dell’Ovest agli inglesi fecero registrare un bilancio in perfetta parità. Una vittoria per parte e un pareggio, quest’ultimo uno scialbo 0-0 che buttò fuori un’Inghilterra imbattuta dal Mundial spagnolo.
Sulle ultime due partite di questa veloce e per forza di cose parziale carrellata si è detto e scritto tutto e il contrario di tutto. Il 30 luglio del 1966 il compianto Bobby Moore alzò al cielo la Coppa Jules Rimet soprattutto per merito dei suoi due compagni di squadra del West Ham Martin Peters e Geoff Hurst, autori di tutti e quattro i gol della finale. E di uno sconosciuto guardalinee sovietico, Tofik Bakhramov. Colui che confermò all’arbitro elvetico Gottfried Dienst che la bordata di Hurst al 101imo minuto dei tempi supplementari dopo aver centrato la traversa aveva varcato la linea della porta difesa da Hans Tilkowski.
Pare che Bakhramov concesse una delle marcature più controverse della storia del calcio soprattutto per “antipatia” nei confronti dei tedeschi. Quelle della Seconda Guerra Mondiale, a quei tempi, erano ferite ancora aperte per molti. Non a caso narra la vulgata che sul letto di morte il guardalinee di sangue azero, all’ennesima domanda su quella indimenticabile decisione rispose con una sola parola: “Stalingrado”. Al di là di quel celebre misfatto, la nazionale allenata da Alf Ramsey era zeppa di campioni e meritò il titolo. Oltre ai tre Irons, c’erano Bobby e Jackie Charlton, Alan Ball, Gordon Banks e Nobby Stiles. Tra le riserve era presente pure il talentuoso portiere del Chelsea, un ragazzo di origini svizzere che di nome faceva Peter Bonetti, poi finito a fare il postino nella remota isola scozzese di Mull. Non prima di essere divenuto il capro espiatorio per la cocente eliminazione ai quarti di finale di Messico 70. Banks, che contro il Brasile aveva appena compiuto una delle parate più belle di tutti i tempi su un colpo di testa del grande Pelé, rimase in albergo a vedersela con la maledizione di Montezuma, e Bonetti disputò così l’unica gara della sua vita in un mondiale. L’Inghilterra appariva destinata a ripetere i fasti di quattro anni prima, grazie a un rassicurante doppio vantaggio a 20 minuti dal termine. Franz Beckenbauer, Uwe Seeler e Gerd Muller ribaltarono la contesa, come quella del 1966 decisa ai supplementari. In realtà Bonetti ebbe chiare responsabilità su uno solo dei tre gol, ma tant’è, quella partita viene ricordata per le sue papere e per la grinta tutta teutonica nel cercare la vittoria a tutti costi. Prossima fermata Bloemfontein, il romanzo continua.
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