Fosse ancora vivo, oggi avrebbe compiuto 100 anni. Matt Busby, Sir per meriti sportivi, in oltre venti anni di carriera tra l’immediato dopo guerra e la fine degli anni Sessanta, ha plasmato a sua immagine e somiglianza un club ormai entrato nella leggenda: il Manchester United. Ormai divenuto un munifico brand globale, il team del Lancashire deve tanto, tantissimo a quello scozzese gentile, dal sorriso gioviale e dai modi garbati. Uno scozzese di Orbiston, un villaggio di minatori di carbone nel Lanarkshire, già provato in tenera età dalle asprezze della vita, dal momento che suo padre e tutti i suoi zii perirono durante la prima guerra mondiale. Se la cavò alla grande anche nei suoi anni da calciatore professionista, invero troppo pochi, a causa del secondo conflitto mondiale. Nonostante non fosse una mezzala scattante, fece comunque le fortune delle due squadre inglesi per cui giocò: il Manchester City e il Liverpool.
Dopo la cessazione delle ostilità, decise di rimanere nel mondo del calcio come allenatore, provando a risollevare le sorti di un club reduce da anni durissimi sotto tutti i punti di vista. Poche stagioni prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale era stato vicinissimo alla retrocessione in terza serie, il suo stadio era malmesso a causa dei bombardamenti e le sue casse ridotte all’osso. Eppure il Manchester United tornò a essere una forza del calcio inglese proprio grazie a Sir Matt.
Prototipo del futuro manager del calcio britannico e l’antesignano dei suoi compatrioti Bill Shankley, Jock Stein e Alex Ferguson, Busby era dotato di una grande personalità, nonostante l’impressione che dava di persona calma e tranquilla, e riusciva a gestire in maniera ottimale lo spogliatoio. Chi osava contrastarlo, o comunque si metteva contro gli interessi del club, veniva subito marginalizzato. Nel suo regno ultraventennale all’Old Trafford costruì tre grandi squadre, capaci di vincere cinque campionati, due FA Cup e una Coppa dei Campioni. La più forte e amata delle sue compagini è quella denominata dei “Busby Babes”, i ragazzini terribili che seppero incantare l’Europa e che solo una stramaledetta tragedia aerea, quella di Monaco di Baviera del 6 febbraio 1958, seppe sconfiggere. Il buon Matt, insieme a Bobby Charlton e a un drappello di giocatori, si salvò per miracolo.
Tuttavia Busby si sentiva responsabile per la morte dei suoi giovani campioni, colpevole di aver tradito la fiducia delle loro famiglie, alle quali aveva promesso di proteggere i loro figli. Ci volle allora tutta la pazienza di sua moglie Jean, che lo convinse a proseguire, a farlo in nome dei suoi ragazzi, che sicuramente avrebbero voluto che il Manchester United continuasse a essere una squadra forte e spettacolare in patria e in Europa. E così fu, anche grazie alle magie di George Best e Dennis Law. Prima di dire addio alla panchina, lo scozzese vinse la prima Coppa dei Campioni della storia dei Red Devils battendo a Wembley 4-1 dopo i tempi supplementari il Benefica di Eusebio. Non a caso domani nei minuti che precederanno il fischio d’inizio della finale con il Barcellona, con 16mila cartoncini colorati i tifosi dei Red Devils formeranno il profilo del grande Matt Busby e la scritta “For Sir Matt”. Ovvero, vincete per la leggenda.
Una verione ridotta di questo articolo comparirà oggi sul Manifesto.
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