mercoledì 2 giugno 2010

In attesa di Inghilterra vs USA

Quando le agenzie stampa trasmisero il risultato di “Inghilterra-Usa 0-1”, i caporedattori di molti giornali inglesi pensarono si trattasse di un errore di battitura. Si era nel 1950, i mezzi di comunicazione erano limitati e la partita valevole per il girone di qualificazione dei mondiali si era appena giocata a Belo Horizonte, nel lontano Brasile. Le prime edizioni dei quotidiani londinesi riportarono come score 10-1 o 11-1 per i Tre Leoni, come la logica del football di quei tempi suggeriva, dedicando più spazio a un’altra tragedia nazionale, la prima sconfitta della selezione di cricket contro la rappresentativa delle Indie Occidentali. E invece era tutto vero. Alla loro prima partecipazione ai Mondiali, che nelle tre precedenti occasioni avevano altezzosamente snobbato, i Maestri del calcio si erano fatti battere da un’accozzaglia di dilettanti statunitensi, che nella vita di tutti i giorni facevano i lavapiatti piuttosto che gli insegnanti. A essere più precisi, alcuni di loro vestivano la maglia degli Usa ma, in alcuni casi, erano originari di altri Paesi ed erano stati inseriti nella rosa per il mondiale brasiliano solo grazie a una naturalizzazione dell’ultimo minuto. Come Joe Gaetjens, l’attaccante haitiano che segnò il gol della vittoria, divenendo per gli inglesi l’equivalente di quello che Pak Do Ik è per gli italiani: un incubo in carne e ossa. O ancora come Bill Jeffrey e Ed McIlvenny, rispettivamente allenatore e mediano di quella nazionale, entrambi scozzesi. McIlvenny venne addirittura promosso capitano solo per quell’incontro, proprio a ragione delle sue origini britanniche – o meglio dire per la sua avversione atavica nei confronti degli inglesi. Mai troppo popolare, all’epoca negli Stati Uniti era quasi esclusivamente uno sport per stranieri, conseguentemente praticato da migranti. Non a caso i protagonisti di quella impresa rimasero nel dimenticatoio per 50 anni, fin quando su Inghilterra-Usa fu scritto un libro e girato un film, “The Game of Their Lives”, costato 20 milioni di dollari nel 2005 ma poi rivelatosi un fragoroso flop (tanto che al botteghino guadagnò solo 400mila dollari).

Nella pellicola Gaetjens era raffigurato come un seguace dei riti voodoo – niente di più falso –, mentre ai giocatori inglesi fu data una caratterizzazione quanto mai fallace. Altro che esponenti dell’alta borghesia con la puzza sotto al naso, i vari Stanley Matthews, Will Mannion, Tom Finney e Stan Mortensen erano i tipici calciatori dell’epoca: origini proletarie e pochi grilli per la testa. Matthews era la star di quella squadra e, grazie ai suoi dribbling ubriacanti e alla tecnica sopraffina, era ritenuto uno dei migliori al mondo. Per sua fortuna non giocò quell’incredibile match, essendo reduce da un infortunio. Tutte le altre stelle inglesi, però, subirono quella cocente umiliazione. Le divinità del calcio, è vero, ci misero tanto del loro. Il portiere a stelle e strisce Frank Borghi parò tutto il parabile e anche di più. Quando non ci arrivava lui, ci pensarono i pali e le traverse a salvare le sorti dei dilettanti statunitensi. In una delle rarissime azioni offensive di tutta la partita, sul finire del primo tempo, un tiraccio da fuori aerea “rimbalzò” sulla testa di Gaetjens superando l’estremo difensore dei Tre Leoni. Tanto bastò per realizzare la beffa del secolo.

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